Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Il cuore è un tubetto di dentifricio

Scusa

Scusa

Scusa

Ho parlato,

Ma dovevo stare zitta.

È che non ci riesco

Mi si mettono in coda le parole in gola.

Premono

Urtano

Spintonano

Più stan lì e più fremono

e poi escono dissociate,

Sbraitate,

Incoerenti,

Scordate

Non si legano perché hanno aspettato troppo.

E sono così agitate che scodellano frasi illogiche.

Ammucchiate a caso

Buffe

“Ma che stai dicendo?”

Mannaggia a loro

Mannaggia a me

Mannaggia a noi

che siamo tubetto di dentifricio strizzato di colpo

e pasta al gusto di menta che esplode fuori.

Che poi le parole sono come il dentifricio.

Uno schizzo di dentifricio non si toglie facilmente dalla maglietta.

Spazzoli, sciacqui, sputi e resta appiccicato uno schizzo bianco sul petto, in alto a sinistra.

E quel giorno hai la maglia nera.

Che fai, ti cambi?

Non c’hai tempo, poi sta bene con i pantaloni e pure con le scarpe.

Quella volevi metterti, ma per tutto il giorno lo schizzo lo vedrai,

magari solo tu,

lo vedrai

ossessivamente

sicuramente

tu.

E immagina tanti schizzi a macchiare l’aria o la faccia di chi mi sta davanti quando le parole esplodono fuori.

Che non sono saliva, quella fa schifo ma si asciuga e non resta.

Le parole restano appiccicate

e sono uscite da me,

ne sono responsabile.

Anche se l’incoerenza delle parole assomiglia allo sfogo,

io mi capisco

e pure mi vergogno un po’.

E nel pieno della ragione sono riuscita a non dire niente,

a darmi torto.

Ma siamo fatti di cuore.

E se lo strizzi escono parole vere,

al sapore di menta anche se non mentono,

e non hanno senso se sono dovute uscire.

Il cuore non parla

Lo devi capire da fuori.

Se lo faccio parlare,

Non lo hai capito

E le parole non lo possono spiegare.

Il cuore è un tubetto di dentifricio.

Non te lo dimenticare.

Scusa ancora

Scusa ancora

Scusa ancora ops!

Mi sono rotta un’unghia mentre stringevo forte il tappo del tubetto di dentifricio.

Ho parlato,

Ma dovevo stare zitta.

Strizzare il cuore per unə come te non vale mai la pena.

E io non me lo devo dimenticare.

*Scritta da Giuliana Facchini – diritti riservati

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Ma è davvero un lavoro?

Io nella mia vita non ho mai avuto bisogno di soldi fino a cinquant’anni. Non mi sono proprio mai posta il problema di spendere o non spendere. Sono andata via da Roma e poi dall’Italia e poi sono arrivati i figli e ho semplicemente fatto. La madre, la moglie, la figlia e tutti i mestieri di mezzo. Appena avevo un buco leggevo o scrivevo. A cinquant’anni mi sono ritrovata sola in una città che non era la mia, con due figli, una madre anziana, il conto in banca a zero, sette romanzi pubblicati e socia Icwa.

Incomprensibilmente non avevo mai trovato il tempo per pensare a una mia reale indipendenza economica, assorbita com’ero dalle mie infantili certezze di felicità. Vai a fare la commessa, mi è stato detto. Io un lavoro ce l’ho, ho risposto. Oggi quel lavoro, la scrittrice di romanzi per ragazzi e ragazze, mi aiuta a sopravvivere, ma mi fa arrabbiare, anzi incazzare, il fatto che non sia riconosciuto come lavoro (come tutti i mestieri creativi). Perché da questo fatto partono i guai per chi di scrittura vuole vivere.

Gli autori fiamminghi hanno un sostegno statale per preservare la qualità del loro lavoro, i francesi le royalty per i prestiti bibliotecari dei loro romanzi, molti Paesi traducono per l’estero per esportare la propria cultura. Ma questo lo sappiamo già. E noi? Quanti provano a vivere di scrittura? Le librerie indipendenti chiudono. I pochi lettori sono contesi. Le scuole sono un bacino unico appetibilissimo e subissato di proposte.

Però scrivere resta il sogno di tanti. Perché è così affascinante essere letti? I corsi di scrittura creativa si moltiplicano e quindi la richiesta di una professionalità in questo campo esiste. Ma leggere, non leggono in tanti. Colui o colei che va in libreria o in biblioteca per trovare qualcosa da leggere non è quantizzabile in Italia. O meglio, forse, non è giustificata la mole di libri che esce per quanti leggono.

Un mondo editoriale che continua a sfornare libri ma non forma lettori è destinato al collasso. E collasso è già, se un grande marchio editoriale ricorre al romanzetto sgrammaticato per far cassa. E l’asticella di quello che fa bene ai lettori, e li conserva nel tempo, si abbassa.

Per fare un lettore ci vuole un buon romanzo e una politica di educazione alla lettura promossa a livello istituzionale.

Sento parlare di letteratura che deve coinvolgere il lettore, trascinarlo altrove, e denigrare ogni tentativo commerciale o parascolastico. Ma che senso ha? Prima di sdegnarsi bisogna avere un quadro chiaro di cosa sia il mondo del lavoro in Italia e il lavoro creativo vive della clandestinità e della professionalità castrata al pari di chi finisce per raccogliere pomodori. Lo so, appare irrispettoso scriverlo, mi scuso, ma è una frase che deve fare male.

Per come la vedo io l’unica speranza sono i circoli letterari e i gdl, una lucina in fondo al tunnel. Quelli che leggono per scelta, l’unico bacino che conta, che dobbiamo alimentare, da cui partire.

Per carità ci sarebbero le scuole, ma lì la lettura è arma a doppio taglio, si può far molto bene e si può far male. Dipende dalle competenze e dall’impegno. Dipende da come e quanto ci si crede.

Come molte di quelle che fanno il mio mestiere ricevo inviti per incontri e presentazioni. Negli ultimi mesi ho ricevuto in particolare tre mail di professori che mi chiedevano di andare nelle loro scuole. Entusiasti dei miei romanzi.  Non un accenno alle spese di viaggio. Io rispondo sempre che se l’acquisto delle copie è importante si rivolgano alla mia casa editrice o a una libreria che organizzano loro, diversamente chiedo un compenso (ovviamente vado gratuitamente dove opportuno, non sono una snob, indosso scarpe basse e faccio passi ben distesi). Avendo una partita Iva posso emettere fattura elettronica e lavorare con le scuole. Ho più del 30% di oneri e le spese di viaggio, quello che mi resta è il giusto per progettualità, impegno e fatica per un incontro ben strutturato con studenti e studentesse (il famoso esperto esterno). Il 20% della ritenuta d’acconto usato per la prestazione occasionale, che ridurrebbe i costi, non è applicabile perché ha un tetto massimo e per alcuni progetti bisogna emettere per obbligo fattura elettronica.

 Da nessuna di quelle tre particolari mail ho avuto replica, neanche un no grazie. Dall’entusiasmo a un silenzio maleducato e si può immaginare scandalizzato.

Noi le facciamo il favore di acquistare una copia e di leggere!

È ignoranza, non è cattiveria, nel senso che non sanno cosa sia il mondo editoriale. Come per chi varca la scoglia di un supermercato e non immagina chi lo abbia costruito e come. Ed entrerebbero in campo le regole e le leggi.

È, invece, tutto scandalosamente al ribasso.

In quelle scuole andrà chi non ha chiesto compenso e per venti copie vendute (forse) e quindi 20 euro di diritti (forse). Chi è costui o costei? È ricco di famiglia o ha un altro lavoro (non accenno neanche al sottobosco di improvvisatori). Quindi cosa privilegiamo? Non certo una professione che deve essere riconosciuta come tale. Non che chi faccia un altro lavoro con cui campa non sia un bravo scrittore o scrittrice, ci mancherebbe e ce ne sono di bravissimi e bravissime.

Ma potersi dedicare totalmente alla scrittura ha dei vantaggi come il tempo, le energie, la concentrazione e ovviamente dignità da offrire alla professione. Dovrebbe essere un diritto per tutti poter fare il proprio mestiere, soprattutto se lo si sa fare bene.

Ma cosa significa esattamente vivere di scrittura? E come si possono cambiare le cose per avvicinarci agli standard europei? Alla prossima.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Un buon romanzo è sempre politico

Ieri sera Gramellini (In altre parole, La7) ha detto qualcosa che aspettavo da tempo.

Gramellini, con la dovuta educazione, ha preso la distanza dagli sdraiati, giovani inetti, spesso additati come tali per consuetudine, perché fa audience e anche un po’ per tradizione.

Gli sdraiati di M. Serra è un romanzo che non ho apprezzato e di cui non ho apprezzato neanche la ri-presentazione nel programma La torre di Babele, La7, di Augias (per cui ho grande stima) facendo comunque virare il senso della trama perché non si focalizzasse sul titolo. Ma quel libro è il suo titolo! Ho apprezzato poco anche quanto detto nella puntata Augias-Serra e in quella Augias-Galimberti sul nichilismo giovanile. Soprattutto mi ha tanto irritato il passaggio velocissimo sui movimenti ecologisti, lodati ma definiti irrisori, che non fanno la differenza. Mi sorprende come nessuno abbia considerato la velocità dei cambiamenti odierni. Oggi tutto cambia molto più velocemente che in passato e vale anche se parliamo di ragazzi e di ragazze.

Dalla manifestazione Cecchettin i movimenti giovanili, sono mutati. Quel terribile episodio è stato drammaticamente determinante. A Pisa sono scesi in tantissimi in piazza contro la violenza gratuita dispensata agli studenti e alle studentesse. Dal libro di Galimberti sul nichilismo a oggi le cose sono già cambiate. E mi dispiace che due grandi intellettuali non si siamo fermati proprio su quella scintilla che sono i movimenti ambientalisti per parlare dei giovani e non si siano schierati dalla loro parte per dar loro forza, come padrini. Ho apprezzato il discorso sulle donne in piazza per i loro diritti, ma c’erano anche i loro amici maschi in piazza. I giovani appunto, senza badare al genere. E anche i meno giovani, scusate, eh.

Più la maestra dice che non sa fare e più il bambino non fa. Più lei vede (anche poco) fatto bene e più il bambino farà bene. Questo è un principio che vale sempre.
Gramellini a mio pare ha saputo leggere i nostri tempi, o almeno la sua lettura è la mia.

E chi scrive, anche romanzi per ragazzi e ragazze, fa politica.

Un buon romanzo (come diceva Michela Murgia) fa sempre politica. E aggiungo, è pratica, non teoria, proprio per questo.

A volte finisco di leggere un romanzo e ci penso o solo capisco che qualcosa in me si è mosso. Ogni piccolo cambiamento ci muove verso il pensiero libero e autonomo.

Un buon romanzo esprime un giudizio sui tempi e lo caldeggia, non dando risposte facili, ma condividendo un amore. Io scrivo di ragazzi e ragazze perché vedo in loro delle promesse, mi fido, mi appassiono e per me gli sdraiati sono rimasti sepolti tra le pagine di un libro brutto.

Invece, quanto può far male un libro che diventa best seller seguendo l’onda di quello che più piace perché più comodo e confortevole? È politica. È irresponsabilità. Molto più faticoso essere dalla parte dei giovani, molto più faticoso spiegare cosa sia l’amore tossico.

Tornando alla romanziera che sono, nel mio piccolissimo ho scritto Borders che è un grido ambientalista, dove la vecchia Olmo mette nelle mani di una ragazza e tre ragazzi il destino della biodiversità, e No Borders dove a insorgere per una rivoluzione di idee sono i giovani.

Attraverso il romanzo condivido speranza nel futuro e questa passa per i giovani e questa è politica e attualità. Una distopia (i miei sono romanzi distopici) parla del futuro ma racconta il presente.

Io mi fido dei giovani, questo sto dicendo pur solo scrivendo una storia. E se vengono presi a manganellate dei ragazzini a volto scoperto è perché fa paura quello che potrebbero diventare. Fa paura il rinnovamento che logora il sistema politico vecchio e corrotto. È il germe di qualcosa. Certo, per me è facile scriverlo in un romanzo, la vita è altro, ma è una visione. La mia sicuramente.

Ed è una possibilità. Che da adulti responsabili dobbiamo darci e dare ai giovani.

Io non sono nessuno, per carità, ma credo in quello che faccio e nel come lo faccio. Immagino che non basti, ma la strada è quella giusta e di questo sono sicura.

Non è tutto guadagno economico e successo, non si può sempre tacere perché non faremo mai la differenza.

Quale scopo abbiamo nella vita se non quello nobile di seminare qualcosa che non vedremo mai crescere?

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

“…ed al festivo il giorno volgar succede, e se ne porta il tempo” (Leopardi)

Novembre e dicembre 2023 sono stati mesi in cui è successo tantissimo.
L’apice è stato il Torino Film Festival dove ho proposto Borders a un pubblico di addetti ai lavori. Ne passa che diventi film, serie o film d’animazione, ma non è questo il punto. Il punto è essere arrivata lì.

La sera prima, quella della prova generale, sono uscita abbattuta da Il circolo dei lettori. Mi ero preparata, come faccio sempre, ma l’obiettivo da raggiungere sembrava spostarsi ogni volta e sono stata l’unica dei presenti a cui è stato fatto ripetere due volte il pitching. Tornando in albergo avevo di nuovo, come tante volte era capitato in passato, la sensazione di essere stonata, di non riuscire ad accordarmi con gli altri. Ho camminato da sola e c’era traffico per le strade, luci e freddo. Mi sono comprata un’insalata da McDonald’s perché non ero dell’umore di prenderla altrove. Sotto i portici dormivano i senzatetto, una coppia sotto una trapunta a fiorellini come se quell’angolo di strada fosse casa. Il vuoto dentro si allargava. Sono arrivata in albergo e mi sono sentita ancora più sola in quello che era un enorme miniappartamento. Ho mangiato seduta a gambe incrociate sul letto, in una piccola tana e poi mi sono addormentata. Mi avevano detto: ripassa e preparati stasera, ma io ero in piedi dalle sei del mattino e prima di Torino ero stata a due incontri in una scuola a Vicenza.

Il giorno dopo, molto presto, in un bar bruttino, davanti al caffè amaro, ho capito cosa stavo sbagliando. Mi ero dimenticata quello in cui credo ormai da un po’, mi ero distratta, ecco.

Dopo poche ore avrei avuto davanti un pubblico speciale, in una sala spettacolare e dovevo solo raccontare una storia di cui conosco anche le virgole. Dovevo farlo in sei minuti, d’accordo, ma avrei guardato i volti degli spettatori, avrei cercato l’attenzione, avrei respirato con gli sguardi puntati su di me. Ci sarei stata io con un mio romanzo, chi lo avrebbe immaginato? Salire su quel palco era una fantastica occasione da vivere e io me la stavo perdendo.


Credo, alla fine, di aver fatto un buon pitching, o almeno io sono soddisfatta e se ho dimenticato qualcosa chi era con me sul palco mi ha aiutata. Perché ci si può aiutare. Ogni giorno è prezioso e va assaporato, compreso, vissuto pienamente perché poi passa, solo così tutto ha un senso. Scrivere romanzi non è un mestiere solitario, dentro e fuori dalle storie c’è relazione. Ed è così che voglio stare in mezzo alle persone, senza sprecare niente, neanche un momento. Guadagno poco, lotto parecchio e il mio lavoro creativo di scrittrice che racconta soprattutto di ragazzi e ragazze resta un privilegio da vivere onestamente con me stessa e con gli altri.

Anche se mi capita di distrarmi, l’importante è ritrovarmi.

Non sono tempi in cui sciupare il buono.

Serene festività!

Per i miei libri qui: Romanzi di Giuliana Facchini

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

No Borders, come nascono le mie storie

Esisteranno sempre ragazzi rivoluzionari e ragazze rivoluzionarie perché solo loro sanno mostrarci il domani migliore.

No Borders è il secondo capitolo di una storia iniziata con Borders.

Fin da subito sapevo che sarebbe stato un romanzo lungo, anche se non sono una che inizialmente pensa troppo alla struttura. Era più un sentire, un bisogno lungo di raccontare, pieno di domande senza risposte, di questioni da aprire, di timori da condividere e di speranze da tenere vive insieme ai lettori e alle lettrici.

Prima di iniziare a scrivere Borders sapevo già tutto, qualcosa più consapevolmente di qualcos’altro. Sapevo quanto doveva accadere, ma non come. Non ho mai scritto una storia a caso, ma neanche troppo precostruita, non è il mio di mestiere quello. Non sono capace, invece per me sta tutto nell’equilibrio.

Scrivere è sfida e scommessa nell’originalità dell’idea. Fatica e divertimento nella stesura. Essere dentro ed essere fuori per quello che c’è di me nella storia.

Certo, il primo volume era soprattutto un grido ambientalista, quello che volevo era un romanzo avvincente d’avventura che parlasse di biodiversità, pianeta, estinzione. L’avventura è solo il come e può bastarci benissimo, la lettura è libertà, ma se ci si vuole fermare sulle pagine di Borders, si può. (È capitato di farlo con i lettori e le lettrici.)

Stesso discorso per No Borders, in cui se pur non abbandonando nulla della prima storia, sono andata oltre: un uomo che si aggira intorno al villaggio viene catturato, cosa se ne deve fare di lui? È estraneo, ruba, non è sano di mente e il cibo costa fatica, la vita è dura, e allora? Bisogna riprodursi per sopravvivere e sono le donne a rischiare la vita per generarne di nuova, quindi? Ma quando la paura non esiste, il cibo non manca, non ci sono armi o criminali, i bambini e le bambine nascono sempre sani, i passi non si sentono sul pavimento fonoassorbente, le foglie secche non frusciano sotto i piedi, né alcun insetto infastidisce la luce dei lampioni? Quando tutto per te è già stato scritto e tu non conosci storie per immaginare la tua vita, cosa accade? Dunque, i semi li hanno, ma come si fa una rivoluzione?

Il mondo fuori Magnolia e quello dentro entrano in collisione e sono una ragazza e tre ragazzi a farlo accadere. Con l’aiuto di una civetta e di un cane. E con Ash che non sa chi è, Lara che lo sa benissimo e Juliet che arriva dritta da un romanzo scritto nel mondo di prima. E nel mezzo lo sconfinato deserto di cemento che ti uccide con il caldo soffocante o con il freddo irrespirabile.

«Forse era solo il momento giusto, forse c’entra la loro fuga e Olmo lo sapeva, forse terra fertile e buone storie sono davvero bisogni primari come cibo e acqua.»

Le distopie e i romanzi post apocalittici parlano del futuro ma sottintendono il presente e quindi le mie idee sono quelle dell’oggi che vanno a sistemarsi nel domani. E diventano altro.

Ho messo insieme la fiducia che io ho (e ho sempre avuto) in Lindgren, Alcott, Dickens e Verne e nei giovani e nelle giovani di oggi, il potere delle storie che alimenta da sempre l’umanità, infiniti dubbi e questioni opposte. Quello che è venuto fuori è una possibilità tra tantissime. Ma è anche la fiducia che questa possibilità esista, che possiamo trovarla solo se la cerchiamo.

Queste idee si potevano raccontare in tanti modi diversi, ho scelto di provare a non dare nulla per scontato, a non lusingare nessuno, a non inseguire i bisogni del momento, ma a far parlare solo la narrazione. Il modo più difficile.

Le storie sono pratica non teoria. Se sono riuscita a scrivere una buona storia vi si potrà sperimentare che un domani migliore è sempre possibile, anche se per costruirlo ci vuole pazienza. Il come sarà avventuroso, si deve essere pronti.

E soprattutto i romanzi sono dei lettori non di chi li scrive, quindi posso solo sperare che tutto quello che per me è stato scintilla diventi fuoco nell’immaginazione dei lettori e delle lettrici e li porti altrove, non importa dove.

Non siamo liberi in nessun luogo come in un buon romanzo.

Io ci ho provato ancora, dopo Borders, a scrivere un buon romanzo, ora tocca a voi, ma fatemi sapere!

Per vedere l’intervista Achab Rai2
Per vedere l’intervista Achab Rai2

Ma il futuro si può decidere?

BORDERS ha ricevuto il Premio Rodari 2022, il Premio LibroAperto 2023 ed è stato finalista al Premio Orbil 2023.

COPERTINE MERAVIGLIOSE DI MARA BECCHETTI

Grazie a Giovanni della libreria Terra di mezzo di Bussolengo per le chiacchiere distopico-formative e agli amici marconisti che mi hanno spigato quel poco che so delle radiofrequenze.

Grazie a tutti quelli e quelle di Sinnos Editrice, perché questa mia lunga storia non poteva incontrare mani migliori (leggete il loro articolo: La rivoluzione dei ragazzi e delle ragazze). Grazie a Della, amica cara ed editrice coraggiosa; a Federico che sa guardare quello che io non vedo, e per chi scrive romanzi non c’è nulla di più prezioso; a Emanuela che è insostituibile e bella come poche; a chi non cito, ma c’è.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Il dovere di sentirmi inutile nel romanzo

A volte penso che siamo troppo impegnati a insegnare qualcosa, a preoccuparci di far insegnare, a privilegiare la lezione frontale, anche nascosta o infiocchettata. Trascuriamo troppo spesso il romanzo e basta, quello che non è storia vera ma verosimile, quella narrazione che sembra arrivi dal nulla per farci commuovere o sorridere o spaventare, mai pensare troppo.

E invece un buon romanzo (non il suo autore o autrice) ha un grandissimo potere, la storia e il come è scritta sprigionano infinite possibilità di crescita e maturazione. E per questo possono incidere sulla realtà.

Un buon romanzo offre: tu, lettore, puoi pensare solo se lo scegli o te lo concedi e puoi anche dimenticare subito o evadere dal quotidiano e niente altro. È la differenza tra la predica e il passarci in mezzo, lo sperimentare con le sue illimitate opportunità.

Il buon romanzo non è teoria ma pratica e nel vivere, seppur immaginato, puoi scegliere e sei libero di farlo. Un buon romanzo sta tutto lì e ti lascia il tuo tempo.

E ancora, un buon romanzo non parla di questo o di quello, ma costruisce un ecosistema in cui il lettore può avere un suo posto e dal suo punto di vista si ferma su quello di cui ha bisogno, se lo desidera. Perché non necessitiamo tutti delle stesse cose e non siamo IA che ingoia indistintamente.

Chi scrive, almeno chi decide di scrivere romanzi per mestiere, dovrebbe rifletterci e preoccuparsi di farli accadere, consapevole di essere un mezzo, come capita per qualsiasi altra piccola o piccolissima opera d’arte.

Nessuno di noi sa, e questo è necessario, come si arrivi a scrivere un buon romanzo; conosciamo solo gli strumenti, come un pianista la tastiera o lo scultore il cesello. Il resto è tensione e possiamo solo cercare di farlo accadere mettendoci a disposizione della storia stessa e del come scriverla, tendendo all’ignoto, al caos creativo in cui fare un po’ d’ordine con il mestiere. (E nel mentre ci si spoglia di qualcosa che resta sul fondo, tra le righe. Di così intimo che nessuno riuscirà a trovarlo, anche se c’è. È un dono che resta nascosto sia per pudore che per necessità.)

Forse un buon romanzo sta proprio nello sforzo di sperimentare noi per primi e poi metterci da parte. Nel mezzo si muoverà il lettore o la lettrice.

Quando i critici non concordano, l’autore concorda con se stesso” Oscar Wilde.

Un buon romanzo non piace a tutti. Non può e non deve.

Non è detto che nella foresta contemporanea di carta stampata il romanzo buono riusciamo a vederlo, non è detto neanche che lo sappiamo riconoscere o favorire. Non siamo un popolo educato al romanzo, in effetti.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Dentro durante intanto. Ora

Quand’è che sono diventata una 59enne che non me ne sono accorta?
Dentro mi pare di avere i sogni di una ragazzina, anche se la mente si trascina dietro un corpo che invecchia.

Quello passato è stato un anno difficile. Ho negoziato la separazione da un uomo che ho amato molto e mai capito. Dalla morte di mia madre, in un riflusso inaspettato, sono arrivate fragilità e domande modificando i pensieri. Ho avuto un crollo psicofisico e quando i giorni erano troppo scuri, mi ha salvata la psicoterapia.

Durante, la mia scrittura decollava e mi dicevo: Hai lavorato tantissimo, ora non molli, non te lo permetto, hai già sprecato abbastanza.

Credo di amare il mio mestiere perché è follia che assorbe. Restituire vite e mondi immaginati, non lo è? Non mi lascia il tempo di considerare di aver passato ormai buona parte della vita destinata a un’umana; che quello che mi resta da vivere, nel migliore dei casi, sia un terzo di quello che ho vissuto. E mi pare pochissimo per fare tutto ciò che ho da fare e perché di vita non ce n’è mai abbastanza.

Intanto con i miei romanzi ho incontrato donne che hanno medicato piccole parti di me. DonneSorelle che nel mare grosso ci sono state, poco o molto, non ha importanza. Le DonneSorelle si annusano, si riconoscono, si eleggono. Hanno famiglie e vite proprie, ma sono la stessa nota suonata da strumenti diversi, dal canto o del vento. Esistono solo quando si sentono. E non c’è balsamo più potente dello scambiarsi confidenza. Senza pensarci troppo, senza farne una confessione, con la semplicità dell’esserci in quel momento e in quel posto.

Mia madre prima di morire mi chiese uno specchio e poi mi disse che ricordava di essere più giovane.
La vita è feroce.
Un ragazzino mi ha domandato: Lei, fino a quando pensa di continuare a scrivere?
Io non ho saputo rispondere.
Ora ci sono e scrivo. In bianco e nero. Tanto basta e non è poco.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Bar Einstein, come nascono le mie storie

Come nascono le mie storie?

Ero in una cittadina tedesca, nel nord della Germania; ero stanca e coloro che erano in vacanza con me non si staccavano dalle vetrine di un grosso negozio di apparecchi fotografici.

Vidi un bar al di là della strada, la scritta gialla recitava: Bar Einstein e io mi avviai verso la porta, anche quella gialla. Gli altri mi avrebbero raggiunto più tardi.

Entrai e mi accolse un locale pieno di foto e locandine sui muri, persino il soffitto era decorato con delle stampe. Mi sedetti a uno dei tavoli, che era stato quello di una vecchia macchina da cucire, ne conservava la pedaliera in ferro lavorato. Le sedie erano spaiate ma accostate con armonia. Una donna mi dava le spalle, aveva i pantaloni aderenti verde acceso e le scarpe rosse con il tacco, i capelli lunghi, biondi. Aveva il corpo di un’adolescente, ma quando si voltò il viso era quello sciupato di una sessantenne, con gli occhi e la bocca truccati. Non era equivoca o volgare. Era senza alcun dubbio la padrona. Lo sguardo sfrontato e indifferente allo stesso tempo non si posò neanche su di me, pensava ai fatti suoi. Mi servì una ragazza in jeans e maglietta con i capelli castani, semplice, accogliente, gentile.

Questo romanzo è nato in quel momento. Quel locale e quella donna, il mio Bar Einstein e la mia Dalia si erano impressi nell’immaginazione. Un attimo riscrivere il luogo e la donna, il loro passato mi era già chiaro.

Dalia parlava d’amore vissuto e il bar era denso di ricordi. Quindi la storia avrebbe narrato l’amore e la vita che da come la guardi, da un lato, dal basso, dall’alto, è sempre diversa.

