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No Borders, come nascono le mie storie

Esisteranno sempre ragazzi rivoluzionari e ragazze rivoluzionarie perché solo loro sanno mostrarci il domani migliore.

No Borders è il secondo capitolo di una storia iniziata con Borders.

Fin da subito sapevo che sarebbe stato un romanzo lungo, anche se non sono una che inizialmente pensa troppo alla struttura. Era più un sentire, un bisogno lungo di raccontare, pieno di domande senza risposte, di questioni da aprire, di timori da condividere e di speranze da tenere vive insieme ai lettori e alle lettrici.

Prima di iniziare a scrivere Borders sapevo già tutto, qualcosa più consapevolmente di qualcos’altro. Sapevo quanto doveva accadere, ma non come. Non ho mai scritto una storia a caso, ma neanche troppo precostruita, non è il mio di mestiere quello. Non sono capace, invece per me sta tutto nell’equilibrio.

Scrivere è sfida e scommessa nell’originalità dell’idea. Fatica e divertimento nella stesura. Essere dentro ed essere fuori per quello che c’è di me nella storia.

Certo, il primo volume era soprattutto un grido ambientalista, quello che volevo era un romanzo avvincente d’avventura che parlasse di biodiversità, pianeta, estinzione. L’avventura è solo il come e può bastarci benissimo, la lettura è libertà, ma se ci si vuole fermare sulle pagine di Borders, si può. (È capitato di farlo con i lettori e le lettrici.)

Stesso discorso per No Borders, in cui se pur non abbandonando nulla della prima storia, sono andata oltre: un uomo che si aggira intorno al villaggio viene catturato, cosa se ne deve fare di lui? È estraneo, ruba, non è sano di mente e il cibo costa fatica, la vita è dura, e allora? Bisogna riprodursi per sopravvivere e sono le donne a rischiare la vita per generarne di nuova, quindi? Ma quando la paura non esiste, il cibo non manca, non ci sono armi o criminali, i bambini e le bambine nascono sempre sani, i passi non si sentono sul pavimento fonoassorbente, le foglie secche non frusciano sotto i piedi, né alcun insetto infastidisce la luce dei lampioni? Quando tutto per te è già stato scritto e tu non conosci storie per immaginare la tua vita, cosa accade? Dunque, i semi li hanno, ma come si fa una rivoluzione?

Il mondo fuori Magnolia e quello dentro entrano in collisione e sono una ragazza e tre ragazzi a farlo accadere. Con l’aiuto di una civetta e di un cane. E con Ash che non sa chi è, Lara che lo sa benissimo e Juliet che arriva dritta da un romanzo scritto nel mondo di prima. E nel mezzo lo sconfinato deserto di cemento che ti uccide con il caldo soffocante o con il freddo irrespirabile.

«Forse era solo il momento giusto, forse c’entra la loro fuga e Olmo lo sapeva, forse terra fertile e buone storie sono davvero bisogni primari come cibo e acqua.»

Le distopie e i romanzi post apocalittici parlano del futuro ma sottintendono il presente e quindi le mie idee sono quelle dell’oggi che vanno a sistemarsi nel domani. E diventano altro.

Ho messo insieme la fiducia che io ho (e ho sempre avuto) in Lindgren, Alcott, Dickens e Verne e nei giovani e nelle giovani di oggi, il potere delle storie che alimenta da sempre l’umanità, infiniti dubbi e questioni opposte. Quello che è venuto fuori è una possibilità tra tantissime. Ma è anche la fiducia che questa possibilità esista, che possiamo trovarla solo se la cerchiamo.

Queste idee si potevano raccontare in tanti modi diversi, ho scelto di provare a non dare nulla per scontato, a non lusingare nessuno, a non inseguire i bisogni del momento, ma a far parlare solo la narrazione. Il modo più difficile.

Le storie sono pratica non teoria. Se sono riuscita a scrivere una buona storia vi si potrà sperimentare che un domani migliore è sempre possibile, anche se per costruirlo ci vuole pazienza. Il come sarà avventuroso, si deve essere pronti.

E soprattutto i romanzi sono dei lettori non di chi li scrive, quindi posso solo sperare che tutto quello che per me è stato scintilla diventi fuoco nell’immaginazione dei lettori e delle lettrici e li porti altrove, non importa dove.

Non siamo liberi in nessun luogo come in un buon romanzo.

Io ci ho provato ancora, dopo Borders, a scrivere un buon romanzo, ora tocca a voi, ma fatemi sapere!

Per vedere l’intervista Achab Rai2
Per vedere l’intervista Achab Rai2

Ma il futuro si può decidere?

BORDERS ha ricevuto il Premio Rodari 2022, il Premio LibroAperto 2023 ed è stato finalista al Premio Orbil 2023.

COPERTINE MERAVIGLIOSE DI MARA BECCHETTI

Grazie a Giovanni della libreria Terra di mezzo di Bussolengo per le chiacchiere distopico-formative e agli amici marconisti che mi hanno spigato quel poco che so delle radiofrequenze.

Grazie a tutti quelli e quelle di Sinnos Editrice, perché questa mia lunga storia non poteva incontrare mani migliori (leggete il loro articolo: La rivoluzione dei ragazzi e delle ragazze). Grazie a Della, amica cara ed editrice coraggiosa; a Federico che sa guardare quello che io non vedo, e per chi scrive romanzi non c’è nulla di più prezioso; a Emanuela che è insostituibile e bella come poche; a chi non cito, ma c’è.

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Bar Einstein, come nascono le mie storie

Come nascono le mie storie?

Ero in una cittadina tedesca, nel nord della Germania; ero stanca e coloro che erano in vacanza con me non si staccavano dalle vetrine di un grosso negozio di apparecchi fotografici.

Vidi un bar al di là della strada, la scritta gialla recitava: Bar Einstein e io mi avviai verso la porta, anche quella gialla. Gli altri mi avrebbero raggiunto più tardi.

Entrai e mi accolse un locale pieno di foto e locandine sui muri, persino il soffitto era decorato con delle stampe. Mi sedetti a uno dei tavoli, che era stato quello di una vecchia macchina da cucire, ne conservava la pedaliera in ferro lavorato. Le sedie erano spaiate ma accostate con armonia. Una donna mi dava le spalle, aveva i pantaloni aderenti verde acceso e le scarpe rosse con il tacco, i capelli lunghi, biondi. Aveva il corpo di un’adolescente, ma quando si voltò il viso era quello sciupato di una sessantenne, con gli occhi e la bocca truccati. Non era equivoca o volgare. Era senza alcun dubbio la padrona. Lo sguardo sfrontato e indifferente allo stesso tempo non si posò neanche su di me, pensava ai fatti suoi. Mi servì una ragazza in jeans e maglietta con i capelli castani, semplice, accogliente, gentile.

Questo romanzo è nato in quel momento. Quel locale e quella donna, il mio Bar Einstein e la mia Dalia si erano impressi nell’immaginazione. Un attimo riscrivere il luogo e la donna, il loro passato mi era già chiaro.

Dalia parlava d’amore vissuto e il bar era denso di ricordi. Quindi la storia avrebbe narrato l’amore e la vita che da come la guardi, da un lato, dal basso, dall’alto, è sempre diversa.

Un’amore forte tra un ragazzo e una ragazza, una passione che sfida la logica, che divora e che se anche fa soffrire, resta l’esercizio primario per imparalo a vivere sul serio, l’amore.

Se non hai mai sbandato, se non sei mai stato o stata travolta, non saprai mai amare del tutto. Non è l’amore della tua vita, difficilmente lo è, ma i compagni che incontrerai dopo dovranno tutto a quel lui o quella lei. E così anche tu.

Questo è Bar Einstein, una storia d’amore a tinte noir che vive di luoghi alternativi come una Comune, un bar dove: Se i muri di una qualsiasi stanza o casa hanno memoria e parlano, quelli urlano canzoni intonate e risate roche che si trasformano in singhiozzi sommessi e il fiume. Il fiume torna spesso nelle mie storie, rassicurante. La natura e la vita scorrono insieme, il temporale passa e si asciuga, la paura del buio non fa paura se svelata, non ci sono luoghi brutti o belli, ma solo sconosciuti. Amore e morte, criminalità e pura bellezza, si confondono; a vincere non è nessuno, ma si salvano solo i più giovani se fuggono nella direzione giusta. Quello che resta è cruda nostalgia.

Così è come è andata fino qui. Forse fino al 19 maggio 2023 in cui Bar Einstein arriverà in libreria. Da lì in poi, per come la vedo io, questa storia diventerà dei lettori e nulla di quanto ho scritto sopra varrà più.

Spero che saprà parlare ai lettori e alle lettrici, spero che li trascinerà tra le pieghe di una narrazione oscura, onesta, donata. Spero. Non so se sarà così. Ogni romanzo ha una vita propria, prescinde dall’autrice. Una volta che l’ha lasciata andare non può più fare nulla per lei, se non stare a guardare e ascoltare.

Questo romanzo viene pubblicato nella collana che avevo sempre desiderato per lui, con un editore che stimo. È importante per me potermi fidare del mio editore. Ringrazio Luisella Arzani che ha mantenuto la promessa fatta tempo fa di leggere questa storia per poi scegliere (insieme alla redazione di EDT/Giralangolo) di pubblicarla; Francesca Fimiani che l’ha curata con un editing attento sul piano stilistico ed emozionale e Miriam Pedata per la passione e la provocazione che mette nel suo lavoro redazionale. Mi viene da pensare che la bella copertina di Marco Viale sia il frutto di tutto questo, della professionalità e dell’umanità che le storie scatenano e che gli addetti ai lavori finiscono per vivere come vita vera, in una gioco di ruoli, dentro e fuori, lasciandovi infine un sentimento magico che imprime la carta, le parole, gli spazi bianchi.

E questo è Bar Einstein, quello che vi narrano il titolo, la copertina e i suoi colori, la quarta, la dedica e infine frasi e spazi bianchi, virgole e punti.

Queste mie parole di oggi e quel pomeriggio in una cittadina tedesca sono Bar Einstein.

Scrittorincittà2023
Scrittorincittà2023
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Borders, come nascono le mie storie

Che dire?

Sono senza parole. Lo sono da un po’.

Anche perché Mara Becchetti in ogni copertina che mi disegna si fonde sempre di più con le mie storie tirandone fuori tanta bellezza per me inaspettata.

Di questo romanzo parlavo con un’amica nel febbraio 2020, qualche giorno prima del famoso scioccante lockdown, mangiando una piadina, ma era già nella mia testa dopo la pubblicazione di Arambì al quale ho contribuito.

L’ho mandato come proposta editoriale a Sinnos più che altro per coerenza e amicizia e invece se ne sono innamorati e non me lo aspettavo. Non potevo chiedere di meglio ed è stato subito loro e da allora non smette di stupirmi. Mi lascia sempre a corto di fiato e di parole.

Fino a oggi abbiamo vissuto una pandemia e ora a pochi stati di distanza da noi le persone muoiono in una guerra fatta di bombe e sangue, mentre i potenti si misurano tra loro. Tutto è arrivato inaspettato.

Questo è un romanzo post-apocalittico in cui la terra si è ammalata a causa di una Grande Malattia e pochi sono sopravvissuti, ma i ricordi del mondo di prima si fermano al 2020 e quindi mi sono detta che forse un romanzo così, ora, non serve più. Eppure come scrive Neil Gaiman nella prefazione di Fahrenheit 451 di R. Bradbury, nelle distopie si racconta il futuro, ma si osserva sempre il presente. La mia Grande Malattia è quindi un monito. E forse una metafora.

E Borders è il mio modo di essere ambientalista, ora più di prima.

La vecchia Olmo è una sopravvissuta ed è centenaria; ha adottato tredici anni prima una ragazza e tre ragazzi cui ha dato i nomi propri di Lindgren, Verne, Dickens e Alcott, nomi strani che nessuno ha mai sentito a Magnolia. E poi li ha cresciuti con i racconti del mondo di prima: romanzi, storia e geografia di allora. Ma quelle conoscenze a Magnolia sono pura sovversione e Olmo è sicura che, lontano da lì, la vita brulichi di nuovo tra foresta, roccia e mare. Fuga, esplorazione, nuove scoperte; quei quattro ragazzi devono superare molti ostacoli, ma c’è anche un viaggio di consapevolezza dentro loro stessi da fare, mentre sono alla ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, di nuovi semi da piantare, di un mondo da ricostruire.

Borders racconta che scienza e arte servono entrambe l’umanità.

E allora forse serve anche un romanzo avventuroso post-apocalittico se non è fine a se stesso. Infatti si possono costruire mille storie come mille burattini, ma se non ci soffi dentro la tua anima saranno solo bei burattini da vedere, storie facili da leggere.

Io qui la mia anima ce l’ho messa tutta, poi non so se basta a far prendere vita a questo romanzo e a farlo non essere fine a se stesso. So per certo che è ancora molto lungo e spero di avere abbastanza anima e voce per poterne scriverne ancora.

Insieme a tutti noi.

Intanto, ecco Borders, perché i confini non esistono e se ci sono muri bisogna scavalcarli.

