Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Un buon romanzo è sempre politico

Ieri sera Gramellini (In altre parole, La7) ha detto qualcosa che aspettavo da tempo.

Gramellini, con la dovuta educazione, ha preso la distanza dagli sdraiati, giovani inetti, spesso additati come tali per consuetudine, perché fa audience e anche un po’ per tradizione.

Gli sdraiati di M. Serra è un romanzo che non ho apprezzato e di cui non ho apprezzato neanche la ri-presentazione nel programma La torre di Babele, La7, di Augias (per cui ho grande stima) facendo comunque virare il senso della trama perché non si focalizzasse sul titolo. Ma quel libro è il suo titolo! Ho apprezzato poco anche quanto detto nella puntata Augias-Serra e in quella Augias-Galimberti sul nichilismo giovanile. Soprattutto mi ha tanto irritato il passaggio velocissimo sui movimenti ecologisti, lodati ma definiti irrisori, che non fanno la differenza. Mi sorprende come nessuno abbia considerato la velocità dei cambiamenti odierni. Oggi tutto cambia molto più velocemente che in passato e vale anche se parliamo di ragazzi e di ragazze.

Dalla manifestazione Cecchettin i movimenti giovanili, sono mutati. Quel terribile episodio è stato drammaticamente determinante. A Pisa sono scesi in tantissimi in piazza contro la violenza gratuita dispensata agli studenti e alle studentesse. Dal libro di Galimberti sul nichilismo a oggi le cose sono già cambiate. E mi dispiace che due grandi intellettuali non si siamo fermati proprio su quella scintilla che sono i movimenti ambientalisti per parlare dei giovani e non si siano schierati dalla loro parte per dar loro forza, come padrini. Ho apprezzato il discorso sulle donne in piazza per i loro diritti, ma c’erano anche i loro amici maschi in piazza. I giovani appunto, senza badare al genere. E anche i meno giovani, scusate, eh.

Più la maestra dice che non sa fare e più il bambino non fa. Più lei vede (anche poco) fatto bene e più il bambino farà bene. Questo è un principio che vale sempre.
Gramellini a mio pare ha saputo leggere i nostri tempi, o almeno la sua lettura è la mia.

E chi scrive, anche romanzi per ragazzi e ragazze, fa politica.

Un buon romanzo (come diceva Michela Murgia) fa sempre politica. E aggiungo, è pratica, non teoria, proprio per questo.

A volte finisco di leggere un romanzo e ci penso o solo capisco che qualcosa in me si è mosso. Ogni piccolo cambiamento ci muove verso il pensiero libero e autonomo.

Un buon romanzo esprime un giudizio sui tempi e lo caldeggia, non dando risposte facili, ma condividendo un amore. Io scrivo di ragazzi e ragazze perché vedo in loro delle promesse, mi fido, mi appassiono e per me gli sdraiati sono rimasti sepolti tra le pagine di un libro brutto.

Invece, quanto può far male un libro che diventa best seller seguendo l’onda di quello che più piace perché più comodo e confortevole? È politica. È irresponsabilità. Molto più faticoso essere dalla parte dei giovani, molto più faticoso spiegare cosa sia l’amore tossico.

Tornando alla romanziera che sono, nel mio piccolissimo ho scritto Borders che è un grido ambientalista, dove la vecchia Olmo mette nelle mani di una ragazza e tre ragazzi il destino della biodiversità, e No Borders dove a insorgere per una rivoluzione di idee sono i giovani.

Attraverso il romanzo condivido speranza nel futuro e questa passa per i giovani e questa è politica e attualità. Una distopia (i miei sono romanzi distopici) parla del futuro ma racconta il presente.

Io mi fido dei giovani, questo sto dicendo pur solo scrivendo una storia. E se vengono presi a manganellate dei ragazzini a volto scoperto è perché fa paura quello che potrebbero diventare. Fa paura il rinnovamento che logora il sistema politico vecchio e corrotto. È il germe di qualcosa. Certo, per me è facile scriverlo in un romanzo, la vita è altro, ma è una visione. La mia sicuramente.

Ed è una possibilità. Che da adulti responsabili dobbiamo darci e dare ai giovani.

Io non sono nessuno, per carità, ma credo in quello che faccio e nel come lo faccio. Immagino che non basti, ma la strada è quella giusta e di questo sono sicura.

Non è tutto guadagno economico e successo, non si può sempre tacere perché non faremo mai la differenza.

Quale scopo abbiamo nella vita se non quello nobile di seminare qualcosa che non vedremo mai crescere?