Un’amore forte tra un ragazzo e una ragazza, una passione che sfida la logica, che divora e che se anche fa soffrire, resta l’esercizio primario per imparalo a vivere sul serio, l’amore.

Se non hai mai sbandato, se non sei mai stato o stata travolta, non saprai mai amare del tutto. Non è l’amore della tua vita, difficilmente lo è, ma i compagni che incontrerai dopo dovranno tutto a quel lui o quella lei. E così anche tu.

Questo è Bar Einstein, una storia d’amore a tinte noir che vive di luoghi alternativi come una Comune, un bar dove: Se i muri di una qualsiasi stanza o casa hanno memoria e parlano, quelli urlano canzoni intonate e risate roche che si trasformano in singhiozzi sommessi e il fiume. Il fiume torna spesso nelle mie storie, rassicurante. La natura e la vita scorrono insieme, il temporale passa e si asciuga, la paura del buio non fa paura se svelata, non ci sono luoghi brutti o belli, ma solo sconosciuti. Amore e morte, criminalità e pura bellezza, si confondono; a vincere non è nessuno, ma si salvano solo i più giovani se fuggono nella direzione giusta. Quello che resta è cruda nostalgia.

Così è come è andata fino qui. Forse fino al 19 maggio 2023 in cui Bar Einstein arriverà in libreria. Da lì in poi, per come la vedo io, questa storia diventerà dei lettori e nulla di quanto ho scritto sopra varrà più.

Spero che saprà parlare ai lettori e alle lettrici, spero che li trascinerà tra le pieghe di una narrazione oscura, onesta, donata. Spero. Non so se sarà così. Ogni romanzo ha una vita propria, prescinde dall’autrice. Una volta che l’ha lasciata andare non può più fare nulla per lei, se non stare a guardare e ascoltare.

Questo romanzo viene pubblicato nella collana che avevo sempre desiderato per lui, con un editore che stimo. È importante per me potermi fidare del mio editore. Ringrazio Luisella Arzani che ha mantenuto la promessa fatta tempo fa di leggere questa storia per poi scegliere (insieme alla redazione di EDT/Giralangolo) di pubblicarla; Francesca Fimiani che l’ha curata con un editing attento sul piano stilistico ed emozionale e Miriam Pedata per la passione e la provocazione che mette nel suo lavoro redazionale. Mi viene da pensare che la bella copertina di Marco Viale sia il frutto di tutto questo, della professionalità e dell’umanità che le storie scatenano e che gli addetti ai lavori finiscono per vivere come vita vera, in una gioco di ruoli, dentro e fuori, lasciandovi infine un sentimento magico che imprime la carta, le parole, gli spazi bianchi.

E questo è Bar Einstein, quello che vi narrano il titolo, la copertina e i suoi colori, la quarta, la dedica e infine frasi e spazi bianchi, virgole e punti.

Queste mie parole di oggi e quel pomeriggio in una cittadina tedesca sono Bar Einstein.

Scrittorincittà2023
Scrittorincittà2023
Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

…incontrare l’autrice, incontrare l’autore

L’incontro con l’autrice, l’incontro con l’autore è un momento importante per i giovani lettori. O almeno dovrebbe. Una festa, un tripudio, un confronto, una lezione, ognuno di noi che scrive di ragazzi e ragazze (oppure per la narrativa ragazzi/e) ha la sua modalità. Ogni scuola, festival, libreria o biblioteca ha la sua modalità.

Mi sono domandata cosa sia per me.

Nel 2008 ho messo piede a scuola per la prima volta come autrice con un libro della Raffaello (ancora a catalogo, grazie) e me lo ricordo benissimo. Da allora sono cambiate tante cose in me, come persona e come romanziera; un percorso pieno di domande, tentativi, delusioni, ricostruzioni; nulla è immobile, tutto deve diventare altro, è ovvio.

In 15 anni non sono certo diventata famosa, né sono diventata abbastanza brava e questo basterebbe a far desistere chiunque, ma non me, testarda e idealista, convinta creativa in eterno cammino. Folle e sciocca, insomma.

In quest’ottica mi sono messa in testa che ogni incontro deve avere un suo respiro, che se incontro lettrici e lettori lo faccio aprendo ogni volta una paretesi nuova, guardando chi ho davanti, mettendomi in relazione. Un gioco, una missione, una sperimentazione, uno sparigliare le carte una volta ancora per cercare e capire, perché nulla diventi routine, ma ogni parola abbia senso.

Non sono neanche un professionista, no. Dagli incontri esco sfinita, spesso molto soddisfatta perché ho dato e ricevuto, ha funzionato. A volte sono contrariata. Mi arrabbio per quel dominio dell’economia e della mercificazione del libro, il disinteresse puro, il tempo sprecato, l’inutilità. Scrivere è un mestiere, sì, ma creativo e andare nelle scuole non è come fare la presentazione di un libro per adulti, è altro. Di sicuro un privilegio, in un certo senso un lavoro a parte. Ma sei sempre tu. E libri e incontri vanno a braccetto. Dice, ma se se sei scrittrice non devi mica essere capace anche di parlare in pubblico, vero, ma le pagine non mentano sul proprio autore o autrice, a ben guardare, a voler vedere.

Questo per me è un anno fortunato, o forse sono io a essere cambiata, ancora. Ieri un altro incontro bello; dirigente, professoresse (di lettere e matematica insieme!)e ragazzi che mi avevano chiesto di orientare l’incontro nella direzione in cui lavoravano loro e io l’ho fatto. Grande scambio, due ore piene che mettono insieme i tasselli dell’educazione alla lettura, del diritto alla lettura, della bellezza dello stare insieme nelle storie e in una scritta da me in particolare.

Una cosa ben fatta.

Ho perso tanto tempo nella mia vita e mi dispiace, quello che mi rimane (spero tanto, poco non mi basta) voglio che sia ben vissuto, che regali e guadagni, voglio toccarlo, maneggiarlo con cura e saperlo ricordare. Ho bisogno di bellezza (in tanti ne abbiamo bisogno) e mi ci impegno.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Leggere contemporaneo, leggere a scuola

La prossima settimana parte uno dei club Leggere contemporaneo grazie a una prof che ci ha sempre creduto da due anni a questa parte. Oltre al mio (piccolo) compenso la scuola che aderisce al progetto deve comperare i romanzi che indico in tre bibliografie di dieci libri ciascuna (un tesoretto, garantisco).
Io non sono una formatrice e non voglio esserlo, ma dopo vent’anni di letture, incontri e festival qualche idea sul perché i ragazzi e le ragazze non leggano me la sono fatta.

Questo club di lettura a scuola non cambia la situazione generale, ne sono certa, ma è una buona pratica.
In questa scuola superiore, nella biblioteca d’istituto, ci sono ormai 60 romanzi di grandi autori viventi ya. Romanzi belli per tutti. Romanzi che hanno gli strumenti per spianare la strada a un non lettore. Quelli di cui (non sempre senza ragione) le scuole (superiori soprattutto) sono piene.
Il danno è stato fatto, la non lettura imperversa, non cambio la rotta io in una scuola, ma continuo a spacciare buone pratiche. Il perché è il tipico male di chi legge e scrive per ragazze e ragazzi da vent’anni e vede bellezza e potenzialità e non ce la fa a stare con i libri in tasca.
Da Borders in poi la questioni semi è sdoganata, ma se è il tuo mondo e lo ami non puoi non cercare di piantare semi per farlo sopravvivere.

Saranno in 45 di cui 30 di terza superiore, che vengono per i crediti, certo, ma poi io e i romanzi belli facciamo squadra: io li racconto bene, loro si fanno scegliere e quando i ragazzi e le ragazze arrivano all’incontro successivo qualche sguardo adolescente catturato c’è e il dubbio che si possa anche leggere per piacere è instillato.

Essere parte del mondo dell’editoria per ragazzi e ragazze come romanziera ha un po’ questo effetto collaterale. Scrivi spesso di loro perché sono i personaggi in cui credi di più (e qui qualsiasi analista avrebbe da lavorare) e per loro, in carne e ossa, salvi romanzi perché abbiano la possibilità di incontrare storie scritte pensando ai lettori come persona di genere vario e non infante cresciuto (e non parlo delle mie che non metto mai in bibliografia, per una sorta di strana controproducente onestà intellettuale).

Detto ciò e continuando a ringraziare chi ha fiducia in me (e in loro, inutile ripetere chi siano) condivido le locandine di due eventi in cui ci sono a parlare di buone pratiche libresche, dei perché e dei per come. Non sono una formatrice e vi indico pure chi dovete seguire se volete approfondire la questione libri&lettori, ma vi passo la mia esperienza. Che poi non è una cosa così diversa, lo so, ma io ci tengo a restare romanziera un po’ per indole e un po’ per giustezza che non mi sento i titoli per educare nessuno.

Resto un’artigiana che non ha nulla di speciale, solo qualcosa da dire a modo suo e vi invita a bottega (e che bottega: una libreria e una biblioteca!).

*A chi interessa il progetto Leggere contemporaneo può richiedere informazioni via mail a giulianafacchini.autrice@gmail.com

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

La teoria dei gusci vuoti nei libri

Dei gusci pieni sento la mancanza, se trovo quelli vuoti.

Cosa cerco nelle storie scritte? L’anima.

In quelle orali c’è quella di chi gli dà voce. Gliela presta, per così dire; le parole si investono e il buon narratore fa breccia nei cuori degli astanti.

Ma in quelle che ti leggi da solo stampate sulla carta? Lì la questione si complica, perché è un luogo dove l’anima di chi legge e di chi ha scritto si incontrano quando capita e se qualcuna manca all’appello non funziona più.

Non c’è genere o categoria che tenga, un libro senza anima è un guscio vuoto.

Se la parola anima è troppo romantica o al contrario complessa, usiamo voce. È riduttiva ma forse è più chiara perché ne è individuabile l’appartenenza. (L’anima potrebbe essere collettiva? Affascinante!)

Se la voce è competente lo si capisce subito: se sai, chi sa lo capisce e il lettore esperto è scaltro. Ma non ci si può fermare alla competenza, a scuola di nozioni di scrittura si può andare e si può imparare anche tutto su un argomento. A fare il romanzo non è la voce che ripete a pappagallo, ma la propria dell’autrice o dell’autore. Propria significa che ti appartiene e che la condividi con generosità. Che non sia mai sovrabbondante altrimenti è terapia, deve essere giusta, strappata da sé quanto basta. La voce ha un equilibrio.

C’è un percorso per raccontare bene e una per farlo meglio, e chi scrive non si accontenta mai, non può essere nella sua natura.

La letteratura ha anima millenaria, sentiamo voci antichissime e sentiamo la vita di allora, anche se parlano d’altro raccontano sempre il proprio. Anche se parlano di passato o di futuro, perché la voce va oltre i significati, ha un vocabolario parallelo tutto suo. Se quelle voci arrivano fino a noi vuol dire che possiedono una contemporaneità assoluta che trafigge le epoche ed è capace di incontrare il lettore sempre.

Nei romanzi ci si incontra.

Se non ci si incontra è perché sono gusci vuoti.

Ma bisogna essere onesti: chi scrive e chi legge.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Gruppi di lettura per adolescenti, come non educarli

Da ragazzina volevo fare l’attrice, i miei genitori una sera mi portarono a teatro e lì decisi. In capo a quattro settimane ero in una compagnia amatoriale. Poi la vita si è messa di mezzo e io sono diventata una romanziera. Scrivo storie, quello faccio (bene o male, questo non lo so). Però, leggo anche tanti romanzi che parlano di ragazze e di ragazzi e quindi un giorno mi è venuto in mente di fondare un gruppo di lettura per adolescenti in collaborazione con una bibliotecaria e un’educatrice. Quel gruppo si chiama Leggere Ribelle e quest’anno ho fatto di tutto per farmi buttare fuori ma non ci sono riuscita. Io le azioni/cose che faccio, le capisco sempre dopo, come anche le storie che scrivo (esattamente come Floyd in Mike, di Norriss, Uovonero Ed.).

L’educatrice (che fa l’educatrice mica per niente) e la bibliotecaria non me lo hanno permesso. Si sono proprio sdraiate sui binari delle mie intenzioni.

Ovviamente sono delusa di me stessa e orgogliosa di loro, perché la sfida che mi aspetta è grande e io volevo mettermi da parte per non affrontarla. Io sono una romanziera che ci faccio a capeggiare un gdl?

Ripeto sono una romanziera, credo di avere gli strumenti per scrivere storie e non quelli per educare alla lettura dei ragazzi e delle ragazze, come magari sanno fare altri navigati conduttori di gdl per adolescenti.

Scrivendo storie per ragazzi e ragazze, pubblico con case editrici specializzate nella loro letteratura, ma i lettori e le lettrici sono pochi e le strategie per crearne di nuovi non funzionano o funzionano poco a livello nazionale. Anche perché non vengono adottate davvero. I progetti per la lettura pullulano, ma pochi vanno oltre il nome che portano, non passano mai veramente all’azione. Altrimenti il nostro sarebbe un Paese che legge e non è così.

Ma il mondo variegato dell”editoria per ragazzi non può (e non deve) morire e cerca il modo di restare in vita; da un lato abbassa sempre di più il livello letterario delle proposte o propone libri in quanto oggetti fisici che non veicolano i contenuti. Compriamo spinti dalla pulsione del momento (o dalla necessità del momento) ma il romanzo resta senza un vero lettore e soprattutto non innesta la spirale del buon romanzo: quante emozioni ho privato! Che vita ho vissuto! Ne voglio ancora!

Dall’altro punta sui pochi veri lettori che sono come un animale in via di estinzione e li sovraccarica di attenzione con il rischio che fuggano a rifugiarsi sul divano di casa per essere lasciata o lasciato in pace a leggere.

Come coordinatrice di un gruppo di lettura ho avuto fortuna. L’articolo su questo blog che riguarda i gdl è il più letto, con buona pace della pagina dove ci sono le copertine dei miei romanzi pubblicati.

Non credo che questo accada perché sono più brava come conduttrice che come romanziera. Infatti è l’educatrice a occuparsi di educare, io racconto solo storie degne di essere raccontate e non perché le scelgo io, ma proprio perché ormai sono grandi classici contemporanei internazionali sconosciuti alle e ai più italiani.

Se nel gruppo l’obiettivo è quello di guardare solo ai romanzi e mai alle autrici o agli autori (quelli semmai vengono dopo) e a proporre storie che sfuggano il più possibile alle logiche editoriali di mercato, che abbiano una propria anima e rispettino i criteri del romanziere o della romanziera come artista creatore (non solo storico, giornalista, educatore, etc).

La vera sfida è girare loro proposte alte, proteggerli dalle richieste pressanti delle nuove uscite, ma non escluderli e veicolarli verso una buona rete di lettrici e lettori per confrontarsi e scomparire come conduttrice.

Le lettrici e i lettori posso essere una comunità come chi gioca ai videogiochi, metterli in contatto tra loro gratifica i romanzi e li mostra per quello che sono: roba viva, vivissima, capace di far parlare di sé.

Mi turba molto l’io adulto che vuole educare a tutti i costi attraverso i romanzi, che si sente sempre depositario di qualcosa in più rispetto ai giovani lettori.

Se vogliamo creare un gdl fuori dalla mura scolastiche il lavoro sporco (educare tutti noi) dobbiamo lasciarlo fare ai buoni romanzi, senza interpretarli ma lasciandoli leggere e basta, non ci sarà una lettura sbagliata ma solo la propria. Ognuno ha il proprio livello che sia alto o più alto non mi interessa. E soprattutto chi legge si sentirà rispettato per quello che è; non bisogna essere bravi a scuola per essere un lettore o una lettrice, esattamente come non bisogna essere bravi a scuola per ascoltare musica.

Come conduttrice propongo solo, invito alla lettura amando io per prima le storie che racconto e quando intuisco quali sono i ragazzi e le ragazze che ho davanti, la sfida sta anche nel proporre loro i libri giusti, quelli con cui possono entrare in empatia più velocemente creando un primo approccio facilitato. Il primo passo.

Se ho davanti giovani con tanti pregiudizi nei confronti dei romanzi (come mi è accaduto spesso), persi in una terra di nessuno dove il libri per i più piccoli sono da piccoli e quelli destinati agli adulti difficili da prendere in mano, propongo una narrativa young adult che parla contemporaneo, offre quesiti ed emozioni contemporanee, porta fuori dalle zone confort di oggi (che son anche quelle di sempre). Leggere può essere un’abilità che le ragazze e i ragazzi non hanno e i romanzi giusti sanno facilitarne l’acquisizione, fanno sembrare meno dura la corsa tra le prime pagine.

In conclusione vorrei cercare di lasciare ragazze e ragazzi e buoni romanzi insieme e vedere se si abbinano. Tutto qui. Tanto non siamo noi di LR a risolvere il problema della mancanza di lettori nel nostro Paese, par quello forse ci vuole una legge (e le persone giuste ci stanno lavorando).

Se volevo fare l’attrice e poi sono diventata romanziera è forse perché voglio vivere altre vite lasciando in pace la mia e lasciando in pace quella delle lettrici e dei lettori che se c’è qualcosa da imparare se la vedono direttamente con i romanzi, non con me.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Leggere, ascoltare, scrivere romanzi

A Rimini a Mare di Libri, il festival dei ragazzi che leggono, ho ascoltato la bella intervista di Kavin Brooks. Ero lì per accompagnare il movimento di giovani lettori che aiuto a coordinare, Leggere Ribelle. L’autore inglese ha spiegato di come Bunker diary, un suo romanzo contestato per la durezza della storia che narra, sia stato rifiutato da vari editori e di come abbia usato quel lasso di tempo che è intercorso tra i rifiuti e infine la pubblicazione, per continuare a rifinire e ottimizzare la storia. Mentre il rifiuto di apportare le modifiche, che di volta in volta quello o quell’altro editor gli chiedeva per rendere più accettabile il romanzo, è stato perseguito con convinzione e coerenza. Anche il suo ultimo lavoro, La bestia dentro, ha avuto un percorso difficile per arrivare alla pubblicazione, ma intanto lui scriveva e pubblicava altro.

Ecco, io credo che questa sia una condizione necessaria per scrivere e una garanzia di onestà per un romanziere. Raccontarlo in pubblico, poi, è prova di semplice trasparenza verso chi compra i suoi libri, perché se di un autore o di un’autrice viene pubblicato tutto e subito, forse vuol dire che c’è qualcosa che non va. Vuol dire che non c’è criticità nel lavoro che fa con se stesso. Vuol dire che non ha idee originali al punto da essere destabilizzanti o stupefacenti per chi legge. Vuol dire che non tenta di battere strade nuove che per affermarsi, se sono valide, devono vincere lo scetticismo e la paura, anche di chi ci mette il denaro oltre che la faccia (e cioè l’editore), ma sono condizione indispensabile per un futuro di letteratura viva. E questa è condizione necessaria per i buoni romanzi che emergono tra quelli che “escono tanto per uscire” negando il loro senso profondo e il ruolo attivo della letteratura.

Ecco cosa ho pensato ascoltando un uomo che fa il mio stesso mestiere (d’accordo, a lui riesce meglio) e che aiuta me a formarmi attraverso le sue parole (e in un certo senso aiuta anche a giustificare quei circa trenta romanzi da me scritti a fronte dei diciannove pubblicati, pur considerandone una parte di scarto perché oggettivo spin off di storie migliori, che non ho mai rinnegato e in cui continuo a credere).

Scrivere romanzi è un mestiere che sta tra la logica pratica di una professione e l’illogicità della creazione con cui si confronta un artista.

Sono un animale da festival letterario, poco mi piacciono le presentazioni dei libri, ma sono attirata irresistibilmente da chi racconta con parole proprie la creazione delle storie. E mi piacciono molto anche i saggi che trattano questo argomento. Dietro ogni autore o autrice che fa storie c’è una storia che s’intreccia con la sua vita e la vita di altri esseri umani e non. Consapevolmente o meno la creazione di un romanzo di buon livello presuppone la scelta o il rifiuto di un percorso interiore, di un metodo o dell’assoluta negazione di questo e l’elaborazione di un niente perché diventi tutto. Quello è il mio terreno d’interesse, soprattutto quando è scevro di ampollosità, quando l’incontro con l’autore o l’autrice capisci che è pensato come scambio di idee e confronto.

Scelgo la mia poltrona, se non sono sola lo divento, e aspetto. Ho imparato negli anni a riconoscere gli intervistatori di cui ci si può fidare e quelli impreparati e credo di saper individuare ormai con istintivo anticipo chi è il relatore e quanto vale la pena ascoltarlo, anche se mi capitano belle sorprese, non lo nego. A volte segno degli appunti, che a volte ricopio e a volte poi perdo.

Ispeziono le storie altrui su terreni che mi appartengono oppure che raccontano l’altro, quello che poco conosco. Le parole delle donne mi affascinano più di quelle degli uomini che nel nostro Paese mi paiono in maggioranza meno onesti; non è tutta colpa loro, spesso siamo noi lettrici a metterli su quel piedistallo che in certi casi abitano fin dalla nascita, sono incolpevoli se non lo percepiscono (se l’hai sempre avuto, ti appartiene). Posso dirlo? Credo che essere maschi non sia una cosa facile se vuoi esserlo per bene.

Diversa è la questione quando gli ospiti non sono italiani; gli europei e gli americani che ho ascoltato fino a oggi sfuggono spesso a queste logiche, che sono anche un mio pregiudizio ormai, e li ascolto con maggiore interesse anche perché mi raccontano popoli e paesi di cui non sono pratica come del mio.

Intervistare non è facile come si crede e come pensa chi, come al solito, improvvisa e non immagina la sofisticata scaltrezza che ci vuole per mettere a proprio agio a livello emozionale e intellettuale l’ospite. In tutto questo c’entra il mio essere autrice di storie, che hanno una loro storia a prescindere da quella che raccontano e che s’intreccia con la mia, intima e personale.

Leggere, ascoltare e scrivere sono un tutt’uno nel mio mestiere di romanziera. I romanzi nascono dal legame inscindibile di quelle tre azioni e a seconda di come le si praticano, le storie cambiano.

Sembra insolito che io da sempre frequenti i festival letterari anche se non ne sono un’ospite. Lo faccio perché mi nutre. Ma certo, se sono anche ospite con i miei romanzi di solito ho un pass gratuito per ascoltare tutti ed è come entrare in pasticceria e abbuffarsi e io vivo di scrittura e quindi sono dignitosamente povera, mangio quando posso…!   

Una delegazione di Leggere Ribelle che intervista Lois Lowry a Mare di Libri con la traduttrice Chiara Codecà e il tecnico Massimo Fiorini per il collegamento dal Maine.
Pubblicato in: Fiutando Libri!

Quel movimento di giovani lettori…

Domani Leggere Ribelle sarà a Mare di Libri. Condurremo un evento dal format nuovo e molto bello. Faremo un collegamento con il Maine e entreremo virtualmente nella casa di una famosissima scrittrice statunitense.

Quest’anno saremmo andati anche solo come spettatori e invece è venuta fuori questa cosa così emozionante per noi, un movimento ancora giovane di lettori. Siamo partiti nel 2018 pieni di energia e in soli quattro anni ci troviamo a entrare a casa di Lois Lowry, mi sembra ancora incredibile.

Non sono così sciocca da pensare che sia merito mio, a favore di LR hanno giocato molti fattori tra i quali l’aver incontrato giovani lettrici e lettori molto raffinati che, e di questo ho l’unico merito, sono riuscita a mettere in contatto con romanzi di formazione, liberi e onesti e senza badare al nome delle case editrici o degli autori/autrici, che altrimenti non avrebbero mai letto.

Ma siamo sempre nella sfera dei privilegiati e non sono così sciocca neanche da credere che LR inciderà in qualche modo sulla creazione di nuovi lettori. No, non lo credo, il sistema Italia non lo prevede e noi siamo gocce in un mare di assetati che non conoscono il sapere dell’acqua buona. Così è.

Ma ogni gruppo di lettura ha la sua storia e io non sono mai entrata in una loro discussione, a volte mi sono sorpresa della loro finezza di ragionamento, altre ho assistito alla loro rabbia, rabbia anche sconsiderata verso le letture che non li soddisfacevano. Sono adolescenti, se non s’incazzassero e te la facessero pagare con parole toste non sarebbero loro e io non ne sarei così fiera. Il nostro unico ragazzo è arrivato alla formazione Lowry con i capelli lunghi mezzi tinti di biondo e mezzi di nero, ha letto non so quante volte Il signore degli anelli, adora Murakami e ha divorato i romanzi di Kavin Brooks. Le LR lo hanno adottato.

Restano e sono i miei personaggi preferiti, altrimenti non scriverei di loro, perché io di mestiere sarei romanziera.

La stanchezza quest’anno mi ha mangiato a piccoli morsi e fingere di non vederla non aiuta a non sentirla; mi domando se LR avrà la forza di resistere nel tempo, visto che ha fatto tanto e tutto subito. Verranno chissà altri anni e altri lettori ribelli, ma per ora Good Luck ai sei prodi in trasferta riminese, a loro che non hanno paura di nulla, che affrontano il pubblico, i compagni e le compagne, i romanzi e gli adulti con un sorriso, un po’ di quella sufficienza che significa scaltrezza e il futuro radioso e tormentato negli occhi. Sono un movimento di giovani lettori e lettrici, sono in movimento e anche questo fa parte del mondo dei libri, non si tratta di sola carta. Ci ho tenuto che fosse così.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Campo e controcampo nell’editoria per ragazze e ragazzi

Ma i ragazzi e le ragazze possono tutto?

Succede che tante iniziative vedano giovani e giovanissimi al centro dell’editoria per ragazzi e ragazze. Molte iniziative cercano di agganciare il lettore che scandisce il ritmo dell’editoria nel settore che è cresciuto di più negli ultimi anni, forse l’unico che è cresciuto.

In Italia, si sa, si pubblicano moltissimi libri, ma i lettori sono pochi, pochissimi, le lettrici qualcuna in più (ed è un meccanismo strano per qualsiasi mercato).

Tutte le iniziative di cui parlavo, a volte invasive della sfera di competenza dell’autrice o dell’autore, creano davvero lettori? Perché il grande obbiettivo culturale, educativo e sociale resta, a mio parere, quello di creare lettori. Se cresci lettore lo rimani a vita e, in qualità di fruitore di libri, alimenti una filiera importante.

Non mi dilungo a spiegare quanto io creda nel valore dei buoni romanzi, buona musica, pittura, scultura, poesia, arte in generale; quanto io creda nel valore di quei mestieri creativi che sono fonte vitale e primaria per la nostra umanità in quanto persone.

Comunque, è interesse di noi adulti, che siamo parte della filiera del libro, crescere nuovi lettori.

E allora, come si diventa lettori consapevoli e autonomi?

Con i buoni romanzi classici e contemporanei. E la comunità adulta può farsi mediatrice con i ragazzi, educare il loro gusto alla lettura. E non è solo compito dell’insegnate di lettere, ma materia a parte, trasversale. Poco fanno le istituzioni, si sa, spesso è tutto affidato alla scuola e sulle spalle dei e delle docenti di lettere. Eppure portare i libri a scuola, dove si srotola una parte importante della vita dei ragazzi e delle ragazze, non sempre crea lettori autonomi, soprattutto se la lettura arriva come parte dello studio scolastico e non come libera e rivoluzionaria passione individuale.

Per i ragazzi e le ragazze prendere un libro in mano dovrebbe essere come infilarsi le cuffiette nelle orecchie per ascoltare musica. Non accade quasi mai.

