Pubblicato in: Come nascono le mie storie

I segreti di Huck, come nascono le mie storie

Alex, Irene e Martina tre vite imperfette e per questo piene d’umanità. Famiglie complete e incomplete, legami difficili se guardati dal basso di quei sedici anni così arrabbiati, tanto pieni di sogni da inseguire, ben attenti a mantenere un privato in cui non far entrare nessun adulto. E Huck che la sua vita la vive e basta.

Tra i miei romanzi poteva non essercene uno dedicato a un border collie? Che ne raccontasse le avventure di sei anni di vita? Che narrasse del rapporto tra cane e uomo?

Fa da sfondo a questa storia quel legame speciale che da secoli ci lega alla natura e a un compagno a quattro zampe.  Ne è il motore, ne è il cuore.

Perché?

Perché il legame con un cane, oggi che loro sono quasi sempre animali da compagnia e non animali da lavoro, può ancora essere speciale. Troppo spesso un cane è solo utile a colmare il nostro bisogno di affetto; troppo spesso non ci sediamo a terra con lui e non ci guardiamo occhi negli occhi. Un cane, e per me in particolare un certo border collie, è un animale fiero ed elegante. Conoscerlo e rispettarlo significa iniziare una relazione vera e dignitosa per entrambi. Non peluche a cui mettere il cappotto e da ingozzare di cibo, ma compagni di vita con cui cercare scambi e complicità.

Possiamo comunicare non solo verbalmente rompendo la barriera della specie. Capirsi con un cane, vuol dire passare attraverso un portale che può aprirci nuove prospettive. Esercitare l’empatia ci fa benissimo e intuire le esigenze, i bisogni e gli avvertimenti che un cane ci dà senza usare la parola, è una pratica eccellente per crescere come persone. Per me è stato così.

In questo romanzo viene narrata la vita di Huck che si scopre poco a poco. Ma vengono anche narrate le storie di tre ragazzi e queste quattro vite s’intrecciano, interagiscono, si spiegano l’una con l’altra. È un romanzo di costruzione dove si costruisce una relazione che prenderà il nome di amicizia senza limiti di specie, ma bisognerà aspettare l’ultimo capitolo per leggerne l’inizio.

Si cuciono giorni del passato al presente per tre adolescenti ribelli e un cane. È un romanzo pieno di vita e per questo parla anche di morte.

Tutto è nato quando un’amica mi ha raccontato la storia di un suo cane, quelle parole le ho fatte mie e hanno girato nella mia testa per giorni. E da loro sono partita per costruire questa storia, le ho trasformate e ricomposte ma sono sempre fedeli a quel cenno iniziale che ha scatenato l’immaginazione. Resta tra le pagine solo una frase della mia amica, tra virgolette, nascosta in un personaggio, ma sua. So che da lì è partito tutto.

Come nascono le storie?

A volte solo da una frase che con 30 parole scatena un romanzo intero, apre un mondo di personaggi, di paesaggi, di suoni e di suggestioni che l’autrice qui presente non ha potuto lasciar scivolare via, ma ha dovuto fissare tra le pagine.

Questo romanzo non poteva non essere un omaggio al mio Bryce e a tutti i cani e i gatti della mia vita; loro mi hanno insegnato a capire gli uomini e le donne e mi hanno spiegato che negli occhi di un cane da compagnia o in quelli di un border da divano, se si è capaci, si può leggere il passato di animali selvaggi e coraggiosi. Loro scelgono di esserci fedeli, possiamo rendergli l’onore rispettandoli e con loro rispettare tutti gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Scrivere è un affare di famiglia

Scrivere inizialmente per me è stato un affare di famiglia. E come tale, dato che i panni sporchi si lavano in famiglia, non se ne poteva parlare fuori delle mura domestiche. Ci ho messo molto, quasi venti libri pubblicati con case editrici nazionali medie e grandi, per trovare il coraggio di definirmi una scrittrice.