Per l’intervista e l’articolo cliccare: RAI CULTURA

leggi anche: PREMIO RODARI 2022

Clicca e guarda: L’intervista che mi ha fatto Carola Carulli per Achab Libri, Rai2, su Borders, minuto 3:20

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Il brigantino sommerso, come nascono le mie storie

Ho un quaderno degli appunti, ma non sempre scrivo lì le idee per i nuovi romanzi. Ho molti file archiviati sul computer con dei soggetti, trame, piccoli racconti che devono crescere.

Il brigantino sommerso era sul quaderno degli appunti. Frasi spezzate, luoghi, foto attaccate con la colla. Parecchi anni fa andai in Bretagna e ci tornai altre due volte. Quella terra mi è rimasta nel cuore più di ogni altra. In uno di quei viaggi visitai la cittadina di Tréguier, l’avevo trovata descritta in un romanzo e quindi avevo deciso di andarci. Nel porticciolo erano ormeggiate molte imbarcazioni da diporto e con i miei figli, allora ragazzini, scendemmo lungo la passerella per leggerne i nomi, immaginarne la navigazione e i volti dei marinai che ne erano i proprietari.

La sera in campeggio (mi piace viaggiare con la roulotte o con la tenda) buttai giù degli appunti. L’inizio della storia era chiaro, l’incipit era già pronto.

Poi Luisanna ha fatto tutto da sola, anche se era compito mio scrivere i romanzi di J. Lago.

Corro troppo?

Luisanna sfrutta una vacanza in Bretagna per cercare di conoscere il suo scrittore preferito. Si troverà coinvolta in una strana faccenda riguardante il recupero del relitto di un brigantino del XVII secolo, ma soprattutto scoprirà qualcosa del passato della sua famiglia.

Non è stato così difficile scrivere i romanzi di J. Lago perché in effetti esistevano già e ne sono protagonisti il pirata Rico, la sua compagna Fiorenza e il loro fidato amico Alleluia. Tre storie lunghissime (mai pubblicate) di ispirazione salgariana, scritte di getto molti anni fa per i miei figli. Un capitolo a sera, avventure buttate giù al mattino sul foglio digitale del programma di scrittura del pc e lette a loro prima di andare a dormire. Un divertimento, un gioco tra noi che resta ancora come un piccolo patrimonio della nostra famiglia.

L’amore per quelle terre francesi e per la navigazione a vela; il fascino di personaggi misteriosi in cerca del loro autore; una ragazzina saputella i cui genitori fanno gli attori cinematografici e sono sempre in giro per il mondo; due buffe zie, Marga e Rita, l’ambiguo capitano Trou e la bellissima Catelle sono i protagonisti di questa storia avventurosa, scritta anni dopo quei viaggi in Bretagna, i cui profumi, paesaggi e venti mi sono ancora chiarissimi in mente e molto cari.

Il brigantino sommerso risalente al XVII secolo, con cui avevamo navigato Rico, Fiorenza e Alleluia, si chiamava Il Giglio, ma la nave dove vive John Lago si chiama…

… e per quale motivo si chiama così?

“Lui prese coraggio e alzò la mano destra stendendola
verso di lei:

«È stato un piacere navigare con te, Duch».
Luisanna la strinse con calore:
«Per me è stato un onore, Lago».
I due si fissarono cercando entrambi di ricacciare indietro le lacrime.”

Se avete voglia di salire a bordo, basta che andiate in libreria… ! Ogni romanzo è un viaggio, questo è fatto di brughiere battute dal vento e di rocce a strapiombo sul mare. Non dobbiamo per forza essere bambini o bambine per leggere questa storia, possiamo tornare indietro nel tempo e immedesimarci in Luisanna, oppure no e restarla solo a guardare con un pizzico di nostalgia.

“Se lei poteva entrare in una storia leggendo, forse
i personaggi di un romanzo scritto benissimo potevano
uscirne. E John Lago era bravissimo.”

Luisanna sa che può capitare, perché leggere accende il gioco potente dell’immaginazione, ed è come per i sogni che se li perseguiamo con cura, pazienza e costanza possono avverarsi.

Tutto può cominciare anche solo con un buon libro e Luisanna parte proprio da un romanzo per cercare qualcuno che è molto importante per lei.

Basta un buon libro. E se non basta, può essere l’inizio.

Buon vento!

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Ladra di jeans, come nascono le mie storie

Ladra di jeans è una storia che sono felice abbia subito accolto Sinnos perché non è il seguito de La figlia dell’assassina ma sento tra i due romanzi una sorta di continuità. Se Rachele e Daria sono due rette parallele, amiche e nemiche e mai s’incontrano. Tra Gemma e Padma l’odio veste i panni dell’amicizia. Loro s’incontrano in un romanzo duro e tagliente.

Vi è mai capitato di ferirvi il polpastrello con la carta? Questo è l’effetto che mi fa Ladra di jeans.

Le storie a volte nascono da un incontro o da un’immagine. Questa è nata vedendo camminare due donne, presumibilmente madre e figlia, che portavano un grosso sacchetto di carta pieno di vestiti. Erano originarie della Repubblica dell’India. La figlia minore, la protagonista della mia storia, non c’era. Non potevo neanche sapere se esisteva davvero un’altra figlia, ma era la mia Padma.

Mi sono documentata parecchio per rendere realistico il personaggio, ho visto ore di cinema indiano e letto della società e delle tradizioni indiane, ma una volta finito il romanzo ho cercato qualcuno per avere delle conferme.

Coordinavo un gruppo di lettura per adolescenti presso la biblioteca Vez Junior di Mestre e un pomeriggio, a causa di un’epidemia di influenza, non erano ancora iniziati i tempi del covid, ci ritrovammo solo io e Dristi M., una ragazza di origine indiana dell’età di Padma e grande lettrice. Così ho conosciuto chi ha confermato, suggerito o corretto parte di quanto scritto nel mio romanzo a proposito delle abitudini e delle tradizioni della Repubblica dell’India.

A lei va il mio grazie sentito e affettuoso. Non potevo incontrare consulente migliore.

Perché Padma è nata e vissuta per undici anni della sua vita in India? Sarebbe stato più facile farla essere nata altrove? Come scrittrice ho questo potere, ma come romanziera ho il dovere di lasciare ai miei personaggio il diritto di essere quello che sono. Molte delle intuizioni riguardo al modo di essere e di comportarsi di Padma si sono dimostrate esatte, anche se non sono una studiosa dell’India contemporanea nè ho amiche indiane.

Credo che si debba scrive di quello che si conosce bene, ma credo che non sappiamo tutto quello che sappiamo. Esiste anche l’intuizione e l’empatia verso il prossimo che può regalare un patrimonio di conoscenza dal carattere recessivo pronta a trovare strade diverse per venire allo scoperto. È il patrimonio dell’artista che la romanziera può e deve saper sfruttare. E io scrivendo mi fido dell’intuizione e dell’empatia.

Gemma e Padma sono in classe insieme, ma non potrebbero essere più diverse. Gemma è sfacciata, calcolatrice, cinica. Padma invece è timida, grande lettrice, buona. Ma quando, per un caso fortuito, un paio di jeans passa dall’una all’altra, si innesca tra le due una strana amicizia. Un’amicizia sul filo del rasoio, dove la sincerità, il calcolo e l’intelligenza assumono contorni sfumati e pericolosi.

Ci sono due ragazze: un sembra tonta l’altra furba, ma non è detto; una sembra buona e l’altra cattiva, ma non è specificato; una potrebbe piacervi di più l’altra per niente, ma probabilmente non è così.

Sembra un thriller psicologico!?  Può essere. Anche.

E intorno a loro c’è il nostro mondo contemporaneo saturo di immagini che vendono felicità. Immagini di belle ragazze e bei ragazzi, immagini accattivanti di cibo, immagini di oggetti desiderabili. Compri un po’ di felicità per pochi spiccioli e poi te ne arrivano vagonate che non sai di pagare.

Non so chi sceglierete di amare, se Padma o Gemma, ognuno di noi è un po’ l’una e un po’ l’altra. Il romanzo resta dei lettori, loro devono scegliere da che parte stare, oppure non scegliere affatto. Alcuni ci provano.

Insomma questo romanzo è un solo un piccolo sasso nello stagno, che spero produca tante onde sul pelo dell’acqua, smuova delicatamente i microrganismi e porti a riva qualche dubbio o riflessione.

Credo che i romanzi siano il prodotto delle creatività artistica della scrittrice o dello scrittore, questa mia storia avrebbe potuto essere illustrazione, poesia, musica, scultura; ho usato la parola.

Perché possiamo considerare come un artista un illustratore e non un romanziere? L’artista sa scavare dentro di sé in cerca dell’essenziale che ci unisce agli altri in una sola umanità e che fa nascere domande cui solo il lettore sceglierà di rispondere, subito o tra molto tempo.

E quindi in Ladra di jeans c’è una parte di me, quello che resta mentre tento di starne fuori, di non mettere i miei pensieri nella testa dei personaggi, di far tacere la mia voce tra le pagine, di dare in mano al lettore la storia, perché sia solo sua. Nei romanzi c’è la parte bella di chi scrive. In qualunque direzione sia orientato, quel meglio di sé, la romanziera o il romanziere lo mette nel suo romanzo e di persona, lei o lui, può essere altro.

“Bisogna ricordare che scrivere non equivale a pubblicare, che il futuro di ciò che si scrive è sempre insicuro e incerto, che non sappiamo mai quello che ne sarà di ciò che scriviamo, e che per uno scrittore questa incertezza è necessaria.” Per una letteratura senza aggettivi, Maria Teresa Andruetto.

Un salto nel buio, per me. Questo romanzo lo è.

« “Ogni santo ha un passato. Ogni peccatore ha un futuro” E anche tu te la sei cavata da sola. Guardati. Niente più note. Niente più ore perse dopo la scuola. Voti migliori. Modi migliori. Hai tradito Tulip e ti sei salvata.» Quella strega di Tulip, Anne Fine.

Ma forse è un salto nel buio anche per il lettore, perché in fondo tutti scegliamo da che parte stare.

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In quale scaffale stanno i romanzi per ragazzi e giovani adulti?

Per chi scriviamo noi romanzieri?

Cosa scegliamo di leggere noi lettori?

Premetto che io non sono né una pedagogista né una letterata; sono una romanziera o almeno provo a fare quel mestiere. In quest’articolo allaccio i fili di vari discorsi, ragiono sul mio scrivere di ragazze e ragazzi, per capirlo e capirmi.

Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

A questa domanda posta sulla mia bacheca facebook hanno, gentilmente, risposto 45 amici (di cui 4 uomini), tra cui alcuni scrittori e scrittrici per ragazzi. Tutti lettori forti. In calce trovate i commenti in forma anonima.

Provo a riassumere molto sinteticamente le risposte:

1 – Cerco STORIE, le buone storie sono per tutti.

2 – Per rivivere l’adolescenza.

3 – Per diventare un genitore/adulto migliore.

4 – Perché trovo la speranza che tutto possa ancora succedere.

5 – Per non dimenticare il punto di vista dell’adolescente.

6 – Perché lo scrittore coglie sfumature dell’adolescente che l’adulto ha dimenticato.

7 – Perché sono storie lineari, fresche, semplici eppure mai banali.

8 – Mi sento affine, ma anche empatica verso il mondo giovanile.

9 – Cerco: meraviglia, stupore, emozioni, autenticità, disvelamento.

10 – Ne apprezzo la delicatezza.

11 – Trovo temi esistenziali,  libertà, sperimentazione.

Credo che siano risposte sorprendenti. Chiunque non conosca la letteratura per ragazzi,  e accade spessissimo, resterebbe molto stupito. Anche tutti coloro che parlano e scrivono di libri, ma si occupano troppo poco di romanzi per ragazzi e adolescenti, resterebbero sorpresi. Forse penserebbero che io e la mia comunità di amici siamo una brigata di matti! È uno stupore comprensibile poiché non leggono romanzi considerati per ragazzi e adolescenti. Se li leggessero non esisterebbe più la categoria per ragazzi e adolescenti.

Mi colpisce che, se hai figli o studenti, cominci a leggere per o con loro, poi t’innamori della loro letteratura. Nessun adulto entra in libreria e va verso lo scaffale dei libri per ragazzi, insomma, ci si arriva per vie traverse.

Ma un adulto deve vergognarsi di leggere Harry Potter? Sappiamo benissimo tutti che le prime copertine erano dichiaratamente per ragazzini e solo dopo che gli editori hanno spiato quanti anni avevano i lettori, sono diventate più adulte!

Ti innamori di cosa? 

Non c’è nulla di cui innamorarsi se non della sensibilità di una scrittrice o uno scrittore. Di come lei o lui racconta quel mondo adolescente piuttosto che quello… della società rurale degli anni Trenta o della guardiana di un cimitero francese! Dalle risposte sopra riassunte si capisce che non c’è nessuna differenza tra i romanzi per adolescenti e quelli considerati da adulti, se non che esplorano concetti comuni con ottiche diverse e, forse, storie più immediate.