Esistono però grandi progetti che con competenza avvalorano i veri presupposti per avviare i ragazzi e le ragazze alla lettura e formano lettori. Sono pochi sul piano nazionale ed esistono. Ma ultimamente si è scatenata una scarica adrenalinica negli adulti che vogliono creare giovani lettori, alcuni improvvisano altri no e per fortuna fioriscono i corsi di formazione. Resto dubbiosa al riguardo. Coordino un gruppo di lettura dal 2018 e so cosa significa acchiappare l’attenzione di un adolescente (tredici-diciasettenne) su un buon libro, impresa ardua se il contesto è quello di lasciarli liberi di scelta: esserci o non esserci, leggere o non leggere. Se è quello di aspettare pazientemente e senza scoraggiarsi che il libro rivelazione inneschi l’amore per la lettura in lei o in lui.

Diversamente la lettura non è una scelta, ma un’imposizione e difficilmente nascerà un lettore autonomo e consapevole.

E non vi dico quanto snervante sia aspettare un messaggio di risposta a una domanda banale ma indispensabile alla gestione collettiva del gdl. Non è una passeggiata stare ai tempi degli adolescenti, soprattutto se lo fai come volontaria (e accade quasi sempre, ma questa è un’altra storia).

So che è impresa che sfinisce, quindi mi stupisco che tanti anelino a questo ruolo di educatore e promotore della lettura. L’adulto in questo caso non è (e non deve essere) protagonista, ma servo della passione letteraria.

Puntata l’attenzione del mondo editoriale su quello per ragazze e ragazzi e complice il pregiudizio che sia un terreno più facilmente praticabile rispetto a quello colto della scrittura per adulti, i ragazzi e le ragazze ne sono diventati il centro. Coinvolgerli sembra l’unica cosa da fare. Se non leggono, li facciamo scrivere oppure giudicare e indirizzare gli scrittori adulti e i loro romanzi. Tante iniziative per metterli al centro, forse troppe, non tutte ben costruite.

E, tra parentesi, una perplessità: perché fare agli alunni/e un corso di scrittura creativa se non hanno una biblioteca scolastica aggiornata? Non è un controsenso o una falsa illusione? Si sostiene forse una possibilità: si può diventare scrittori anche senza essere lettori. Mi spaventa un po’.

Se da una parte la società contemporanea vede moltissimi bambini e bambine fin da piccoli con un’agenda di impegni tra sport, musica, teatro, scuola e tutto organizzato e supervisionato dagli adulti con pochissimi spazi di autonomia; il mondo dell’editoria sembra voler consegnare loro le proprie sorti.

«… alcuni sostengono che dovrebbero essere gli stessi bambini o ragazzi a scrivere per i loro coetanei. Questa a però a mio avviso non è un’ipotesi realistica. (…) Si tratta di una vecchia disputa che prima della scrittura ha coinvolto le arti figurative e di conseguenza il campo delle illustrazioni. (…) Allo stesso modo tutti i tentativi di pubblicare e diffondere tra i bambini i testi scritti dai loro coetanei ha suscitato solo l’interesse dei pedagogisti adulti. Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti sì “il suo mondo” ma con strumenti letterari più “perfezionati” di quelli a sua disposizione.» Storia delle mie storie, Bianca Pitzorno.

E io autrice o autore? Non esiste una formazione universitaria in Italia (a differenza di quanto avviene negli altri Paesi) per diventare scrittori o scrittrici. Esistono corsi di scrittura creativa o autoformazione. Tutti possono essere scrittori e se un compositore deve farsi i suoi anni di strumento e poi studiare armonia per comporre musica (certo esistono talenti straordinari, ma questo è un discorso diverso) a scrivere un romanzo sono buoni tutti (per ragazzi e ragazze poi!). L’editoria pagamento lo sa e ci sopravvive, l’autocompiacimento autoriale paga (ovvio, anche in questo caso ci sono le dovute eccezioni). E il sudore, la fatica, lo studio per arrivare a essere pubblicato da un editore nazionale? Non conta nulla, siamo tutti scrittori e scrittrici.

Veniamo ai ragazzi e alle ragazze. Una sedicenne mi diede da leggere il suo romanzo, corretto dalla professoressa d’Italiano e stampato in tipografia dal padre con tanto di foto e biografia in quarta di copertina. Sapeva scrivere correttamente, ma nel romanzo non esistevano struttura e dialoghi, i personaggi erano stereotipati. Il mio commento gentile e correlato di bibliografia esaustiva di grandi romanzi contemporanei d’amore (perché d’amore parlava la sua storia) è stato bollato come le parole di un’adulta troppo vecchia, incapace di capirla. Soprattutto, se il mio intervento fosse arrivato prima della “pubblicazione” del suo romanzo, lei non avrebbe mai continuato a scrivere. E sarebbe stato un gran danno.

Tengo da parte quella mail piccata, è stata illuminante. Con una quindicina di romanzi (allora) all’attivo pubblicati davvero con editori nazionali, io potevo essere trattata alla pari, non ero degna di autorevolezza, né per professionalità né per anzianità.

All’inizio della mia carriera mi capitò di ricevere, a quarant’anni passati, mentre leggevo, studiavo e scrivevo per ragazze e ragazzi una grossa stroncatura da una editor autorevole. Per fortuna, pur essendo un commento negativo era ben motivato e io ci piansi. Sì, una donna a quarant’anni suonati ha pianto di rabbia e avvilimento. Me lo ricordo bene, ero seduta sulle scale di casa mia, da sola. Ma il giorno dopo ho asciugato le lacrime e inviato una risposta di ringraziamento. Ho imparato più da quella stroncatura che con un intero manuale di scrittura.

Come spiegare a una scrittrice o a uno scrittore in erba che l’umiltà è una delle doti essenziali per un qualunque creativo se è su un piedistallo da quando è bambina o bambino?

È giusto che io adulta venga giudicata, amata, scartata o ignorata dai lettori quando il mio romanzo è in libreria. I libri sono dei lettori, non di chi li ha scritti, questo è insindacabile per me. Ma sul prima ho seri dubbi riguardo alle contaminazioni non professionali (sperimentazioni e mondo della scrittura sulle piattaforme online a parte).

E bisogna anche distinguere tra lettori. Un lettore consapevole e autonomo mi sa valutare, un ragazzo o una ragazza costretto e leggere o che non legge mai, no. La lettura è un’abilità. Un giocatore in un videogioco ha un’abilità che gli o le permette di giocare, se non l’acquisisce non riesce a giocare. Perché questo non è assimilabile alla lettura?

Quindi, invitare alla lettura dove? Come? Perché? E fino a che punto è gusto coinvolgere i ragazzi e le ragazze nel mondo editoriale? Non è che con tutta questa attenzione puntata addosso “loro”, diventati così importanti per “noi”, finiscono per scappare (che forse sarebbe pure lecito)? Gli adolescenti non vanno inseguiti, ne sono certa. Oltre a essere umiliante è inutile.

Ecco, per dire che c’è tanta confusione, che forse non sono ben chiari e comuni gli obiettivi in questo mondo strambo e meraviglioso dell’editoria. Che forse alcuni punti fermi vanno messi, a costo di essere antipatica. E non sempre mettere al centro i giovani lettori e lettrici è la soluzione. A volte ho addirittura la sensazione che siano “usati” dagli adulti, perché il nostro è un mondo di adulti, anche se sembra diventata una cosa di poco conto quando invece non lo è.

Come romanziera rivendico la mia professionalità di donna adulta che ha studiato e, dopo anni di lavoro e anche di sperimentazione, fa il mestiere di scrittrice.

A un amico caro a cui piace scrivere e che ha del talento (secondo me) ho consigliato un buon corso di scrittura; già dopo alcune lezioni mi ha ringraziato, ha ammesso che non sapeva cosa fosse la struttura di un romanzo o il punto di vista, pur essendo un grande lettore. A uno scrittore o a una scrittrice serve il talento e servono gli strumenti per svilupparlo. Come al musicista, che pur sapendo improvvisare, attraverso lo studio acquisisce la capacità di esprime a pieno e al meglio il proprio talento.

Sfatiamo il mito del tutto e subito, dell’illuminazione che è capolavoro (come il grande calciatore, l’illuminazione geniale è ago nel pagliaio). Credo sia giusto avvalorare il fatto che la costanza e il tempo debbano essere gli attori principali dei nostri sogni perché questi diventino realtà.

Credo che l’umiltà sia un principio fondante per qualsiasi creativo, ma che il rispetto per se stessi e il proprio lavoro non vadano mai messi da parte.

È questione di equilibrio, come sempre, e di una ambigua deriva giovanilistica che forse inquina la nostra società seppur a fronte di moltissime iniziative valide, consapevoli e intelligenti che vedono coinvolti libri, ragazze e ragazzi.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Cronache del nido vuoto

Quando il cane è caduto in depressione per la sindrome da nido vuoto, ho capito che qualcosa di snaturato in me, in quanto madre, doveva esserci.

Essere madre, cosa significa essere madre? È una domanda spinosa, la vita è bella come una rosa, ma se vuoi prenderla in mano capace che punga.

Mio figlio grande è andato a vivere da solo e ne sono felice, anche io alla sua età ho fatto lo stesso. Curioso come quando se ne vanno lascino una scia dietro di loro di vuoto, ma anche di polvere, mobili mancanti, armadio e credenza saccheggiati.

Ma essere madre non è facile quando ti dice che i suoi compagni d’appartamento, in Italia se non ti arrangi a vivere da solo non ci vai, sono arrivati con le sporte cariche di viveri, ben rimpinzati -loro- dalle madri (mi domando se lo fanno per la gioia di liberarsene o per ingrassarli di amore). E lui no, mi rimprovera che ha dovuto fare una puntata al supermercato per cenare dopo una giornataccia di lavoro e trasloco. Lui, povera unica anima che lavora.

Essere madre non è facile. Non lo è dai tempi della scuola elementare quando tutte, mamme e nonne, facevano torte nel giorno in cui si fanno le torte per raccogliere fondi per questo o quello. Allora io arrivavo con la torta comprata, accuratamente scartocciata e ri-impacchettata a modino per infonderle l’aspetto casalingo. E mentivo. Se anche riuscivo a gabbarle tutte – nessuna mi ha mai smascherata in pubblico – durissimo era quando mi facevano i complimenti e mi chiedevano la ricetta.

Annuivo, sorridevo e annuivo.

Sapeste quanti si salvano sorridendo e annuendo.

Malefiche mamme e nonne perfette. Femminilità a tutto tondo che inforna con i tacchi a spillo e la guêpière (mai portata la guêpière, forse per questo che sono madre single). Io no, io sorrido e annuisco con garbo, molto garbo. Che poi la mia torta era chimicamente più sicura, diciamocelo pure. E se a una mamma perfetta impazziva il burro mentre intortava? Poteva venir fuori un dolce matto che faceva ammattire i bambini. Vabbè, a loro non è mai successo di far impazzire il burro, non rientra nell’ordine naturale delle cose.

Comunque, poi si cresce e le questioni sono altre. Il figlio piccolo si laurea. Laurea triennale, mica Nobel alla letteratura, anche se la laurea era in lettere, lo ammetto. In un’altra città, dunque: organizzi il tuo lavoro, la trasferta, la nonna da portare, coordini con l’ex marito e la sua feroce compagna, il figlio grande e i suoi impegni, procuri il regalo simbolico che gli resterà tutta la vita, i confetti e la diretta smartphone con la fidanzata che non può venire per ragioni di studio. E non pensi alla corona d’alloro. Il pensiero ti sfugge. E quando al dunque tutti la cercano, tu cadi dalle nuvole: ma serviva ora?, chiedi. Non si sfoggia solo alla magistrale?  I compagni di corso, inutile dirlo, hanno stuoli di familiari al seguito (noi siamo in 4), bomboniere rosse con il tocco, spumante, eleganza stile matrimonio e lussuosa corona d’alloro.

È difficile essere madre colta in flagrante, perché è indiscutibilmente colpa tua. E qui non è questione di guêpière o meno (che poi anche la mutanda nera con un filo di pizzo ha il suo perché). Sei tu che pensi a tutto e se pensi a tutto, a tutto devi pensare non puoi mica omettere, neanche presentando adeguate ragioni.

E allora annuisci, sorridi e annuisci.

Tuo figlio piccolo (si fa per dire), il laureando, che è il più accomodante della famiglia, anche se solo in un fugace momento, ti fa gli occhiacci e la coscienza di madre perfetta morderebbe allo stomaco. Ma tu non sei perfetta e annuisci e sorridi. L’amico, compagno di corso, gli presta la SUA (maledetta) corona d’alloro per le foto. Per quelle basta sorridere, non serve annuire che nella foto vieni mossa o con le smorfie, ma capisci bene che tutti considerano la cosa umiliante e come madre dovresti sentirti almeno un po’ snaturata o contrita.

E invece niente.

Il giorno dopo sei anche capace di trasformare l’umiliazione in una preziosa lezione di vita. Mica sei scrittrice “per” ragazzi da anni per nulla. Così sai, hai provato sulla tua pelle come si sentiva quel compagno che a scuola arrivava sempre senza merenda (e lui mai, mai arrivato senza merenda) e quello che aveva sempre bisogno di un passaggio perché nessuno lo accompagnava dove con i mezzi pubblici non si arrivava, mentre io fornivo la migliore versione di me come autista di taxi multi-posto. Ecco, fai tesoro.

Tutto nella vita serve. A parte la corona d’alloro.

E così sempre alla ricerca della madre perfetta, che da qualche parte in me deve esserci, la mattina dopo i rimproveri del figlio grande che è andato a vivere da solo con la Play Station, i volumi di Tolkien e gli amici del cuore, ma sembra sia stato abbandonato sulla ruota di qualche convento, riempi la sacca di tela di pasta, biscotti, pizza e in mezzo, con soggezione, quasi nascondi la bottiglia del Gin e quella del Whisky che ti ha chiesto di portagli, che ha dimenticato a casa. E vai a piedi mica devi guidare. Tu, che sei praticamente astemia e i superalcolici ti fa schifo anche solo toccarli e vederli nella credenza, li involti in doppio strato di plastica anti-ecologica e glieli porti. Sono suoi, li ha comprati lui quando aveva trasformato la taverna di casa nella sua tana per trovarsi con gli amici. E ti senti snaturata come madre a portagli gli alcolici, anche se non lo hai mai avuto sentore che si sia ubriacato o peggio. Quindi ti assolvi. Tu snaturata, non batti ciglia e gli dai fiducia, come hai fatto con le ragazze con cui hanno dormito-non-dormito nel letto matrimoniale della mansarda. Che l’esperienza serve tutta, sempre, appunto.

Vorrei precisare che non ho un castello come casa; è vecchia ma grande, anti-ecologica, cigolante, ospitale e con una certa personalità.

In finale, insomma: snaturata ma assolta.

Con un soffio sgrullo fuori dal nido vuoto l’ultima piumetta, elimino una foglia secca, pesto bene il guano che fa da pavimento e mi piazzo in poltrona con un buon libro e una tazza di tè nero all’arancio.  Devo ricordarmi di mettere un post-it sulla mia anima, perché nella prossima vita vorrei un compagno che mi ami, cucini, faccia torte, accudisca e mi lasci leggere e scrivere in pace; a fare figli ci penso io, che mi vengono bene.

In un mondo di affidabile incertezza, auguro a tutti buone feste pasquali e un po’ di normalità, che aiuta, ne sono certa.

(La tazza della foto è di http://www.meditathe.com)

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Borders, come nascono le mie storie

Che dire?

Sono senza parole. Lo sono da un po’.

Anche perché Mara Becchetti in ogni copertina che mi disegna si fonde sempre di più con le mie storie tirandone fuori tanta bellezza per me inaspettata.

Di questo romanzo parlavo con un’amica nel febbraio 2020, qualche giorno prima del famoso scioccante lockdown, mangiando una piadina, ma era già nella mia testa dopo la pubblicazione di Arambì al quale ho contribuito.

L’ho mandato come proposta editoriale a Sinnos più che altro per coerenza e amicizia e invece se ne sono innamorati e non me lo aspettavo. Non potevo chiedere di meglio ed è stato subito loro e da allora non smette di stupirmi. Mi lascia sempre a corto di fiato e di parole.

Fino a oggi abbiamo vissuto una pandemia e ora a pochi stati di distanza da noi le persone muoiono in una guerra fatta di bombe e sangue, mentre i potenti si misurano tra loro. Tutto è arrivato inaspettato.

Questo è un romanzo post-apocalittico in cui la terra si è ammalata a causa di una Grande Malattia e pochi sono sopravvissuti, ma i ricordi del mondo di prima si fermano al 2020 e quindi mi sono detta che forse un romanzo così, ora, non serve più. Eppure come scrive Neil Gaiman nella prefazione di Fahrenheit 451 di R. Bradbury, nelle distopie si racconta il futuro, ma si osserva sempre il presente. La mia Grande Malattia è quindi un monito. E forse una metafora.

E Borders è il mio modo di essere ambientalista, ora più di prima.

La vecchia Olmo è una sopravvissuta ed è centenaria; ha adottato tredici anni prima una ragazza e tre ragazzi cui ha dato i nomi propri di Lindgren, Verne, Dickens e Alcott, nomi strani che nessuno ha mai sentito a Magnolia. E poi li ha cresciuti con i racconti del mondo di prima: romanzi, storia e geografia di allora. Ma quelle conoscenze a Magnolia sono pura sovversione e Olmo è sicura che, lontano da lì, la vita brulichi di nuovo tra foresta, roccia e mare. Fuga, esplorazione, nuove scoperte; quei quattro ragazzi devono superare molti ostacoli, ma c’è anche un viaggio di consapevolezza dentro loro stessi da fare, mentre sono alla ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, di nuovi semi da piantare, di un mondo da ricostruire.

Borders racconta che scienza e arte servono entrambe l’umanità.

E allora forse serve anche un romanzo avventuroso post-apocalittico se non è fine a se stesso. Infatti si possono costruire mille storie come mille burattini, ma se non ci soffi dentro la tua anima saranno solo bei burattini da vedere, storie facili da leggere.

Io qui la mia anima ce l’ho messa tutta, poi non so se basta a far prendere vita a questo romanzo e a farlo non essere fine a se stesso. So per certo che è ancora molto lungo e spero di avere abbastanza anima e voce per poterne scriverne ancora.

Insieme a tutti noi.

Intanto, ecco Borders, perché i confini non esistono e se ci sono muri bisogna scavalcarli.

Per l’intervista e l’articolo cliccare: RAI CULTURA

leggi anche: PREMIO RODARI 2022

Clicca e guarda: L’intervista che mi ha fatto Carola Carulli per Achab Libri, Rai2, su Borders, minuto 3:20

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

L’ingannevolezza della buona volontà

Se chiamate un idraulico che ha studiato per corrispondenza ma con tanta buona volontà e poca attitudine, invece di riparare un guasto può forare un tubo e lasciarvi in un guaio peggiore di prima.

La buona volontà può far danni? A volte sì.

Però ci sono ambiti in cui la buona volontà la fa da padrona. E succede spesso per quei mestieri creativi o artistici che sembrano di scarsa utilità e quindi di scarsa dannosità, eppure il vuoto culturale è un danno.

Posto il fatto che io sento la necessità di un romanzo, una poesia, un’illustrazione tanto quanto di una banca per depositare i miei pochi risparmi e del paracetamolo per lenire i miei mal di testa (causati pure dai scarsi risparmi, ahimè), nel nostro Paese la cultura è troppo spesso affidata all’improvvisazione.

Una professoressa illuminata mi ha confidato come il dirigente, dopo che io per un anno avevo lavorato a scuola come esperta esterna, le avesse chiesto di arrangiarsi lei per quello successivo. “Come fare ormai lo sa, no?” Lei, da illuminata, si è rifiutata perché non è il suo lavoro e conosce la differenza tra competenza e approssimazione, ma non tutti rifiutano, lo so per certo e a volte anche per ragionevoli motivi.

Tanti si cimentano, adesso mi pare un vero e proprio bisogno adulto, nel creare gruppi di lettura per adolescenti. Un affare complicatissimo di cui pochi conoscono il valore. Non basta aver letto qualche libro, scegliere quello più in voga o dell’autore che ci sta più simpatico e poi reclutare il materiale umano (che giustamente fugge). Per proporre un solo libro bisogna averne letti cento, è condizione intellettualmente onesta e necessaria per poter dire a dei ragazzi e a delle ragazze: “leggetelo!”. Bisogna capire e sapere cos’è un gruppo di adolescenti, cosa significa fare gruppo, cosa si può offrire loro per farli appassionare ai libri e al mondo dei romanzi. Non basta proprio dire: leggi. Eppure questo nessuno pare saperlo, anche il vecchio buon esempio è in cantina sepolto dai vecchi ricordi. Pochi credono nella formazione e non parlo solo di singoli cittadini appassionati, ma anche di istituzioni (un comune che paghi un corso a una bibliotecaria perché si formi e poi lavori con i giovani lettori).

Nessuno vorrebbe in casa un idraulico non formato o in classe un insegnate non laureato, ma tutti sanno e possono scrivere, creare eventi e gruppi di lettura.

Siamo un Paese che si fonda sul volontariato, in fondo.

Si deve investire nella cultura a partire dalle piccole iniziative. Il mio è proprio un grido.

È giusto invitare un’autrice o un autore a scuola senza aver letto i suoi libri? O realizzare un evento e poi avere due persone in sala? Di chi è la responsabilità? Credetemi, capita a chiunque scriva romanzi per mestiere l’evento triste, ed è anche svilente vedere poi le foto di spalle di quei due o tre spettatori che ignari diventano pubblico dignitoso. È triste e soprattutto inutile, non aiuta a creare lettori, non cambia le cose nella testa/cuore/anima/vita delle persone come deve fare l’arte e la creatività; fa solo scena. È vuoto. È un’ occasione persa. Una finzione di cui ci accontentiamo. Se si rispetta un’autrice o un autore, prima di ingaggiarlo (pagarlo e spesarlo) si deve già sapere di avere un pubblico di base (le famose spalle coperte) che poi va allargato con la promozione, i comunicati stampa e con la scesa in campo degli uffici cultura e degli assessori che hanno creduto, avallato e pagato un progetto culturale.

La buona volontà non basta, ci vuole professionalità, si devono formare le persone che propongano la cultura e l’arte in tutte le sue forme, esattamente come si formano gli insegnati della scuola o i manager nelle aziende.

Abbiamo bisogno di bellezza e di romanzi che si mangino tutte le guerre, dobbiamo investire in questo, non in occasioni perse.

Sì, è un grido di allarme e di sofferenza, perché la bruttezza avanza e si maschera da vuoto culturale, mentre il disprezzo per la vita umana, animale e per la natura tutta cancella il nostro futuro.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il brigantino sommerso, come nascono le mie storie

Ho un quaderno degli appunti, ma non sempre scrivo lì le idee per i nuovi romanzi. Ho molti file archiviati sul computer con dei soggetti, trame, piccoli racconti che devono crescere.

Il brigantino sommerso era sul quaderno degli appunti. Frasi spezzate, luoghi, foto attaccate con la colla. Parecchi anni fa andai in Bretagna e ci tornai altre due volte. Quella terra mi è rimasta nel cuore più di ogni altra. In uno di quei viaggi visitai la cittadina di Tréguier, l’avevo trovata descritta in un romanzo e quindi avevo deciso di andarci. Nel porticciolo erano ormeggiate molte imbarcazioni da diporto e con i miei figli, allora ragazzini, scendemmo lungo la passerella per leggerne i nomi, immaginarne la navigazione e i volti dei marinai che ne erano i proprietari.

La sera in campeggio (mi piace viaggiare con la roulotte o con la tenda) buttai giù degli appunti. L’inizio della storia era chiaro, l’incipit era già pronto.

Poi Luisanna ha fatto tutto da sola, anche se era compito mio scrivere i romanzi di J. Lago.

Corro troppo?

Luisanna sfrutta una vacanza in Bretagna per cercare di conoscere il suo scrittore preferito. Si troverà coinvolta in una strana faccenda riguardante il recupero del relitto di un brigantino del XVII secolo, ma soprattutto scoprirà qualcosa del passato della sua famiglia.

Non è stato così difficile scrivere i romanzi di J. Lago perché in effetti esistevano già e ne sono protagonisti il pirata Rico, la sua compagna Fiorenza e il loro fidato amico Alleluia. Tre storie lunghissime (mai pubblicate) di ispirazione salgariana, scritte di getto molti anni fa per i miei figli. Un capitolo a sera, avventure buttate giù al mattino sul foglio digitale del programma di scrittura del pc e lette a loro prima di andare a dormire. Un divertimento, un gioco tra noi che resta ancora come un piccolo patrimonio della nostra famiglia.

L’amore per quelle terre francesi e per la navigazione a vela; il fascino di personaggi misteriosi in cerca del loro autore; una ragazzina saputella i cui genitori fanno gli attori cinematografici e sono sempre in giro per il mondo; due buffe zie, Marga e Rita, l’ambiguo capitano Trou e la bellissima Catelle sono i protagonisti di questa storia avventurosa, scritta anni dopo quei viaggi in Bretagna, i cui profumi, paesaggi e venti mi sono ancora chiarissimi in mente e molto cari.

Il brigantino sommerso risalente al XVII secolo, con cui avevamo navigato Rico, Fiorenza e Alleluia, si chiamava Il Giglio, ma la nave dove vive John Lago si chiama…

… e per quale motivo si chiama così?

“Lui prese coraggio e alzò la mano destra stendendola
verso di lei:

«È stato un piacere navigare con te, Duch».
Luisanna la strinse con calore:
«Per me è stato un onore, Lago».
I due si fissarono cercando entrambi di ricacciare indietro le lacrime.”

Se avete voglia di salire a bordo, basta che andiate in libreria… ! Ogni romanzo è un viaggio, questo è fatto di brughiere battute dal vento e di rocce a strapiombo sul mare. Non dobbiamo per forza essere bambini o bambine per leggere questa storia, possiamo tornare indietro nel tempo e immedesimarci in Luisanna, oppure no e restarla solo a guardare con un pizzico di nostalgia.

“Se lei poteva entrare in una storia leggendo, forse
i personaggi di un romanzo scritto benissimo potevano
uscirne. E John Lago era bravissimo.”

Luisanna sa che può capitare, perché leggere accende il gioco potente dell’immaginazione, ed è come per i sogni che se li perseguiamo con cura, pazienza e costanza possono avverarsi.

Tutto può cominciare anche solo con un buon libro e Luisanna parte proprio da un romanzo per cercare qualcuno che è molto importante per lei.

Basta un buon libro. E se non basta, può essere l’inizio.

Buon vento!

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Pensieri canini

Auguri, abbai e altri affanni

Tocca a me prendere l’abbaio.

Tocca a me scrivere per lei.

A sua madre volevo bene. Sua madre cercava di fregarmi, andava quatta quatta alla credenza e frugava nella scatola dei biscotti con destrezza, ma quando si voltava io ero lì e la guardavo. «Giuli dice che ti fanno male» borbottava, ma sapeva che diceva lo stesso anche a lei. Allora divideva. Non dovevo neanche impregnarmi troppo con il muso spezzacuori.

Le facevo spesso compagnia quando era malata, quando anche il gatto era con lei, quando era molto triste.

Il giorno che se n’è andata non capivo niente. È scivolata via, non ho sentito nulla, solo il vuoto. Sono un cane, la morte l’accetto come la vita, non la vedo arrivare ma la riconosco. Non sapevo cosa fare e mi sono ricordato della sua tristezza.

