Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Del diritto di leggere e di quello di scrivere. Appunti

Si chiude un anno strano. Un anno importante, nonostante tutto. A luglio si chiude sempre un anno per me. Scrivere per ragazzi spesso diventa leggere per ragazzi e poi interrogarsi su quello che è la letteratura per ragazzi. Ho infilato in due righe tre volte la parola ragazzi ma questi, mi viene da pensare, con i libri finiscono per averci poco a che fare.

Il diritto alla lettura è per lo più sconosciuto nel nostro Paese.

Diventare scrittrice…

Per me scrivere resta un mestiere creativo. Un mestiere che in Italia non si insegna in nessuna scuola pubblica o percorso universitario, quindi un mestiere che si impara facendo esperienza. Vuoi essere un compositore? Studi la tecnica e lo strumento al conservatorio, così saprai declinare la tua creatività. Ma se vuoi fare la romanziera? C’è qualche scuola privata e una infinità di proposte non qualificate, ma nulla altro. Ecco, questo diventa un guaio quando tutti scrivono e nessuno legge. Abbiamo però studi formativi che garantiscono grandi professionalità all’interno delle case editrici: bravi editor, uffici stampa, grafici e quant’altro. Strano, no? Quello che manca è un percorso di studi che garantisca una formazione agli scrittori.

Sono vent’anni che lavoro per imparare a fare il mio mestiere di scrittrice di storie di ragazzi e di ragazze e grazie ai consigli di bravissimi editor e a un paio di stroncature terribili sono diventata quello che sono. Leggere e ascoltare i grandi autori durante festival, stage, mostre del libro ha fatto il resto. Incontrare i ragazzi e ascoltarli, invece, è stato fondamentale. Perché è di loro che scrivo.

Anni di appunti presi e, bene o male, mi sono formata. Ho idee precise sul mio mestiere, che evolvono e hanno parecchio a che vedere con il diritto alla lettura. Un diritto che andrebbe insegnato e spiegato a tutti, ma di cui pochi ragazzi conoscono l’esistenza. E anche pochi adulti. Insegnanti virtuosi, festival del libro e percorsi educativi ci provano a diffondere buone pratiche di lettura, ma restano gocce in un mare di giovani non lettori.

Se i ragazzi e le ragazze leggessero…

Servono interventi strutturali nella scuola e biblioteche scolastiche aggiornate obbligatorie per cambiare nella nostra vita quotidiana il valore dei libri. Per ora restano un sentito dire, servono come punto di riferimento quando parliamo di cultura, ma pochi sperimentano davvero la lettura. C’è da svecchiare l’oggetto libro; bisogna dimostrare che leggere può essere emozionante e stimolante proprio come guardare un film o ascoltare musica; e lo affermano le neuroscienze non la parte romantica di me. È un dato di fatto. Certo, bisogna imparare a leggere.

Trasmettere la bellezza della lettura ai ragazzi è un’urgenza se non addirittura un’emergenza.

Se i ragazzi aspettassero l’uscita di un libro come aspettano quella di un videogioco o un film, avremmo la certezza che sta crescendo un popolo sano, capace di pensare e di ragionare. Usiamo la tecnologia, divertiamoci, arrabbiamoci e disperiamoci sui social, ma sempre assumendo l’antidoto all’ignoranza e al pensiero univoco che è la lettura dei buoni romanzi contemporanei e classici. Non si tratta di sostituire ma di aggiungere.

Se i ragazzi leggessero, sarebbero loro a creare il mercato librario a loro destinato. Come accade con i videogiochi o i film.

Il rischio di perdere la bussola…

Invece, temo che in Italia ci stiamo accontentando. Sì, rincorriamo l’unica fonte di sostegno dell’economia libraria che è la narrativa scolastica. La lettura che nega se stessa e diventa un modo per studiare. Legittimo, per carità, perché attraverso la narrazione si possono approfondire le tematiche dello studio. Ma non può essere un percorso assoluto e deve sempre rispettare il concetto dei buoni libri, quelli capaci di contenere la bellezza, la buona scrittura e l’anima potente delle storie.