Se il protagonista è un ragazzo, guarderà al futuro dai sui 16 anni in su e non dai 40 in su. Tutto qui.

Quindi attraverso lo strumento libro per bambini, ragazzi, adulti possiamo conoscere il mondo, umano e non, che ci circonda e con la letteratura lo metabolizziamo, ci poniamo domande, cerchiamo risposte, viaggiamo.

Bisogna forse segnalare nella letteratura per ragazzi e giovani adulti italiana, una componente che definirei di narrativa scolastica (che non ha nulla in comune con la narrativa scolastica di parecchi anni fa, pedante e didascalica). Libri scritti appositamente per accompagnare un percorso scolastico di crescita umana e culturale. Con una tematica esplicita. Alcuni molto belli, altri meno. Come sempre capita. Anche nei romanzi per adulti. Qui la scrittrice o lo scrittore ha un progetto educativo in mente e legittimamente lo segue. Ciò non toglie che anche un adulto possa imparare molto da questo genere di libri, sempre accurati, spesso scritti da giornalisti. Potremmo aggiungervi anche le riscritture dei romanzi classici in chiave semplificata. Personalmente non mi attirano, ma hanno un loro perché. Esistono saggi, biografie e narrativa scolastica.

E poi esistono i romanzi tut curt indicati per ragazzi e adolescenti. Molti importati e tradotti, sopratutto dal Regno Unito, dalla Francia, dagli Stati Uniti. Solo buone storie e bella scrittura. Domande aperte ed emozioni. E cioè quella letteratura etichettata per ragazzi e adolescenti che forse avrebbe bisogno di emanciparsi socialmente.

Ma l’età del protagonista etichetta il romanzo?

Penso a un bellissimo libro: Per sempre o per molto, molto tempo, di Caela Carter, uscito per Mondadori, in cui i protagonisti sono bambini. Mi sono domandata, prima di metterlo nello scaffale Leggere Ribelle, cosa un ragazzo o una ragazza dai 13 ai 17 anni potrebbe trovare in questo libro. Anche io sono caduta vittima di un pregiudizio: dare ai ragazzi solo protagonisti in cui possono evidentemente immedesimarsi. Ovviamente il libro è sullo scaffale. Deve sempre essere così? O forse potremmo, con le giuste condizioni di scrittura, immedesimarci anche in un rospo quale protagonista di un romanzo? Solo i ragazzi devono immedesimarsi a ogni costo in loro coetanei, noi adulti abbiamo meno vincoli in questo senso. Perché per loro dobbiamo costruire un protagonista possibilmente un anno o due più grande del target di riferimento del libro (questa sarebbe la regola, se non sbaglio)? Che sia uno stereotipo da abbattere? Sicuramente una ragazza si immedesima in un protagonista maschio oppure femmina; un ragazzo fa fatica a mettersi in panni femminili. Dovremmo metterci in mente di scardinare parecchi pregiudizi…

Cosa dicono i ragazzi? Non può mancare il loro punto di vista. Quelli cui questo genere di letteratura è destinato.

Riporto cosa chiedono gli adolescenti dai libri traendo le risposte dall’unico documento che esiste: Ci piace leggere!de Le ragazze e i ragazzi di Mare di Libri, edito da ADD (presto anche LR produrrà un proprio manifesto del lettore adolescente).

Il primo capitolo s’intitola: Libri per ragazzi e libri per adulti e già si capisce che la questione è stata affrontata e così risolta: Eliminate le categorie adulti e ragazzi rimarrebbe solo il confronto tra libro e lettore. Forse bisognerebbe buttare giù un muro che separa i romanzi per ragazzi da quelli per adulti e, semplicemente, leggere. 

Appurato che le categorie non piacciono ai ragazzi, sintetizzo con una citazione cosa loro cercano nei romanzi: Vorremmo poter leggere di tutto perché, secondo noi, non esistono argomenti tabù. Gli adulti non dovrebbero lasciarci nell’inconsapevolezza, ma piuttosto metterci nelle condizioni di riflettere, di conoscere, di discutere.

Il capitolo Cosa ci piace è un capolavoro, ve lo consiglio, e non resisto, riporto l’ultima citazione: Vorremmo che editori e scrittori dimostrassero più fiducia in noi, rischiando, proponendoci libri scomodi e controcorrente. Ecco per me questa è la dichiarazione finale più importante.

Non trovo una differenza sostanziale tra lettori adulti e lettori ragazzi confrontando il loro pensiero, le scelte e le necessità, ma solo una convergenza di entrambi nella comunità di coloro che cercano storie attraverso i romanzi per vivere consapevolmente e meglio.

Una comunità che bisogna sicuramente allargare, come forse bisognerebbe allargare gli scaffali della narrativa per adulti per aggiungervi quella per ragazzi e adolescenti disettichettata; sarebbero poi le copertine e le quarte a parlare al futuro possibile lettore.

Un’idea un po’ folle, lo so, che incita alla lettura libera e fuori controllo!

Resta, anche, il dato di fatto che sono gli adulti a scrivere romanzi per ragazzi e penso che sia giusto così.

Citando Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti il “suo” mondo, ma con strumenti letterariamente più “perfezionati” di quelli a sua disposizione. E prendendo spunto dalle sue parole, senza snobismo, io apprezzo anche quelle scritture giovanili nate dal nulla e diventate romanzi, ma dando loro il giusto peso.

E, certo, ogni scrittrice o scrittore ha un suo lettore ideale, può essere un adolescente oppure no, anche se scrive romanzi che vengono pubblicati da case editrici specializzate per i giovani.

In finale, per quello che mi riguarda, dopo aver aperto più spunti di discussione e riflessione, cerco di trovare le ragioni per supportare un’idea.

Io leggo e scrivo di ragazze e di ragazzi, trovo affascinante proprio quell’età delle prime volte e delle speranze, grandi o piccole che siano. E di questo scrivo. Per chi? Ci ho riflettuto. Non ho in mente come lettore ideale una ragazza o un ragazzo, ma attraverso i loro occhi e le loro bocche condivido le mie domande, i miei dubbi, la mia rabbia, i miei dolori perché loro non esisterebbero se non ci fossimo noi adulti. E gli adulti nei miei romanzi ci sono. Io ci sono; scrivo per chi cerca quello che cerco io nelle storie e se questo è una ragazza o un ragazzo, bene: la cosa mi rende felice perché sono un pubblico spontaneo e sensibile. I libri restano ponti.  Forse, quello che cerco di fare io, e tutti quelli che scrivono di ragazze e ragazzi, è proprio costruire relazioni tra umanità diverse, coetanee oppure no.

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Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

FD -Personalmente sono proprio ferma alla loro età, mentalmente. Per gli young mi piace rivivere quei momenti bellissimi (ma odiatissimi in quell’attimo) che è impossibile riprodurre in età adulta proprio per esperienze accumulate. Per i libri per ragazzi più piccoli, invece, leggo proprio per il piacere dell’avventura, per ritrovare o scoprire un punto di vista che io fatico a percepire adesso. Per non dimenticare e, spero, tendere a essere una persona migliore anche e soprattutto per mio figlio.

VP – Cara Giuliana, ho iniziato a leggere libri per ragazzi perché lo ritenevo un tassello fondamentale della mia formazione di docente, non si può pensare di fare educazione alla lettura senza avere idea di quali siano i libri da proporre. Ho trovato storie interessanti che mi hanno fatto amare questa mia necessità formativa. Credo che un libro ben scritto non abbia età e che possa essere letto da ragazzi e adulti.

LC – cara Giuliana a me le definizioni stanno sempre strette, fatico un po’. non leggo per lavoro, mi occupo del lettori ben più piccoli. detto questo mi è capitato di leggere libri solitamente definiti nel genere ma di trovarmi a pensare che dessero spazio anche a me. cosa definisce ‘Niente’ di Janne Teller un libro per ragazzi? l’età dei protagonisti? se così fosse molta letteratura per adulti dovrebbe essere spostata di scaffale. questo per dire che io come adulta cerco buone storie, a prescindere dal genere e ogni tanto mi capita di trovarne di stimolanti anche tra i loro scaffali. Quindi tornando alla tua domanda: perché li scelgo? perché cerco storie.

MS – Non sono over 30, ma sto al confine 😅 Penso che cercherò sempre l’emozione dei primi amori, dei primi tradimenti…di tutte le prime volte che per forza di cose vengono trattate. E poi, come già ti dicevo, l’idea che tutto possa volgere al meglio, una persona cattiva diventare buona, una tragedia trasformarsi in rinascita. Emozioni pure, che i grandi, a volte, dimenticano.

LC – Forse nei libri ‘per ragazzi’ è più frequente trovare storie. Succede qualcosa. I personaggi cambiano, crescono, si chiariscono durante un’avventura. Di solito non ci sono quelle lunghe tirate di onanismo mentale, abbondante nei libri per adulti mainstream, specialmente italiani.
Io cerco storie 😊

RV – La capacità dello scrittore per ragazzi di cogliere quegli aspetti della vita, quelle sfumature nei sentimenti, quella capacità di osservare e cogliere particolari a cui l’occhio adulto non è più abituato.
Qualche giorno fa parlavo con un amico di alcune foto che abbiamo fatto io e Giulia (6 anni), che lui ha confrontato con le sue. Le sue erano paesaggi maestosi e imponenti, le nostre si soffermavano sulle piccole cose, a richiami, a un immaginario e a un’associazione di forme che io vedevo solo in un secondo momento.
E questa è la differenza: noi adulti ci stupiamo di ciò che è macroscopicamente bello, come un tramonto.
I bambini e i ragazzi si stupiscono e trovano il bello in ciò che noi adulti non troviamo più.
Nei libri per ragazzi c’è questo sguardo rispettoso nei loro confronti e una visione del mondo e della vita diversa da quella adulta. Che poi è la ragione per cui piacciono anche agli adulti.

PG – Cara io ovviamente li leggo per lavoro ma spesso leggo per libera scelta ma credo che il motivo sia piuttosto fuori dai pensieri che ti stanno girando in testa… Perché li leggo? Perché mi piacciono le belle storie e la buona scrittura. Insomma stesso motivo per cui leggo letteratura tout court. Però posso dirti che dopo una buona lettura “giovane” penso sempre “Ah se l’avessi letto da ragazzo!”. Quindi il legame col loro essere libri che parlano ai e dei ragazzi viene dopo, non al momento della scelta di cosa leggere. aggiungo che l’adolescenza, a differenza dell’infanzia, è un periodo che ricordo molto bene e anche che mi interessa molto. Inconsciamente credo di cercare anche delle risposte nei migliori romanzi che non trovavo mai nella vita da ragazzo. Io leggevo le cose che mi davano a scuola e non ho mai incontrato libri del genere, anche se qualcosa c’era già, penso alla collana frontiere di Einaudi (Aidan Chambers).

BM – Per me ogni libro è un viaggio. E di un viaggio prediligo il lato incognito.

AGG – Riassumo. Ho iniziato per saper consigliare. Ora leggo per me, per diventare una adulta migliore, per non dimenticare il mio essere adolescente e come vedevo gli adulti, per essere l’adulto che avrei voluto avere al mio fianco.

SKMK – I libri per bambini e ragazzi in me smuovono la meraviglia. Quella che pare essere proibita agli adulti, visto che i libri a loro rivolti sono o irrealisticamente ottimisti o drammatici. Voglio meravigliarmi, emozionarmi, provare ancora speranza per il mondo e per la vita. Questo non senza arrabbiarmi, emozionarmi o avere paura, sia ben chiaro. Credo di essere più affine alla sensibilità “giovane” che a quella cinica adulta. So che sto parlando per generalizzazioni, ovviamente, ma aprire un libro per ragazzi mi dà molte più possibilità di essere soddisfatta che aprirne uno per adulti. Le mie letture “per adulti” sono occasionali e ben selezionate, alla ricerca di cose molto specifiche, mentre per ragazzi leggo di tutto. Se ti va di parlarne a voce sono a completa disposizione.

OF – Leggo per assaporare con la consapevolezza e il vissuto di un adulto le storie che ho attraversato durante la mia adolescenza; perché quelle emozioni riemergano e facciano letteralmente esplodere il mio cuore che non riesce proprio a soffocarle e trattenerle anche adesso che i 30 li ho sorpassati da un bel po’!

BM – Per quanto mi riguarda è la freschezza delle storie, che mi fanno ricordare la mia adolescenza. Chi non sorriderebbe teneramente vedendo un ragazzino che strappa un fiore e lo offre alla sua amicetta? Si risvegliano ricordi dei momenti e periodi importantissimi per la nostra crescita. Forse anche chi non si arrende alla vecchiaia e conserva sempre quella gioia di vivere proprio tipica di quel periodo.

VR Io leggo principalmente albi illustrati o graphic novel indirizzate ai ragazzi. Cerco delle risposte, ma più spesso mi innamoro delle domande. Adoro le illustrazioni e la forma breve del racconto. ah e cerco anche il lieto fine, prediligendo le storie di formazione. Nei libri per ragazzi mi sembra più chiara la linea narrativa e le motivazioni psicologiche dei personaggi. Fatico meno a seguire le storie , mi nutrono di speranza o di suggestioni oniriche. Prediligo le trame archetipiche, ancestrali. Fiabe e favole mi risuonano dentro in modo forte. Il racconto popolare ha inoltre una struttura rituale che mi affascina.