E la Umi non è stata mai ferma, lei sa sempre cosa c’è da fare. O forse non lo sa ma sembra che lo sappia. Fa. Solo io capisco quanto è confusa, perché mi sento confuso anch’io e litighiamo. Io abbaio alle macchine, lei mi sgrida, io lo faccio di nuovo, lei dice che mi detesta. Ma non è vero. Ci azzuffiamo solo per distrarci dalla confusione.

Anche andare a casa sua è stato sconcertante, non volevo entrare, mi ha dovuto strattonare dentro. Mi sono rintanato dietro al divano, dove andavo di solito, ma non era come al solito. Le sue cose hanno ancora il suo odore e lo avranno ancora per molto tempo, almeno per me che sono un cane.

La Umi fa, stacca quadri, prende libri, svuota cassetti ed è tutta una baraonda.

Poi si siede sul divano e sta, si guarda attorno e non fa più niente per un po’ e poi ce ne andiamo, ma l’indomani torniamo e lei fa di nuovo la stessa manfrina. Così la baraonda è diventata confusione pure fuori.

Ora siamo più liberi lei e io. La libertà ci piace perché possiamo scrivere e leggere e camminare quando ci pare, perché non dobbiamo preoccuparci più di nessuno se non di noi. Eppure ci sentiamo un po’ più poveri, ce ne rendiamo conto.

Io sono un cane e non ci penso troppo. Lei ci pensa di più. Allora io abbaio alle macchine, lei mi sgrida, io lo faccio di nuovo, lei dice che mi detesta. Però, ancora una volta, non è vero, ci siamo distratti e non pensiamo più.

È quel periodo dell’anno in cui si festeggia, essendo un cane non mi interessano le festività e la Umi è un po’ cane pure lei perché non interessano tanto neanche a lei. Però tra gli umani le festività sono importanti come è importante per me, quando incontro un altro cane, annusargli il didietro. Allora la Umi ha tirato fuori tutti quei ciuffi di abete con i fiocchi rossi sui quali, purtroppo, non si può fare pipì e ha comprato una teglia usa e getta per fare la pasta al forno che potrò ripulire a fine pasto e sarà una goduria. Il lato culinario delle festività umane non è da disprezzare.

Insomma la Umi è troppo impegnata a dividersi tra libertà e povertà, tra pacchetti, lasagne e ricordi, quindi mi è toccato farle presente che doveva fare gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutte le sue amiche e amici, a tutte le sue lettrici e lettori.

Pensaci tu, mi ha risposto.

Allora, da parte mia e sua, vi abbaio tanti auguri perché abbiate in abbondanza cibo da rosicchiare, boschi in cui correre e cieli a cui ululare,

spero sia abbastanza,

vostro affezionato,

Brik

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Leggere liberi, liberi di leggere

Riflessioni con un capo e una coda, ma senza pretese.

Ci insegano a leggere e poi, almeno in Italia e in linea generale, finita la secondaria di primo grado dimentichiamo come si fa. Perdiamo il piacere della lettura, leggiamo solo per necessità. Forse è normale che sia così, l’evasione e la riflessione passano attraverso mille altre forme, più o meno idonee, rispetto a quando la letteratura la faceva da padrona. E anche molti romanzi, oggi, viaggiano pensando già alla serie tv che da loro, quasi certamente, si svilupperà. È una scommessa soprattutto economica, per altro più che giustificata.  

Restano i valori privilegiati legati alla lettura, come la capacità del lettore forte di vedere dietro le righe, di sperimentare sulla propria pelle storie di personaggi immaginari o reali, di portarsi dentro riflessioni maturate e durature o solo pronte a esplodere al momento giusto, di imparare a esercitare un pensiero e delle scelte proprie. Un sacco di belle cose insomma.

E ci sono poi gli irriducibili lettori che voglio esportare la loro passione e così nascono i gruppi di lettura, anche giovanili. In questo ultimo caso un’azione a metà tra missione e necessità oggettiva.

Incosciente come sempre, mi sono gettata nella costituzione di un gruppo di lettura, o meglio di un movimento di giovani lettori, Leggere Ribelle, che coordino insieme a due bibliotecarie e un’educatrice. Ne rivendico la direzione artistica (se così si può dire) e sono convinta dell’importanza della rete tra gruppi di lettura, soprattutto per adolescenti. Quindi ecco il pensiero fondante del confronto, ma anche quello dell’osservazione e della riflessone da parte mia. Perché resta mia la responsabilità del terreno letterario su cui cresce LR. E la sento tutta.

Vivo una vita professionale divisa tra il ruolo di lettrice e quello di romanziera. E questo dà al gdl un’impronta precisa. Nonostante qualsivoglia buona intenzione. Questo capita anche se a condurre un gdl è un insegnante e il gruppo vive una vita diversa se si incontra a scuola, oppure in biblioteca o in una libreria. Non sto dando giudizi in merito, sia chiaro. Io posso condurre il gruppo solo essendo me stessa e vale anche per gli altri. Nessuno sfugge al destino di essere quello che è, o di credere in quello che fa.

La domanda è: come facciamo a creare lettori davvero liberi? È davvero possibile? Forse no. Per tante ragioni.

Per esempio, ci sono almeno due modi di guardare un opera in un museo: con una guida che la spiega o da soli, ascoltando le emozioni che suscita in noi.

Se la prima opzione ci sembra troppo didascalica, bisogna ammettere che la conoscenza del contesto artistico dell’opera può aprire emozioni nuove e il saper utilizzare gli strumenti che ci permettono di leggere razionalmente l’opera sono porte che si aprono. Altrimenti il passaggio della conoscenza da un individuo a un altro non avrebbe senso e non sarebbe un patrimonio.

Però la libertà di lettura viene comunque condizionata. Arrivare all’ideale passaggio successivo di liberarsi degli insegnamenti dopo averli interiorizzati, per dare un giudizio personale ma non privo di competenze, è un processo complesso e lungo.

Nel gruppo che conduco presento romanzi nuovi a ogni incontro, ma sono io a sceglierli, sebbene mi impegni ad andare a scovare quelli belli che arrivano alle ragazze e i ragazzi con meno facilità e sebbene accolga anche quelli che portano in bibliografia i giovani lettori. Il gruppo d’altronde è nato per questo, per portare alle ragazze e ai ragazzi autrici e autori di levatura internazionale che il giovane lettore italiano difficilmente incontra. La lettura non è patrocinata, a scuola in maggior parte arrivano libri di divulgazione culturale e pochi romanzi veri e propri slegati dal programma di studio; non tutti i bibliotecari del territorio e i librai sono formati in questioni di letteratura giovanile. Mi ricordo che le ragazze e i ragazzi, quattro anni fa, arrivarono a costituire LR non avendo mai sentito nominare M.A. Murail o Aidan Chambers (e poi li hanno conosciuti e amati).

Anche se la situazione è in evoluzione, per fortuna, bisogna dirlo.

Io per esempio non apprezzo i romanzi di Alessandro D’Avenia e li ho sempre tenuti fuori dal nostro scaffale, ma (e di questo sono molto orgogliosa) due lettrici hanno voluto inserirli e non sono riuscita a far loro cambiare opinione. Istigare alla ribellione letteraria è sicuramente uno degli scopi non dichiarati del gruppo che coordino, ma di certo mi fa sorridere che la ribellione istighi al conformismo invece che il contrario. La libertà porta anche questo peso.

Dunque, ogni gruppo di lettura ha la propria impronta.

Per esempio, quando nella mia biblioteca di riferimento mi chiesero come avrei organizzato un gdl per adulti, io ho scartato la scelta del conduttore, educato lettore, che suggerisce un romanzo e poi avvia il confronto. Credo che il gdl tra adulti appartenga ai lettori che democraticamente alternano le loro scelte in totale libertà. Nel salotto di lettura ognuno porta la propria proposta e la motiva, questo allarga gli orizzonti di ogni partecipante e modula gli interessi di quel gruppo preciso di persone. Che siano a livello dei classici russi o de polizieschi italiani non ha nessuna importanza, ogni gruppo ha la propria personalità, si cresce insieme comunque.

Quindi, tornando agli adolescenti, il coordinatore dà la propria impronta al gruppo.

Come detto, lo scopo per cui volevo formare Leggere Ribelle principalmente era ed è: promuovere autori contemporanei di qualità, spesso famosi altrove e sconosciuti in Italia. D’altronde quando i ragazzi arrivano e si presentano al gruppo, i libri che presentano come loro romanzi preferiti dimostrano quanto spesso manchi nel loro panorama letterario la grande narrativa giovanile nazionale e internazionale contemporanea. Noi di LR ci siamo per questo!

A quattro anni e più dall’inizio, grazie agli incontri con festival e altri gruppi, il movimento LR ha ampliato enormemente la propria bibliografia di riferimento. Il mio apporto è sempre meno importante e le proposte dei lettori sono sempre più ricche, interessanti, contemporanee. I più esperti raccontano ai più giovani, i suggerimenti passano, lo scambio è attivo.

Il mio sogno sarebbe un gruppo di lettori adolescenti che si alimenta da solo.

Il tipo di conduzione di un gdl ha, quindi e nonostante tutto, il proprio peso a sfavore della libertà di lettura.

Vero è, d’altronde, che leggiamo con la nostra testa e noi siamo il prodotto della società in cui viviamo, ne subiamo indiscutibilmente i condizionamenti, anche quelli letterari.

Sono lettrice, ma resto narratrice e dietro ogni mio romanzo c’è un percorso di consapevolezza oltre che di creatività.

In Ladra di jeans ho lavorato sul contrario. Cioè pur volendo trattare, raccontare, interrogarmi sul ruolo dei nostri corpi nei rapporti con gli altri, ho voluto consapevolmente percorrere una strada che rompesse ogni consuetudine. L’ho fatto con precisione. Lo so bene perché alla fine della prima stesura nacque una lunga discussione con uno dei miei figli che l’aveva letta. Quello che era sfuggito a me, non lo era a lui e dibattemmo a lungo sul pericolo per questo libro di refusi di logica materiale. Nonostante questo, nonostante io sia stata attenta a non scrivere nulla che inducesse il lettore a credere amiche coloro che non lo erano, a volte sono state lette come tali.

Come mai? Mi sono domandata.

Non potrebbe essere perché fatichiamo a essere lettori liberi?

Leggiamo già sapendo come andrà a finire perché il terreno che la letteratura solitamente ci fornisce è fatto di elementi indiscutibili. Che il diverso verrà accettato deve essere un dato di fatto. Ma io ho giocato sul contrario. Ho provato a scucire la trama di una storia “convenzionale” per vedere cosa poteva accadere se conducevo il lettore per altre vie, se raccontavo di personaggi convinti del contrario. Perché non c’è sempre un lieto fine.

Non so se ci sono riuscita. Ovvio, nessun autore può essere sicuro delle intenzioni della propria opera, a meno che questo non sia un prodotto smaccatamente commerciale.

Comunque vada o andrà, ho ricavato due grandi lezioni per me stessa.

Non devo smettere di provare a scardinare con delicatezza le certezze del lettore in modo che, sia lui che io, possiamo farcene di nostre. Ricordo un romanzo famoso che finiva con la disfatta della protagonista, una ragazza stuprata dal branco e convinta di essersela cercata. Mi arrabbiai per quel finale, ma capii che era una leva fortissima per incitare al contrario.

Vorrei continuare a cercare buoni romanzi di bravi autori contemporanei da mettere nella bibliografia di Leggere Ribelle, che raccontino narrazioni alternative a quelle più ricorrenti, socialmente accettate o comuni. Romanzi che raccontino l’altro e altro, anche in altro modo. E non sto parlando di argomenti forti o dissacranti a ogni costo. La violenza fine a se stessa è sempre bandita per quel che mi riguarda. L’ironia è un’arma potentissima e così la delicatezza che accompagna. Ma lì ogni narratore, ogni buon narratore, è diverso, abile e affascinante a suo modo.

L’originalità in un romanzo è anche questo ed è utile per disabituarci a immaginare quello che succederà senza leggerlo veramente.

Uno dei grandi valori della lettura che dobbiamo provare a passare ai ragazzi (e non solo a loro), è la ricerca inarrestabile del pensiero libero per saper uscire dalle maglie della consuetudine. Per quanto è possibile. L’accettazione profonda e naturale della diversità (reale o immaginaria) passa attraverso il pensiero autonomo, se la letteratura “per ragazzi e adolescenti” non lavora per emanciparsi dalla zona confort delle nostre vite, forse (meglio: senza forse), non è letteratura. E solo un buon romanzo è capace di far nascere nuovi e indispensabili giovani lettori.

Pubblicato in: Colpi di coda

Un libro dedicato a un cane…

Io e te, te e io.

Sei un cane da lavoro, fai il cane di famiglia.

Ti adatti a ogni cambiamento e mi saluti sempre al mattino saltando sul letto pieno di allegria. Non conosci il domani e vivi il presente sempre con la stessa gioia.

Non sei un cane facile. Ti ho dedicato Huck perché so che saresti potuto essere così e forse già lo sei e per questo non sei facile.

Sono solo cani, vero, ma posso educarci ad ascoltare, ci insegnano a decifrare quello che nessuno ci dice, sono una palestra per vivere con senso.

Gli animali ci rendono più umani.

A Bryce ho dedicato I segreti di Huck, Mimebù Edizioni, un romanzo che nasce con lui, ma che fatica a essere letto, a essere visto. Forse è colpa dell’autrice, non certo del cane.

Te e io, io e te.

Camminiamo insieme.

I segreti di Huck

I segreti di Huck – Come nascono le storie

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri…

“Il figlio ricorda bene la propria delusione quando attorno ai trent’anni lesse quelle riflessioni di Simone de Beauvoir sul «raccorciamento dell’avvenire», sull’insensatezza o almeno la futilità di formulare progetti ambiziosi e impegnativi che da un momento all’altro possono andare in fumo per una malattia, per gli acciacchi dell’età o per la morte.” da Nel nome del figlio di Bjorn Larsson per Iperborea.


Sebbene lui scriva “Dai lettori si possono ricevere stima e ammirazione (…) ma non amore o amicizia…”, per me Larsson rappresenta una sorta di amico. Un amico che non conosco, certo, ma l’uscita dei suoi romanzi, giustamente diluita nel tempo, è sempre stata un momento di festa per la consapevolezza che mi avrebbe regalato ore di lettura piene e stimolanti. Confesso che ho apprezzato tantissimo i suoi romanzi, ma in quest’ultimo mi sono chiesta per tutta la prima parte se stessi apprezzando o meno. Eppure leggevo e non mollavo, già quindi emotivamente la risposta c’era. Nella seconda parte ho preso in mano la matita e cominciato a sottolineare, quindi anche il lato razionale di me apprezzava.

Certo, nei romanzi, i lettori cercano quello di cui hanno bisogno. Quello su cui hanno bisogno di pensare e interrogarsi e io, da un po’, resto incantata o disincantata, non lo so, a guardare i miei figli, ormai uomini, scorgendo in loro gesti del padre, di mio padre, della nonna e miei (gli unici che non vorrei forse vedere). In me rivedo mia madre da giovane. Ma poi un’amica d’infanzia mi rivela in un commento un particolare sulla relazione che avevo con mia madre da giovane, completamente dimenticato, e allora questo romanzo (non romanzo) di Larsson diventa vivo e straordinariamente interessante.

C’è tanto, perché un figlio anche scrittore diventa spia e sollecito nei pensieri di noi, tutti figli. E perché se sei scrittore pensi sempre alla letteratura e a come vuoi essere scrittore. “Finito un libro, sia lo scrittore che il lettore dovrebbero chiedersi se vogliono rimanere quello che sono.”

Io non so se sono una scrittrice, una romanziera come mi piace pensarmi, non lo so perché sono forse i lettori a deciderlo; perché scrivere per me è un percorso irto, complicato, irrisolto; perché non so se ci sia una scala di gradini di vendite da salire se vuoi essere sempre più scrittrice; perché non ho capito se devi resistere e continuare a viverci di scrittura per essere libera di esserlo.

Insomma, ammettendo che io sia una scrittrice ho trovato in questo libro idee su cui convergo e che mi fanno sentire meno sola; essendo una figlia ho trovato invece pagine che stimolano i miei pensieri e persino il conforto di una possibilità cui non avevo mai pensato.

La frase che ho riportato in apertura è potente per me. Quando sono nel mezzo della scrittura di una storia sento la paura di doverla lasciare incompleta. Se ne può ridere: una volta ho raccontato dettagliatamente il finale a mio figlio, così se mi fosse successo qualcosa avrebbe potuto finirla lui!


Non so dirvi se è a causa del momento particolare che io sto vivendo, ma a me questo romanzo-non romanzo è piaciuto molto, mi è piaciuto addirittura quanto i primi Larsson che ho amato.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Colpi di coda, Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

corpi

Volevo scrivere di corpi femminili. Era tanto che volevo farlo. L’ho fatto con Ladra di jeans, ma è stato solo l’inizio.

In realtà i corpi mi facevano paura, come a tanti di noi. L’immaginario collettivo ha idee molto chiare al riguardo. Chiare sono le sue immagini.

Per guardare davvero i corpi dobbiamo andare altrove, dove l’immaginario non è riuscito a creare il diverso. Come dice Padma, come capisce Gemma. Un non luogo da cercare, da trovare, dove anche il “vecchio e brutto” assume bellezza e possiamo guardare con occhi nuovi quello che non ci spaventa più.

Se la seduzione non è la sola voce di un corpo, allora i solchi, le pieghe, le spalle curve, la pelle vuota diventano come la corteccia di un albero.

Lavare un corpo vecchio è come lavare un bambino, è una maternità tardiva che sorprende; che trasforma gesti filiali in materni e insegna a leggere al contrario. Nel corpo vecchio vedi l’oltre e la seduzione femminile diventa la veste leggera, un nulla nella totalità.

La vera bellezza, di colpo capisci, sta nel tempo consumato e mai in uno stato intermedio.

Così tutto cambia se trovi e ti fermi in quel non luogo dove non c’è il diverso.

Ladra di Jeans, maggio 2021, Sinnos Editore, collana ZonaFranca +12

Leggi anche Ladra di jeans, come nascono le mie storie

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Il sesso nei libri per ragazze e ragazzi? Niente sesso, non leggiamo

Poiché ieri mi sono trovata ancora a leggere del perché il sesso sia il grande escluso della letteratura per ragazzi contemporanea e italiana, voglio dire la mia. Aggiungere un punto di vista.

Premetto che le osservazioni lette, cui hanno dato il via persone delle quali ho molta stima, sono interessanti e stimolanti, ma mi sento chiamata in causa come autrice.

Suddividerei i romanzi per ragazzi nostrani in tre macro categorie. Quella che potremmo chiamare di divulgazione culturale, che prende per mano il lettore e lo aiuta a orientarsi nei conflitti sociali odierni e del passato, a osservarsi e comprendersi attraverso una buona narrazione; quella dove la narrazione arriva dalla fabbrica delle storie, dove è interiorizzato e fatto proprio Il viaggio dell’eroe, dove la penna sapiente dello scrittore o della scrittrice avvince il lettore e lo porta in mondi e viaggi lontani; infine quella dei romanzi “indipendenti” in continua ricerca dell’originalità del plot e dell’eccesso creativo.

Ci sono scrittori che sanno muoversi in una sola categoria, altri che spaziano. Le buone penne si riconoscono comunque.

Adesso arrivo al punto.

In Italia non ci sono lettori. In altri paesi i giovani entrano in libreria e in biblioteca e cercano buone storie da leggere? Da noi, no. O sono così pochi da essere irrilevanti ai fini del mio ragionamento.

Da noi i romanzi che i ragazzi leggono, li scelgono gli insegnanti e i genitori.

I romanzi appartenenti alla prima categoria vivono nelle scuole, supportano la lettura nelle scuole, elementari e medie, e per loro natura indicano la via ma approfondiscono le tematiche richieste. Nei secondi il sesso non interessa né il lettore né lo scrittore, cercano entrambi altro; la terza, in un popolo di non lettori, non ha nemmeno ragione di esistere, ma potrebbe e dovrebbe raccontare la sessualità a buon diritto se vuole creare personaggi vivi e veri.

Non si parla di sesso nei romanzi per ragazzi perché non ci sono lettori, quindi non si producono libri per lettori che non esistono. Ok, non è vero che i lettori giovani e forti non esistono, ma quello che producono e importano le case editrici italiane basta e avanza. Offriamo Chambers, Murail o il romanzo Ophelia e siamo, oggettivamente, a posto. E poi ci sono sempre i romanzetti YA al bisogno.

Di cosa stiamo qui a parlare noi adulti?

I progetti e gli insegnati virtuosi sono gocce sul territorio nazionale. Anche se a noi sembra tanto, è una percezione errata. Il diritto alla lettura non si sa neanche che cos’è.

È inutile parlare di sesso o esplicitarlo nei romanzi perché (a differenza di me ragazzina) non è lì che vanno a cercare confronti e risposte i ragazzi e le ragazze. E poi non è vero che non se ne parla, ma ognuno ha la sua voce. Il mio Valerio dopo che ha incontrato la vicina del terzo piano che ingolfa le sue fantasie fatica a stare sul sellino della bici (Se la tua colpa è di essere bella); e in il ragazzino che porta Daria a fotografare Rachele (La figlia dell’assassina), chiede in cambio alla ragazza una strofinata di tetta, perché non ce la fa più ad accontentarsi di altro materiale. Quindi non sono personaggi asessuati.

Se un’autrice e un autore è onesto in un suo romanzo saprà rendere vivi i suoi personaggi e il loro sesso c’è dove deve esserci. Io sono spesso in conflitto con il mio mondo editoriale, però credo che faccia il possibile per resistere in un Paese in cui il valore della cultura e dell’arte contano ancora molto poco.

Il mio mestiere di scrittrice per ragazzi (solo di scrittrice) non è riconosciuto o sostenibile, non esiste proprio. Non dimentichiamolo. Che poi di questo io faccia una battaglia e non del sesso nelle storie è un’altra questione.

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Ladra di jeans, come nascono le mie storie

Ladra di jeans è una storia che sono felice abbia subito accolto Sinnos perché non è il seguito de La figlia dell’assassina ma sento tra i due romanzi una sorta di continuità. Se Rachele e Daria sono due rette parallele, amiche e nemiche e mai s’incontrano. Tra Gemma e Padma l’odio veste i panni dell’amicizia. Loro s’incontrano in un romanzo duro e tagliente.

Vi è mai capitato di ferirvi il polpastrello con la carta? Questo è l’effetto che mi fa Ladra di jeans.

Le storie a volte nascono da un incontro o da un’immagine. Questa è nata vedendo camminare due donne, presumibilmente madre e figlia, che portavano un grosso sacchetto di carta pieno di vestiti. Erano originarie della Repubblica dell’India. La figlia minore, la protagonista della mia storia, non c’era. Non potevo neanche sapere se esisteva davvero un’altra figlia, ma era la mia Padma.

Mi sono documentata parecchio per rendere realistico il personaggio, ho visto ore di cinema indiano e letto della società e delle tradizioni indiane, ma una volta finito il romanzo ho cercato qualcuno per avere delle conferme.

Coordinavo un gruppo di lettura per adolescenti presso la biblioteca Vez Junior di Mestre e un pomeriggio, a causa di un’epidemia di influenza, non erano ancora iniziati i tempi del covid, ci ritrovammo solo io e Dristi M., una ragazza di origine indiana dell’età di Padma e grande lettrice. Così ho conosciuto chi ha confermato, suggerito o corretto parte di quanto scritto nel mio romanzo a proposito delle abitudini e delle tradizioni della Repubblica dell’India.

A lei va il mio grazie sentito e affettuoso. Non potevo incontrare consulente migliore.

Perché Padma è nata e vissuta per undici anni della sua vita in India? Sarebbe stato più facile farla essere nata altrove? Come scrittrice ho questo potere, ma come romanziera ho il dovere di lasciare ai miei personaggio il diritto di essere quello che sono. Molte delle intuizioni riguardo al modo di essere e di comportarsi di Padma si sono dimostrate esatte, anche se non sono una studiosa dell’India contemporanea nè ho amiche indiane.

Credo che si debba scrive di quello che si conosce bene, ma credo che non sappiamo tutto quello che sappiamo. Esiste anche l’intuizione e l’empatia verso il prossimo che può regalare un patrimonio di conoscenza dal carattere recessivo pronta a trovare strade diverse per venire allo scoperto. È il patrimonio dell’artista che la romanziera può e deve saper sfruttare. E io scrivendo mi fido dell’intuizione e dell’empatia.

Gemma e Padma sono in classe insieme, ma non potrebbero essere più diverse. Gemma è sfacciata, calcolatrice, cinica. Padma invece è timida, grande lettrice, buona. Ma quando, per un caso fortuito, un paio di jeans passa dall’una all’altra, si innesca tra le due una strana amicizia. Un’amicizia sul filo del rasoio, dove la sincerità, il calcolo e l’intelligenza assumono contorni sfumati e pericolosi.

Ci sono due ragazze: un sembra tonta l’altra furba, ma non è detto; una sembra buona e l’altra cattiva, ma non è specificato; una potrebbe piacervi di più l’altra per niente, ma probabilmente non è così.

Sembra un thriller psicologico!?  Può essere. Anche.

E intorno a loro c’è il nostro mondo contemporaneo saturo di immagini che vendono felicità. Immagini di belle ragazze e bei ragazzi, immagini accattivanti di cibo, immagini di oggetti desiderabili. Compri un po’ di felicità per pochi spiccioli e poi te ne arrivano vagonate che non sai di pagare.

Non so chi sceglierete di amare, se Padma o Gemma, ognuno di noi è un po’ l’una e un po’ l’altra. Il romanzo resta dei lettori, loro devono scegliere da che parte stare, oppure non scegliere affatto. Alcuni ci provano.

Insomma questo romanzo è un solo un piccolo sasso nello stagno, che spero produca tante onde sul pelo dell’acqua, smuova delicatamente i microrganismi e porti a riva qualche dubbio o riflessione.

Credo che i romanzi siano il prodotto delle creatività artistica della scrittrice o dello scrittore, questa mia storia avrebbe potuto essere illustrazione, poesia, musica, scultura; ho usato la parola.

Perché possiamo considerare come un artista un illustratore e non un romanziere? L’artista sa scavare dentro di sé in cerca dell’essenziale che ci unisce agli altri in una sola umanità e che fa nascere domande cui solo il lettore sceglierà di rispondere, subito o tra molto tempo.

E quindi in Ladra di jeans c’è una parte di me, quello che resta mentre tento di starne fuori, di non mettere i miei pensieri nella testa dei personaggi, di far tacere la mia voce tra le pagine, di dare in mano al lettore la storia, perché sia solo sua. Nei romanzi c’è la parte bella di chi scrive. In qualunque direzione sia orientato, quel meglio di sé, la romanziera o il romanziere lo mette nel suo romanzo e di persona, lei o lui, può essere altro.

“Bisogna ricordare che scrivere non equivale a pubblicare, che il futuro di ciò che si scrive è sempre insicuro e incerto, che non sappiamo mai quello che ne sarà di ciò che scriviamo, e che per uno scrittore questa incertezza è necessaria.” Per una letteratura senza aggettivi, Maria Teresa Andruetto.

Un salto nel buio, per me. Questo romanzo lo è.

« “Ogni santo ha un passato. Ogni peccatore ha un futuro” E anche tu te la sei cavata da sola. Guardati. Niente più note. Niente più ore perse dopo la scuola. Voti migliori. Modi migliori. Hai tradito Tulip e ti sei salvata.» Quella strega di Tulip, Anne Fine.