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Il dovere di sentirmi inutile nel romanzo

A volte penso che siamo troppo impegnati a insegnare qualcosa, a preoccuparci di far insegnare, a privilegiare la lezione frontale, anche nascosta o infiocchettata. Trascuriamo troppo spesso il romanzo e basta, quello che non è storia vera ma verosimile, quella narrazione che sembra arrivi dal nulla per farci commuovere o sorridere o spaventare, mai pensare troppo.

E invece un buon romanzo (non il suo autore o autrice) ha un grandissimo potere, la storia e il come è scritta sprigionano infinite possibilità di crescita e maturazione. E per questo possono incidere sulla realtà.

Un buon romanzo offre: tu, lettore, puoi pensare solo se lo scegli o te lo concedi e puoi anche dimenticare subito o evadere dal quotidiano e niente altro. È la differenza tra la predica e il passarci in mezzo, lo sperimentare con le sue illimitate opportunità.

Il buon romanzo non è teoria ma pratica e nel vivere, seppur immaginato, puoi scegliere e sei libero di farlo. Un buon romanzo sta tutto lì e ti lascia il tuo tempo.

E ancora, un buon romanzo non parla di questo o di quello, ma costruisce un ecosistema in cui il lettore può avere un suo posto e dal suo punto di vista si ferma su quello di cui ha bisogno, se lo desidera. Perché non necessitiamo tutti delle stesse cose e non siamo IA che ingoia indistintamente.

Chi scrive, almeno chi decide di scrivere romanzi per mestiere, dovrebbe rifletterci e preoccuparsi di farli accadere, consapevole di essere un mezzo, come capita per qualsiasi altra piccola o piccolissima opera d’arte.

Nessuno di noi sa, e questo è necessario, come si arrivi a scrivere un buon romanzo; conosciamo solo gli strumenti, come un pianista la tastiera o lo scultore il cesello. Il resto è tensione e possiamo solo cercare di farlo accadere mettendoci a disposizione della storia stessa e del come scriverla, tendendo all’ignoto, al caos creativo in cui fare un po’ d’ordine con il mestiere. (E nel mentre ci si spoglia di qualcosa che resta sul fondo, tra le righe. Di così intimo che nessuno riuscirà a trovarlo, anche se c’è. È un dono che resta nascosto sia per pudore che per necessità.)

Forse un buon romanzo sta proprio nello sforzo di sperimentare noi per primi e poi metterci da parte. Nel mezzo si muoverà il lettore o la lettrice.

Quando i critici non concordano, l’autore concorda con se stesso” Oscar Wilde.

Un buon romanzo non piace a tutti. Non può e non deve.

Non è detto che nella foresta contemporanea di carta stampata il romanzo buono riusciamo a vederlo, non è detto neanche che lo sappiamo riconoscere o favorire. Non siamo un popolo educato al romanzo, in effetti.

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…incontrare l’autrice, incontrare l’autore

L’incontro con l’autrice, l’incontro con l’autore è un momento importante per i giovani lettori. O almeno dovrebbe. Una festa, un tripudio, un confronto, una lezione, ognuno di noi che scrive di ragazzi e ragazze (oppure per la narrativa ragazzi/e) ha la sua modalità. Ogni scuola, festival, libreria o biblioteca ha la sua modalità.

Mi sono domandata cosa sia per me.

Nel 2008 ho messo piede a scuola per la prima volta come autrice con un libro della Raffaello (ancora a catalogo, grazie) e me lo ricordo benissimo. Da allora sono cambiate tante cose in me, come persona e come romanziera; un percorso pieno di domande, tentativi, delusioni, ricostruzioni; nulla è immobile, tutto deve diventare altro, è ovvio.

In 15 anni non sono certo diventata famosa, né sono diventata abbastanza brava e questo basterebbe a far desistere chiunque, ma non me, testarda e idealista, convinta creativa in eterno cammino. Folle e sciocca, insomma.

In quest’ottica mi sono messa in testa che ogni incontro deve avere un suo respiro, che se incontro lettrici e lettori lo faccio aprendo ogni volta una paretesi nuova, guardando chi ho davanti, mettendomi in relazione. Un gioco, una missione, una sperimentazione, uno sparigliare le carte una volta ancora per cercare e capire, perché nulla diventi routine, ma ogni parola abbia senso.

Non sono neanche un professionista, no. Dagli incontri esco sfinita, spesso molto soddisfatta perché ho dato e ricevuto, ha funzionato. A volte sono contrariata. Mi arrabbio per quel dominio dell’economia e della mercificazione del libro, il disinteresse puro, il tempo sprecato, l’inutilità. Scrivere è un mestiere, sì, ma creativo e andare nelle scuole non è come fare la presentazione di un libro per adulti, è altro. Di sicuro un privilegio, in un certo senso un lavoro a parte. Ma sei sempre tu. E libri e incontri vanno a braccetto. Dice, ma se se sei scrittrice non devi mica essere capace anche di parlare in pubblico, vero, ma le pagine non mentano sul proprio autore o autrice, a ben guardare, a voler vedere.