MS – Io cerco l’autenticità di quell’età, che da adulta so riconoscere perché ovviamente l’ho vissuta.

EM – Io ancora mi immedesimo in quelle storie, mi catturano più di quelle per adulti che trovo sempre un po’ ” cupe” tristi, appesantite dalle esperienze di vita…

IL – Io leggo per i miei figli, per i miei studenti ma anche per mia passione. L’ho sviluppata a tal punto da specializzarmi a livello universitario e nella letteratura cerco un senso e un conforto che mi aiutano nella vita di tutti i giorni

MT – ALCUNI titoli etichettati “per ragazzi” uniscono la meraviglia di una scrittura decisamente bella, piena, rispettosa, ricca a storie fresche, dense, con squarci macro nelle emozioni. ALCUNE.
Le altre sono storie cartacarbone e stampino e le sbircio per lavoro.
Quelle per gli adulti, spesso, mi annoiano. O ci ritrovo delle dinamiche che mi affaticano.
Es. L'”amore malato” sofferente, tragico, irrisolto. Me lo tengo nei classici, principalmente russi. Di meglio han scritto in pochi. Comunque se mi chiedi una mia personale opinione sul perché molti adulti leggano ya la risposta più corretta e sincera resto convinta dovrebbe essere “per controllo”.  bisogno di controllo in generale

AP – Leggo libri per ragazzi perché sono scritti da adulti che si interessano ai ragazzi, scrivono per loro e di loro, delle loro storie che non sono per niente banali e da sottovalutare. Anzi, i libri per ragazzi dovrebbero essere letti insieme ai genitori, agli adulti, agli insegnanti. Se vogliamo capirli, dobbiamo “abbassarci” al loro livello. Uso una parola dell’altro giorno: empatia.

TM- Io cerco le storie. Non mi interessa più se per ragazzi o meno. Un tempo leggevo i libri per ragazzi anche per avvicinarmi al mondo del mio maggiore o per consigliargli tematiche diverse per cambiare ogni tanto.

FF –  leggo per proporre a scuola, è vero, ma le leggo perché sono capaci di parlare di tutto in modo semplice, chiaro, paradossalmente senza paranoie. E anche quando si parla di sesso, di morte, di violenza, c’è una delicatezza che spesso nel mondo adulto manca.

LA – Mi ritrovo anch’io in questa risposta di Flavia non faccio parte del mondo scolastico e non leggo per lavoro. Trovo una delicatezza che non cade mai nella visione nera del mondo, non trovo “trucitudine” si può dire?

FD- Io li leggo perche’ mi piace confrontarmi con la scrittura dei miei colleghi scrittori, soprattutto se li conosco personalmente. Spesso li trovo molto lineari ma non banali, come ha detto Luca si avviluppano meno su se’ stessi, la storia la fa da padrona e più mi interessa molto l’eta’ dei protagonisti, intendo gli adolescenti. Cio’ non toglie che leggo molta letteratura per adulti. sia per piacere sia per lavoro occupandomi di recensioni. Ma e’ piu’ difficile che un libro per ragazzi mi annoi o mi deluda. Ma mi tengo alla larga dai fantasmi, prediligo le storie realistiche, se un pizzico drammatica anche meglio

MM Io cerco la possibilità di provare ancora meraviglia.
Cerco di ritrovare quelle emozioni e sensazioni che provavo allora.
Cerco e spesso trovo anche storie inaspettate, raccontate con scritture non banali.
E, da inguaribile romantica, adoro le storie d’amore. Quel momento della vita dove tutto e il contrario di tutto è ancora possibile💕

EL- Io credo che leggere libri che qualcuno definisce “per ragazzi” sia un elisir di giovinezza. Permette di mantenere anche da adulti lo sguardo e il cuore giovani e rivivere le sensazioni di ogni prima volta, ogni prima scoperta. Leggere libri per ragazzi ci dà un superpotere!

PG – Leggere per ragazzi riporta indietro nel tempo, aiuta a mantenersi giovani, a non scordare come eravamo e a restare in contatto con i giovani che abbiamo intorno 💕

VT – Perché vorrei rivivere quel periodo della mia vita, ma farlo meglio e renderlo più bello. Nostalgia di cose che magari non ho davvero vissuto come avrei voluto  La risposta meno romantica é che poi i libri per ragazzi sono molto più divertenti e sperimentali di quelli per adulti! 😉

CS – Perche nella letteratura per ragazzi ci sono molti più temi esistenziali

LS – Perché libera!

MD – Perché adoro l’abbinamento parole e illustrazioni, sono piccole opere d’arte. Anzi, credo che anche i libri per adulti dovrebbero essere illustrati. È più piacevole leggere completando il testo con delle belle immagini.

LG – Io cerco storie belle e ben scritte e nella letteratura per ragazzi trovo che ci sia più cura. Non sempre eh, ma spesso

PC – Cerco storie vere, che rivivo con un pizzico di nostalgia. Ricordi di un’età che forse non ho vissuto a pieno, condizionata dai limiti di un’altra generazione…

SP- non ho una risposta certa a questa domanda, ma mi sono resa conto che sia nella narrativa per adulti sia in quella per ragazzi cerco storie realistiche ambientate in epoca contemporanea. no gialli, no storico, no fantasy, no fantascienza. quindi direi che i libri, sia per adulti sia per ragazzi, soddisfano il mio bisogno di calarmi nella realtà per comprenderla

RI – Ho iniziato a leggere gli stessi libri delle mie figlie perché loro volevano confrontarsi con me, chiedevano il mio parere sulle storie, sul modo di scrivere, sui temi trattati. Poi, man mano, ho conosciuto autori che diversamente non avrei letto, li ho apprezzati e continuo a leggerli. A volte, prima delle mie figlie, a volte a prescindere da loro.

MB- Perché non mi sono mai preoccupata della divisione in generi o fasce di età.
Se una storia mi ispira, mi stuzzica, mi ‘tenta’ (per stile, per tema, per ambientazione, per punto di vista…) la leggo e basta.

CP- Che bella domanda 😊
Appena ho letto il tuo post ho pensato al libro che sto leggendo, mio padre è un ppp, quello che quella storia offre è una sorta di disvelamento, la realtà è in quella storia lineare, evidente, ma la scrittura e la narrazione in prima persona della protagonista porta al disvelamento della complessità, come se sotto l’apparenza di quella realtà, le cose fossero più complesse. È solo quando Polleke accoglie la complessità trova anche la forza per cambiare e agire. Ecco io bei libri per ragazzi cerco il disvelamento, nel senso letterale del termine, una scrittura è una storia che mi conduca parola per parola a togliere il velo.

FM -avventura è più sorprendente, non ha il disincanto e le gabbie adulte, è più onesta, schietta e ha una vivacità frizzante che nella crescita purtroppo muta, personalmente mi emoziona molto di più una nuova consapevolezza acquisita da un giovane protagonista che da un adulto che ha già un suo bagaglio di esperienze, il percorso di un ragazzo che scopre il mondo è più stimolante, avverto un coinvolgimento maggiore. Non mi annoio, è più divertente provare empatia con l’io bambino.

EB – Io penso che non esistano storie per ragazzi è solo il modo in cui le si scrive che cambia.. ciascuno di noi ha parti “irrisolte” o nascoste che lo portano a leggere o preferire alcune storie… io ad esempio ho imparato ad amare Alice di Carrol in età adulta perchè alcuni aspetti metaforici della storia mi sono stati accessibili psichicamente solo allora…. così come il piccolo principe …. alcune storie sarebbe bello leggerle e poi rileggerle nel corso degli anni solo così arrivano davvero a tutte le parti della nostra anima
Facevo la stessa riflessione ieri con i film a 20 anni amavo alcuni generi impegnati ora ne amo altri…

FG – Ci sono un’autenticità e una spontaneità che in età adulta si perdono, forse per adattarsi alle convenzioni sociali e culturali di appartenenza. Un aspetto che mi affascina molto è la capacità di sentirsi ancora parte di un concetto di vita diffusa. Mi spiego meglio: sentirsi tutt’uno con ciò che ci circonda (animali, piante, universo) e, riconoscere in questo, la sacralità della vita, la sua imprevedibilità e magia. Sono stata prolissa e poco chiara ma è quel senso di smisurata libertà che si prova quando si crede ancora che tutto è possibile.

CA – Una buona storia, una buona scrittura, contrasti creativi di atmosfera e personaggi

DT – Io ho iniziato da poco con gli young adult.
Forse per capire cosa a breve potrà piacere ai miei figli. Ma anche per capire meglio la gioventù di oggi e i suoi gusti i desideri e il punto di vista. Non so se ha senso. Ma questo è quello che mi muove. Un tentativo di trovare sintonia con le nuove generazioni, anche per lavoro, sono psicologa.

SS – Al di là dell’interesse verso la letteratura per ragazzi con la finalità di consigliare buoni libri attraverso il blog e altre forme, a me appassiona leggere libri con protagonisti i ragazzi perché sono una inguaribile nostalgica, mi piace continuare ad avere, e ricerco, questo spazio di immaginazione infinito verso il futuro che inevitabilmente in età adulta di assottiglia.

CL – Volevo dare anche io il mio contributo ma ritengo sia un po’ banale e forse anche un po’ confuso. Mi verrebbe da dire semplicemente che leggo letteratura per ragazzi perché mi piace, sento sia una dimensione giusta da abitare ma poi penso che tutte le storie e i libri che mi sono piaciuti, senza distinzione, li ho sentiti “della dimensione giusta”. Quella in cui riesci a stare perfettamente ma anche che apre orizzonti inaspettati in cui trovi indizi a risposte che cerchi anche inconsapevolmente. Perciò alla fine dei giochi forse considero la letteratura per ragazzi, letteratura punto. Non c’è distinzione tra x ragazzi/ x adulti ma solo buona o cattiva (per me) o, ancora meglio, letteratura che apre orizzonti e letteratura che non lo fa. Te l’avevo detto che era tutto molto.confuso…😜

CC –Posso dire la mia o sono in ritardo? Vabbè la dico:io leggo libri per ragazzi per trovare lo stupore e perché quando leggo penso a loro e se può piacere e come provocare stupore. Poi a volte ho bisogno di staccarmi, ma poi torno sempre ❤️

FD – Perché la bimba che mi vive dentro ha ancora voglia di storie.

 

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I segreti di Huck, come nascono le mie storie

Alex, Irene e Martina tre vite imperfette e per questo piene d’umanità. Famiglie complete e incomplete, legami difficili se guardati dal basso di quei sedici anni così arrabbiati, tanto pieni di sogni da inseguire, ben attenti a mantenere un privato in cui non far entrare nessun adulto. E Huck che la sua vita la vive e basta.

Tra i miei romanzi poteva non essercene uno dedicato a un border collie? Che ne raccontasse le avventure di sei anni di vita? Che narrasse del rapporto tra cane e uomo?

Fa da sfondo a questa storia quel legame speciale che da secoli ci lega alla natura e a un compagno a quattro zampe.  Ne è il motore, ne è il cuore.

Perché?

Perché il legame con un cane, oggi che loro sono quasi sempre animali da compagnia e non animali da lavoro, può ancora essere speciale. Troppo spesso un cane è solo utile a colmare il nostro bisogno di affetto; troppo spesso non ci sediamo a terra con lui e non ci guardiamo occhi negli occhi. Un cane, e per me in particolare un certo border collie, è un animale fiero ed elegante. Conoscerlo e rispettarlo significa iniziare una relazione vera e dignitosa per entrambi. Non peluche a cui mettere il cappotto e da ingozzare di cibo, ma compagni di vita con cui cercare scambi e complicità.

Possiamo comunicare non solo verbalmente rompendo la barriera della specie. Capirsi con un cane, vuol dire passare attraverso un portale che può aprirci nuove prospettive. Esercitare l’empatia ci fa benissimo e intuire le esigenze, i bisogni e gli avvertimenti che un cane ci dà senza usare la parola, è una pratica eccellente per crescere come persone. Per me è stato così.

In questo romanzo viene narrata la vita di Huck che si scopre poco a poco. Ma vengono anche narrate le storie di tre ragazzi e queste quattro vite s’intrecciano, interagiscono, si spiegano l’una con l’altra. È un romanzo di costruzione dove si costruisce una relazione che prenderà il nome di amicizia senza limiti di specie, ma bisognerà aspettare l’ultimo capitolo per leggerne l’inizio.

Si cuciono giorni del passato al presente per tre adolescenti ribelli e un cane. È un romanzo pieno di vita e per questo parla anche di morte.

Tutto è nato quando un’amica mi ha raccontato la storia di un suo cane, quelle parole le ho fatte mie e hanno girato nella mia testa per giorni. E da loro sono partita per costruire questa storia, le ho trasformate e ricomposte ma sono sempre fedeli a quel cenno iniziale che ha scatenato l’immaginazione. Resta tra le pagine solo una frase della mia amica, tra virgolette, nascosta in un personaggio, ma sua. So che da lì è partito tutto.