Ma forse è un salto nel buio anche per il lettore, perché in fondo tutti scegliamo da che parte stare.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Il fascino del romanziere nell’epoca dei non-lettori

Quando si leggono saggi autobiografici o libri simili che parlano della vita e del lavoro di grandi scrittrici o scrittori, regolarmente si parla della loro infanzia e del loro amore per i libri, dell’avidità con cui si avvicinavano ai romanzi, dell’ingordigia di come leggevano. I ragazzini, oggi, non assomigliano a quei ragazzini perché esistono molti altri modi di nutrire il bisogno di evasione fantastica.

Mi domando se non ci saranno più grandi scrittrici e grandi scrittori nel caso sia questa una costante per la formazione della scrittura di qualità. Oppure se i non-lettori vorranno comunque scrivere. E in questo caso: perché?

“La narrativa è consona al suo tempo, e quando i tempi cambiano cambia il nostro approccio alla narrativa.” scrive Nail Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Il fascino che ha la figura del romanziere o della romanziera mi incuriosisce. Deve per forza essere un ruolo affascinante cui aspirare altrimenti perché tanti scrivono e bramano essere pubblicati? I libri non si vendono, durano poco in esposizione sugli scaffali subito rimpiazzati dai nuovi arrivi e non donano quell’immortalità alla quale ogni autore aspira. Scrivere, eccetto in pochissimi casi, non è un mestiere redditizio. Quasi nessuno vive di sola scrittura. È sempre un secondo lavoro. Nell’ambito della narrativa per ragazzi in Italia, ambito che conosco abbastanza bene, coloro che vivono di soli diritti d’autore si contano sulle dita di una mano.

E allora: perché? Scrivere per se stessi è naturale, ma diventare romanzieri e immaginare che stuoli di ragazzini (o adulti) trovino interessante o addirittura appassionante leggerci è un’idea del tutto fantastica e molto poco realistica.

Forse si ignora chi sia davvero uno scrittore, cosa comporti la stesura di un romanzo, che non è mai illuminazione estemporanea ma lungo faticoso percorso creativo e di documentazione se non addirittura costruzione a tavolino del best seller di turno. Forse nessuno ci insegna a scrivere un romanzo e pochi conoscono cosa accada in una casa editrice. Tutto questo alimenta un immaginario che da un lato non fa i conti con le bollette da pagare e dall’altro fa sfumare i contorni di una professione che necessita di qualifiche come ogni altra (mandereste vostro figlio in una scuola dove gli insegnanti non sono laureati?).

Insomma il Romanziere è un ruolo che ci piace un sacco interpretare. Che poi si sia in grado di scrivere buone storie questo ci riguarda poco?

Ricordo una ragazza che mi diede un suo romanzo da leggere, stampato dai genitori in tipografia con tanto di una sua foto in quarta di copertina. Una scrittura corretta, ma una storia stereotipata, priva di dialoghi e struttura. Quando glielo dissi, incoraggiandola comunque a continuare e a leggere (aggiunsi alla mia mail una bibliografia basata sui temi da lei trattati), mi rispose male, piccata, incredula e soprattutto mi disse che se mi avesse incontrata prima di aver pubblicato (!?) avrebbe smesso di scrivere e sarebbe stato un danno.

Quella lettera, che conservo ancora, mi è stata di spunto per molte riflessioni durante gli anni.

  1. Pochi sanno cosa significhi pubblicare un libro e quindi non pagare per pubblicare, ma trovare un editore che investa i suoi soldi nel tuo talento.
  2. Se una cosa non riesce subito, allora tanto vale lasciarla stare. I sogni si devono realizzare subito; non si è tenuti a nessuna lotta, costanza, coerenza, sudore per affermare la propria voce, in questo caso, letteraria.
  3. Non esiste alcun percorso universitario di educazione alla scrittura, solo scuole private o corsi di scrittura creativa.

Ma si può insegnare a scrivere un romanzo?

Considero il mestiere della romanziera un mestiere creativo, quindi come un compositore deve prima imparare a suonare il suo strumento, come la coreografa deve conoscere i passi di danza, così la scrittrice o lo scrittore devono saper usare la scrittura per metterla al servizio del proprio talento, nel caso lo si abbia, ovvio.

Sempre seguendo la stessa logica, se per fare il musicista bisogna amare la musica e per fare una coreografia la danza, la lettura sarà divertimento, passione, sogno, compagnia per la romanziera o il romanziere. Insomma prima di piacere agli altri scriveremo quello che noi amiamo leggere, inseguendo il romanzo perfetto, scartando la banalità e cercando la nostra pagina ispiratrice tra i nostri autori del cuore.

“Impara le regole prima di infrangerle. Impara a disegnare, poi ignora le regole del disegno, impara a costruire una storia e mostra alla gente cose che non ha mai visto prima in modi che non ha mai visto” Neil Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Con questo non voglio certo dire che si deve smettere di narrare, ma che i ragazzini di oggi si nutrono di diversi linguaggi e con quelli narreranno, probabilmente. Forse la mia è una generazione ambigua e disattenta, però molti scrittori creativi già spaziano in parallelo ai libri tra immagini, fumetti, videogiochi con cui sono cresciuti, di cui si sono nutriti, di cui erano affamati. E questo è davvero fantastico.

Voglio provare a sfatare il fascino del romanziere e della romanziera con due citazioni di autori che ammiro. La prima è tratta da Muoio dalla voglia di conoscerti di Aidan Chambers.

“Non ho mai capito perché i lettori siano così influenzati dall’incontro con gli scrittori. Da lettore è l’unica cosa che desidero. Nella mia esperienza quasi tutti gli scrittori di libri che hai ammirato sono deludenti come persone. Come può essere altrimenti? Se hanno un senso come scrittori, il meglio di loro deve trovarsi nei loro libri.”

E poi “Leggete i libri: ogni tanto lì riuscirete a vederci” scrive Neil Gaiman sempre in Questa non è la mia faccia.

Quindi, non sarebbe male spogliarsi del ruolo dello scrittore spostando così, nell’immaginario collettivo, l’asticella dell’attenzione più su una professione che sul fascino personale? D’altronde sono i lettori e le lettrici ad alimentare o addirittura a creare il mito dello scrittore, senza rendersi conto che il grande potere di un romanzo sta tutto nel lettore o nella lettrice.

Inutile dire che certi romanzi sono immortali mentre i loro autori o autrici sono beatamente (o meno) morti o morte e l’immortalità gliel’hanno consegnata i lettori di tutti i tempi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Storie tra parentesi

2020slash2021


C’era un sogno rimasto chiuso in un cassetto. Era stato di un bambino che, diventato vecchio, aprì il cassetto per prendere la chiave del passaggio e lo vide. Stava in fondo, accanto a una penna senza inchiostro e mezzo nascosto da un foglio stropicciato di carta da regali. Si rammaricò molto di averlo dimenticato. Allora impacchettò il sogno con cura e, dopo aver tolto la cartuccia dalla penna, lo infilò nel cilindro di plastica vuoto e quindi lo soffiò fuori della finestra. Era una notte serena e ricca di stelle, si udivano schiamazzi e risa per le strade nonostante la neve cadesse in fiocchi pesanti. Soddisfatto il vecchio introdusse la chiave nella serratura e aprì la porta. Quando la richiuse alle sue spalle, l’ultima cosa che provò fu la quieta certezza di non aver sprecato un sogno.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Festival letterari, ragazzi e bellezza

Leggo tanti post sul rientro di oggi, 14 settembre 2020, a scuola. Credo siano più preoccupati gli adulti (e hanno i loro buoni motivi) dei ragazzi (e anche loro hanno i loro motivi per esser meno in ansia). Io rientro dal FestivaLetteratura di Mantova che per tantissimi anni mi ha vista ospite come lettrice e ora anche come scrittrice di romanzi per ragazzi e lettrice di romanzi per ragazzi.
Sono un animale da festival. Mi piace passare da un evento all’altro e trovarmi una posizione decentrata per ascoltare; memorizzo, dimentico, segno su un quadernetto, lo sento far parte della vita e quindi del mio lavoro creativo. In questi giorni ho condiviso molto di me sui social, per condividere il mio entusiasmo, i lettori a volte sono così.
Questo festival, come anche MdL, ha una grande forza alla sua base che sono i ragazzi volontari. Mio figlio ne ha fatto parte (e anche l’altro figlio) e crescendo ha continuato a collaborare con i “suoi” festival. Così ho imparato a riconoscere la sua stanchezza, ma anche il grande apprezzamento per quello che fa. A leggere post e “storie” scambiate fatte di nuove amicizie, di fatica e allegria condivise.
A Mantova nel 2020 i giovani volontari coscienziosi igienizzavano, avvisavano, prendevano la temperatura.
E allora mi viene in mente la vicenda dolorosa di quel ragazzo che per far da paciere c’è morto. Mi viene in mente che i social media erano/sono, come sempre capita, inondati dalle foto degli assassini.
Di ragazzi come quello che non c’è più, ce ne sono tanti: allegri, sempre pronti ad abbracciare un’amica un po’ triste, a fare quattro tiri al pallone, a farsi avanti coi professori per perorare una causa, a farsi voler bene da tutti senza essere speciali.
Ce ne sono ma noi non li vediamo.
Vediamo il brutto invece di riempire la nostra vita del bello.
Forse ci piacciono più i cattivi dei buoni? La cultura dei finti buoni ci ha talmente saturato che abbiamo finito per appassionarci ai veri cattivi? Speculare sul brutto ci appare ormai normale?
Io scrivo di ragazzi perché basta osservarli per innamorarsi della loro gioia di vivere, dei loro sogni di finto disincanto, della loro voglia di fare ma con calma.
Forse dovremmo tutti provare a cercare e a ricominciare proprio dalla bellezza pratica e diffusa dei ragazzi, degli adolescenti, dei giovani adulti, anche se siamo vecchi e non saggi. Magari un po’ ci costa fatica perché loro sono svegli, lesti e navigano a vista, ma non dobbiamo inseguirli, solo starli a guardare e riflettere.

Ho partecipato con un mio breve contributo all’Alamanacco del festival
Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

Un border da divano con il cuore di un lupo

 

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Ferma al capitolo sedici del nuovo romanzo, in montagna, da sola con Brik, decido di fare un giro nel bosco, così per chiarirmi le idee. Camminando si pensa. Non c’è nessuno, proseguiamo tra gli alberi e le rocce ricoperte di muschio. Prendiamo un sentiero impervio, in discesa, e libero Brik che mi precede, aspetta, mi precede, aspetta, mi precede e sparisce.

Lo chiamo, vedo la punta bianca che spazzola l’aria tra erba alta, rami e rocce in un anfratto scosceso. Si muove lì attorno, ma non ritorna; lo chiamo con voce dura, di solito non mi ignora e quindi mi preoccupo. Impossibile raggiungerlo per me. Il terzo richiamo suona stridulo. Poi lo vedo spuntare più avanti sul sentiero e porta in bocca una costola di dinosauro, d’accordo di capriolo. C’è ancora del grasso biancastro che penzola. Brik si avvicina orgoglioso e io lo metto al guinzaglio e gli tolgo la costola dalla bocca. Lui lascia fare (posso toccare il suo cibo nella ciotola mentre mangia, non ringhia mai né si arrabbia), però mi guarda sconcertato.

E la mia mente è già lontana: vaga tra racconti di bocconi piazzati nel bosco per avvelenare i predatori e quidi poter cacciare liberamente gli ungulati e sul come allertare il più vicino veterinario; avrà una macchina medico-veterinaria? Chi mi verrà a prendere quando il cane comincerà a schiumare dalla bocca e si accascerà a terra?

Nel frattempo Brik trotterella sereno e si ferma ad annusare degli escrementi. Di solito annusa quella degli altri cani con indifferenza, al massimo ci piscia sopra e prosegue, qui se fosse Sherlock l’esaminerebbe con la lente di ingrandimento. Lo guardo e lo tiro via appena in tempo prima che ci si rotoli sopra e immagino, a quel punto, che sia cacca di lupo.

Che dopo un lauto pasto a base di ungulato, un lupo si sia fermato poco più avanti per liberarsi l’intestino? Nessun boccone avvelenato solo un banchetto lupesco di cui il bricchetto ha spolverato i resti?

Intanto affrontiamo la salita; il tempo passa, il cane non schiuma, ma mi guarda di traverso mentre lappa da un torrente l’acqua che scorre. È un po’ offeso per il mio furto del suo furto di costola. Glielo leggo negli occhi quello che mi direbbe se potesse parlare: certo che hanno proprio ragione i miei fratelli umani, come sei ansiosa, due soldi di fiducia in me, no?

L’immaginazione è tutto per una scrittrice e l’ansia in fondo è un derivato dell’amore. Sono sempre ferma al capitolo sedici, in compenso c’è un nuovo articolo sul blog. Desolata per non aver fotografato la costola, meritava. 

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Libertà di lettura, lettori adolescenti e qualche considerazione in più

È un periodo che vedo proporre online molte iniziative per promuovere la lettura tra i ragazzi e gli adolescenti, per preparare adulti che educheranno alla lettura con consapevolezza. Partendo dalla scuola oppure no. E mi sembra tutto molto bello.

Eppure la questione un po’ mi preoccupa perché non vorrei che ci trasformassimo tutti in inseguitori. E la cosa, a noi entusiasti lettori che ci troviamo spesso tra i ragazzi, ci verrebbe molto naturale. Lo dico io che mi sono gettata anima e cuore in Leggere Ribelle solo per spacciare buone letture e poi ci sono rimasta legatissima.

Ogni settembre, però, mi domando se il gruppo resisterà, se ci sarà un ricambio di età (dato che coinvolge, per scelta inderogabile, solo lettori dai 13 ai 17 anni), se ci saremo e in quanti saremo (i numeri, maledetti).

La forza del gruppo di lettura sono i ragazzi e le ragazze adolescenti, loro devono esserne il motore, gli adulti non possono sostituirli.

Ma come mi disse la bravissima educatrice che mi affianca in LR: gli adolescenti non vanno inseguiti. I lettori adolescenti meno che meno, aggiungo io.

Per quanto mi riguarda, cercherò anche di non dimenticare le parole di Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: La sua parte, nella “promozione della lettura” lo scrittore la fa nel silenzio del suo luogo di lavoro, producendo buoni testi.

Anche chi scrive non deve inseguire il lettore. È questo il bello. È questo che fa la differenza tra i romanzi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

In quale scaffale stanno i romanzi per ragazzi e giovani adulti?

Per chi scriviamo noi romanzieri?

Cosa scegliamo di leggere noi lettori?

Premetto che io non sono né una pedagogista né una letterata; sono una romanziera o almeno provo a fare quel mestiere. In quest’articolo allaccio i fili di vari discorsi, ragiono sul mio scrivere di ragazze e ragazzi, per capirlo e capirmi.

Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

A questa domanda posta sulla mia bacheca facebook hanno, gentilmente, risposto 45 amici (di cui 4 uomini), tra cui alcuni scrittori e scrittrici per ragazzi. Tutti lettori forti. In calce trovate i commenti in forma anonima.

Provo a riassumere molto sinteticamente le risposte:

1 – Cerco STORIE, le buone storie sono per tutti.

2 – Per rivivere l’adolescenza.

3 – Per diventare un genitore/adulto migliore.

4 – Perché trovo la speranza che tutto possa ancora succedere.

5 – Per non dimenticare il punto di vista dell’adolescente.

6 – Perché lo scrittore coglie sfumature dell’adolescente che l’adulto ha dimenticato.

7 – Perché sono storie lineari, fresche, semplici eppure mai banali.

8 – Mi sento affine, ma anche empatica verso il mondo giovanile.

9 – Cerco: meraviglia, stupore, emozioni, autenticità, disvelamento.

10 – Ne apprezzo la delicatezza.

11 – Trovo temi esistenziali,  libertà, sperimentazione.

Credo che siano risposte sorprendenti. Chiunque non conosca la letteratura per ragazzi,  e accade spessissimo, resterebbe molto stupito. Anche tutti coloro che parlano e scrivono di libri, ma si occupano troppo poco di romanzi per ragazzi e adolescenti, resterebbero sorpresi. Forse penserebbero che io e la mia comunità di amici siamo una brigata di matti! È uno stupore comprensibile poiché non leggono romanzi considerati per ragazzi e adolescenti. Se li leggessero non esisterebbe più la categoria per ragazzi e adolescenti.

Mi colpisce che, se hai figli o studenti, cominci a leggere per o con loro, poi t’innamori della loro letteratura. Nessun adulto entra in libreria e va verso lo scaffale dei libri per ragazzi, insomma, ci si arriva per vie traverse.

Ma un adulto deve vergognarsi di leggere Harry Potter? Sappiamo benissimo tutti che le prime copertine erano dichiaratamente per ragazzini e solo dopo che gli editori hanno spiato quanti anni avevano i lettori, sono diventate più adulte!

Ti innamori di cosa? 

Non c’è nulla di cui innamorarsi se non della sensibilità di una scrittrice o uno scrittore. Di come lei o lui racconta quel mondo adolescente piuttosto che quello… della società rurale degli anni Trenta o della guardiana di un cimitero francese! Dalle risposte sopra riassunte si capisce che non c’è nessuna differenza tra i romanzi per adolescenti e quelli considerati da adulti, se non che esplorano concetti comuni con ottiche diverse e, forse, storie più immediate.

Se il protagonista è un ragazzo, guarderà al futuro dai sui 16 anni in su e non dai 40 in su. Tutto qui.

Quindi attraverso lo strumento libro per bambini, ragazzi, adulti possiamo conoscere il mondo, umano e non, che ci circonda e con la letteratura lo metabolizziamo, ci poniamo domande, cerchiamo risposte, viaggiamo.

Bisogna forse segnalare nella letteratura per ragazzi e giovani adulti italiana, una componente che definirei di narrativa scolastica (che non ha nulla in comune con la narrativa scolastica di parecchi anni fa, pedante e didascalica). Libri scritti appositamente per accompagnare un percorso scolastico di crescita umana e culturale. Con una tematica esplicita. Alcuni molto belli, altri meno. Come sempre capita. Anche nei romanzi per adulti. Qui la scrittrice o lo scrittore ha un progetto educativo in mente e legittimamente lo segue. Ciò non toglie che anche un adulto possa imparare molto da questo genere di libri, sempre accurati, spesso scritti da giornalisti. Potremmo aggiungervi anche le riscritture dei romanzi classici in chiave semplificata. Personalmente non mi attirano, ma hanno un loro perché. Esistono saggi, biografie e narrativa scolastica.

E poi esistono i romanzi tut curt indicati per ragazzi e adolescenti. Molti importati e tradotti, sopratutto dal Regno Unito, dalla Francia, dagli Stati Uniti. Solo buone storie e bella scrittura. Domande aperte ed emozioni. E cioè quella letteratura etichettata per ragazzi e adolescenti che forse avrebbe bisogno di emanciparsi socialmente.

Ma l’età del protagonista etichetta il romanzo?

Penso a un bellissimo libro: Per sempre o per molto, molto tempo, di Caela Carter, uscito per Mondadori, in cui i protagonisti sono bambini. Mi sono domandata, prima di metterlo nello scaffale Leggere Ribelle, cosa un ragazzo o una ragazza dai 13 ai 17 anni potrebbe trovare in questo libro. Anche io sono caduta vittima di un pregiudizio: dare ai ragazzi solo protagonisti in cui possono evidentemente immedesimarsi. Ovviamente il libro è sullo scaffale. Deve sempre essere così? O forse potremmo, con le giuste condizioni di scrittura, immedesimarci anche in un rospo quale protagonista di un romanzo? Solo i ragazzi devono immedesimarsi a ogni costo in loro coetanei, noi adulti abbiamo meno vincoli in questo senso. Perché per loro dobbiamo costruire un protagonista possibilmente un anno o due più grande del target di riferimento del libro (questa sarebbe la regola, se non sbaglio)? Che sia uno stereotipo da abbattere? Sicuramente una ragazza si immedesima in un protagonista maschio oppure femmina; un ragazzo fa fatica a mettersi in panni femminili. Dovremmo metterci in mente di scardinare parecchi pregiudizi…

Cosa dicono i ragazzi? Non può mancare il loro punto di vista. Quelli cui questo genere di letteratura è destinato.

Riporto cosa chiedono gli adolescenti dai libri traendo le risposte dall’unico documento che esiste: Ci piace leggere!de Le ragazze e i ragazzi di Mare di Libri, edito da ADD (presto anche LR produrrà un proprio manifesto del lettore adolescente).

Il primo capitolo s’intitola: Libri per ragazzi e libri per adulti e già si capisce che la questione è stata affrontata e così risolta: Eliminate le categorie adulti e ragazzi rimarrebbe solo il confronto tra libro e lettore. Forse bisognerebbe buttare giù un muro che separa i romanzi per ragazzi da quelli per adulti e, semplicemente, leggere. 

Appurato che le categorie non piacciono ai ragazzi, sintetizzo con una citazione cosa loro cercano nei romanzi: Vorremmo poter leggere di tutto perché, secondo noi, non esistono argomenti tabù. Gli adulti non dovrebbero lasciarci nell’inconsapevolezza, ma piuttosto metterci nelle condizioni di riflettere, di conoscere, di discutere.

Il capitolo Cosa ci piace è un capolavoro, ve lo consiglio, e non resisto, riporto l’ultima citazione: Vorremmo che editori e scrittori dimostrassero più fiducia in noi, rischiando, proponendoci libri scomodi e controcorrente. Ecco per me questa è la dichiarazione finale più importante.

Non trovo una differenza sostanziale tra lettori adulti e lettori ragazzi confrontando il loro pensiero, le scelte e le necessità, ma solo una convergenza di entrambi nella comunità di coloro che cercano storie attraverso i romanzi per vivere consapevolmente e meglio.

Una comunità che bisogna sicuramente allargare, come forse bisognerebbe allargare gli scaffali della narrativa per adulti per aggiungervi quella per ragazzi e adolescenti disettichettata; sarebbero poi le copertine e le quarte a parlare al futuro possibile lettore.

Un’idea un po’ folle, lo so, che incita alla lettura libera e fuori controllo!

Resta, anche, il dato di fatto che sono gli adulti a scrivere romanzi per ragazzi e penso che sia giusto così.

Citando Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti il “suo” mondo, ma con strumenti letterariamente più “perfezionati” di quelli a sua disposizione. E prendendo spunto dalle sue parole, senza snobismo, io apprezzo anche quelle scritture giovanili nate dal nulla e diventate romanzi, ma dando loro il giusto peso.

E, certo, ogni scrittrice o scrittore ha un suo lettore ideale, può essere un adolescente oppure no, anche se scrive romanzi che vengono pubblicati da case editrici specializzate per i giovani.

In finale, per quello che mi riguarda, dopo aver aperto più spunti di discussione e riflessione, cerco di trovare le ragioni per supportare un’idea.

Io leggo e scrivo di ragazze e di ragazzi, trovo affascinante proprio quell’età delle prime volte e delle speranze, grandi o piccole che siano. E di questo scrivo. Per chi? Ci ho riflettuto. Non ho in mente come lettore ideale una ragazza o un ragazzo, ma attraverso i loro occhi e le loro bocche condivido le mie domande, i miei dubbi, la mia rabbia, i miei dolori perché loro non esisterebbero se non ci fossimo noi adulti. E gli adulti nei miei romanzi ci sono. Io ci sono; scrivo per chi cerca quello che cerco io nelle storie e se questo è una ragazza o un ragazzo, bene: la cosa mi rende felice perché sono un pubblico spontaneo e sensibile. I libri restano ponti.  Forse, quello che cerco di fare io, e tutti quelli che scrivono di ragazze e ragazzi, è proprio costruire relazioni tra umanità diverse, coetanee oppure no.

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Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

FD -Personalmente sono proprio ferma alla loro età, mentalmente. Per gli young mi piace rivivere quei momenti bellissimi (ma odiatissimi in quell’attimo) che è impossibile riprodurre in età adulta proprio per esperienze accumulate. Per i libri per ragazzi più piccoli, invece, leggo proprio per il piacere dell’avventura, per ritrovare o scoprire un punto di vista che io fatico a percepire adesso. Per non dimenticare e, spero, tendere a essere una persona migliore anche e soprattutto per mio figlio.

VP – Cara Giuliana, ho iniziato a leggere libri per ragazzi perché lo ritenevo un tassello fondamentale della mia formazione di docente, non si può pensare di fare educazione alla lettura senza avere idea di quali siano i libri da proporre. Ho trovato storie interessanti che mi hanno fatto amare questa mia necessità formativa. Credo che un libro ben scritto non abbia età e che possa essere letto da ragazzi e adulti.

LC – cara Giuliana a me le definizioni stanno sempre strette, fatico un po’. non leggo per lavoro, mi occupo del lettori ben più piccoli. detto questo mi è capitato di leggere libri solitamente definiti nel genere ma di trovarmi a pensare che dessero spazio anche a me. cosa definisce ‘Niente’ di Janne Teller un libro per ragazzi? l’età dei protagonisti? se così fosse molta letteratura per adulti dovrebbe essere spostata di scaffale. questo per dire che io come adulta cerco buone storie, a prescindere dal genere e ogni tanto mi capita di trovarne di stimolanti anche tra i loro scaffali. Quindi tornando alla tua domanda: perché li scelgo? perché cerco storie.

MS – Non sono over 30, ma sto al confine 😅 Penso che cercherò sempre l’emozione dei primi amori, dei primi tradimenti…di tutte le prime volte che per forza di cose vengono trattate. E poi, come già ti dicevo, l’idea che tutto possa volgere al meglio, una persona cattiva diventare buona, una tragedia trasformarsi in rinascita. Emozioni pure, che i grandi, a volte, dimenticano.

LC – Forse nei libri ‘per ragazzi’ è più frequente trovare storie. Succede qualcosa. I personaggi cambiano, crescono, si chiariscono durante un’avventura. Di solito non ci sono quelle lunghe tirate di onanismo mentale, abbondante nei libri per adulti mainstream, specialmente italiani.
Io cerco storie 😊

RV – La capacità dello scrittore per ragazzi di cogliere quegli aspetti della vita, quelle sfumature nei sentimenti, quella capacità di osservare e cogliere particolari a cui l’occhio adulto non è più abituato.
Qualche giorno fa parlavo con un amico di alcune foto che abbiamo fatto io e Giulia (6 anni), che lui ha confrontato con le sue. Le sue erano paesaggi maestosi e imponenti, le nostre si soffermavano sulle piccole cose, a richiami, a un immaginario e a un’associazione di forme che io vedevo solo in un secondo momento.
E questa è la differenza: noi adulti ci stupiamo di ciò che è macroscopicamente bello, come un tramonto.
I bambini e i ragazzi si stupiscono e trovano il bello in ciò che noi adulti non troviamo più.
Nei libri per ragazzi c’è questo sguardo rispettoso nei loro confronti e una visione del mondo e della vita diversa da quella adulta. Che poi è la ragione per cui piacciono anche agli adulti.

PG – Cara io ovviamente li leggo per lavoro ma spesso leggo per libera scelta ma credo che il motivo sia piuttosto fuori dai pensieri che ti stanno girando in testa… Perché li leggo? Perché mi piacciono le belle storie e la buona scrittura. Insomma stesso motivo per cui leggo letteratura tout court. Però posso dirti che dopo una buona lettura “giovane” penso sempre “Ah se l’avessi letto da ragazzo!”. Quindi il legame col loro essere libri che parlano ai e dei ragazzi viene dopo, non al momento della scelta di cosa leggere. aggiungo che l’adolescenza, a differenza dell’infanzia, è un periodo che ricordo molto bene e anche che mi interessa molto. Inconsciamente credo di cercare anche delle risposte nei migliori romanzi che non trovavo mai nella vita da ragazzo. Io leggevo le cose che mi davano a scuola e non ho mai incontrato libri del genere, anche se qualcosa c’era già, penso alla collana frontiere di Einaudi (Aidan Chambers).