Quando nel 2006 pubblicai il mio primo romanzo i figli, entusiasti, mi chiesero se potevano dirlo alla maestra. Non potevo deluderli e alla maestra la cosa piacque. Timidamente accettai uno dei miei primi incontri con i ragazzi di scuola. Un bambino alzò la mano per intervenire dopo che la maestra aveva spiegato alla classe di come la mamma di un loro compagno fosse una scrittrice di storie per ragazzi e disse: “Ecco perché lui, ai compleanni, regala sempre libri!”.

Ancora rido. Eppure non fu un’osservazione banale! Appartengo alla specie umana dei lettori: leggiamo, amiamo, condividiamo e regaliamo libri in ogni occasione. Le storie ci scorrono nel sangue non possiamo farne a meno!

Fino a oggi ci sono stati una ventina di libri pubblicati ma anche venti anni di lettura, studi e scrittura. Una parte del mio lavoro legato alla scrittura, all’inizio, è stato sul campo.

Ho studiato Discipline dello spettacolo all’università, non letteratura; arrivavo alla scrittura dalla pratica della lettura, non dalla teoria e avevo letto pochi libri per ragazzi. Dalla più tenera età avevo sempre potuto scegliere quello che volevo, senza alcuna censura, dall’enorme libreria di casa stipata di romanzi d’avventura e gialli per adulti, classici e contemporanei.

Sul campo? Sì, leggevo ai miei figli ancora piccoli, oltre agli altri romanzi, anche le mie storie inedite, a puntate, la sera, prima di dormire. Erano i miei consulenti. Se loro stavano attenti, nella loro camera con accesa solo una lucina da lettura per creare l’atmosfera, quello che avevo scritto funzionava; se avevano sete, dovevano andare in bagno, cadeva il cuscino, quello che avevo scritto andava riscritto.

Buttare mi fa paura, sia chiaro, ma bisogna accettare di poter buttare del materiale che non funziona, se si vuole fare la scrittrice come mestiere.

Ecco il contributo che hanno dato i miei figli alla mia carriera. Però era anche un gioco complice, era un vivere insieme nelle mie storie. Da quando i miei figli sono stati in grado di giocare da soli, ho cercato di dare loro uno spazio privato. L’ultimo piano della nostra casa era loro: una mansarda con la moquette, una cassa con i costumi, una casa fatta con una grossa scatola, peluche, libri, costruzioni, matite per colorare, fogli di carta. Materiale per costruire giochi e immaginare avventure. Avevano il loro spazio privato e il loro parere sui miei libri contava. Bambini e individui da ascoltare. È così che mi piacevano!

Ricordo ancora quando decisi di far morire un personaggio in una storia e scatenai una vera rivolta, a notte tarda, perché accadeva alla fine del romanzo. Allora loro salvarono la vita di un personaggio e io riscrissi il capitolo. Loro erano i lettori. Le storie erano e sono dei lettori. Così sono nati i miei libri: cercando sempre la complicità dei ragazzi e il loro rispetto. Non voglio dimenticarlo, perché resta un buon principio per cominciare bene ogni nuova storia.

Oggi i miei figli sono giovani adulti, ma se pranziamo o ceniamo insieme capita ancora che si parli di un mio personaggio come fosse uno di famiglia e per scherzo se ne citino le battute. Spesso si tratta anche di romanzi che sono rimasti inediti, ma che nel loro immaginario di bambini hanno avuto un posto importante.

“Charles è una sottile sagoma di fronte alla folla fervente, nella luce brutale dell’illuminazione a gas che scolpisce ogni tratto di quel viso noto a tutti. Non ha mai letto così bene né con tanta disinvoltura. Quando termina il secondo brano, scoppiano applausi che durano diversi minuti. Lui, che non ha mai concesso il bis, torna comunque in scena. Si fa silenzio. «Signori e signori, sarebbe inutile fingere che mettendo fine a questo episodio della mia vita, io non stia provando un sentimento di profonda tristezza». Quindici anni di letture pubbliche e questa sera è tutto finito.” da Picnic al cimitero e altre stranezze, un romanzo su Charles Dickens di Marie Aude Murail, Giunti Editore.