Come nascono le storie?

A volte solo da una frase che con 30 parole scatena un romanzo intero, apre un mondo di personaggi, di paesaggi, di suoni e di suggestioni che l’autrice qui presente non ha potuto lasciar scivolare via, ma ha dovuto fissare tra le pagine.

Questo romanzo non poteva non essere un omaggio al mio Bryce e a tutti i cani e i gatti della mia vita; loro mi hanno insegnato a capire gli uomini e le donne e mi hanno spiegato che negli occhi di un cane da compagnia o in quelli di un border da divano, se si è capaci, si può leggere il passato di animali selvaggi e coraggiosi. Loro scelgono di esserci fedeli, possiamo rendergli l’onore rispettandoli e con loro rispettare tutti gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

La mia vita da Libro …come nascono le storie

Perché le storie arrivano quando arrivano,ma poi si tirano fuori quando servono!

Come nasce un Libro? E come riesce a compiere la sua missione di far innamorare un bambino di sé? Ecco le avventure e le disavventure di Libro!

Scaricate la vostra copia gratuitamente cliccando qui:

La mia vita da Libro

(Istruzioni per l’uso: a nove o dieci anni si può già leggere da soli e non è mai sbagliato leggerlo ad alta voce, ma, d’accordo, non è male neanche farselo leggere! Ascoltare e/o leggere una storia non ha età, provare per credere!)

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È un periodo difficile per tutti noi. È marzo 2020 siamo nel mezzo della pandemia di Corona Virus. Ognuno cerca di fare, dare qualcosa agli altri, qui sul web. Io sono stata abbastanza immobile. Anestetizzata forse dalle troppe voci che sento intorno a me, dalla preoccupazione, dall’incertezza. Non ho fatto video-letture o dirette, sto leggendo per me poco e lentamente e scrivendo ancora più lentamente.

Poi ho pensato che volevo e dovevo fare qualcosa anch’io. Ma cosa? Cosa so fare per gli altri? So scrivere storie? Non so se siano buone storie, ma sono la parte bella di me, o almeno la migliore.

Nulla di nuovo, una storia tra le tante che avevo nel cassetto. Nulla di scritto ora e appositamente. Un racconto lungo che con la mia solita pigrizia avevo lasciato da parte, insieme a tanti altri racconti e romanzi che ho scritto oltre ai quasi venti pubblicati con medie e grandi case editrici specializzate nella narrativa per ragazzi e giovani adulti.

Scrivo tanto perché solo scrivendo si cresce scrittrice e

le storie arrivano, non le vai mica a cercare.

La mia vita da Libro doveva essere pubblicato in un articolo qui sul mio blog, poi, dato che sto rileggendo le ultime bozze del mio prossimo romanzo I segreti di Huck in uscita a giugno per Mimebù il nuovo marchio per ragazzi di Mimesis Edizioni, ho chiesto a Martina Pellegrini, mia editor per quel romanzo, se avesse voluto editarlo lei e farne un libro elettronico da scaricare gratuitamente dal sito di Mimebù. Ha accolto l’idea con entusiasmo e allora ho provato a chiedere a Paola Formica, meravigliosa illustratrice, se volesse unirsi a noi in questo libro-dono e anche lei è entrata subito felicemente nel team.

Questo è il mondo della letteratura per ragazzi che non guarisce nessuno, certo, ma conosce la solidarietà.

Abbiamo cercato di fare un piccolo bel libro elettronico in pdf da scaricare su pc o tablet, o da stampare, mettendo in campo le nostre competenze. Non desideravo fosse un qualcosa buttato lì senza cura, desideravo fosse bello e ben fatto, perché regalare una storia è un atto da compiere con affetto.

Quindi: che la magia della lettura arrivi fino a voi portandovi altrove con l’immaginazione, che nel momento della storia possiate respirare liberi!

C’incontriamo tra le pagine, ci abbracciamo lì dove si può!

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Un attimo, tutta la vita… come nascono le storie

Certe storie nascono davvero in modo curioso!

Eravamo qui…

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Fulvia ed io. C’eravamo incontrate per pranzo. Chiacchieravamo del più e del meno; lei arrivava dalla palestra io da una passeggiata per Milano con la mia amica Anna.

Con Fulvia non eravamo amiche come lo siamo ora, ci conoscevamo, era stata la mia editor per un libro della collana che lei dirige per le edizioni Paoline.

Era almeno un anno che mi arrovellavo il cervello con l’idea di una storia che non riuscivo a scrivere. Ero certa che non l’avrei mai scritta eppure non volevo rinunciarvi, ci credevo, pensavo potesse diventare un buon romanzo.

Stavamo prendendo una caffè quando le chiesi se quella storia voleva scriverla con me. Lo feci d’istinto senza pensarci troppo. Certe strade bisogna percorrere insieme se da soli non ce la fai. E io da sola non ce l’avrei fatta. L’argomento era troppo forte e io troppo emotiva, mi avrebbe preso la mano e mi avrebbe trascinata lontano dalla stesura di un qualsiasi buon romanzo verso una terra di emozioni incolte.

Fulvia non mi rispose subito, mi telefonò qualche giorno dopo dicendo che sì, l’idea le piaceva, che ci stava.

Fulvia: Ero arrivata al Crazy CatCafè con il cuore in subbuglio. Avevo appena avuto una crisi di pianto e autocommiserazione, capita nelle fatiche della vita di mamma di due adolescenti. Ma avevo messo da parte il mio turbamento per godermi l’incontro in quel luogo così singolare, in cui i gatti scorrazzano liberi e si struscino alle gambe dei clienti e balzano sui loro tavoli. Giuliana era già una gattara, io non ancora, ma lo sono adesso dopo la convivenza di oltre un anno con la mia Grace. Da anni sognavo di scrivere una storia a quattro mani: una sfida stimolante per una scrittrice, che mi mancava e a me piace cimentarmi in nuove imprese. Così quando Giuliana ha buttato lì quel tema,
il dramma degli incidenti stradali in scooter, ho sentito subito quel frizzicorino nel cervello, che si accende quando sono di fronte a una buona idea. Dovevo solo trovare la chiave giusta, che fosse originale e che affrontasse un tema così tragico in modo non melodrammatico e scontato. Non avevo dubbi che mi sarebbe venuto in mente qualcosa.

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Al Crazy CatCafè avevo detto a Fulvia quale era l’idea della quale volevo scrivere e quello che assolutamente non volevo che diventasse. Avevo ben chiaro solo il capitolo centrale. Quale sarebbe stato il finale non lo sapevo e quello che avrebbe potuto essere la potenziale conclusione non mi piaceva affatto. Senza aver neppure iniziato a imbastire adeguatamente la trama, mi disse lei il finale. A me non era proprio venuto in mente. Era quello giusto. Pensai che quella storia sarebbe diventa un buon romanzo: avevamo il capitolo centrale e anche il finale. Era un buon inizio!

Fulvia: Gli argomenti drammatici sono la mia passione. Tutti i miei romanzi per adolescenti toccano tematiche scottanti, estreme. Far vibrare le corde dell’emozione, senza pateticismi, ma scandagliando l’animo umano, questo amo fare. Sì, sarebbe stata una buona storia. 

Una sera ci sentimmo al telefono e sebbene sulle prime eravamo un po’ intimidite ci volle un attimo per scioglierci e lasciar correre libera la fantasia. Lei scelse i nomi dei due personaggi protagonisti e io li adorai subito. Io scrissi il capitolo centrale (chi ha detto che si deve sempre partire dall’inizio?) che avrebbe fatto da chiave di violino per accordarci e scrivere insieme.

Fulvia: Non è inconsueto per me iniziare a scrivere un romanzo non rispettando il naturale ordine dei capitoli. L’importante in una storia è coglierne il nucleo centrale, la cosiddetta ispirazione, poi il resto di intreccia, usando anche un po’ di mestiere. E se nella scrittura individuale si può anche procedere per tentativi, e improvvisazione, quando a scrivere si è in due occorre che la trama sia molto chiara sin dall’inizio, con una precisa scansione dei capitoli, in modo da tenere sotto controllo le tappe della stesura. E in questo caso era semplice, perché i protagonisti erano due, un ragazzo e una ragazza, e ognuna di noi se ne è scelto uno per narrare la storia dal suo punto di vista che così si alternava con quello dell’altro personaggio.

Stabilimmo i capitoli e il numero di battute da rispettare e poi partimmo: io scrivevo un capitolo e glielo inviavo, lei lo correggeva e mi inviava il successivo scritto da lei, che io a mia volta correggevo. Io valutavo le sue osservazioni sulla mia scrittura, lei le mie. E procedemmo così. Senza che nessuna delle due si offendesse mai e con un’empatia che mai potevo immaginare quel giorno al Crazy Cat. Tutto filò liscio fino alla fine. Umiltà e rispetto non ci sono mai mancati, forse per questo è venuto fuori un buon romanzo. Almeno secondo noi. Ognuna ha dato il meglio di sé e il superfluo abbiamo saputo buttarlo via.

Fulvia: Scrivere in coppia ti costringe a rispettare i tempi, evita le distrazioni, è come percorrere un binario in cui è difficile deragliare. Per cui scrivere questo romanzo è stato per me più facile che in altre occasioni più solitarie. E permette di fare in corsa un buon editing, perché l’occhio esterno sulla propria scrittura lima le sbavature, migliora la forma e la coerenza. E pur essendoci ritrovate in questa avventura per caso, ed essendo due perone caratterialmente molto diverse, la nostra scrittura si è amalgamata fino quasi a fondersi tanto da non risultare distinguibile per chi legge.

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Sono felice che questo romanzo abbia trovato la sua voce e sono felice di aver trovato un’amica.

Fulvia: A me personalmente è rimasta la voglia di farlo ancora, tutto sta a ritrovare quell’alchimia. Merito del Crazy CatCafè?

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UN ATTIMO, TUTTA LA VITA

di Fulvia Degl’Innocenti e Giuliana Facchini

Raffaello Ragazzi, collana Insieme

Orlando ha 16 anni e adora spostarsi in scooter, per lui è più di un mezzo di trasporto, è quasi una parte di sé. A una festa conosce Angelica e, dopo qualche schermaglia, i due ragazzi si innamorano. Tutto sembra andare bene fino a quando arrivano i primi litigi. Dopo uno di questi, Orlando parte con lo scooter: ha il cuore in subbuglio e presta meno attenzione alla guida.
Eppure sa che per rischiare tutto, persino la vita stessa, basta un attimo. E Orlando vivrà sulla sua pelle proprio ciò che in quell’attimo accade.

E siamo certe che il luogo dove tutto è nato,

porterà fortuna a questo romanzo!

Buona lettura

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Io non lo odio… come nascono le storie!

Ringraziamenti in chiusura del libro IO NON LO ODIO di Giuliana Facchini, edito da Matilda Edizioni.

Ecco come nascono le storie: camminando. Succede che scrivi il plot per un romanzo e diventa un racconto che poi torna a essere un romanzo. E nel mezzo? Nel mezzo un cammino. Tu che cresci. Tu che cadi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che ti rialzi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che scrivi. E capisci che percorrere chilometri di vita è un privilegio.

I libri raccontano una storia ma hanno anche una loro storia.

Quando Donatella Caione mi chiese di scrivere la versione lunga del mio racconto Perché odi Davide?, le risposi di no. Pensavo che quella storia avesse già detto quello che aveva da dire.

Ma leggendo un vecchio libro che intrecciava passato e presente ho capito che non era così. Usare uno schema narrativo non lineare e adoperarlo perché fosse funzionale alla storia non era facile ma per me era una piccola idea rivoluzionaria. Ha molto da raccontare una ragazza che è riuscita a uscire da una qualsiasi forma di violenza e io potevo darle voce.

Così otto romanzi dopo Perché odi Davide? è nato Io non lo odio.

Durante un incontro in una scuola dove accompagnavo Chiamarlo amore non si può, una lettrice mi di chiese perché nel racconto tutti avessero un nome ma non la protagonista. Rispose lei. Non io. Disse che forse non aveva nome perché solo chi non ce la fa e finisce sui giornali ha un nome, nessuno conosce tutte coloro che ce l’hanno fatta e a testa alta sono diventate ragazze e donne consapevoli di sé.

Aveva ragione. Quindi alla protagonista ho dato un nome, Clare, e una vita serena. La sua non è una famiglia del mulino bianco, ma lei conosce il potere dell’amicizia, della fratellanza, della musica e vive bene il suo domani.

Nel raccontarci quello che le è successo, fa uno sforzo. Ha bisogno della sua chitarra per farlo. Ma sa raccontare, gestire il suo passato e impugnarlo coraggiosa per affermare non senza sofferenza: Io auguro a qualunque ragazza che come me si sia trovata a precipitare nel vuoto, una chitarra cui afferrarsi per potersi salvare. Anzi: a lei la offro. Io. Adesso.