Questo per me è un anno fortunato, o forse sono io a essere cambiata, ancora. Ieri un altro incontro bello; dirigente, professoresse (di lettere e matematica insieme!)e ragazzi che mi avevano chiesto di orientare l’incontro nella direzione in cui lavoravano loro e io l’ho fatto. Grande scambio, due ore piene che mettono insieme i tasselli dell’educazione alla lettura, del diritto alla lettura, della bellezza dello stare insieme nelle storie e in una scritta da me in particolare.

Una cosa ben fatta.

Ho perso tanto tempo nella mia vita e mi dispiace, quello che mi rimane (spero tanto, poco non mi basta) voglio che sia ben vissuto, che regali e guadagni, voglio toccarlo, maneggiarlo con cura e saperlo ricordare. Ho bisogno di bellezza (in tanti ne abbiamo bisogno) e mi ci impegno.

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La teoria dei gusci vuoti nei libri

Dei gusci pieni sento la mancanza, se trovo quelli vuoti.

Cosa cerco nelle storie scritte? L’anima.

In quelle orali c’è quella di chi gli dà voce. Gliela presta, per così dire; le parole si investono e il buon narratore fa breccia nei cuori degli astanti.

Ma in quelle che ti leggi da solo stampate sulla carta? Lì la questione si complica, perché è un luogo dove l’anima di chi legge e di chi ha scritto si incontrano quando capita e se qualcuna manca all’appello non funziona più.

Non c’è genere o categoria che tenga, un libro senza anima è un guscio vuoto.

Se la parola anima è troppo romantica o al contrario complessa, usiamo voce. È riduttiva ma forse è più chiara perché ne è individuabile l’appartenenza. (L’anima potrebbe essere collettiva? Affascinante!)

Se la voce è competente lo si capisce subito: se sai, chi sa lo capisce e il lettore esperto è scaltro. Ma non ci si può fermare alla competenza, a scuola di nozioni di scrittura si può andare e si può imparare anche tutto su un argomento. A fare il romanzo non è la voce che ripete a pappagallo, ma la propria dell’autrice o dell’autore. Propria significa che ti appartiene e che la condividi con generosità. Che non sia mai sovrabbondante altrimenti è terapia, deve essere giusta, strappata da sé quanto basta. La voce ha un equilibrio.

C’è un percorso per raccontare bene e una per farlo meglio, e chi scrive non si accontenta mai, non può essere nella sua natura.

La letteratura ha anima millenaria, sentiamo voci antichissime e sentiamo la vita di allora, anche se parlano d’altro raccontano sempre il proprio. Anche se parlano di passato o di futuro, perché la voce va oltre i significati, ha un vocabolario parallelo tutto suo. Se quelle voci arrivano fino a noi vuol dire che possiedono una contemporaneità assoluta che trafigge le epoche ed è capace di incontrare il lettore sempre.

Nei romanzi ci si incontra.

Se non ci si incontra è perché sono gusci vuoti.

Ma bisogna essere onesti: chi scrive e chi legge.

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Gruppi di lettura per adolescenti, come non educarli

Da ragazzina volevo fare l’attrice, i miei genitori una sera mi portarono a teatro e lì decisi. In capo a quattro settimane ero in una compagnia amatoriale. Poi la vita si è messa di mezzo e io sono diventata una romanziera. Scrivo storie, quello faccio (bene o male, questo non lo so). Però, leggo anche tanti romanzi che parlano di ragazze e di ragazzi e quindi un giorno mi è venuto in mente di fondare un gruppo di lettura per adolescenti in collaborazione con una bibliotecaria e un’educatrice. Quel gruppo si chiama Leggere Ribelle e quest’anno ho fatto di tutto per farmi buttare fuori ma non ci sono riuscita. Io le azioni/cose che faccio, le capisco sempre dopo, come anche le storie che scrivo (esattamente come Floyd in Mike, di Norriss, Uovonero Ed.).

L’educatrice (che fa l’educatrice mica per niente) e la bibliotecaria non me lo hanno permesso. Si sono proprio sdraiate sui binari delle mie intenzioni.

Ovviamente sono delusa di me stessa e orgogliosa di loro, perché la sfida che mi aspetta è grande e io volevo mettermi da parte per non affrontarla. Io sono una romanziera che ci faccio a capeggiare un gdl?

