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Come nascono le mie storie: La mia vita imprevista

La prima stesura di questa storia l’ho scritta cinque o sei anni fa.

Buttai giù l’incipit senza un motivo preciso – è più o meno quello che trovate ora nel romanzo – e non lo faccio quasi mai. Questa storia ha avuto un percorso tutto suo.

Di solito, le idee – tante, troppe – le lascio nell’aria e aspetto; solo quelle che non diventano polvere le segno e poi, se il quaderno le risputa fuori, si scelgono un titolo, trovano un file e spesso indicazioni precise, ricerche, suggestioni. Il romanzo vero e proprio lo scrivo dopo, quando è il suo momento, perché ormai sono troppi quelli a cui dar voce. Con i tempi dell’editoria non scriverò mai tutte le storie dei file, non mi resta abbastanza vita. E chissà, non mi resterà neanche abbastanza volontà per farlo.

La mia vita imprevista ha avuto subito un incipit, tanto lavoro su più stesure nel tempo e Frances di circa dieci anni.

Anche di decènni non scrivo quasi mai, mi piace narrare dei tredici-diciassettenni, si sa, ma Fran, che abita nella casa gialla dove nessuno usa il proprio nome proprio, sa osservare un sacco di cose dall’alto della sua età.

A volte, l’Altezza di un’età si colloca in due luoghi mentali lontani, forse agli opposti, ma compatibili: prima dei dieci e dopo gli ottant’anni.

Così, Fran vive in una grande casa gialla senza recinzioni e con dei bambini che giocano agli agenti segreti; mette a posto i casini di sua madre e conosce un tale, Ciccio, che non esiste ma c’è.

Cose che possiamo fare tutti, a qualsiasi età, ma che una decènne può raccontare con la saggezza di chi non ha ancora vissuto tanto, mettendoci speranza e disubbidienza.

Per dei bambini è pericoloso di notte andare fin in fondo alla via, figurarsi arrivare in una discoteca dall’altra parte della città; e figurarsi se esiste una stanza immensa zeppa di costumi teatrali o per il balletto, ordinati in file e file di appendiabiti sotto i quali, i più lontani nel tempo e nello spazio, si incontrano i bambini che sanno disobbedire; e chi accidenti tiene le galline come animali da compagnia? Ma ti pare che nonno e nonna muoiono colpiti da un fulmine in una notte di tempesta mentre si tengono sorridenti per mano?

C’è sempre un modo per far accadere le cose in un romanzo – mentre la vita può essere più crudele e inadempiente – l’importante è trovare quello giusto. E io ci ho messo quei cinque o sei anni pieni, un’amica, collega e editor, con cui consumare le ore a parlare e la casa editrice giusta, quella che ha accolto questa storia, l’ha amata e non mi ha fatta rilassare un minuto finché non fossi stata certa che ogni riga fosse gusta, ogni frase definitiva, ogni pensiero fissato. La rileggerò l’ultima volta e poi non sarà più mia, per lei avrò fatto tutto quello che potevo. Ora lo so. E sono anche soddisfatta (che non è da me).

Come Mary Poppins racconta, solo i bimbi piccolissimi capiscono il linguaggio degli uccellini, poi crescono e lo dimenticano, così spero capiti con questo romanzo a tutti noi, piccoli e grandi, di riuscire a vedere e ascoltare quello che abbiamo dimenticato; è impossibile, lo so, ma chissà… in fondo mica dobbiamo capire e sapere proprio tutto. Conosciamo un pezzetto, poi il resto lo prendiamo così com’è, tanto la vita è imprevista.

Grazie a Livia Rocchi per i suoi preziosi consigli da editor e perché c’è.

Grazie a Daniela Demurtas per le bellissime illustrazioni (e a Mostrino, il gatto che vive con lei). Non la conoscevo, non ci siamo mai scritte se non poco tempo fa. Non ringrazierò mai abbastanza la casa editrice per averle chiesto di dedicarsi alla mia storia e mai lei abbastanza per aver reso, attraversando le mie parole, persone e luoghi più vivi di quello che già sono. L’arte, immagino, realizzi ciò che non è possibile.

Grazie a Francesca Segato e Sara Saorin, le Camelozampa, per come sono editore, per quello che hanno fatto con la loro casa editrice indipendente e per quello che faranno. Provo una felicità esagerata a essere nel loro catalogo.

E soprattutto grazie a Fran e Ciccio.

(Grazie anche al cane della signora Patrizia Pecora – che non ringrazierà mai nessuno – che è grande come una mucca ma assomiglia a una pecora e che è il figlio di Rosamunda, la cana che aveva una canaiola nella grande casa gialla. Eh? Straparlo? No, no, è tutta questione di storie…)

Per leggere la recensione: Liber

Su LinfaLibri “La mia vita imprevista”, una gran bella storia di affido familiare che esce dai canoni consolidati e rifugge toni consolatori o entusiastici” di Barbara Confortini

Su Storie girandole “In questa casa i soprannomi si usano soprattutto nei momenti felici.” di Carla Colussi