Non è questo che ci auguriamo per un’amica, una figlia, una nipote o per noi stesse e per tutte?

Noi che scriviamo per ragazzi e ragazze (non è vero che scriviamo per ragazzi e ragazze, è solo un’etichetta per collocarci in libreria, noi tutti scriviamo solo pensando a un lettore ideale) ci troviamo spesso nelle scuole a “ricordare/celebrare” questo o quello e a volte rischiamo di diventare solo il modo per saltare un’ora di lezione.

Quando? Quando gli adulti fanno cadere a pioggia dall’alto i loro insegnamenti. Quando non si fa in modo che la parola l’abbiano loro: gli studenti.

Perché? Perché ci mettiamo la coscienza a posto che l’opportunità l’abbiamo data. A volte non è previsto il diritto alla replica. Non ce lo aspettiamo proprio un pensiero critico dai ragazzi.

Bisogna sporcarsi le mani se crediamo nei nostri interlocutori.

Un romanziere questo lo capisce bene perché crede nelle storie e le storie non insegnano ma lasciano emozioni sotto la pelle dei lettori.

Io lascio la parola a Clare.
Io non lo odio è dei lettori.
Contano i romanzi, non gli autori. Il romanzo è la loro voce, non c’è altro da aggiungere.
Racconto un periodo difficile della vita di alcuni ragazzi e ragazze ma questo è un romanzo solidale.
Spero che lo leggerete, forse ci troverete almeno una piccola parte di voi come è accaduto a me.

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#lafigliadellassassina, come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

È sempre una domanda difficile cui rispondere.

A volte (almeno questa volta è andata così) capita che ci sia un’urgenza cui dare sfogo. Un bisogno che forse potrebbe non essere solo mio e per questo scelgo di scriverne. Siccome un buon romanzo non dà mai risposte, questa piccola storia insieme alla sua autrice si pone solo giganteschi quesiti: qual è la verità? La verità, quella vera, quella che: è così e basta!, esiste? Sì? No?
Forse corrisponde al vero l’ormai famosa frase dello scrittore statunitense Jim Harrison: «La verità non esiste: esistono solo le storie».

Insomma leggere e ascoltare in un mondo rumoroso e cacofonico che parla e scrive e continua a parlare e scrivere di tutto e su tutto; dove l’umore batte l’oggettività e l’oggettività serve l’umore; quando prestare idee è un mestiere e noleggiarle è un risparmio di pensieri e di tempo, orientarsi tra le mille sfaccettature di una verità è difficile. A tratti angosciante. Meglio lasciar perdere. Meglio non farne una battaglia? Fate voi.

Tutto questo è solo la carica di adrenalina che ha mosso l’idea del romanzo.

(Non la chiamo ispirazione, l’ispirazione è una cosa troppo complicata. È il nome di una barca a vela, la mia).

Spesso nelle mie storie i fili che s’intrecciano sono sottili come se ricorrere a una trama semplice (seppur affilata e tagliante) sia sempre sufficiente a guidarci. Come se i dialoghi adolescenziali, senza parole troppo belle, volessero condurci nel quotidiano e mai nell’assoluto. Quello viene dopo, fuori dalle storie. È dentro di noi.

Rachele e Daria sono diverse e non saranno mai amiche. Sono una vittima e una carnefice nel gioco della verità che sta attorno alla vicenda di una donna, Eva Contini, che uccide un’altra donna con ferocia. Eva Contini, la madre di Rachele, la moglie di Gerald, l’amica di Leone e Magda, l’assassina, #lassassina.

E intorno a loro: Joshua, la madre di Daria, Matteo, Andrea, Martina, Anna, Antonio Loforte. Gli altri. Tanti altri che parlano tra loro, condividono, indagano, scrivono. Vivono nel microcosmo di una storia camminando per le strade, sedendo in giardino, togliendo i panni da uno stendibiancheria, ascoltando nell’ufficio di una caserma.

Passano le ore e la storia va avanti; passano velocemente le ore se t’immergi nella lettura di un romanzo dove trovi le sicurezze che la vita non ti dà ma, la vita, Rachele deve affrontarla e con lei, noi, cercheremo di capire qual è la verità. E poi, anche noi come Rachele, andremo avanti a leggere fino all’ultima pagina.

Un romanzo, una storia che tanto mi coinvolge e appartiene, che Sinnos Editrice ha scelto di custodire nel suo catalogo, che spero vi lasci qualcosa: un’emozione, un pensiero, la voglia di leggere ancora. Anche non me, ma leggere.

LA FIGLIA DELL’ASSASSINA

SINNOS Editrice

Collana Zona Franca – dal 22 novembre 2018 in libreria

Gerald, Rachele e Joshua non hanno più nulla. La loro triste vicenda familiare ha avuto un forte clamore mediatico e Gerald e i figli sono stati al centro dell’attenzione di articoli giornalistici e scandalistici. I genitori di Gerald dall’Inghilterra non si fanno vedere, ma l’uomo sistema la loro roulotte nel grande giardino dell’amico Leone Batista e vi si trasferisce con Rachele e Joshua lasciando definitivamente Roma. Leone, sua moglie e i figli, li accolgono, ma la convivenza non è facile, anzi la loro presenza in paese desta la curiosità degli amici dei ragazzi. 

Rachele attira l’attenzione di Daria che la fotografa e sul web la foto diventa virale in poche ore con l’hashtag #lafigliadellassassina. Rachele, esasperata, s’intrufola nella scuola del quartiere. Sale fino sulla terrazza, sul tetto, e rimane nascosta. Ha con sé un libro e comincia a leggere. 

L’unica a scoprire dov’è nascosta Rachele e a raggiungerla è Daria. Le due restano da sole per dieci ore, mentre in paese tutti le cercano e gli appelli si moltiplicano di ora in ora.

Una storia che riguarda adulti e ragazzi: nessuna morale, nessuna punizione per nessuno e forse nessuna salvezza, perché il finale nella vita resta comunque aperto, fino all’ultimo.

Buona lettura!

 Rai Letteratura a Più libri Più liberi

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Se la tua colpa è di essere bella

Leggo i tuoi romanzi e ti dirò chi sei. No, non è così. Almeno non sempre. Per me sì, però, è vero.

Foto artistica dell’autrice, di Ste. (Mancano solo il cappello per le offerte e il cane perché sia fedele all’originale 😉 )

La voce di un autore è il suo libro. Non tutti gli autori riescono ad avere dei bei momenti d’incontro con i lettori. Sono scrittori, mica oratori. Per me l’Incontro con l’autore  nelle scuole, librerie o biblioteche è un momento importante di dialogo con i giovani lettori. Eppure a volte non sono riuscita a regalare agli studenti la parte migliore di me . Però so di averlo fatto nei miei libri sempre e onestamente.

Se non è solo mestiere parlare con i ragazzi, ma anche passione per i libri e per le storie, non può andare sempre alla stessa maniera.

Strano? Le emozioni non sono una scienza esatta!

E ancora: una storia nasce spontaneamente e certamente fissa nel tempo un pezzo di me. Scrittura e vita si mescolano, eppure non c’è nulla di autobiografico.

Ancora più strano?

Mi ritrovo ad ascoltare, emozionata, io per prima quella storia che arriva chissà da dove e che mi racconto da sola. Scriverla, per me, significa prenderne le distanze per provare a regalarla al lettore. Più facile a farsi che a dirsi. Infatti il difficile non è scrivere ma disciplinare quello che ho scritto. Trovare un senso, una direzione, un perché vale la pena condividerlo con i lettori. Insomma capire se è davvero una buona storia quella che ho scritto.

Il protagonista di Se la tua colpa è di essere bella è Valerio, un ragazzo di 16 anni. Pensa in prima persona, nel presente e scrive poesie d’amore (il titolo del libro è il titolo di una sua poesia). Nessuno potrebbe essere più diverso da me.

Parte di questa storia nasce dopo molti Incontri con l’autore per un libro: Chiamarlo amore non si può, una raccolta di racconti di cui uno mio. L’argomento è: la violenza sulle donne. Gli studenti quando sono invitata in una scuola si aspettano che faccia loro il predicozzo preparato per l’occasione a corredo del libro e cercano di non farsi coinvolgere in diretta. Lavorano a lungo dietro le quinte sul tema, con campagne pubblicitarie, video, cartelloni, ma in quel momento spesso tacciono. E taccio anch’io che i predicozzi non li faccio, preferisco leggere ad alta voce i racconti.

Eppure le mezze domande, i silenzi, le risatine, i cellulari smanettati di nascosto parlano. Gli occhi attenti parlano e io so ascoltare. In questo libro ci sono anche quei pensieri captati e a volte espressi timidamente a metà. Quegli accenni sinceri di discussione che escono dalle righe, che fanno la spia.

Sanno pensare i nostri ragazzi e assorbono la potenza costruttiva delle buone storie. Niente prediche ma romanzi, storie narrate in cui trovare spazio per poter pensare. Leggere lascia il tempo per pensare e immaginare. Quasi lo impone.

La mia necessità era far parlare Valerio. Pur essendo io lontanissima da Valerio, lo conosco bene. Perché è diverso da me posso raccontarlo onestamente, senza confondermi con lui. Anche Lavinia, se sono riuscita a farla vivere tra le pagine di questo mio romanzo, ha una bella voce, chiara, importante. Ne ho incontrate di Lavinia! E infine Carlos, forse quello più difficile, dall’animo complicato perché sono quasi certa incarni un bisogno segreto e innato e spesso negato di ogni adolescente: quello di avere degli ideali. Molto difficile.

«Lavinia è alta quasi quanto me. Ha i capelli lunghi, tra i quali spunta sempre qualche fiore vistoso».

Come sempre nei miei libri non c’è un tema solo, se per forza, per necessità editoriali, dobbiamo trovarlo il tema del romanzo. In realtà la storia di questo poetic guy  ruota attorno alla parola ingenuità riportata dalla curatrice anche in quarta di copertina (e di cui tacceranno sicuramente l’autrice). Ingenuità = Quello che fanno di buono i ragazzi lo fanno perché non ancora provati dalla durezza della vita. E noi adulti spesso ce ne stiamo arroccati dietro la paura che la loro ingenuità valga più delle nostre tremolanti convinzioni. La loro ingenuità può costruire un mondo migliore di quello che hanno trovato. È una legge di natura. Questo è il pensiero di fondo attorno al quale è nato il libro.  Un pensiero sempre fuori moda. I giovani d’oggi, quelli che si citano con tono critico e scuotendo il capo, ci sono sempre stati anche se a ogni generazione piace credere il contrario. #nonsolobulli #giovanimpegnati #braviragazzi #ragazzicheleggono

Questa mio romanzo è un’avventura lieve e impalpabile che si srotola tra le pagine come l’imprevedibilità della vita, tra durezza e dolcezza imperfette, fresca e delicata perché racconta la vita di tre adolescenti. Anime e corpi giovani, pronti ad affrontare il futuro con coraggio, arrogandosi il diritto di esserci e di avere una voce. Per fortuna.

Le poesie di Valerio sono scritte da Roberta Lipparini, alla quale va la mia affettuosa amicizia, la mia eterna gratitudine e la mia grande ammirazione. Grazie Roby.

Bugi e Roberta (Roberta è quella a destra nella foto 🙂 )

Se la tua colpa è di essere bella (cliccate sul titolo per leggere le specifiche del libro sul sito dell’Editore Feltrinelli) lo trovate dal 10 maggio 2018 nelle vostre librerie di fiducia, a La Feltrinelli o negli store online, in cartaceo o in e-book.

(Ricordate che sostenere con gli acquisti una Libreria Indipendente è come sostenere una preziosa specie in via d’estinzione. Evviva il World WildBook Found!)

Grazie per essere arrivati fin qui!

Buona lettura e fatemi sapere… per voi lettori ci sono sempre!

Sono qui 😉

Per saperne di più: Lettura di A. Starace

 Lettura di Carla Colussi

 Lettura di Livia Rocchi

Dal blog del Professor Pino Boero  

                                Segnalazione in TV minuto 6

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Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.

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7contro7 una storia d’amore … come nascono le storie!

I libri raccontano una storia ma hanno anche una storia.

Questo romanzo è stato scritto tanti anni fa tra gli spalti di una piscina e il bar del centro sportivo. I miei figli giocavano a pallanuoto e l’unica piscina adeguata era a ventiquattro chilometri da casa; per arrivarci servivano due autobus che di notte non passavano, quindi li accompagnavo in macchina e mentre loro si allenavano scrivevo con il portatile. Per ore. Tra altri testi  è nato 7contro7, perché la formazione in campo in una partita di pallanuoto è di 7 giocatori;  una storia d’amore, perché si parla d’amore: amore per lo sport, tra un ragazzo e una ragazza, per i giovani in generale.

