Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Borders, come nascono le mie storie

Che dire?

Sono senza parole. Lo sono da un po’.

Anche perché Mara Becchetti in ogni copertina che mi disegna si fonde sempre di più con le mie storie tirandone fuori tanta bellezza per me inaspettata.

Di questo romanzo parlavo con un’amica nel febbraio 2020, qualche giorno prima del famoso scioccante lockdown, mangiando una piadina, ma era già nella mia testa dopo la pubblicazione di Arambì al quale ho contribuito.

L’ho mandato come proposta editoriale a Sinnos più che altro per coerenza e amicizia e invece se ne sono innamorati e non me lo aspettavo. Non potevo chiedere di meglio ed è stato subito loro e da allora non smette di stupirmi. Mi lascia sempre a corto di fiato e di parole.

Fino a oggi abbiamo vissuto una pandemia e ora a pochi stati di distanza da noi le persone muoiono in una guerra fatta di bombe e sangue, mentre i potenti si misurano tra loro. Tutto è arrivato inaspettato.

Questo è un romanzo post-apocalittico in cui la terra si è ammalata a causa di una Grande Malattia e pochi sono sopravvissuti, ma i ricordi del mondo di prima si fermano al 2020 e quindi mi sono detta che forse un romanzo così, ora, non serve più. Eppure come scrive Neil Gaiman nella prefazione di Fahrenheit 451 di R. Bradbury, nelle distopie si racconta il futuro, ma si osserva sempre il presente. La mia Grande Malattia è quindi un monito. E forse una metafora.

E Borders è il mio modo di essere ambientalista, ora più di prima.

La vecchia Olmo è una sopravvissuta ed è centenaria; ha adottato tredici anni prima una ragazza e tre ragazzi cui ha dato i nomi propri di Lindgren, Verne, Dickens e Alcott, nomi strani che nessuno ha mai sentito a Magnolia. E poi li ha cresciuti con i racconti del mondo di prima: romanzi, storia e geografia di allora. Ma quelle conoscenze a Magnolia sono pura sovversione e Olmo è sicura che, lontano da lì, la vita brulichi di nuovo tra foresta, roccia e mare. Fuga, esplorazione, nuove scoperte; quei quattro ragazzi devono superare molti ostacoli, ma c’è anche un viaggio di consapevolezza dentro loro stessi da fare, mentre sono alla ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, di nuovi semi da piantare, di un mondo da ricostruire.

Borders racconta che scienza e arte servono entrambe l’umanità.

E allora forse serve anche un romanzo avventuroso post-apocalittico se non è fine a se stesso. Infatti si possono costruire mille storie come mille burattini, ma se non ci soffi dentro la tua anima saranno solo bei burattini da vedere, storie facili da leggere.

Io qui la mia anima ce l’ho messa tutta, poi non so se basta a far prendere vita a questo romanzo e a farlo non essere fine a se stesso. So per certo che è ancora molto lungo e spero di avere abbastanza anima e voce per poterne scriverne ancora.

Insieme a tutti noi.

Intanto, ecco Borders, perché i confini non esistono e se ci sono muri bisogna scavalcarli.

Per l’intervista e l’articolo cliccare: RAI CULTURA

leggi anche: PREMIO RODARI 2022

Clicca e guarda: L’intervista che mi ha fatto Carola Carulli per Achab Libri, Rai2, su Borders, minuto 3:20

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

L’ingannevolezza della buona volontà

Se chiamate un idraulico che ha studiato per corrispondenza ma con tanta buona volontà e poca attitudine, invece di riparare un guasto può forare un tubo e lasciarvi in un guaio peggiore di prima.

La buona volontà può far danni? A volte sì.

Però ci sono ambiti in cui la buona volontà la fa da padrona. E succede spesso per quei mestieri creativi o artistici che sembrano di scarsa utilità e quindi di scarsa dannosità, eppure il vuoto culturale è un danno.

Posto il fatto che io sento la necessità di un romanzo, una poesia, un’illustrazione tanto quanto di una banca per depositare i miei pochi risparmi e del paracetamolo per lenire i miei mal di testa (causati pure dai scarsi risparmi, ahimè), nel nostro Paese la cultura è troppo spesso affidata all’improvvisazione.

Una professoressa illuminata mi ha confidato come il dirigente, dopo che io per un anno avevo lavorato a scuola come esperta esterna, le avesse chiesto di arrangiarsi lei per quello successivo. “Come fare ormai lo sa, no?” Lei, da illuminata, si è rifiutata perché non è il suo lavoro e conosce la differenza tra competenza e approssimazione, ma non tutti rifiutano, lo so per certo e a volte anche per ragionevoli motivi.

Tanti si cimentano, adesso mi pare un vero e proprio bisogno adulto, nel creare gruppi di lettura per adolescenti. Un affare complicatissimo di cui pochi conoscono il valore. Non basta aver letto qualche libro, scegliere quello più in voga o dell’autore che ci sta più simpatico e poi reclutare il materiale umano (che giustamente fugge). Per proporre un solo libro bisogna averne letti cento, è condizione intellettualmente onesta e necessaria per poter dire a dei ragazzi e a delle ragazze: “leggetelo!”. Bisogna capire e sapere cos’è un gruppo di adolescenti, cosa significa fare gruppo, cosa si può offrire loro per farli appassionare ai libri e al mondo dei romanzi. Non basta proprio dire: leggi. Eppure questo nessuno pare saperlo, anche il vecchio buon esempio è in cantina sepolto dai vecchi ricordi. Pochi credono nella formazione e non parlo solo di singoli cittadini appassionati, ma anche di istituzioni (un comune che paghi un corso a una bibliotecaria perché si formi e poi lavori con i giovani lettori).

Nessuno vorrebbe in casa un idraulico non formato o in classe un insegnate non laureato, ma tutti sanno e possono scrivere, creare eventi e gruppi di lettura.

Siamo un Paese che si fonda sul volontariato, in fondo.

Si deve investire nella cultura a partire dalle piccole iniziative. Il mio è proprio un grido.

È giusto invitare un’autrice o un autore a scuola senza aver letto i suoi libri? O realizzare un evento e poi avere due persone in sala? Di chi è la responsabilità? Credetemi, capita a chiunque scriva romanzi per mestiere l’evento triste, ed è anche svilente vedere poi le foto di spalle di quei due o tre spettatori che ignari diventano pubblico dignitoso. È triste e soprattutto inutile, non aiuta a creare lettori, non cambia le cose nella testa/cuore/anima/vita delle persone come deve fare l’arte e la creatività; fa solo scena. È vuoto. È un’ occasione persa. Una finzione di cui ci accontentiamo. Se si rispetta un’autrice o un autore, prima di ingaggiarlo (pagarlo e spesarlo) si deve già sapere di avere un pubblico di base (le famose spalle coperte) che poi va allargato con la promozione, i comunicati stampa e con la scesa in campo degli uffici cultura e degli assessori che hanno creduto, avallato e pagato un progetto culturale.

La buona volontà non basta, ci vuole professionalità, si devono formare le persone che propongano la cultura e l’arte in tutte le sue forme, esattamente come si formano gli insegnati della scuola o i manager nelle aziende.

Abbiamo bisogno di bellezza e di romanzi che si mangino tutte le guerre, dobbiamo investire in questo, non in occasioni perse.

Sì, è un grido di allarme e di sofferenza, perché la bruttezza avanza e si maschera da vuoto culturale, mentre il disprezzo per la vita umana, animale e per la natura tutta cancella il nostro futuro.