BM – Per me ogni libro è un viaggio. E di un viaggio prediligo il lato incognito.

AGG – Riassumo. Ho iniziato per saper consigliare. Ora leggo per me, per diventare una adulta migliore, per non dimenticare il mio essere adolescente e come vedevo gli adulti, per essere l’adulto che avrei voluto avere al mio fianco.

SKMK – I libri per bambini e ragazzi in me smuovono la meraviglia. Quella che pare essere proibita agli adulti, visto che i libri a loro rivolti sono o irrealisticamente ottimisti o drammatici. Voglio meravigliarmi, emozionarmi, provare ancora speranza per il mondo e per la vita. Questo non senza arrabbiarmi, emozionarmi o avere paura, sia ben chiaro. Credo di essere più affine alla sensibilità “giovane” che a quella cinica adulta. So che sto parlando per generalizzazioni, ovviamente, ma aprire un libro per ragazzi mi dà molte più possibilità di essere soddisfatta che aprirne uno per adulti. Le mie letture “per adulti” sono occasionali e ben selezionate, alla ricerca di cose molto specifiche, mentre per ragazzi leggo di tutto. Se ti va di parlarne a voce sono a completa disposizione.

OF – Leggo per assaporare con la consapevolezza e il vissuto di un adulto le storie che ho attraversato durante la mia adolescenza; perché quelle emozioni riemergano e facciano letteralmente esplodere il mio cuore che non riesce proprio a soffocarle e trattenerle anche adesso che i 30 li ho sorpassati da un bel po’!

BM – Per quanto mi riguarda è la freschezza delle storie, che mi fanno ricordare la mia adolescenza. Chi non sorriderebbe teneramente vedendo un ragazzino che strappa un fiore e lo offre alla sua amicetta? Si risvegliano ricordi dei momenti e periodi importantissimi per la nostra crescita. Forse anche chi non si arrende alla vecchiaia e conserva sempre quella gioia di vivere proprio tipica di quel periodo.

VR Io leggo principalmente albi illustrati o graphic novel indirizzate ai ragazzi. Cerco delle risposte, ma più spesso mi innamoro delle domande. Adoro le illustrazioni e la forma breve del racconto. ah e cerco anche il lieto fine, prediligendo le storie di formazione. Nei libri per ragazzi mi sembra più chiara la linea narrativa e le motivazioni psicologiche dei personaggi. Fatico meno a seguire le storie , mi nutrono di speranza o di suggestioni oniriche. Prediligo le trame archetipiche, ancestrali. Fiabe e favole mi risuonano dentro in modo forte. Il racconto popolare ha inoltre una struttura rituale che mi affascina.

MS – Io cerco l’autenticità di quell’età, che da adulta so riconoscere perché ovviamente l’ho vissuta.

EM – Io ancora mi immedesimo in quelle storie, mi catturano più di quelle per adulti che trovo sempre un po’ ” cupe” tristi, appesantite dalle esperienze di vita…

IL – Io leggo per i miei figli, per i miei studenti ma anche per mia passione. L’ho sviluppata a tal punto da specializzarmi a livello universitario e nella letteratura cerco un senso e un conforto che mi aiutano nella vita di tutti i giorni

MT – ALCUNI titoli etichettati “per ragazzi” uniscono la meraviglia di una scrittura decisamente bella, piena, rispettosa, ricca a storie fresche, dense, con squarci macro nelle emozioni. ALCUNE.
Le altre sono storie cartacarbone e stampino e le sbircio per lavoro.
Quelle per gli adulti, spesso, mi annoiano. O ci ritrovo delle dinamiche che mi affaticano.
Es. L'”amore malato” sofferente, tragico, irrisolto. Me lo tengo nei classici, principalmente russi. Di meglio han scritto in pochi. Comunque se mi chiedi una mia personale opinione sul perché molti adulti leggano ya la risposta più corretta e sincera resto convinta dovrebbe essere “per controllo”.  bisogno di controllo in generale

AP – Leggo libri per ragazzi perché sono scritti da adulti che si interessano ai ragazzi, scrivono per loro e di loro, delle loro storie che non sono per niente banali e da sottovalutare. Anzi, i libri per ragazzi dovrebbero essere letti insieme ai genitori, agli adulti, agli insegnanti. Se vogliamo capirli, dobbiamo “abbassarci” al loro livello. Uso una parola dell’altro giorno: empatia.

TM- Io cerco le storie. Non mi interessa più se per ragazzi o meno. Un tempo leggevo i libri per ragazzi anche per avvicinarmi al mondo del mio maggiore o per consigliargli tematiche diverse per cambiare ogni tanto.

FF –  leggo per proporre a scuola, è vero, ma le leggo perché sono capaci di parlare di tutto in modo semplice, chiaro, paradossalmente senza paranoie. E anche quando si parla di sesso, di morte, di violenza, c’è una delicatezza che spesso nel mondo adulto manca.

LA – Mi ritrovo anch’io in questa risposta di Flavia non faccio parte del mondo scolastico e non leggo per lavoro. Trovo una delicatezza che non cade mai nella visione nera del mondo, non trovo “trucitudine” si può dire?

FD- Io li leggo perche’ mi piace confrontarmi con la scrittura dei miei colleghi scrittori, soprattutto se li conosco personalmente. Spesso li trovo molto lineari ma non banali, come ha detto Luca si avviluppano meno su se’ stessi, la storia la fa da padrona e più mi interessa molto l’eta’ dei protagonisti, intendo gli adolescenti. Cio’ non toglie che leggo molta letteratura per adulti. sia per piacere sia per lavoro occupandomi di recensioni. Ma e’ piu’ difficile che un libro per ragazzi mi annoi o mi deluda. Ma mi tengo alla larga dai fantasmi, prediligo le storie realistiche, se un pizzico drammatica anche meglio

MM Io cerco la possibilità di provare ancora meraviglia.
Cerco di ritrovare quelle emozioni e sensazioni che provavo allora.
Cerco e spesso trovo anche storie inaspettate, raccontate con scritture non banali.
E, da inguaribile romantica, adoro le storie d’amore. Quel momento della vita dove tutto e il contrario di tutto è ancora possibile💕

EL- Io credo che leggere libri che qualcuno definisce “per ragazzi” sia un elisir di giovinezza. Permette di mantenere anche da adulti lo sguardo e il cuore giovani e rivivere le sensazioni di ogni prima volta, ogni prima scoperta. Leggere libri per ragazzi ci dà un superpotere!

PG – Leggere per ragazzi riporta indietro nel tempo, aiuta a mantenersi giovani, a non scordare come eravamo e a restare in contatto con i giovani che abbiamo intorno 💕

VT – Perché vorrei rivivere quel periodo della mia vita, ma farlo meglio e renderlo più bello. Nostalgia di cose che magari non ho davvero vissuto come avrei voluto  La risposta meno romantica é che poi i libri per ragazzi sono molto più divertenti e sperimentali di quelli per adulti! 😉

CS – Perche nella letteratura per ragazzi ci sono molti più temi esistenziali

LS – Perché libera!

MD – Perché adoro l’abbinamento parole e illustrazioni, sono piccole opere d’arte. Anzi, credo che anche i libri per adulti dovrebbero essere illustrati. È più piacevole leggere completando il testo con delle belle immagini.

LG – Io cerco storie belle e ben scritte e nella letteratura per ragazzi trovo che ci sia più cura. Non sempre eh, ma spesso

PC – Cerco storie vere, che rivivo con un pizzico di nostalgia. Ricordi di un’età che forse non ho vissuto a pieno, condizionata dai limiti di un’altra generazione…

SP- non ho una risposta certa a questa domanda, ma mi sono resa conto che sia nella narrativa per adulti sia in quella per ragazzi cerco storie realistiche ambientate in epoca contemporanea. no gialli, no storico, no fantasy, no fantascienza. quindi direi che i libri, sia per adulti sia per ragazzi, soddisfano il mio bisogno di calarmi nella realtà per comprenderla

RI – Ho iniziato a leggere gli stessi libri delle mie figlie perché loro volevano confrontarsi con me, chiedevano il mio parere sulle storie, sul modo di scrivere, sui temi trattati. Poi, man mano, ho conosciuto autori che diversamente non avrei letto, li ho apprezzati e continuo a leggerli. A volte, prima delle mie figlie, a volte a prescindere da loro.

MB- Perché non mi sono mai preoccupata della divisione in generi o fasce di età.
Se una storia mi ispira, mi stuzzica, mi ‘tenta’ (per stile, per tema, per ambientazione, per punto di vista…) la leggo e basta.

CP- Che bella domanda 😊
Appena ho letto il tuo post ho pensato al libro che sto leggendo, mio padre è un ppp, quello che quella storia offre è una sorta di disvelamento, la realtà è in quella storia lineare, evidente, ma la scrittura e la narrazione in prima persona della protagonista porta al disvelamento della complessità, come se sotto l’apparenza di quella realtà, le cose fossero più complesse. È solo quando Polleke accoglie la complessità trova anche la forza per cambiare e agire. Ecco io bei libri per ragazzi cerco il disvelamento, nel senso letterale del termine, una scrittura è una storia che mi conduca parola per parola a togliere il velo.

FM -avventura è più sorprendente, non ha il disincanto e le gabbie adulte, è più onesta, schietta e ha una vivacità frizzante che nella crescita purtroppo muta, personalmente mi emoziona molto di più una nuova consapevolezza acquisita da un giovane protagonista che da un adulto che ha già un suo bagaglio di esperienze, il percorso di un ragazzo che scopre il mondo è più stimolante, avverto un coinvolgimento maggiore. Non mi annoio, è più divertente provare empatia con l’io bambino.

EB – Io penso che non esistano storie per ragazzi è solo il modo in cui le si scrive che cambia.. ciascuno di noi ha parti “irrisolte” o nascoste che lo portano a leggere o preferire alcune storie… io ad esempio ho imparato ad amare Alice di Carrol in età adulta perchè alcuni aspetti metaforici della storia mi sono stati accessibili psichicamente solo allora…. così come il piccolo principe …. alcune storie sarebbe bello leggerle e poi rileggerle nel corso degli anni solo così arrivano davvero a tutte le parti della nostra anima
Facevo la stessa riflessione ieri con i film a 20 anni amavo alcuni generi impegnati ora ne amo altri…

FG – Ci sono un’autenticità e una spontaneità che in età adulta si perdono, forse per adattarsi alle convenzioni sociali e culturali di appartenenza. Un aspetto che mi affascina molto è la capacità di sentirsi ancora parte di un concetto di vita diffusa. Mi spiego meglio: sentirsi tutt’uno con ciò che ci circonda (animali, piante, universo) e, riconoscere in questo, la sacralità della vita, la sua imprevedibilità e magia. Sono stata prolissa e poco chiara ma è quel senso di smisurata libertà che si prova quando si crede ancora che tutto è possibile.

CA – Una buona storia, una buona scrittura, contrasti creativi di atmosfera e personaggi

DT – Io ho iniziato da poco con gli young adult.
Forse per capire cosa a breve potrà piacere ai miei figli. Ma anche per capire meglio la gioventù di oggi e i suoi gusti i desideri e il punto di vista. Non so se ha senso. Ma questo è quello che mi muove. Un tentativo di trovare sintonia con le nuove generazioni, anche per lavoro, sono psicologa.

SS – Al di là dell’interesse verso la letteratura per ragazzi con la finalità di consigliare buoni libri attraverso il blog e altre forme, a me appassiona leggere libri con protagonisti i ragazzi perché sono una inguaribile nostalgica, mi piace continuare ad avere, e ricerco, questo spazio di immaginazione infinito verso il futuro che inevitabilmente in età adulta di assottiglia.

CL – Volevo dare anche io il mio contributo ma ritengo sia un po’ banale e forse anche un po’ confuso. Mi verrebbe da dire semplicemente che leggo letteratura per ragazzi perché mi piace, sento sia una dimensione giusta da abitare ma poi penso che tutte le storie e i libri che mi sono piaciuti, senza distinzione, li ho sentiti “della dimensione giusta”. Quella in cui riesci a stare perfettamente ma anche che apre orizzonti inaspettati in cui trovi indizi a risposte che cerchi anche inconsapevolmente. Perciò alla fine dei giochi forse considero la letteratura per ragazzi, letteratura punto. Non c’è distinzione tra x ragazzi/ x adulti ma solo buona o cattiva (per me) o, ancora meglio, letteratura che apre orizzonti e letteratura che non lo fa. Te l’avevo detto che era tutto molto.confuso…😜

CC –Posso dire la mia o sono in ritardo? Vabbè la dico:io leggo libri per ragazzi per trovare lo stupore e perché quando leggo penso a loro e se può piacere e come provocare stupore. Poi a volte ho bisogno di staccarmi, ma poi torno sempre ❤️

FD – Perché la bimba che mi vive dentro ha ancora voglia di storie.

 

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Del diritto di leggere e di quello di scrivere. Appunti

Si chiude un anno strano. Un anno importante, nonostante tutto. A luglio si chiude sempre un anno per me. Scrivere per ragazzi spesso diventa leggere per ragazzi e poi interrogarsi su quello che è la letteratura per ragazzi. Ho infilato in due righe tre volte la parola ragazzi ma questi, mi viene da pensare, con i libri finiscono per averci poco a che fare.

Il diritto alla lettura è per lo più sconosciuto nel nostro Paese.

Diventare scrittrice…

Per me scrivere resta un mestiere creativo. Un mestiere che in Italia non si insegna in nessuna scuola pubblica o percorso universitario, quindi un mestiere che si impara facendo esperienza. Vuoi essere un compositore? Studi la tecnica e lo strumento al conservatorio, così saprai declinare la tua creatività. Ma se vuoi fare la romanziera? C’è qualche scuola privata e una infinità di proposte non qualificate, ma nulla altro. Ecco, questo diventa un guaio quando tutti scrivono e nessuno legge. Abbiamo però studi formativi che garantiscono grandi professionalità all’interno delle case editrici: bravi editor, uffici stampa, grafici e quant’altro. Strano, no? Quello che manca è un percorso di studi che garantisca una formazione agli scrittori.

Sono vent’anni che lavoro per imparare a fare il mio mestiere di scrittrice di storie di ragazzi e di ragazze e grazie ai consigli di bravissimi editor e a un paio di stroncature terribili sono diventata quello che sono. Leggere e ascoltare i grandi autori durante festival, stage, mostre del libro ha fatto il resto. Incontrare i ragazzi e ascoltarli, invece, è stato fondamentale. Perché è di loro che scrivo.

Anni di appunti presi e, bene o male, mi sono formata. Ho idee precise sul mio mestiere, che evolvono e hanno parecchio a che vedere con il diritto alla lettura. Un diritto che andrebbe insegnato e spiegato a tutti, ma di cui pochi ragazzi conoscono l’esistenza. E anche pochi adulti. Insegnanti virtuosi, festival del libro e percorsi educativi ci provano a diffondere buone pratiche di lettura, ma restano gocce in un mare di giovani non lettori.

Se i ragazzi e le ragazze leggessero…

Servono interventi strutturali nella scuola e biblioteche scolastiche aggiornate obbligatorie per cambiare nella nostra vita quotidiana il valore dei libri. Per ora restano un sentito dire, servono come punto di riferimento quando parliamo di cultura, ma pochi sperimentano davvero la lettura. C’è da svecchiare l’oggetto libro; bisogna dimostrare che leggere può essere emozionante e stimolante proprio come guardare un film o ascoltare musica; e lo affermano le neuroscienze non la parte romantica di me. È un dato di fatto. Certo, bisogna imparare a leggere.

Trasmettere la bellezza della lettura ai ragazzi è un’urgenza se non addirittura un’emergenza.

Se i ragazzi aspettassero l’uscita di un libro come aspettano quella di un videogioco o un film, avremmo la certezza che sta crescendo un popolo sano, capace di pensare e di ragionare. Usiamo la tecnologia, divertiamoci, arrabbiamoci e disperiamoci sui social, ma sempre assumendo l’antidoto all’ignoranza e al pensiero univoco che è la lettura dei buoni romanzi contemporanei e classici. Non si tratta di sostituire ma di aggiungere.

Se i ragazzi leggessero, sarebbero loro a creare il mercato librario a loro destinato. Come accade con i videogiochi o i film.

Il rischio di perdere la bussola…

Invece, temo che in Italia ci stiamo accontentando. Sì, rincorriamo l’unica fonte di sostegno dell’economia libraria che è la narrativa scolastica. La lettura che nega se stessa e diventa un modo per studiare. Legittimo, per carità, perché attraverso la narrazione si possono approfondire le tematiche dello studio. Ma non può essere un percorso assoluto e deve sempre rispettare il concetto dei buoni libri, quelli capaci di contenere la bellezza, la buona scrittura e l’anima potente delle storie.

Dall’estero arrivano traduzioni di romanzi in cui gli editori e gli scrittori hanno creduto, forse avevano quelle basi di competenza e consapevolezza del proprio mestiere che a noi mancano o se non mancano allora manchiamo certamente di coraggio.

Se consideriamo i ragazzi i nostri lettori ideali, dobbiamo cercare di capirli e ascoltarli, noi scrittori per primi, provando a dar loro fiducia e a fare libri per loro Per emozionali, stupirli, affascinarli. Pensandoli come persone e non come rigurgito di scelte comunque adulte. Provare a colpirli e riuscire a farne dei lettori, perché i buoni libri hanno questa attitudine. Un buon libro sa creare un lettore.

La lettura è un rifugio, non la scrittura” dichiara Melvin Burgess in un’intervista rilasciata durante il festival Mare di Libri in onda 2020. “I miei libri hanno un percorso al loro interno, un viaggio. Il primo a compierlo sono io, portando il lettore con me. Io non cerco di fare lezione al lettore, il processo del viaggio a me insegna sempre qualcosa, se vale anche per il lettore: bene. Allora io entro in contatto con il lettore.” (Trascrizione libera della traduzione simultanea di C. Codecà). Burgess suggerisce anche di non scrivere solo di quello che si conosce, ma anche di quello che non si conosce, indagandolo.

Scrivere deve essere una sfida, un’incognita, un viaggio. Chi scrive di ragazzi e di ragazze e sopratutto per loro, non è diverso da chi scrive per adulti. Forse ha solo, legittimamente, una sensibilità diversa.

Venire allo scoperto…

Ho la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti e una volta una ragazza mi ha detto che nella sua scuola era stato invitato l’autore di un libro che avevano letto, ma che a lei non era piaciuto e del quale aveva dovuto fare comunque una recensione positiva. Ogni volta che entro in una scuola per incontrare gli studenti che hanno letto un mio romanzo, penso a lei.

Mi piace l’idea di togliermi i panni della scrittrice, di spogliarmi di quel ruolo che seduce tanto chi scrive storie. Il ruolo ci omologa agli altri, ci rende servili a un sistema che lusinga. Ho l’esigenza di restare solo quella donna che dà vita a un romanzo. Onesta con me stessa prima di tutto, ma onesta anche con i lettori. Restare unica e imperfetta, senza pudore, senza paura. Non si deve piacere a tutti, se capita c’è da dubitarne.

Il mio romanzo avrà, forse, il potere di scatenare emozioni e riflessioni. Sono i romanzi a dare qualcosa ai lettori come anche agli stessi autori. Il libro è del lettore, ognuno vi legge la propria storia e se lo rileggerà in un altro periodo della propria vita, sarà una storia diversa. Un lettore non è mai passivo.

Chi scrive è al servizio delle storie, la sua umanità e sensibilità lo è, se si considera il romanzo un prodotto creativo e artistico, cioè il frutto di un’idea che nasce senza avere origine eppure viva.

Insomma, queste riflessioni sono solo mie, sparse in questo articolo per tenerle a mente. Raccontano spigoli di un mondo editoriale e artistico composto di mancanze che, forse, alcuni di noi mal sopportano, ma non sappiamo o non vogliamo cambiare. Comunque la giostra gira, fermarla per cambiar posto alle idee costa fatica e soldi. Eppure se fossimo disposti a sacrificare qualcosa, credo che metteremmo in moto una trasformazione importante.

Ragazzi che leggono per libera scelta garantiscono un mercato librario sano che deve temere i propri lettori: sagaci e pronti a condannare; lettori praticanti e spietati. Un mercato capace di alimentare se stesso e di crescere.

Io li vorrei così i lettori, anche se a volte mi farebbero male. Lo so.

*Per correttezza aggiungo che nel mio discorso non considero il genere fantasy, che ha vita propria, e sopratutto ragiono sui romanzi per ragazzi dai 12 anni in su.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

I segreti di Huck, come nascono le mie storie

Alex, Irene e Martina tre vite imperfette e per questo piene d’umanità. Famiglie complete e incomplete, legami difficili se guardati dal basso di quei sedici anni così arrabbiati, tanto pieni di sogni da inseguire, ben attenti a mantenere un privato in cui non far entrare nessun adulto. E Huck che la sua vita la vive e basta.

Tra i miei romanzi poteva non essercene uno dedicato a un border collie? Che ne raccontasse le avventure di sei anni di vita? Che narrasse del rapporto tra cane e uomo?

Fa da sfondo a questa storia quel legame speciale che da secoli ci lega alla natura e a un compagno a quattro zampe.  Ne è il motore, ne è il cuore.

Perché?

Perché il legame con un cane, oggi che loro sono quasi sempre animali da compagnia e non animali da lavoro, può ancora essere speciale. Troppo spesso un cane è solo utile a colmare il nostro bisogno di affetto; troppo spesso non ci sediamo a terra con lui e non ci guardiamo occhi negli occhi. Un cane, e per me in particolare un certo border collie, è un animale fiero ed elegante. Conoscerlo e rispettarlo significa iniziare una relazione vera e dignitosa per entrambi. Non peluche a cui mettere il cappotto e da ingozzare di cibo, ma compagni di vita con cui cercare scambi e complicità.

Possiamo comunicare non solo verbalmente rompendo la barriera della specie. Capirsi con un cane, vuol dire passare attraverso un portale che può aprirci nuove prospettive. Esercitare l’empatia ci fa benissimo e intuire le esigenze, i bisogni e gli avvertimenti che un cane ci dà senza usare la parola, è una pratica eccellente per crescere come persone. Per me è stato così.

In questo romanzo viene narrata la vita di Huck che si scopre poco a poco. Ma vengono anche narrate le storie di tre ragazzi e queste quattro vite s’intrecciano, interagiscono, si spiegano l’una con l’altra. È un romanzo di costruzione dove si costruisce una relazione che prenderà il nome di amicizia senza limiti di specie, ma bisognerà aspettare l’ultimo capitolo per leggerne l’inizio.

Si cuciono giorni del passato al presente per tre adolescenti ribelli e un cane. È un romanzo pieno di vita e per questo parla anche di morte.

Tutto è nato quando un’amica mi ha raccontato la storia di un suo cane, quelle parole le ho fatte mie e hanno girato nella mia testa per giorni. E da loro sono partita per costruire questa storia, le ho trasformate e ricomposte ma sono sempre fedeli a quel cenno iniziale che ha scatenato l’immaginazione. Resta tra le pagine solo una frase della mia amica, tra virgolette, nascosta in un personaggio, ma sua. So che da lì è partito tutto.

Come nascono le storie?

A volte solo da una frase che con 30 parole scatena un romanzo intero, apre un mondo di personaggi, di paesaggi, di suoni e di suggestioni che l’autrice qui presente non ha potuto lasciar scivolare via, ma ha dovuto fissare tra le pagine.

Questo romanzo non poteva non essere un omaggio al mio Bryce e a tutti i cani e i gatti della mia vita; loro mi hanno insegnato a capire gli uomini e le donne e mi hanno spiegato che negli occhi di un cane da compagnia o in quelli di un border da divano, se si è capaci, si può leggere il passato di animali selvaggi e coraggiosi. Loro scelgono di esserci fedeli, possiamo rendergli l’onore rispettandoli e con loro rispettare tutti gli esseri viventi che abitano il nostro pianeta.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Scrivere è un affare di famiglia

Scrivere inizialmente per me è stato un affare di famiglia. E come tale, dato che i panni sporchi si lavano in famiglia, non se ne poteva parlare fuori delle mura domestiche. Ci ho messo molto, quasi venti libri pubblicati con case editrici nazionali medie e grandi, per trovare il coraggio di definirmi una scrittrice.

Quando nel 2006 pubblicai il mio primo romanzo i figli, entusiasti, mi chiesero se potevano dirlo alla maestra. Non potevo deluderli e alla maestra la cosa piacque. Timidamente accettai uno dei miei primi incontri con i ragazzi di scuola. Un bambino alzò la mano per intervenire dopo che la maestra aveva spiegato alla classe di come la mamma di un loro compagno fosse una scrittrice di storie per ragazzi e disse: “Ecco perché lui, ai compleanni, regala sempre libri!”.

Ancora rido. Eppure non fu un’osservazione banale! Appartengo alla specie umana dei lettori: leggiamo, amiamo, condividiamo e regaliamo libri in ogni occasione. Le storie ci scorrono nel sangue non possiamo farne a meno!

Fino a oggi ci sono stati una ventina di libri pubblicati ma anche venti anni di lettura, studi e scrittura. Una parte del mio lavoro legato alla scrittura, all’inizio, è stato sul campo.

Ho studiato Discipline dello spettacolo all’università, non letteratura; arrivavo alla scrittura dalla pratica della lettura, non dalla teoria e avevo letto pochi libri per ragazzi. Dalla più tenera età avevo sempre potuto scegliere quello che volevo, senza alcuna censura, dall’enorme libreria di casa stipata di romanzi d’avventura e gialli per adulti, classici e contemporanei.

Sul campo? Sì, leggevo ai miei figli ancora piccoli, oltre agli altri romanzi, anche le mie storie inedite, a puntate, la sera, prima di dormire. Erano i miei consulenti. Se loro stavano attenti, nella loro camera con accesa solo una lucina da lettura per creare l’atmosfera, quello che avevo scritto funzionava; se avevano sete, dovevano andare in bagno, cadeva il cuscino, quello che avevo scritto andava riscritto.

Buttare mi fa paura, sia chiaro, ma bisogna accettare di poter buttare del materiale che non funziona, se si vuole fare la scrittrice come mestiere.

Ecco il contributo che hanno dato i miei figli alla mia carriera. Però era anche un gioco complice, era un vivere insieme nelle mie storie. Da quando i miei figli sono stati in grado di giocare da soli, ho cercato di dare loro uno spazio privato. L’ultimo piano della nostra casa era loro: una mansarda con la moquette, una cassa con i costumi, una casa fatta con una grossa scatola, peluche, libri, costruzioni, matite per colorare, fogli di carta. Materiale per costruire giochi e immaginare avventure. Avevano il loro spazio privato e il loro parere sui miei libri contava. Bambini e individui da ascoltare. È così che mi piacevano!

Ricordo ancora quando decisi di far morire un personaggio in una storia e scatenai una vera rivolta, a notte tarda, perché accadeva alla fine del romanzo. Allora loro salvarono la vita di un personaggio e io riscrissi il capitolo. Loro erano i lettori. Le storie erano e sono dei lettori. Così sono nati i miei libri: cercando sempre la complicità dei ragazzi e il loro rispetto. Non voglio dimenticarlo, perché resta un buon principio per cominciare bene ogni nuova storia.