Nell’aria satura di cloro della piscina coglievo gli sguardi e le battute dei ragazzi e delle ragazze, li vedevo muovere, ridere, vivere; ascoltavo e forse un po’ rubavo. Ho impastato tutto con l’immaginazione  ed è venuta fuori questa storia. Mi sono divertita un mondo a scriverla e l’ho fatto di getto e in pochissimo tempo. Fu accolta subito da una grande casa editrice, che però poi decise di non pubblicarla e così rimase nel cassetto. Mentre valutavano questo testo io già ne avevo scritti due e non lo proposi ad altri. Ma sono una che ama tutte le sue storie, anche quelle non pubblicate e così l’ho ripescata, riletta e corretta e ho deciso che volevo proprio con questo testo fare un percorso alternativo.

Mi piace esageratamente accompagnare i miei libri nelle scuole ma con questo non credo che lo farò. Questo romanzo nasce come e-book (principalmente) e vuole stare su uno scaffale web. Sentivo il bisogno di confrontami con un pubblico diverso o forse solo in modo diverso con il pubblico dei lettori giovani e meno giovani. Ho bisogno di sperimentare e sentirmi libera di farlo.

Continuerò a scrivere nel mio mondo della narrativa ragazzi (con un 2018 pieno di belle novità!) dove con alcuni editori editori ormai c’è amicizia e stima reciproca, ma ho voglia anche di scoprire cosa c’è fuori.

Amarganta è una piccola casa editrice, di cui mi avevano parlato molto bene in termini di serietà. Infatti è seria. Non mi piace l’auto-pubblicazione. Io devo avere a che fare con editor e grafici, io so scrivere solo il testo (forse). A Cristina Lattaro di Amarganta la storia è piaciuta subito e con la redazione ha deciso di metterla in catalogo. Inutile dire che ho imparato molto anche con loro. Chi mi conosce sa che so riconoscere le persone in gamba dalle quali s’impara sempre qualche cosa.

Adesso ho un po’ paura, lo confesso. Sono un po’ fuori dal mio mondo, è il primo passo ma so che ne farò altri. O almeno ci proverò. Io, se non sperimento, soffoco; se non viaggio, muoio. Credo che la scrittura sia qualcosa di fluido e in movimento e abbia bisogno di crescere e forse anche invecchiare. Certo sono sempre io di storia in storia, di romanzo in romanzo. Forse non sono neanche così brava ma mi consolo scrivendo.

Hamingway rispondeva a chi gli chiedeva come si fa a scrivere bene, di uscire e andarsi a impiccare, che magari non t’ammazzi ma hai materiale per una storia. (Non che mi piaccia troppo l’uomo, biograficamente parlando, ma la risposta mi piace un sacco!)

Insomma forse non sono brava ma sono io, sono sincera nel male e nel bene. Nello scrivere ci si spoglia (metaforicamente parlando, eh) anche se fai solo la romanziera. Ogni tanto trovo qualche conferma e gli editori mi pubblicano, si prendono la responsabilità di condividere le mie storie e questo mi rende felice. Se poi incontro i giovani lettori (che sono i miei preferiti) e parliamo di libri e di lettura e sono ancora più felice.

Chissà quel è il mio posto? Non lo so, continuo a cercare.

Il bello non è arrivare, ma camminare (soprattutto con Brik al fianco).

 

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Un’estate da cani… come nascono le storie!

Questa storia è un racconto scritto in prima persona da Ginevra. Lei non è una scrittrice e non si tratta di un diario. No. Questa storia nasce per raccontare che scrivere può essere utile. Enigmatica?

Chi ha letto Io e te sull’isola che non c’è, sa che Lucia scrive una storia dove succedono cose terribili alla sua odiata nemica. Su un foglio bianco tutto può accadere e così Lucia sfoga la sua rabbia e il suo odio. Ginevra scrive per un altro motivo. Un motivo ben preciso. Trovo affascinante poter fermare sulla carta le emozioni senza dover necessariamente essere scrittori. E’ una fotografia del nostro stato d’animo. Rileggere quelle righe anni dopo, come guardare una foto, ci racconterà chi eravamo.

Un ragazzo una volta mi chiese se la sua vita sarebbe diventata come quelle dai suoi genitori: andare a lavorare, fare figli e pagare le bollette. Io gli parlai di sogni.

In questa storia si parla di sogni. Sì, quelli che ognuno di noi ha; non esistono uomini o donne senza sogni. Alcuni credono che i loro sogni siano andati distrutti, altri pensano di non averne perché li hanno dimenticati. Quello che ci piacerebbe realizzare della nostra vita è il motore che ci anima, certi motori borbottano, altri ronfano e alcuni di noi sono sordi, ma il motore batte e pulsa volendo o non volendo.

I sogni sono la linfa vitale di cui si nutrono i ragazzi, ma alle volte gli adulti ce la mettono tutta per disilluderli, di questo racconta Un’estate da cani, di chi non vuole rinunciare al proprio sogno.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso” diceva Nelson Mandela.

“Cosa vuoi diventare da grande? Felice” Risponde Thomas ne Il libro di tutte le cose di G. Kuijer

Ecco, chissà, forse vincere vuol dire trovare la propria felicità.

Orchidea è una bellissima Levriera che Loredana e la sua famiglia hanno adottato raccontandomi poi la sua storia.

Si parla anche di cani, sì ancora. Degli ultimi, quelli di cui proprio non importa a nessuno. Ci sono persone che si occupano di loro e mi pare bellissimo. Certo ci sono ingiustizie ben peggiori, ma sono convinta che di amore ce ne sia per tutti. Anche per gli animali e l’ambiente e senza far torto a nessuno. Io sono per includere e non escludere.

Infine, in questa storia, c’è un’omaggio a mia madre da sempre incallita giallista. Dei suoi racconti mi nutro io, che i gialli non li amo. Mi accompagnano da sempre nomi come Christie, Stout, Queen, Grisham, Camilleri, Patterson, Cornowell… serial killer e patologhe mi inseguono da sempre e non poteva tutto non confluire in un mitica Cena con delitto!

Ultima nota: Marisol esiste davvero. Non so se si chiami così, ma l’ho vista in ospedale mentre aspettavo di fare una banale visita specialistica. Lei era qualche metro più avanti e per rilassarsi faceva degli esercizi di respirazione in piedi, tra il muro grigio e la finestra. Era molto discreta, forse la notai davvero solo io e m’incantai a guardarla. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei e dalla sua figura luminosa. Cominciai a respirare come lei.

Le storie siamo noi.

Buona lettura e fatemi sapere!

Trama e dettagli su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

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Non crediamo più nelle storie?

foto-specchioQuest’anno il post natalizio è un po’ così. In realtà si tratta di una mia riflessione.

Le storie ci hanno tenuto compagnia dai tempi più antichi, hanno affascinato generazioni di bambini, ragazzi e adulti. Le ultime storie sono state quelle dei nonni o quelle raccontate mentre la sera nelle stalle ci si scaldava facendo filò. La narrazione orale ha trovato l’immortalità nella scrittura, i libri fissano le storie come il cinematografo ha fermato sulla pellicola il volto senza età degli attori. Oggi le storie non le racconta quasi più nessuno e pochi leggono i libri, ma riconoscendone il valore, le storie sono finite a scuola tra i banchi, prima o dopo la ricreazione.

Che bello!

Insomma.

Ci sono ancora i narratori? Sì, i narratori per bambini ci sono e la bellezza delle loro storie arriva in albi meravigliosi e in splendidi libri illustrati. Eppure non sempre raggiungono i bambini. Tranne il nobile lavoro di alcuni lettori volontari, a scuola quando arriva un autore si fa un “laboratorio”.

Che vuol dire? Che non si ha fiducia nella “storia”. Se si teme che questa non possa catturare i bambini la si imbriglia in altre attività: disegno, fumetto, teatrino, canzone.

Vuol dire che non è una buona storia allora, oppure che non si crede in essa. Oppure che non si credono i bambini capaci di ascoltare. Ma l’ascolto come la scrittura sono abilità e vanno esercitate. Se non crediamo nelle nostre storie e non crediamo nei bambini,  dovremmo cambiare mestiere.

Quando i bambini crescono, a scuola i libri diventano sempre più spesso un ausilio per lo studio, per l’educazione civica e quella sociale. Raramente per l’educazione ai sentimenti. Sono, a volte, il prolungamento di personalità autoriali affascinanti che diventano fulcro al posto delle storie. Giornalisti, storici, naturalisti non devono mancare tra i ragazzi e gli adolescenti, ma loro raccontano la Società, la Storia, la Natura, non “storie” (salvo eccezioni).

Non dobbiamo dimenticare che un buon libro ha il potere di istruirci empaticamente alla vita, perché allora proprio ai ragazzi e agli adolescenti arrivano più manuali che storie? Perché ostinarsi a spiegare concetti invece di lasciar vivere e sperimentare nelle storie?

Un buon libro che conquisti, emozioni e lasci ragazzi e adolescenti realmente affamati di altri libri, non arriva così facilmente tra le loro mani, nonostante gli eventi di promozione della lettura, i buoni librai e bibliotecari. Questo non perché manchino buoni narratori, ma perché non si crede più nelle storie, nel loro potere assoluto.

Un autore di libri o un illustratore tra i ragazzi e gli adolescenti dovrebbe essere sempre al servizio della sua storia, non viceversa, e sarebbe bello portare nelle scuole solo la passione per le buone storie, null’altro.

Se spacciamo buoni libri, questi creeranno dipendenza.

Capisco che vendere è il primo obbiettivo di una casa editrice e di un autore, ma come dimostrato fuori dal nostro Paese, se abbiamo fiducia nei nostri ragazzi e scriviamo buone storie facilmente arriverà anche la tranquillità economica.

Si cercano, invece, secondo me, delle scappatoie; è faticoso scalare una montagna, meglio girarci attorno, ma così facendo non sapremo mai cosa si prova quando si è in cima. L’aria fredda e tersa, il cielo di un colore indescrivibile, il grido dei rapaci, i mughi piegati, lo sguardo incerto di un camoscio, il nostro respiro che entra in sintonia con il silenzio.

Torniamo ad avere fiducia nelle storie e nei ragazzi, daremo vigore ai libri e creeremo lettori forti che sapranno costruire il loro domani con coraggio. Le storie non sono salvifiche più di qualsiasi altra forma d’arte, ma aiutano tutti noi a scegliere chi vogliamo essere in una società che ha conquistato la globalizzazione e la capacità di ignorare la sofferenza degli uomini, degli animali e della propria terra.

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AUGURI!

 

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io e te sull’isola che non c’è. Come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

Cattura.JPG cvCerte in un modo, alcune in un altro! Questo romanzo ha per me qualcosa di speciale perché racconta tante storie, ci sono tanti personaggi e ognuno con la propria vita, una sensibilità e un destino. Il romanzo è nato parlando di cani… e ti pareva! esclamerete subito, già ogni autore ha i suoi nervi sensibili, quella sua anima inquieta e sorniona che torna sempre nella storie. Quando presi con me Bryce conobbi un tipo di cinofila bella e un rapporto con gli animali, con i cani in particolare, straordinario. Si può, credetemi, addestrare un cane alle discipline più nobili in modo mostruoso, ma si può, per fortuna, anche lavorare sull’intesa e l’amore reciproco. Questa modalità a mio parere addestra cani sereni abili al soccorso, al sostegno delle disabilità umane e anche alla semplice compagnia. Con questi giovani cinofili allegri e espertissimi ho conosciuto cani speciali e, se me lo consentite, di grande personalità ed è nata la voglia di raccontarli. In “Io e te sull’isola che non c’è” si parla del rapporto con i cani come mezzo per allenare gli umani al linguaggio dell’empatia e della sensibilità. Il rapporto con gli animali ci insegna a non comunicare solo con la parola ma anche con il linguaggio del corpo e a essere più recettivi verso gli altri.

“Gli animali ci rendono tutti più umani”

Ma non si parla solo di cani, anzi, in questo romanzo torna una fiaba di Andersen “I cigni selvatici” che mi impressionò da bambina. Si parla di fiaba e di realtà e di quanto di magico (tra virgolette) ci sia nella vita. Credere a tutti i costi in qualcosa che solo noi abbiamo intravisto, avere fiducia nei fili da seguire che la vita ci mette tra le mani, raccontano che vivere non è solo quello che sperimentiamo con i cinque sensi. Empatie, sogni, emozioni non si toccano, annusano, vedono, sentono o assaporano ma ne percepiamo gli effetti se sappiamo metterci in posizione di ascolto.

Scrivere è un mestiere strano e la fantasia un’entità astratta. Bello aver fantasia, ma la fantasia non si tocca, non si trova ovunque e a cosa serve? Si sbarca il lunario con la fantasia? Forse no, quando si sale quella scala a pioli che porta su una nuvoletta fantastica tutto può accadere e solo lì, a mio parere, nasce davvero una buon romanzo.

Mi dicono spesso che nelle mie storie ci sono troppi personaggi e vie da seguire, eppure io credo che siamo tutti, ragazzi (soprattutto loro sono abilissimi) e non, in grado di seguire l’affresco variopinto e ricco di un romanzo, in grado di innamorarci di un protagonista oppure di personaggio antipatico, di scegliere i tramonti da dipingere con la mente e quali sguardi seguire. Vi lascio la mia storia… fatemi sapere!