Dall’estero arrivano traduzioni di romanzi in cui gli editori e gli scrittori hanno creduto, forse avevano quelle basi di competenza e consapevolezza del proprio mestiere che a noi mancano o se non mancano allora manchiamo certamente di coraggio.

Se consideriamo i ragazzi i nostri lettori ideali, dobbiamo cercare di capirli e ascoltarli, noi scrittori per primi, provando a dar loro fiducia e a fare libri per loro Per emozionali, stupirli, affascinarli. Pensandoli come persone e non come rigurgito di scelte comunque adulte. Provare a colpirli e riuscire a farne dei lettori, perché i buoni libri hanno questa attitudine. Un buon libro sa creare un lettore.

La lettura è un rifugio, non la scrittura” dichiara Melvin Burgess in un’intervista rilasciata durante il festival Mare di Libri in onda 2020. “I miei libri hanno un percorso al loro interno, un viaggio. Il primo a compierlo sono io, portando il lettore con me. Io non cerco di fare lezione al lettore, il processo del viaggio a me insegna sempre qualcosa, se vale anche per il lettore: bene. Allora io entro in contatto con il lettore.” (Trascrizione libera della traduzione simultanea di C. Codecà). Burgess suggerisce anche di non scrivere solo di quello che si conosce, ma anche di quello che non si conosce, indagandolo.

Scrivere deve essere una sfida, un’incognita, un viaggio. Chi scrive di ragazzi e di ragazze e sopratutto per loro, non è diverso da chi scrive per adulti. Forse ha solo, legittimamente, una sensibilità diversa.

Venire allo scoperto…

Ho la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti e una volta una ragazza mi ha detto che nella sua scuola era stato invitato l’autore di un libro che avevano letto, ma che a lei non era piaciuto e del quale aveva dovuto fare comunque una recensione positiva. Ogni volta che entro in una scuola per incontrare gli studenti che hanno letto un mio romanzo, penso a lei.

Mi piace l’idea di togliermi i panni della scrittrice, di spogliarmi di quel ruolo che seduce tanto chi scrive storie. Il ruolo ci omologa agli altri, ci rende servili a un sistema che lusinga. Ho l’esigenza di restare solo quella donna che dà vita a un romanzo. Onesta con me stessa prima di tutto, ma onesta anche con i lettori. Restare unica e imperfetta, senza pudore, senza paura. Non si deve piacere a tutti, se capita c’è da dubitarne.

Il mio romanzo avrà, forse, il potere di scatenare emozioni e riflessioni. Sono i romanzi a dare qualcosa ai lettori come anche agli stessi autori. Il libro è del lettore, ognuno vi legge la propria storia e se lo rileggerà in un altro periodo della propria vita, sarà una storia diversa. Un lettore non è mai passivo.

Chi scrive è al servizio delle storie, la sua umanità e sensibilità lo è, se si considera il romanzo un prodotto creativo e artistico, cioè il frutto di un’idea che nasce senza avere origine eppure viva.

Insomma, queste riflessioni sono solo mie, sparse in questo articolo per tenerle a mente. Raccontano spigoli di un mondo editoriale e artistico composto di mancanze che, forse, alcuni di noi mal sopportano, ma non sappiamo o non vogliamo cambiare. Comunque la giostra gira, fermarla per cambiar posto alle idee costa fatica e soldi. Eppure se fossimo disposti a sacrificare qualcosa, credo che metteremmo in moto una trasformazione importante.

Ragazzi che leggono per libera scelta garantiscono un mercato librario sano che deve temere i propri lettori: sagaci e pronti a condannare; lettori praticanti e spietati. Un mercato capace di alimentare se stesso e di crescere.

Io li vorrei così i lettori, anche se a volte mi farebbero male. Lo so.

*Per correttezza aggiungo che nel mio discorso non considero il genere fantasy, che ha vita propria, e sopratutto ragiono sui romanzi per ragazzi dai 12 anni in su.