Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Cronache del nido vuoto

Quando il cane è caduto in depressione per la sindrome da nido vuoto, ho capito che qualcosa di snaturato in me, in quanto madre, doveva esserci.

Essere madre, cosa significa essere madre? È una domanda spinosa, la vita è bella come una rosa, ma se vuoi prenderla in mano capace che punga.

Mio figlio grande è andato a vivere da solo e ne sono felice, anche io alla sua età ho fatto lo stesso. Curioso come quando se ne vanno lascino una scia dietro di loro di vuoto, ma anche di polvere, mobili mancanti, armadio e credenza saccheggiati.

Ma essere madre non è facile quando ti dice che i suoi compagni d’appartamento, in Italia se non ti arrangi a vivere da solo non ci vai, sono arrivati con le sporte cariche di viveri, ben rimpinzati -loro- dalle madri (mi domando se lo fanno per la gioia di liberarsene o per ingrassarli di amore). E lui no, mi rimprovera che ha dovuto fare una puntata al supermercato per cenare dopo una giornataccia di lavoro e trasloco. Lui, povera unica anima che lavora.

Essere madre non è facile. Non lo è dai tempi della scuola elementare quando tutte, mamme e nonne, facevano torte nel giorno in cui si fanno le torte per raccogliere fondi per questo o quello. Allora io arrivavo con la torta comprata, accuratamente scartocciata e ri-impacchettata a modino per infonderle l’aspetto casalingo. E mentivo. Se anche riuscivo a gabbarle tutte – nessuna mi ha mai smascherata in pubblico – durissimo era quando mi facevano i complimenti e mi chiedevano la ricetta.

Annuivo, sorridevo e annuivo.

Sapeste quanti si salvano sorridendo e annuendo.

Malefiche mamme e nonne perfette. Femminilità a tutto tondo che inforna con i tacchi a spillo e la guêpière (mai portata la guêpière, forse per questo che sono madre single). Io no, io sorrido e annuisco con garbo, molto garbo. Che poi la mia torta era chimicamente più sicura, diciamocelo pure. E se a una mamma perfetta impazziva il burro mentre intortava? Poteva venir fuori un dolce matto che faceva ammattire i bambini. Vabbè, a loro non è mai successo di far impazzire il burro, non rientra nell’ordine naturale delle cose.

Comunque, poi si cresce e le questioni sono altre. Il figlio piccolo si laurea. Laurea triennale, mica Nobel alla letteratura, anche se la laurea era in lettere, lo ammetto. In un’altra città, dunque: organizzi il tuo lavoro, la trasferta, la nonna da portare, coordini con l’ex marito e la sua feroce compagna, il figlio grande e i suoi impegni, procuri il regalo simbolico che gli resterà tutta la vita, i confetti e la diretta smartphone con la fidanzata che non può venire per ragioni di studio. E non pensi alla corona d’alloro. Il pensiero ti sfugge. E quando al dunque tutti la cercano, tu cadi dalle nuvole: ma serviva ora?, chiedi. Non si sfoggia solo alla magistrale?  I compagni di corso, inutile dirlo, hanno stuoli di familiari al seguito (noi siamo in 4), bomboniere rosse con il tocco, spumante, eleganza stile matrimonio e lussuosa corona d’alloro.

È difficile essere madre colta in flagrante, perché è indiscutibilmente colpa tua. E qui non è questione di guêpière o meno (che poi anche la mutanda nera con un filo di pizzo ha il suo perché). Sei tu che pensi a tutto e se pensi a tutto, a tutto devi pensare non puoi mica omettere, neanche presentando adeguate ragioni.

E allora annuisci, sorridi e annuisci.

Tuo figlio piccolo (si fa per dire), il laureando, che è il più accomodante della famiglia, anche se solo in un fugace momento, ti fa gli occhiacci e la coscienza di madre perfetta morderebbe allo stomaco. Ma tu non sei perfetta e annuisci e sorridi. L’amico, compagno di corso, gli presta la SUA (maledetta) corona d’alloro per le foto. Per quelle basta sorridere, non serve annuire che nella foto vieni mossa o con le smorfie, ma capisci bene che tutti considerano la cosa umiliante e come madre dovresti sentirti almeno un po’ snaturata o contrita.

E invece niente.

Il giorno dopo sei anche capace di trasformare l’umiliazione in una preziosa lezione di vita. Mica sei scrittrice “per” ragazzi da anni per nulla. Così sai, hai provato sulla tua pelle come si sentiva quel compagno che a scuola arrivava sempre senza merenda (e lui mai, mai arrivato senza merenda) e quello che aveva sempre bisogno di un passaggio perché nessuno lo accompagnava dove con i mezzi pubblici non si arrivava, mentre io fornivo la migliore versione di me come autista di taxi multi-posto. Ecco, fai tesoro.

Tutto nella vita serve. A parte la corona d’alloro.

E così sempre alla ricerca della madre perfetta, che da qualche parte in me deve esserci, la mattina dopo i rimproveri del figlio grande che è andato a vivere da solo con la Play Station, i volumi di Tolkien e gli amici del cuore, ma sembra sia stato abbandonato sulla ruota di qualche convento, riempi la sacca di tela di pasta, biscotti, pizza e in mezzo, con soggezione, quasi nascondi la bottiglia del Gin e quella del Whisky che ti ha chiesto di portagli, che ha dimenticato a casa. E vai a piedi mica devi guidare. Tu, che sei praticamente astemia e i superalcolici ti fa schifo anche solo toccarli e vederli nella credenza, li involti in doppio strato di plastica anti-ecologica e glieli porti. Sono suoi, li ha comprati lui quando aveva trasformato la taverna di casa nella sua tana per trovarsi con gli amici. E ti senti snaturata come madre a portagli gli alcolici, anche se non lo hai mai avuto sentore che si sia ubriacato o peggio. Quindi ti assolvi. Tu snaturata, non batti ciglia e gli dai fiducia, come hai fatto con le ragazze con cui hanno dormito-non-dormito nel letto matrimoniale della mansarda. Che l’esperienza serve tutta, sempre, appunto.

Vorrei precisare che non ho un castello come casa; è vecchia ma grande, anti-ecologica, cigolante, ospitale e con una certa personalità.

In finale, insomma: snaturata ma assolta.

Con un soffio sgrullo fuori dal nido vuoto l’ultima piumetta, elimino una foglia secca, pesto bene il guano che fa da pavimento e mi piazzo in poltrona con un buon libro e una tazza di tè nero all’arancio.  Devo ricordarmi di mettere un post-it sulla mia anima, perché nella prossima vita vorrei un compagno che mi ami, cucini, faccia torte, accudisca e mi lasci leggere e scrivere in pace; a fare figli ci penso io, che mi vengono bene.

In un mondo di affidabile incertezza, auguro a tutti buone feste pasquali e un po’ di normalità, che aiuta, ne sono certa.

(La tazza della foto è di http://www.meditathe.com)