…. Ah, dimenticavo: un grazie speciale a mio figlio grande (perché le mie storie sono sempre un affare di famiglia, leggere per credere Cortometraggio di famiglia) che ha ideato un bel titolo per questo romanzo!

Galleria fotografica dei protagonisti a quattro-zampe del romanzo! 

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Eko con Tabatha e Sancho – “…aveva pubblicato la foto di Eko con un mestolo da cucina in bocca. Aveva un’aria seria, solo un po’ scocciata, mentre la didascalia diceva: Stasera cucino io! “

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Eko (lo zio di Bry)- “…con una fetta biscottata in bilico sulla testa. Il cane aveva uno sguardo buffo perché lei lo fotografava sempre nelle pose più assurde, invece lui voleva solo papparsi la fetta fragrante!”

 

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Nana – “…l’aveva fotografata accucciata su un grosso vocabolario con gli occhiali da lettura sul naso e forse era davvero l’unico modo per descrivere Nana! “

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Emily – “Emily era sempre disponibile al gioco, ma non era invadente! “

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Emily – ” I suoi occhi cercavano Lucia e la invitavano a lasciare da parte i problemi quotidiani per perdersi con lei in un mondo di palline, salti, corse e coccole. “

 

 

 

 

 

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Cica (la nonna di Bry) – ” …due splendidi cani occupavano rispettivamente due poltrone e non si mossero. Erano le due femmine dell’allevamento: Cica e Queen. “

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Queenbee – “Queen e Cica, chiuse nella camera di Meggy, se ne stavano sulla terrazza attigua, fisse e immobili come statue, a osservare dall’alto cosa stesse accadendo nel loro regno”

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Jazz (Nel romanzo interpreta la parte dell’amico del cuore di Nico ed essendo una vera primadonna lo fa in modo esemplare!) “Jazz lo fissò scavando, con i suoi piccoli occhi scuri di cane fortunato, nel dolore del ragazzo…”

 

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Orma Rossa – … cui Lucia ha scippato il nome per il suo nickname!

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Bryce – “Si chiama Bry, sarà il tuo cane e insieme vi divertirete un mondo”

*I Border collie fotografati appartengono tutti alla famiglia (ops all’allevamento) Gingerbell.

 

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Cortometraggio di famiglia – Io e te sull’isola che non c’è

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Io lo chiamo fare squadra, essere un team… a casa mia dicono che frantumo i gioielli di famiglia. Non ho mai avuto una vita molto privata. Le finestre della mia casa sono spesso aperte, mi fermo a parlare con chiunque e quello che mi accade non è mai un mistero. Sono una vera donna in corriera e una madre da tartufo. Lo sono sempre stata. Non ho mai smesso di leggere un libro che mi piace, nel senso che anche quando le pagine finiscono continuo a immaginarne la storia. Quando termino un romanzo e viene pubblicato, la cosa non finisce lì. Dovrebbe, sia chiaro, i libri come i figli comminano da soli, ma mi piace trovare ancora spazi di vita in comune. Quando i miei libri arrivano nelle scuole, li accompagno volentieri, ne parlo volentieri e inventare dei video che li raccontino è un divertimento ulteriore… in cui, con naturale disinvoltura, coinvolgo “La famiglia”. Come madre e come donna economizzo, spazi, tempi e competenze… è un’attitudine femminile, si sa.

Stavolta il figlio piccolo ha preso le redini della cosa e ha scelto di usare il linguaggio cinematografico. Ha un socio e lo HA coinvolto; ha un fratello e degli amici, li HO coinvolti. La bellissima protagonista Heidi/Lucia è un’amica di mio figlio grande. Il figlio grande, ingenuo, si è fermato a pranzo con lei a casa. Ho capito subito che era la protagonista ideale per il video, ha un volto cinematografico e mi ricorda Uma Thurman (Ste ama Tarantino, no?) Lei, con la naturalezza di una grande attrice, ha accettato di recitare al primo tentativo che ho fatto di scritturarla.

Il bello dei ragazzi è che con semplicità disarmante si gettano nelle avventure senza vederne limiti o potenzialità, perchè fare è pensare, agire, sognare, realizzare, gettare via o recuperare… insomma vivere.

La vicina di casa, Silvia, è stata coinvolta per i primi piani delle dita sulla tastiera dopo un lapidario messaggio Wathsapp: hai le unghie laccate? Ci servirebbero unghie naturali… Che uno si chiede: … ma che razza di domanda è? La ragazza con Heidi nella foto, Eleonora, è stata coinvolta prima che uscisse con il fidanzato: ci serve una persona con i capelli lunghi e neri sulle spalle, subito!

Ancora non mi capacito di come gli amici ci dicano sempre di sì! Ci vogliono proprio bene.

Girare poi è stato fantastico: l’auto guidata da me che faceva da carrello, la casa di un’amica come set, il figlio grande (attore consumato nell’animo) beccato prima di andare al lavoro e tra le pagine di un esame di Diritto… pochi mezzi ma tanta creatività. Il cinema, dove si può, s’inventa, è sempre stato così. Andrea- RegiaRipreseMontaggio e Stefano-RegiaRipreseMontaggio sono creativi a incastro: quello che non riesce a fare uno, lo sa fare l’altro. Hanno avuto idee superbe e hanno scartato alcune delle mie, per fortuna. Infine la musica di Ste, magia pura che esce dalle dita e dal cuore. Insomma prodotto finale carico di energia vitale e bellezza. Quante cose si possono muovere da un libro e da una storia.

Un grazie affettuoso a voi tutti che avete realizzato questo video, buona fortuna a voi e ai vostri sogni; a me avete regalato momenti divertenti e momenti intensi, momenti che accendono vita e storie.

Grazie ragazzi, nella vita, come nelle mie storie, voi farete grandi cose e ci regalerete un futuro in full HD.

 

Leggi anche Come nascono le storie. Io e te sull’isola che non c’è 

La Glens Production è un’idea di  Andrea Nizzoli e Stefano Santini.

 

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Il segreto del manoscritto, come nascono le mie storie

          IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO Notes Edizioni 2016/2023

NUOVA COPERTINA DI CINZIA GHIGLIANO

A fine marzo 2016 in libreria il libro che ha vinto il Premio Giovanna Righini Ricci con la splendida copertina di Cinzia Ghigliano.

Sono felice che la storia scelta dalla giuria ragazzi del Premio sia stata approvata da Carla C. Martino della Notes Edizioni. E’ bello che i giovani lettori vedano riconosciuta la loro valutazione di un manoscritto da parte di una casa editrice di qualità. Sono felice di dimostrare ai giovani giurati che non hanno letto e discusso invano, perchè a questo serve un Premio Letterario: a farci intendere che leggere, produrre libri e proporli in libreria non è inutile. Se quei ragazzi hanno saputo scegliere una storia da pubblicare a dodici anni, possono continuare a leggere e valutare libri per tutta la vita!

Leggere ci rende liberi, liberi di immaginare una storia oppure di chiudere un libro. Liberi di decidere. Con un libro tra le mani e la testa tra le pagine facciamo piccoli esercizi di autonomia e impariamo a vivere. Tutti!

Come nascono le storie?

Sono cresciuta con racconti di ogni tipo, ma adoravo sentir leggere mia madre che traduceva a braccio dal francese le avventure di Arsène Lupin di Maurice Leblanc.

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aiguille creuse

Figurarsi l’emozione quando, qualche anno fa, visitando  la cittadina di Etretat nell’alta Normandia vidi la casa appartenuta all’autore dei romanzi del famoso ladro gentiluomo. Proprio lì nacque l’idea di questa storia. Quel giorno piovigginava e l’aria era ferma e grigia. Non c’era nessuno per le strade di quella cittadina e anche la “guglia cava”, che ispirò la prima avventura di Arsène Lupin nel romanzo “L’Aigulle creuse” uscito prima a puntate e poi in libreria nel 1909,  aveva un aspetto misterioso.

Immaginai una casa antica divenuta museo e una ragazzina appassionata di misteri. Un Arsenio Lupin tutto italiano, un piccolo paese  su un’isola che vive solo di turismo e rocce a picco su un mare meraviglioso.

Voilà: Il segreto del manoscritto!

Indi tra i non ti scordar di me

D’accordo nella mia storia non poteva mancare un gatto un po’ magico, possibilmente bianco come il mio Indi.

Ancora una cosa volevo raccontare: “La vita era dura, alle volte era difficile andare avanti, ma c’era unione tra le famiglie. Gli uomini si aiutavano nella pesca, i bambini crescevano insieme e se si era in difficoltà, si ricorreva all’esperienza degli anziani. E le donne… le donne erano lavoratrici, educatrici e motore della vita dell’intero borgo.” Volevo raccontare del passato e di un gioiello antico che passa di mano in mano tra le donne di diverse generazioni per arrivare a una ragazzina che raccoglie anche la meravigliosa eredità di scrittrice del bisnonno.

IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO di Giuliana Facchini – marzo 2016 –  Notes Edizioni – Collana: Schegge – In copertina disegno di Cinzia Ghigliano – Pagine: 144 – Età di lettura: 12 anni

Premio Inediti 2015 Giovanna Righini Ricci

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In un piccolo paese sul mare. Su un’isola. Una vecchia casa trasformata in museo per turisti, ricca di mobili d’epoca, quadri, collezioni di libri antichi di un famoso scrittore di inizio Novecento, Ludovico Bardo. Una ragazza di dodici anni, Susi, che abita lì perché quella è la casa del bisnonno scrittore, unica eredità rimasta di fortune passate. L’amico di sempre di Susi, Antonio. La bellissima cugina tredicenne Cecilia, che arriva dalla città convinta che su quella piccola isola si annoierà a morte. Un misterioso gatto bianco che di notte guida Susi nei segreti delle stanze. Un manoscritto nascosto in cui si narra di gioielli rubati, di una misteriosa ballerina russa, di una villa a picco sul mare, di una grotta dissimulata sulla scogliera. Un antico medaglione.

Fatti risalenti alla seconda guerra mondiale dei quali le vecchie donne del paese bisbigliano ancora i segreti…

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Come conchiglie sulla spiaggia. Come nascono le storie

Come nascono le storie?

Quella poesia del Carducci mi ronzava in testa da sempre e quando capitava che con i miei bambini mi ritrovavo nella nebbia fitta del nord, cominciavo a declamarla. Loro frequentavano una scuola materna un po’ fuori del paese e per raggiungerla facevamo in macchina una stradina tra i campi avvolti spesso nella bruma del primo mattino. Niente mare, ma “la nebbia agli irti colli” nasceva in coro dalle nostre voci.

conchiglie bozza 2 - CopiaDa lì, il salto di quei versi in una storia era inevitabile e quando tantissimo tempo fa, in un paesetto toscano, mi ritrovai in un bar del porto a guardare il mare in burrasca e la pioggia e il grigio dell’aria, un’immagine s’aggiunse a quella poesia.

Come nascono le storie:

10574530_938416286169367_2866358887101394810_nAntonella era una ragazzina iperattiva: scarpe da ginnastica e capellino in testa e il mondo era ai suoi piedi! La vedevo scorrazzare in paese e sulla spiaggia, sempre in cerca di qualcosa e quando si arrampicò sul muro di quel vecchio capannone abbandonato, col rischio di cadere e farsi male, cercavo proprio d’immaginare cosa avrebbe potuto vedere. Attendevo quasi con ansia di capire cosa c’era all’interno e quando i suoi occhi si riempirono di dubbi davanti a quel posto stipato di bambini operosi e tristi, la storia era già tutta lì, pronta per essere scritta.

Tra le righe s’infilò a forza un gatto, grosso e battagliero, che voleva a tutti i costi una parte da coprotagonista e, si sa, i gatti ottengono sempre quello che cover (2)vogliono. Però, non accettai discussioni, avrebbe avuto accanto il maestro Oreste: canuto, grassoccio, curioso quanto basta per stare dietro a una come Toni.

Eppure la storia non era ancora completa, come quando sappiamo che stiamo dimenticando qualcosa ma non capiamo cosa. Per fortuna la soluzione era lì davanti a me. Ogni mattina quando aprivo facebook c’era una nuova poesia di Roberta ad attendermi. La mia Toni disse per caso che le poesie arrivano Come conchiglie sulla spiaggia e io capii CHI avrebbe lasciato cadere nel mare i versi delle sue poesie.

Come nascono le storie!

Come abbia fatto Erika a disegnare così bene quei personaggi che io mi vedo davanti in carne e ossa, quasi non me lo spiego, perché noi non ci siamo mai parlate, non ci conosciamo neanche. E forse quel gattaccio marinaio e furbissimo ha convinto Fulvia a far diventare la sua storia un libro vero, fatto di carta e inchiostro, s’è inventato sicuramente un qualche strano sortilegio per stregarla, ma è pur vero che quando nascono, le storie, poi vivono da sole.

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Come conchiglie sulla spiaggia di Giuliana Facchini, con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri. Edizioni Paoline – collana: Il parco delle storie.

Un romanzo per bambini dai nove anni in poi, ma da leggere ad alta voce a chiunque.