Oggi i miei figli sono giovani adulti, ma se pranziamo o ceniamo insieme capita ancora che si parli di un mio personaggio come fosse uno di famiglia e per scherzo se ne citino le battute. Spesso si tratta anche di romanzi che sono rimasti inediti, ma che nel loro immaginario di bambini hanno avuto un posto importante.

“Charles è una sottile sagoma di fronte alla folla fervente, nella luce brutale dell’illuminazione a gas che scolpisce ogni tratto di quel viso noto a tutti. Non ha mai letto così bene né con tanta disinvoltura. Quando termina il secondo brano, scoppiano applausi che durano diversi minuti. Lui, che non ha mai concesso il bis, torna comunque in scena. Si fa silenzio. «Signori e signori, sarebbe inutile fingere che mettendo fine a questo episodio della mia vita, io non stia provando un sentimento di profonda tristezza». Quindici anni di letture pubbliche e questa sera è tutto finito.” da Picnic al cimitero e altre stranezze, un romanzo su Charles Dickens di Marie Aude Murail, Giunti Editore.

 

 

Pubblicato in: Pensieri canini

Io (Brik), il burro e la carota

Non è che solo perché sei un cane non conosci la differenza tra le azioni che fai e che gli umani fanno.

Pane, burro e marmellata è la colazione della mia umana di riferimento (Umi per semplicità). Per me basterebbe il burro. Conosco bene la differenza tra quello di pianura e quello di montagna. Il primo è dolce, equilibrato, fine; il secondo denso e deciso. Lo preferisco: ha un odore intenso con il sapore (ma anche il sapere) persistente dell’erba e il colore paglierino del fieno. Comunque, di solito, mi accontento.

Conosco la differenza tra l’apertura della scatola dei biscotti e il tonfo secco della custodia porta-burro. E quindi so chi fa colazione, anche se non mi formalizzo. Non deludo nessuno. So anche la differenza tra lasciarsi sfuggire e offrire. Stabilito che, come da contratto (ius primae ientaculi), chi fa colazione con pane, burro e marmellata mi deve un ricciolo del panetto bianco: se nell’offrirmelo cade a terra, me ne spetta un secondo. Ti è caduto, non me lo hai dato. E tutto ciò che è commestibile sul tavolo è tuo, sotto è mio.

Se lo depositi nella mia ciotola, mi va bene. Resta più rapido, forse brutale ma decisamente soddisfacente, indirizzarlo verso di me con un movimento secco del polso mentre ci guardiamo negli occhi. Lo prendo al volo e ci lasci anche l’odore delle dita, che mi piace perché sa di noi.

Sono un cane e anche se non parlo ma abbaio, sento quello che pensi, provi e neanche tu sai. Quindi non offendermi, per favore. Nel caso tu fallisca la prima consegna, molla il secondo ricciolo di burro senza farti pregare o mostrarti poco elegante nel richiedere, ogni volta, di essere da me sollecitata. 

E la carota?

Beh, quella è un’altra storia.

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Donne in corriera e madri da tartufo

Cronache di pandemia con accesso in libreria

Questo è un mio diario professionale e di vita e non posso fare a meno di confrontarmi anche qui con la pandemia Covid19. Sono una donna privilegiata, anche se, come si può ben immaginare, ogni privilegio è relativo. Relativo a chi si sente privilegiato e mutevole proprio perché relativo.

Lavoro a casa da sempre. Scrivo per ragazzi e nonostante la parte più influente e ricca del mio lavoro sia nelle scuole, nelle biblioteche e nelle librerie, a casa non mi sento sola. Sono sempre in compagnia delle storie scritte e da scrivere. E dietro alle storie si studia anche e c’è tanto da indagare. I progetti non mi mancano. (Tra questi c’è anche il mio libro inedito regalato ai bambini e alla bambine. Cliccate su: La mia vita da Libro per scaricarlo gratuitamente e su Come nascono le storie per saperne di più).

Abito una casa grande, luminosa, con due piccoli giardini e per ora tutto ha tenuto dal wifi agli elettrodomestici.

Vivo con due figli giovani adulti, anche loro (sarà la mia influenza? sarà capacità d’adattamento?) sereni e impegnati. Leggono, studiano, si sono inventati di curare un orto (in casa siamo tutti incantati a seguire le avventure della nascita dei pomodori e presi dal loro stato di salute), si ritrovano online con gli amici di sempre, giocano in sfide internazionali alla playstation e a scacchi. C’è un torneo di ping pong privato che procede a oltranza (solo stare a guardare i miei figli è un privilegio).

Il cane e il gatto di casa stanno bene. Brik, che con me scrive in questo blog, soffre. Certo, un border collie è un cane attivo e vivace, ma pare capisca. Pare supplisca alle corse nei prati con la fedeltà a noi, i suoi umani. Condividere il nostro spazio e il nostro tempo gli basta. È un cane. È meraviglioso.

Mia mamma ottantacinquenne, isolata nella sua casa per sicurezza, è la mia spina nel cuore. Vorrei averla vicina, ma per il suo bene non voglio avvicinarla. Non posso pensare a tutti gli anziani che abbiamo perso soli. Ognuno ha la sua opinione su cosa ci sia dopo la morte, resta per tutti che il passaggio è l’unica certezza e non si dovrebbe sprecare in solitudine. Mai. Quindi non è il momento di essere egoisti ma di scegliere il male minore. Bisogna fare assistenza a distanza: insegnarle a fare video-chiamate, chiacchierare continuamente con lei e sperare nella sua forza e nella sua inventiva. Come la recita del rosaio che mia mamma, ogni mattina, fa camminando, al pari di un monaco, in modo da tenere attivo anche il corpo con la sua fede. Come possiamo non disperarci di aver perso tanti della sua coraggiosa generazione?

È la vigilia di Pasqua e io scrivo queste righe. Ieri, hanno annunciato la riapertura delle librerie quali beni di prima necessità. Certo, con il mestiere che faccio, non posso non considerare i libri beni necessari. Ma. Dovrebbero essere beni necessari sempre, perché entrano in un decreto nel Governo in modo così dominante solo ora? Non sono in polemica con il nostro Governo, lo apprezzo. Nessuno può immaginare cosa significhi essere leader e guidare un Paese in circostanze come queste. Quindi nessuna critica, ma qualche dubbio sì, ed è quello di sempre. Un dubbio mai sciolto neanche in passato da altri governanti.

Cosa significa essere scrittrice per ragazzi in Italia lo so bene. Come so bene che siamo un Paese di non lettori. Se i libri non si leggono cosa li scriviamo a fare? Non molliamo e da scrittori ci trasformiamo in promotori. Siamo ostinatamente attaccati all’idea che leggere faccia bene e quindi non molliamo. Ma pochissimi di noi si mantengono con la sola scrittura. Pochissimi vivono del mestiere di scrittore.  È così in tutta Europa? No. Perché? Perché negli altri Paesi europei la lettura (e di conseguenza gli scrittori, parlo sopratutto di scrittori per ragazzi, il mondo che conosco) è sostenuta da leggi apposite e i Governi sono convinti (ci credono loro per primi) che leggere sia un bene primario e non si può permettere che i cittadini se ne privino. Questo non in tempi di pandemia. Sempre.

Che, causa CoronaVirus, si sia riscoperta la lettura? Non ci credo, chi leggeva prima legge adesso. Allora perché elevare le librerie a luoghi indispensabili? Non conosco la risposta ma se provo a immaginarla un po’ mi fa paura (conosco tante libraie e librai e mi spaventa mettere a rischio la loro salute senza motivo).

Mi viene in mente un paragone.

Nella via dove abito hanno costruito un parco giochi. Non è stato ancora inaugurato, il cancello è chiuso. Un parco giochi è un posto bellissimo e un dono speciale per i bambini e le bambine. Siamo tutti d’accordo. Gli scivoli sono colorati e circondati da pavimento idoneo ad attutire gli urti e i capitomboli dei piccoli. Ma, ci passo davanti ogni mattina durante il giretto che faccio con Brik, all’interno ci sono delle panchine di marmo. A un metro dal pavimento salva bernoccoli ci sono dei sedili dalle linee essenziali di bellissimo e durissimo marmo bianco. Da madre, ogni mattina mi chiedo quante labbra ci si spaccheranno e quanti tagli procureranno. È fisiologico che i bambini corrano, cadano e si facciano male. Ma. Siamo certi che per le panchine non ci fosse un materiale più adatto? Anche solo il legno sarebbe stato più morbido del marmo.

Insomma, credo che prima di agire sia necessario conoscere bene cosa si vuol costruire e studiarlo anche con gli occhi del buonsenso, non solo della scienza ingegneristica.

Non basta dichiarare che i parchi giochi sono un luogo bellissimo (che resta comunque un pensiero pieno di speranza), bisogna averli provati, salvaguardare chi gioca e questo sempre e anche quando si parla di immensi parchi divertimento con giostre e attrazioni.

Se è un bene primario è di tutti e per tutti.

In finale, auguro a tutti buone letture. L’arte, la cultura, il teatro, il cinema soffrono per il virus, finiscono in video e si inventano nuove vesti. Senza poeti, scrittori, artisti il nostro sarebbe un vivere triste e sterile. Anche durante la pandemia.

Credo che i libri portino speranza, ma amici librai e amiche libraie state attenti e attente. Fate come vi sentite e se non volete aprire non aprite. Io aspetto e sono sicura che saremo in tanti a tenere duro. Ripartiremo. E saremo sempre più agguerriti anche quando alcuni non ricorderanno più che i libri sono beni necessari. Evviva le storie. Sempre.

Buona Pasqua a chi è credente e Buon tutto agli altri, da parte mia e del fedele Brik.

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Pubblicato in: Come nascono le mie storie

La mia vita da Libro …come nascono le storie

Perché le storie arrivano quando arrivano,ma poi si tirano fuori quando servono!

Come nasce un Libro? E come riesce a compiere la sua missione di far innamorare un bambino di sé? Ecco le avventure e le disavventure di Libro!

Scaricate la vostra copia gratuitamente cliccando qui:

La mia vita da Libro

(Istruzioni per l’uso: a nove o dieci anni si può già leggere da soli e non è mai sbagliato leggerlo ad alta voce, ma, d’accordo, non è male neanche farselo leggere! Ascoltare e/o leggere una storia non ha età, provare per credere!)

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È un periodo difficile per tutti noi. È marzo 2020 siamo nel mezzo della pandemia di Corona Virus. Ognuno cerca di fare, dare qualcosa agli altri, qui sul web. Io sono stata abbastanza immobile. Anestetizzata forse dalle troppe voci che sento intorno a me, dalla preoccupazione, dall’incertezza. Non ho fatto video-letture o dirette, sto leggendo per me poco e lentamente e scrivendo ancora più lentamente.

Poi ho pensato che volevo e dovevo fare qualcosa anch’io. Ma cosa? Cosa so fare per gli altri? So scrivere storie? Non so se siano buone storie, ma sono la parte bella di me, o almeno la migliore.

Nulla di nuovo, una storia tra le tante che avevo nel cassetto. Nulla di scritto ora e appositamente. Un racconto lungo che con la mia solita pigrizia avevo lasciato da parte, insieme a tanti altri racconti e romanzi che ho scritto oltre ai quasi venti pubblicati con medie e grandi case editrici specializzate nella narrativa per ragazzi e giovani adulti.

Scrivo tanto perché solo scrivendo si cresce scrittrice e

le storie arrivano, non le vai mica a cercare.

La mia vita da Libro doveva essere pubblicato in un articolo qui sul mio blog, poi, dato che sto rileggendo le ultime bozze del mio prossimo romanzo I segreti di Huck in uscita a giugno per Mimebù il nuovo marchio per ragazzi di Mimesis Edizioni, ho chiesto a Martina Pellegrini, mia editor per quel romanzo, se avesse voluto editarlo lei e farne un libro elettronico da scaricare gratuitamente dal sito di Mimebù. Ha accolto l’idea con entusiasmo e allora ho provato a chiedere a Paola Formica, meravigliosa illustratrice, se volesse unirsi a noi in questo libro-dono e anche lei è entrata subito felicemente nel team.

Questo è il mondo della letteratura per ragazzi che non guarisce nessuno, certo, ma conosce la solidarietà.

Abbiamo cercato di fare un piccolo bel libro elettronico in pdf da scaricare su pc o tablet, o da stampare, mettendo in campo le nostre competenze. Non desideravo fosse un qualcosa buttato lì senza cura, desideravo fosse bello e ben fatto, perché regalare una storia è un atto da compiere con affetto.

Quindi: che la magia della lettura arrivi fino a voi portandovi altrove con l’immaginazione, che nel momento della storia possiate respirare liberi!

C’incontriamo tra le pagine, ci abbracciamo lì dove si può!

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

8 marzo 2020

Nei tempi del Coronavirus i nostri pensieri sono impegnati in altro, e forse in altro ancora non sono impegnati abbastanza.

Comunque non fatemi gli auguri per la giornata di oggi, dell’ 8 marzo,  e non massacrate le mimose e per carità non mandatemi fiumi di parole d’occasione per messaggio, volete fare qualcosa per me? Leggetevi i miei Se la tua colpa è di essere bella e/o Io non lo odio, sono solo storie ma già capirete in quale donna credo.  Sono stata tante donne perché ho vissuto abbastanza per riconoscerle e forse non sono neanche fiera di tutte.

Leggere più romanzi di una stessa autrice traccia il suo pensiero, costruisce la sua impronta, il suo crescere e cambiare nel tempo, anche se si tratta di romanzi per ragazzi, sì, esattamente, avete capito bene.

Leggetemi e mi consocerete con le mie fragilità e i miei entusiasmi. Poi ci sono anche gli articoli sul blog, il mio diario, anche qui ci sono con fragilità ed entusiasmi.

Quello in cui credo non lo direi mai in un romanzo, non penso che potrebbe o dovrebbe interessare qualcuno, le mie storie sono solo storie, ma, nel tempo, conoscendole conoscerete me. Scrivere resta un po’ donarsi e come lettrice lo so bene.

I libri di Giuliana Facchini

Mother’s day , ma solo neo miei romanzi

Se sei donna e scrivi per ragazzi

 

Pubblicato in: Pensieri canini

Lettera aperta di scuse del cane coautore alla sua umana di riferimento

Sì umana, sono pentito. Ti ho leccato la mano e ho scodinzolato timidamente, non hai visto?

Posso spiegarti, però, non è come sembra.

Cerca di capirmi,  è una legge di natura, i giovani vogliono stare con i giovani e io con i giovani adulti di casa nostra mi ci trovo proprio bene. A causa di questa storia del virus contagioso… che c’avete solo VOI umani e noi bestie no, anzi forse ce l’avevamo e ve l’abbiamo scaricato perché VOI non la smettete di mangiarci…

(E datevi una calmata umani ingordi, che noi mangiamo solo quando abbiamo fame e uccidiamo anche solo in quel caso, mica a caso o per sport come voi).  

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Per colpa di questo virus, dicevo, c’erano tre young adult tutti per me a casa nostra e abbiamo guardato la tivù insieme fino a tardi, ho dormito a turno con tutti loro e fatto colazione a turno con tutti loro (io ho fatto tutti i turni coscienziosamente) e poi abbiamo tirato corda e palla e anche se ho dovuto vederli giocare con dei listelli di legno che non potevo rosicchiare, non fa niente.

(Loro dicevano che stavano costruendo una cassa da orto – o da morto non ho capito bene – per il balcone – chi sarebbe morto sul balcone? – perché in giardino non si può coltivare che è solo mio e dei gatti, MA non ci ho creduto – anche se confermo che il giardino è solo mio e non dei gatti).

Ecco, in mezzo a questa meraviglia di fratellanza mi sono addormentato con quelli della mansarda e mi sono dimenticato di venire a dormire in camera tua. Così, la mattina, ti sei svegliata da sola.

Immagino lo spavento. Il vuoto. Lo sconcerto. 

Capisco di averti ferito. In otto anni di vita ti sei sempre svegliata con le mie tenere testate, qualche leccatina delicata e a volte ti ho anche offerto il mio petto da grattare.

Conoscendo come sei ansiosa, immagino che tu non vedendomi abbia pensato che mi fosse successo qualcosa; eri certa che nulla mi avrebbe tenuto lontano da te e quindi forse giacevo stecchito sulla poltrona del salotto o chiuso fuori in giardino come un povero randagio o uno stupido cane da guardia.

Ho sentito la tua voce tremula in corridoio che mi chiamava e mi sono svegliato di soprassalto; mi sono catapultato giù dalla scala a chiocciola ma ormai era troppo tardi. Quando mi hai visto arrivare hai capito che stavo benissimo. Eri forse un po’ sollevata, ma anche rattristata. Mi sono subito sentito in colpa, te ne sei accorta?

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Però anche tu quando vai nelle scuole o nelle biblioteche a parlare dei tuoi libri e stai fuori più giorni non mi porti con te e non ti svegli con me e allora, per una vola, fai finta che, quale autore cane di un blog, sono stato invitato a fare un workshop per autori cani e sono rimasto a dormire fuori. Che ne dici? Può andare?

Sentitamente sempre tuo,

o quasi sempre solo tuo,

Brik

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

…da brik e me

Non solo scrivere.
Scrivere significa sempre mettere tutto in discussione, perché l’immagine che appare, si rivela sempre come un problema, una necessità di scrutare più a fondo nel personaggio o nella situazione, per guardare oltre il suo pregiudizio, che nella maggior parte dei casi è anche il nostro pregiudizio, e cercare di vedere cosa c’è oltre. (Per una letteratura senza aggettivi, di MT Andruetto).
E allora: Non sapevano che che fosse impossibile e allora l’hanno fatto. (M. Twain)
Buon cammino da me e da Brik a tutti, senza confini spaziali o temporali, buona fine e buon inizio sempre ❤️

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Se sei donna e scrivi per ragazzi

Se sei italiana, scrittrice di storie per ragazzi e donna ecco alcune regole non scritte, un po’ fumose, un po’ rognose, un po’ per ridere e soprattutto da non prendere troppo sul serio.

Se sei donna e scrivi per bambini sei fortunata. Certo, se scrivi per i più piccoli sei facilitata, sembra essere scolpito a grandi lettere nell’immaginario collettivo; l’asilo, prima di arrivare a essere la scuola dell’infanzia, è stata scuola materna. Le parole contengono concetti, le parole spiegano. La scrittrice è materna pure lei, e poi quando i lettori sono piccoli è intimamente rassicurante invitare una donna al famoso incontro con l’autrice. Che non si sa mai. Per fortuna le scrittrici italiane per bambini sono molto brave e della maternità, se non è pertinente, se ne infischiano. Se sei donna sei abituata a infischiartene. Mica puoi farti sempre sangue cattivo.

Se sei uomo e scrivi per bambini sei un po’ meno fortunato.

Sa sei donna e scrivi per ragazzi devi metterti in coda. Se scrivi d’avventura devi metterti in coda, molto in coda, proprio indietro. D’avventura scrive meglio un uomo. Non c’è storia, non c’è discussione. Suvvia non scherziamo: s’è mai vista un’avventura materna? Una maternità avventurosa, forse! La mamma sta sempre sulla porta a richiamare all’ordine, a porgere la felpa o lo spolverino, a insistere perché il protagonista mangi a sufficienza, con questi presupposti: una donna che avventura può far vivere a un ragazzino? Dove sono le competenze? Ci sono pure le madri archeologhe, ninja e soldatesse, ma vogliamo proprio raccontarlo? Che lo facciano le scrittrici straniere! Che le scrivano di casa loro queste storie!

Le biografie, invece, sono concesse, sia di donne che di uomini. Le eroine si possono raccontare, non sono tante,  che le scrittrici se le spartiscano pure! Gli scrittori uomini sono magnanimi al riguardo, in fondo, loro hanno un sacco di eroini di cui scrivere.

La letteratura civile è da condividere tra scrittori e scrittrici per ragazzi. Tira e molla. Chi più chi meno. Se sei uomo sei un pochino più fortunato. Il motivo? Non c’è. Sei scrittore un motivo per essere fortunato lo hai in ogni caso: sei pubblicato da sempre, la letteratura italiana è affollata di uomini.

Poi, esiste il fantasy, questo genere ambiguo che leggono maschi e femmine e che scrivono pure le femmine, anzi in Italia, per ragazzi, soprattutto loro. È un genere complicato, mondi da inventare e un’ideologia sottintesa che sta in equilibrio precario tra le pagine. Si può essere accusati facilmente di ambiguità se non si sta attenti. Una rogna, insomma, che se la sbrighino loro, le scrittrici. Con quella mente complicata, quei capelli colorati.

Se sei uomo e scrivi per ragazzi al massimo ti prendi il genere distopico dove l’avventura è più reale, molto simile ai giochi che facevi in cortile da bambino e con cui ti divertiresti ancora oggi. Senza alcun dubbio ti ci divertiresti ancora oggi.

Se sei uomo e scrivi d’avventura per ragazzi sei fortunato. L’avventura: quel benedetto, affascinante e intrigante genere che è l’ingrediente principale dalla fabbrica delle storie. Sei conteso perché l’avventura la leggono tutti: ragazzi e ragazze. Se usi un protagonista maschio, le femmine se ne infischiano e s’immedesimano  (siamo abituate fin da piccole a infischiarcene) se usi una femmina per protagonista puoi farne un maschiaccio tanto non ti par di far torto a nessuno e poi l’avventura piace molto anche alle professoresse che, si sa, i poli opposti si attirano.

Vuoi mettere se sei prof e ti arriva in classe un giovane e aitante, o anche brizzolato e affascinante, scrittore per ragazzi? Tu che al massimo sul posto di lavoro c’hai il collega zitello di lettere o quello passabile di matematica in una percentuale di dieci a una? Se sei uomo e sei scrittore per ragazzi sei figo per principio, sei figo a prescindere. Sei coccolato, adulato e amato con vere standing ovation e per imitazione apprezzato e letto dagli studenti. Inutile predicare, è l’esempio che conta.

E detto tra parentesi: chi di noi donne non lo vorrebbe uno scrittore per compagno, amante o marito? Noi che siamo cresciute con il mito dell’uomo alla Colin Firth, con alle spalle Woody Allen e Mister Darcy, sempre in bilico tra L’attimo fuggente e Hogwarts.  Per noi che leggiamo come dannate, lo scrittore nel nostro immaginario è meglio del principe delle fiabe. Soprattutto se montanaro. Scarponcini e camicia a quadri sono di rigore nell’incontro con l’autore. Fascino spiegazzato e sguardo un po’ perso. Lo zainetto aumenta il punteggio. La tirata con voce pacata sulla letteratura russa, con quel gesticolare stanco, di chi al mattino crea personaggi indimenticabili per le pagine delle proprie storie e il pomeriggio scala vette e spacca legna da ardere, ci lascia senza fiato.  Siamo noi lettrici a mandarlo in ristampa e in ristampa. A creare il mito (altrimenti non esisterebbe). Facciamo tutto da sole, noi donne.

E quindi va bene anche lo scrittore per ragazzi: intellettuale, complice e cameratesco con gli studenti, comprensivo con la burocrazia scolastica e piacevole conversatore durante il pranzo offerto. Siamo donne, tra noi ci si capisce, ci si comprende e se sei scrittrice per ragazzi meglio che l’avventura la lasci perdere. Giochi in casa, conosci i rischi. È quasi un atto di sorellanza mettersi da parte. Se sei donna e scrivi d’avventura per ragazzi sai già che lavori poco. Al massimo se proprio vuoi, te ne infischi (vedi sopra).

Se sei scrittrice e scrivi problem books hai il tuo spazio. Ragazzine sfigate da raccontare ce ne sono: bullizzate, molestate, isolate, mollate. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di una donna conosce certe pene e le sa raccontare. Sei una sorella maggiore, una spalla su cui appoggiarsi, colei che non fa sentire sole le lettrici. Tanto i maschi non le leggono certe storie, resta tutto tra donne.

Se sei scrittore e scrivi di problem books hai il tuo spazio. Ragazzetti tormentati da raccontare ce ne sono: incompresi, arrabbiati, solitari, innamorati. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di un uomo è capace di educare un giovane uomo alla vita. E anche una giovane donna, perché, sì, quelle leggono tutto. Pure dei problemi psicologici maschili si devono impicciare, pure in quelli si devono immedesimare. E con certi personaggi un po’ bruttarelli e timidi tra le pagine, pure materne riescono a diventare. Sempre in mezzo le lettrici femmine. Una condanna.

Uno spazio tutto loro tra i libri, i maschi non ce l’hanno. Poveracci! Poi si dice che non leggono e si buttano negli sport come il calcio. Per forza! Ah, no. Adesso c’è pure la nazionale di calcio femminile…

Se sei italiana, donna e scrivi per ragazzi anche il vocabolario è chiaro: romanzo, sostantivo maschile; lettura, sostantivo femminile. Insomma se sei scrittrice per ragazzi  te la devi mettere via e infischiartene, tanto poi, alla fine, è la storia che conta e che insieme alla buona scrittura produce splendida e coinvolgente letteratura per ragazze e ragazzi!

(Problem books, cioè: “libri su un problema” da “Storia delle mie storie” di B. Ptzorno).

Come nascono le mie storie… SE LA TUA COLPA È DI ESSERE BELLA

Come nascono le mie storie… IO NON LO ODIO

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Portiamo la passione per la lettura tra i ragazzi

Nello spazio Leggere Ribelle Verona appena aperto, nell’ultimo incontro, eravamo in tre. Mancavano tre ragazze che partecipavano agli eventi della Fiera Cavalli, una manifestazione molto importante in città. Sul pavimento nel circolo di lettori già 20 proposte di lettura, 20 libri, e solo otto paia di piedi, più il paio della redattrice e quello della bibliotecaria. Poteva essere un incontro triste ma non lo è stato.

Un ragazzo aveva letto e ha raccontato Cercando l’onda, di C.Vick, con passione e dovizia di particolari, emozioni e dissonanze. Poi ho raccontato io, la redattrice e il secondo ragazzo che aveva letto solo a metà. La ragazza era nuova, non ha voluto narrare le sue trame in particolare ma in generale. Il tempo è volato e i ragazzi sono andati via con due, tre, due libri a testa e hanno semplicemente detto che torneranno, hanno lasciato i dati per il loro passaporto del lettore del blog. Decisi, sicuri. Siamo andati via appagati. La passione per i libri unisce quando si crea. “Me ne vado con molta più voglia di tornare rispetto al primo incontro” ha detto uno dei ragazzi, 15 anni.

Certo, sono pochi, ma anche il gruppo fondatore di Leggere Ribelle è partito da tanti, pochi e poi si è rinforzato; ora sono 16 i partecipanti attivi. Certo è una sciocchezza in confronto al popolo dei giovani, ma mi domando cosa accadrebbe se insieme a libri e autori portassimo tra i ragazzi la passione per la lettura. Non è sempre invitata a partecipare. Si muovono soldi e autori, sembra che i progetti per la lettura siano dei potenti strumenti per diffondere libri e cultura (parola troppo sfruttata, ahimè), ma poi cambia davvero qualcosa? O restano solo un bel manifesto, un fiore di plastica all’occhiello di qualche giacca o cappotto, e la coscienza che sembra a posto?

Ho partecipato a un piccolo festival per ragazzi, non avevano letto i miei libri e allora ho fatto due eventi di un’ora e mezza ciascuno raccontando libri e passione per la lettura. Come solito ho chiesto chi fossero i lettori e chi i non lettori. I non amanti dei libri hanno finito per farmi più domande degli altri, avevano occhi brillanti, hanno scritto sul diario (e non era richiesto) tutti i titoli che ho proposto, miei e non.

La lettura dovrebbe essere promossa a scuola, resa importante come la matematica, la storia, la filosofia ma necessariamente come “materia” differente. Con  uno spazio proprio. La lettura dovrebbe fare un salto di qualità tra le mura scolastiche. I docenti dovrebbero essere formati al riguardo.  (Quanti, per esempio, conoscono ReadOn?). Finché non sarà così e ci affideremo solo a fantomatici progetti per la lettura, i libri scivoleranno ancora troppo spesso sui ragazzi senza lasciare traccia, senza creare nuovi lettori.

I protagonisti degli incontri dovrebbero essere proprio i buoni libri, la buona letteratura contemporanea capace di catturare lettori. Perché è la sua missione, il suo fine ultimo. Sono sempre i libri a fare la differenza. Portiamo molti buoni libri ai ragazzi, creiamo degli spazi di lettura libera e avremo, è molto probabile, nuovi lettori.

Sono dati reali quelli forniti sulla lettura e i giovani lettori? Non so bene come valutare i libri venduti, per esempio, per un qualsiasi progetto di lettura associato alla scuola; sono anni  che giro nelle scuole come autrice e i libri acquistati (quando va bene) spesso non sono del tutto fruiti ma solo comprati dai ragazzi, letti tanto per leggere o da associare allo studio e poi dimenticati.  Il libro rimane carta stampata, non diventa contenitore di vita e di emozioni, non innesca la passione. Ma nelle statistiche conta come libro di narrativa letto?

Libro letto? sì! Lettore abile? No!

Ci sono meravigliosi progetti di educazione alla lettura, e nel temine includo anche i festival e tutti quegli eventi che portano i libri ai ragazzi, che davvero creano lettori, ma ce ne sono altri che, secondo me, smuovono poco o nulla in quanto a passione per la lettura e credo che il motivo sia perché partono da un principio sbagliato. O forse un principio non lo hanno proprio. Gli interessi economici, la poca formazione dei promotori o a volte addirittura l’ingenuità, penalizzano ancora troppo il nostro Paese. C’è da rimboccarsi le maniche.

È un’emergenza creare lettori.

(Se non c’è chi compra libri, non c’è necessità neanche di scriverli, o no? Domanda o trabocchetto? ).

Mi viene voglia di urlarlo a chiunque abbia a che fare con i libri e i ragazzi: formatevi! Leggere libri per ragazzi scritti da autori e autrici italiani e non; informarsi sulla realtà dei giovani lettori e della lettura fuori dall’Italia e ragionare in parallelo; seguire convegni e professionisti competenti; sacrificarsi, anche, se serve, per la qualità della scrittura per ragazzi. Non improvvisare.

Incontro con l’autore? Io la penso così!

 

 

 

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Contro l’impoverimento dei libri per ragazzi

Una delle cose che mi mette a disagio del mondo della letteratura per ragazzi è la ricerca affannosa dell’argomento o dell’avvenimento che tra cinque, sei mesi, un anno sarà quello più richiesto e quindi essere pronti per poter pubblicare a raffica romanzi, biografie, raccolte di vite di personaggi relative a quell’argomento o quell’avvenimento. In versioni svariate. Mi mette un’ansia terribile e cerco di starne alla larga. Un po’ come i pandori che il due di novembre prendono il posto delle zucche. Mi danno la stessa ansia.

D’accordo, il mercato editoriale in generale utilizza il meccanismo d’indovinare le tendenze e i gusti del lettore, però il sistema trova la sua massima applicazione tra i libri per ragazzi. E forse in maniera singolare.

Genericamente, oggi, nulla sembra essere vissuto per quel che è, ma perché va consumato. Subito. Credo, forse, sia un po’ la nostra malattia.

Un buon libro ha i suoi tempi di lettura, un buon libro ti inchioda ore fermo sulla poltrona, sul letto con i cuscini dietro la schiena, sulla coperta distesa sul prato. Un buon romanzo non va di corsa, anzi ti impone di fermati. Quando dicono: non ho tempo per leggere, è perché per leggere serve tempo, non possiamo far diventare un libro un prodotto usa e getta.

Cosa ce ne faremo tra un po’ di mesi di tutti i libri sulla Luna pubblicati perché sono passati 50 anni esatti dall’allunaggio? Solo qualcuno molto bello, perché per fortuna i libri belli esistono, resterà sugli scaffali delle librerie, un po’ defilato, per quei lettori che alla luna pensano spesso o sempre.

I giovani (e non solo loro) in Italia entrano poco in libreria e fuori da scuola non leggono volentieri o in pochi leggono, oppure sono lettori seriali o di Fantasy. Quindi per quanto riguarda i libri per ragazzi, l’uscita di un romanzo per il preciso appuntamento con una ricorrenza, un centenario o solo un problema sociale urgente è la risposta alle necessità della scuola (in particolare secondaria di primo grado), il polo di diffusione della lettura e in particolare della vendita dei libri. Sono loro che dettano in buona parte la legge del mercato editoriale della letteratura per ragazzi.

Perché alla scuola sono utili i libri che trattano argomenti specifici? Per esempio ora è il momento del muro di Berlino. Del Muro a scuola non si può parlare leggendo articoli e testimonianze, ascoltando brani musicali o documentari? Bello farlo anche con i romanzi, vero. Verissimo. Io stessa quando volevo approfondire cosa fossero i kibbutz ho letto Amos Oz che ci ha vissuto. Appunto Amos Oz.

L’editoria per ragazzi si sta specializzando e forse vuole offrire alla scuola, già pronto, un tipo di romanzo che riassuma e svisceri l’argomento o il personaggio: una comodità, insomma.

Non sono tutti (alcuni sì, non lo nego) veri e propri romanzi, se come romanzo intendiamo una una buona storia, accattivante e sorprendente, e una scrittura di pregio. Mesi di lavoro creativo e faticoso che uno scrittore decide di affrontare come una necessità e che farà innamorare l’editore e appassionare il lettore.

Credo che dobbiamo cercare di non perdere di vista il vero significato della parola romanzo usandone invece un surrogato che s’identifica forse con una via di mezzo tra il manuale e il racconto. Come tale, se ben fatto, insegna. Leggere rimarrà qualcosa di simile allo studiare, magari uno studio facilitato. Fluido, piacevole. È bello facilitare lo studio. Non è cosa da poco. Ha un suo valore.

Di fatto, però, lo studente non lettore continuerà a ignorare la passione per la lettura, per le emozioni che scaturiscono dal romanzo. Cosa che il lettore giovane di Fantasy non ignora anche se il suo genere di lettura sembra solo intrattenimento. Forse, invece, si avvicina di più a quello che un romanzo vorrebbe essere.

Senza sottrarre nulla, ma aggiungendo, sarebbe bello proporre (soprattutto nella scuola secondaria di primo grado) più libri che insegnino solo la passione per le storie e per la lettura, fonte di emozioni e attività piacevole, come la musica, il cinema, l’arte in generale.

Un buon romanzo insegna senza che il lettore se ne accorga. Se hai tempo di accorgerti che stai imparando qualcosa, ecco, non è un buon romanzo, è qualcos’altro! Un buon romanzo ti frega, ti rimane nella testa, capisci dopo, a volte molto tempo dopo, cosa voleva dirti. A te solo o sopratutto a te.

Non mi piace l’idea che il mondo italiano dei libri per ragazzi possa impoverirsi (e forse sta già accadendo), vorrei che uscissero meno romanzi con la data di scadenza e ci fosse più spazio per altri romanzi. Capisco che vivere di libri per ragazzi è quasi impossibile. Ma. Ci sono bravissimi scrittrici e scrittori italiani per ragazzi. Solo i buoni libri creano lettori. Più lettori veri ci sono e maggiore è sostengono per il mercato editoriale. Qualsiasi altra espressione non torna, è matematico.

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Fiutando libri, ponendo domande, scrivendo storie

I miei manuali di scrittura creativa sono i buoni romanzi; annotazioni di lettura e appunti per la romanziera che vorrei essere.

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La genialità della grande scrittrice sta nel mandarci un messaggio potente raccontando l’umanità. I sentimenti, i dubbi, le emozioni, i dolori, gli sbagli, le felicità fanno di noi gli esseri umani. E la lente d’ingrandimento che usa per svelare a ognuno di noi chi è, si chiama ironia. La perfezione esiste e si compone di molteplice diversità.

Lupa bianca, lupo nero, di Marie Aude Murail, è il primo capitolo di una serie di romanzi centrati sul mondo dello psicologo antillano Sauver Sant Yves e di suo figlio, Lazare.

Dove se non nello studio di uno psicologo, Murail poteva far convergere in modo del tutto intelligente, casuale e logico le mille problematiche che l’umanità affronta ? Un dottore in psicologia qualunque? No, un uomo alto e affascinante e di colore. Non risparmia nulla l’autrice. Davvero una galleria effervescente e ricca di tematiche attualissime che tormentano l’umanità che cambia e si adatta come ha fatto per millenni e non senza fatica. L’ironia ci accompagna alla scoperta di chi siamo, sotto lo sguardo benevolo di chi sa sorridere di se stessa e vorrebbe che tutti sapessero farlo.

Ognuno legge nei libri quello di cui ha bisogno. Io leggo e cerco nelle storie quello che penso possa fare di me una romanziera migliore. Spesso dico che i miei manuali di scrittura sono i romanzi buoni, creativi, sorprendenti. Quando li incontri, ti capisci meglio.

Dopo una prima parte che sembra un lungo prologo denso, capace di offrire ai lettori una umanità viva, ironica e dolorosa al contempo, il romanzo vira sul vissuto del protagonista e la sua storia personale in un crescendo di mistero e profondità di sentimenti. Chi aiuta gli altri, sarà in grado di aiutare se stesso? Quanta complessità in questo intreccio di sguardi sugli altri e su se stessi! Nella variegata complessità ci possiamo riconoscere e intraprendere la ricerca che a ognuno di noi spetta per capire, per non restare sulla superficie dei sentimenti e delle emozioni.

Ma io mi sono fermata prima. Quello che ha colpito me è la densità umana. Identità di genere, autolesionismo, relazioni di coppia, bullismo, pedofilia, atti estremi e razzismo solo per citare alcuni dei temi che spesso i romanzieri che scrivono di ragazzi affrontano uno per volta in una storia alla volta. I problems books estremizzati. Qui i problemi estremizzati sono mescolati e accostati perché nulla è mai analizzabile da solo se non non nella fiction, quella banale.  È come se vedessi questo meraviglioso romanzo fare le pernacchie a chi serio serio scrive un libro con una tematica adolescenziale che va isolata, descritta e bandita dal cuore e dall’animo del lettore adolescente. Una procedura che disumanizza la realtà, la semplifica per spiegarne la complessità (assurdo, no?) ed è un misero raccontare per iscritto, senza nulla attingere all’arte del romanziere. Davvero pensiamo che libri così scritti servano? Servono forse a chi il problema non lo conosce, non l’ha incontrato nella sua giovane vita e lo guarda dall’esterno senza curiosità. Chi nei casini di quel problema ci vive, il libro non lo legge e se lo leggesse ne riderebbe. Quel libro non serve a nessuno, se non a rassicurare noi adulti che abbiamo fatto il nostro dovere di educatori. Male. Fingendo di fare i romanzieri. Un pasticcio.

Questo vuol dire che di certe tematiche non se ne deve parlare? No! Ne puoi scrivere solo se le conosci bene o le hai vissute. E alcune le abbiamo vissute tutti noi. Credetemi. È solo una questione di registro.

Sto mescolando le carte?

Esatto. Ma mi spiego o meglio ci provo. A beneficio di chi legge e anche mio, sia chiaro.

cover InvisibileNel mio Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012), definito un romanzo a sfondo sociale, si dispiegano un intreccio di realtà emozionali che toccano i protagonisti. Significa che possiamo trovare all’interno della storia la tematica del bullismo tra le altre, ma non isolata e indagata. Quello che accade ai ragazzi è vita vera; chi di noi non si è mai trovato di fronte a un bullo? Non necessariamente qualcuno che ti ha spinto a pensare di toglierti la vita, ma qualcuno che ti ha umiliato, quando hai dovuto incassare e poi riprenderti e magari voltare pagina. Succede. Silvia in Invisibile subisce Mich, ci sta male ma la vita va avanti e arriva il capitolo successivo dove Mich non esce né vincente né perdente, lui non è stato messo in crisi, sebbene alla fine si sia dato da fare proprio per aiutare Silvia, Silvia che invece è cresciuta. Un intreccio? La vita è un intreccio e la storia che racconta Invisibile non è di bullismo, affonda nel sociale, appunto: in ciò che è relativo all’ambiente umano in cui si vive e all’ordine a esso inerente (Devoto-Oli).

Possiamo porre questioni di principio, raccontando. Lasciare che il lettore si identifichi e poi sedimenti in lui il pensiero del proprio principio di giustizia sociale e umana. Creare, quindi, spazi di libertà di pensiero; nessuna forzatura e nessun indottrinamento, raccontando. Ecco il grande potere del romanzo, il valore di storie come quelle che racconta Murail. (Non io! Che sia chiaro, io ci provo!)

Leggere può rendermi una romanziera migliore, spero. Finché io mi farò domande, avrò storie da raccontare. Un romanzo non dà risposte, indiscutibilmente regala i dubbi dello scrittore al lettore. Questo per quanto riguarda il messaggio profondo che ogni storia contiene, per il resto un romanzo per me è emozioni, sorprese, scoperte, passioni e vibrazioni… esplose o contenute, dosate a ritmo lento o incalzante, distese nel tempo o condensate in un attimo di parole e vita.

E poiché i romanzi sono incontri e gli incontri con i grandi romanzieri fermano momenti e alimentano pensieri, ecco la dedica che la signora Marie Aude Murail ha fatto sulla mia copia del suo Miss Charity. Una casualità?

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leggere e far leggere, un mestiere, una passione… una necessità

 

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Fiutando libri… sgranocchiando avventure!

I figli del re di Sonya Hartnett mi ha coinvolto come pochi romanzi. Se l’inizio sembra un po’ scontato, poi tutto è diventa affascinante: personaggi, paesaggi, situazioni. La storia è convincente, ricca di spunti e mai banale, anche raccontando di bambini e adulti come tanti, ma dalla psicologia sfumata e vivi tra le pagine. Me ne sono chiesta il perché.

Forse, romanzieri si nasce non si diventa.

Se mentre leggi scatta lo stupore, la voglia di andare avanti, la soddisfazione del finale, ti rendi anche conto che non è sempre così quando leggi. C’è una decisa differenza. Si pubblicano tanti libri e gli editori non sempre selezionano in modo adeguato per offrire buoni romanzi e non solo storie scritte.

Ultimamente, almeno nella narrativa destinata ai ragazzi e agli adolescenti, mi pare che sia troppo sfruttata la scrittura in prima persona. Forse dà allo scrittore l’impressione che si riesca meglio a stabilire empatia con il lettore. Probabile, ma è un’arma a doppio taglio. Difficile tenere se stessi lontano del personaggio. Difficile non banalizzare. Pericoloso confondere/mescolare le emozioni, le sensazioni, le percezioni dell’adulto che scrive con quelle dell’adolescente che vive tra le pagine. Altissimo il rischio di parlare solo a se stessi cercando di farsi ascoltare da tutti.

Più complicato è essere narratrici o narratori esterni. Emozionare anche con luoghi, profumi, ombre, urli o grida di un mondo in tre dimensioni che non solo il cinema sa generare. Gli scrittori bravi lo sanno creare da sempre. (E anche i bravi attori sul palcoscenico). Tecnicamente una sfida. Saper narrare una storia è prerogativa di pochi, scriverla bene è un dono creativo ancora diverso. E poi il finale. Forse la discriminante maggiore è proprio il finale: aperto o chiuso deve sorreggere l’intero romanzo. Spaventa? Deve. Non smettiamo di leggere.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Libri come Polli

Ci penso da un po’

Ci penso da quando ho letto la richiesta in un gruppo social di un libro che sviluppasse un tematica specifica. I libri a tema sono comuni nell’editoria per ragazzi. Vogliamo parlare di bullismo/integrazione/ambiente? Partiamo da un libro. Nulla di male se il libro non fosse scritto appositamente. Troppo spesso un libro furbo, scritto a tavolino, che non emoziona con una buona scrittura o una buona storia.

Non cerchiamo i libri a tema ma i temi nei libri. Questo non lo dico solo io, molti lo affermano con forza e determinazione. Un buon romanzo contiene naturalmente in sé svariate tematiche. Ognuno può scegliere quale approfondire, se ne ha voglia.

In quel gruppo social che parla di libri per ragazzi, guidato da amministratrici appassionate, c’è stata una bella discussione sull’argomento che alla fine ha reso scontenti molti: non criticateci perché cerchiamo libri a tema, dateci solo bei titoli!

Nonostante tutto è arrivata una nuova richiesta: libri che insegnassero ai ragazzini il senso della responsabilità. Ecco, spesso i libri per ragazzi hanno per protagonisti ragazzi che vivono un’avventura, si aiutano, sbrogliano misteri magici o realistici. Si prendono la briga di fare qualcosa di speciale per loro o per gli altri. Non vogliono coinvolgere gli adulti. Vogliono essere responsabili di se stessi magari sbagliando. È uno degli scenari più comuni.

Allora mi è venuto in mente il pollo (povero pollo) nudo e schiacciato nella vaschetta del banco macelleria del supermercato e quel bambino di città che pensando al pollo lo immagina così e non che razzola nell’aia becchettando vermetti.

Il pollo è stato un pennuto grassottello e prima ancora un pulcino, come possiamo averlo dimenticato?

Il libro è stato una storia viva e vibrante, come possiamo considerarlo solo un pezzo di carta stampato?

Forse potremmo ricominciare dalle parole giuste.

Vorrei che mi suggeriste un libro nel quale vi ha tanto emozionato e stupito quello che il protagonista fa nel prendersi cura di qualcuno o qualcosa.”

È come quando diciamo a un bambino che è una femminuccia se piange. C’è dietro quelle parole una demonizzazione del pianto perché emozione femminile e sinonimo di debolezza. Meglio non dirlo, quindi. Non lo diciamo.

Forse dobbiamo tutti ricominciare con l’educarci a dire le parole giuste per formulare così richieste giuste.

Chi chiede i libri a tema, non conosce ancora il piacere della lettura, non lo fa in malafede. È come quel bambino di città per il quale un pollo in piume e ossa non non è un’immagine familiare.

Quindi è bello scambiarsi condigli letterari, ma facciamolo condividendo anche quel parlar bene che accompagna la giustezza dei concetti. Forse aiuterebbe, aiuterebbe tutti: chi legge e chi scrive.

Ecco è questo che avevo in mente da un po’.

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FestivaLetteratura 4-8 settembre 2019 a Mantova

Il Festival della Letteratura di Mantova arriva come un bellissimo regalo di fine estate.
Arriva il Festival per me perché un’editrice ha creduto in una mia storia tanto quanto me e in me molto di più di quanto io creda in me stessa (…frase difficile, ma vera).
Grazie Sinnos, Della Passarelli e Emanuela Casavecchi.
Già, perché alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna le organizzatrici del Festival sono andate a chiedere a Della di me. Ne è nato un dialogo buffo.
– Della, ci presenteresti la tua autrice che la vorremmo al Festival con La figlia dell’assassina?
– Ma la conoscete bene…
– No, non sappiamo chi è!
– Ma se era al Festival con il gruppo di lettura adolescenti!
Già, ci conoscevamo bene. Ecco, a questo dialogo ci tengo, perché mi racconta. Ho una doppia personalità: quella della lettrice e quella della scrittrice…e tra loro s’incontrano solo in segreto!

Svelato il mistero tutto è cominciato e mi hanno affidato gli eventi di colleghi e colleghe, amici e amiche come Laura Bonalumi, Luigi Ballerini e Emanuela Nava, che ammiro e di cui ho potuto felicemente leggere di tutto; un bellissimo laboratorio sulle Recensioni Emotive (appellativo coniato da Livia Rocchi! Che si sappia!) del gruppo Leggere Ribelle (domenica alle 11.00); un incontro mio e di Davide Longo (di cui ho letto tre bei thriller, scritti benissimo) con Simonetta Bitasi in cui parleremo di libri-ponte tra adulti e ragazzi e di ReadOn, un progetto bellissimo. (Sabato alle 19.00).

Metteteci una cena con un’editrice speciale, il venerdì del Festival con il gruppo dei ragazzi e delle ragazze di Leggere Ribelle e un pass FestivaLetteratura con cui accedere a quasi tutti gli eventi (… e mi sono allenata in montagna per avere il fiato di non perdere nulla! Sono un animale da Festival, io!) e cercate di capire quanto possa essere contenta… Tanto, insomma!

Gli eventi a cui partecipo li trovate qui in coda alla mia biografia e bibliografia

festivaletteratura.it/it/2019/autori/giuliana-facchini


Festival 2

 

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Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Un attimo, tutta la vita… come nascono le storie

Certe storie nascono davvero in modo curioso!

Eravamo qui…

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Fulvia ed io. C’eravamo incontrate per pranzo. Chiacchieravamo del più e del meno; lei arrivava dalla palestra io da una passeggiata per Milano con la mia amica Anna.

Con Fulvia non eravamo amiche come lo siamo ora, ci conoscevamo, era stata la mia editor per un libro della collana che lei dirige per le edizioni Paoline.

Era almeno un anno che mi arrovellavo il cervello con l’idea di una storia che non riuscivo a scrivere. Ero certa che non l’avrei mai scritta eppure non volevo rinunciarvi, ci credevo, pensavo potesse diventare un buon romanzo.

Stavamo prendendo una caffè quando le chiesi se quella storia voleva scriverla con me. Lo feci d’istinto senza pensarci troppo. Certe strade bisogna percorrere insieme se da soli non ce la fai. E io da sola non ce l’avrei fatta. L’argomento era troppo forte e io troppo emotiva, mi avrebbe preso la mano e mi avrebbe trascinata lontano dalla stesura di un qualsiasi buon romanzo verso una terra di emozioni incolte.

Fulvia non mi rispose subito, mi telefonò qualche giorno dopo dicendo che sì, l’idea le piaceva, che ci stava.

Fulvia: Ero arrivata al Crazy CatCafè con il cuore in subbuglio. Avevo appena avuto una crisi di pianto e autocommiserazione, capita nelle fatiche della vita di mamma di due adolescenti. Ma avevo messo da parte il mio turbamento per godermi l’incontro in quel luogo così singolare, in cui i gatti scorrazzano liberi e si struscino alle gambe dei clienti e balzano sui loro tavoli. Giuliana era già una gattara, io non ancora, ma lo sono adesso dopo la convivenza di oltre un anno con la mia Grace. Da anni sognavo di scrivere una storia a quattro mani: una sfida stimolante per una scrittrice, che mi mancava e a me piace cimentarmi in nuove imprese. Così quando Giuliana ha buttato lì quel tema,
il dramma degli incidenti stradali in scooter, ho sentito subito quel frizzicorino nel cervello, che si accende quando sono di fronte a una buona idea. Dovevo solo trovare la chiave giusta, che fosse originale e che affrontasse un tema così tragico in modo non melodrammatico e scontato. Non avevo dubbi che mi sarebbe venuto in mente qualcosa.

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Al Crazy CatCafè avevo detto a Fulvia quale era l’idea della quale volevo scrivere e quello che assolutamente non volevo che diventasse. Avevo ben chiaro solo il capitolo centrale. Quale sarebbe stato il finale non lo sapevo e quello che avrebbe potuto essere la potenziale conclusione non mi piaceva affatto. Senza aver neppure iniziato a imbastire adeguatamente la trama, mi disse lei il finale. A me non era proprio venuto in mente. Era quello giusto. Pensai che quella storia sarebbe diventa un buon romanzo: avevamo il capitolo centrale e anche il finale. Era un buon inizio!

Fulvia: Gli argomenti drammatici sono la mia passione. Tutti i miei romanzi per adolescenti toccano tematiche scottanti, estreme. Far vibrare le corde dell’emozione, senza pateticismi, ma scandagliando l’animo umano, questo amo fare. Sì, sarebbe stata una buona storia. 

Una sera ci sentimmo al telefono e sebbene sulle prime eravamo un po’ intimidite ci volle un attimo per scioglierci e lasciar correre libera la fantasia. Lei scelse i nomi dei due personaggi protagonisti e io li adorai subito. Io scrissi il capitolo centrale (chi ha detto che si deve sempre partire dall’inizio?) che avrebbe fatto da chiave di violino per accordarci e scrivere insieme.

Fulvia: Non è inconsueto per me iniziare a scrivere un romanzo non rispettando il naturale ordine dei capitoli. L’importante in una storia è coglierne il nucleo centrale, la cosiddetta ispirazione, poi il resto di intreccia, usando anche un po’ di mestiere. E se nella scrittura individuale si può anche procedere per tentativi, e improvvisazione, quando a scrivere si è in due occorre che la trama sia molto chiara sin dall’inizio, con una precisa scansione dei capitoli, in modo da tenere sotto controllo le tappe della stesura. E in questo caso era semplice, perché i protagonisti erano due, un ragazzo e una ragazza, e ognuna di noi se ne è scelto uno per narrare la storia dal suo punto di vista che così si alternava con quello dell’altro personaggio.

Stabilimmo i capitoli e il numero di battute da rispettare e poi partimmo: io scrivevo un capitolo e glielo inviavo, lei lo correggeva e mi inviava il successivo scritto da lei, che io a mia volta correggevo. Io valutavo le sue osservazioni sulla mia scrittura, lei le mie. E procedemmo così. Senza che nessuna delle due si offendesse mai e con un’empatia che mai potevo immaginare quel giorno al Crazy Cat. Tutto filò liscio fino alla fine. Umiltà e rispetto non ci sono mai mancati, forse per questo è venuto fuori un buon romanzo. Almeno secondo noi. Ognuna ha dato il meglio di sé e il superfluo abbiamo saputo buttarlo via.

Fulvia: Scrivere in coppia ti costringe a rispettare i tempi, evita le distrazioni, è come percorrere un binario in cui è difficile deragliare. Per cui scrivere questo romanzo è stato per me più facile che in altre occasioni più solitarie. E permette di fare in corsa un buon editing, perché l’occhio esterno sulla propria scrittura lima le sbavature, migliora la forma e la coerenza. E pur essendoci ritrovate in questa avventura per caso, ed essendo due perone caratterialmente molto diverse, la nostra scrittura si è amalgamata fino quasi a fondersi tanto da non risultare distinguibile per chi legge.

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Sono felice che questo romanzo abbia trovato la sua voce e sono felice di aver trovato un’amica.

Fulvia: A me personalmente è rimasta la voglia di farlo ancora, tutto sta a ritrovare quell’alchimia. Merito del Crazy CatCafè?

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UN ATTIMO, TUTTA LA VITA

di Fulvia Degl’Innocenti e Giuliana Facchini

Raffaello Ragazzi, collana Insieme

Orlando ha 16 anni e adora spostarsi in scooter, per lui è più di un mezzo di trasporto, è quasi una parte di sé. A una festa conosce Angelica e, dopo qualche schermaglia, i due ragazzi si innamorano. Tutto sembra andare bene fino a quando arrivano i primi litigi. Dopo uno di questi, Orlando parte con lo scooter: ha il cuore in subbuglio e presta meno attenzione alla guida.
Eppure sa che per rischiare tutto, persino la vita stessa, basta un attimo. E Orlando vivrà sulla sua pelle proprio ciò che in quell’attimo accade.

E siamo certe che il luogo dove tutto è nato,

porterà fortuna a questo romanzo!

Buona lettura

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