Ripeto sono una romanziera, credo di avere gli strumenti per scrivere storie e non quelli per educare alla lettura dei ragazzi e delle ragazze, come magari sanno fare altri navigati conduttori di gdl per adolescenti.

Scrivendo storie per ragazzi e ragazze, pubblico con case editrici specializzate nella loro letteratura, ma i lettori e le lettrici sono pochi e le strategie per crearne di nuovi non funzionano o funzionano poco a livello nazionale. Anche perché non vengono adottate davvero. I progetti per la lettura pullulano, ma pochi vanno oltre il nome che portano, non passano mai veramente all’azione. Altrimenti il nostro sarebbe un Paese che legge e non è così.

Ma il mondo variegato dell”editoria per ragazzi non può (e non deve) morire e cerca il modo di restare in vita; da un lato abbassa sempre di più il livello letterario delle proposte o propone libri in quanto oggetti fisici che non veicolano i contenuti. Compriamo spinti dalla pulsione del momento (o dalla necessità del momento) ma il romanzo resta senza un vero lettore e soprattutto non innesta la spirale del buon romanzo: quante emozioni ho privato! Che vita ho vissuto! Ne voglio ancora!

Dall’altro punta sui pochi veri lettori che sono come un animale in via di estinzione e li sovraccarica di attenzione con il rischio che fuggano a rifugiarsi sul divano di casa per essere lasciata o lasciato in pace a leggere.

Come coordinatrice di un gruppo di lettura ho avuto fortuna. L’articolo su questo blog che riguarda i gdl è il più letto, con buona pace della pagina dove ci sono le copertine dei miei romanzi pubblicati.

Non credo che questo accada perché sono più brava come conduttrice che come romanziera. Infatti è l’educatrice a occuparsi di educare, io racconto solo storie degne di essere raccontate e non perché le scelgo io, ma proprio perché ormai sono grandi classici contemporanei internazionali sconosciuti alle e ai più italiani.

Se nel gruppo l’obiettivo è quello di guardare solo ai romanzi e mai alle autrici o agli autori (quelli semmai vengono dopo) e a proporre storie che sfuggano il più possibile alle logiche editoriali di mercato, che abbiano una propria anima e rispettino i criteri del romanziere o della romanziera come artista creatore (non solo storico, giornalista, educatore, etc).

La vera sfida è girare loro proposte alte, proteggerli dalle richieste pressanti delle nuove uscite, ma non escluderli e veicolarli verso una buona rete di lettrici e lettori per confrontarsi e scomparire come conduttrice.

Le lettrici e i lettori posso essere una comunità come chi gioca ai videogiochi, metterli in contatto tra loro gratifica i romanzi e li mostra per quello che sono: roba viva, vivissima, capace di far parlare di sé.

Mi turba molto l’io adulto che vuole educare a tutti i costi attraverso i romanzi, che si sente sempre depositario di qualcosa in più rispetto ai giovani lettori.

Se vogliamo creare un gdl fuori dalla mura scolastiche il lavoro sporco (educare tutti noi) dobbiamo lasciarlo fare ai buoni romanzi, senza interpretarli ma lasciandoli leggere e basta, non ci sarà una lettura sbagliata ma solo la propria. Ognuno ha il proprio livello che sia alto o più alto non mi interessa. E soprattutto chi legge si sentirà rispettato per quello che è; non bisogna essere bravi a scuola per essere un lettore o una lettrice, esattamente come non bisogna essere bravi a scuola per ascoltare musica.

Come conduttrice propongo solo, invito alla lettura amando io per prima le storie che racconto e quando intuisco quali sono i ragazzi e le ragazze che ho davanti, la sfida sta anche nel proporre loro i libri giusti, quelli con cui possono entrare in empatia più velocemente creando un primo approccio facilitato. Il primo passo.

Se ho davanti giovani con tanti pregiudizi nei confronti dei romanzi (come mi è accaduto spesso), persi in una terra di nessuno dove il libri per i più piccoli sono da piccoli e quelli destinati agli adulti difficili da prendere in mano, propongo una narrativa young adult che parla contemporaneo, offre quesiti ed emozioni contemporanee, porta fuori dalle zone confort di oggi (che son anche quelle di sempre). Leggere può essere un’abilità che le ragazze e i ragazzi non hanno e i romanzi giusti sanno facilitarne l’acquisizione, fanno sembrare meno dura la corsa tra le prime pagine.

In conclusione vorrei cercare di lasciare ragazze e ragazzi e buoni romanzi insieme e vedere se si abbinano. Tutto qui. Tanto non siamo noi di LR a risolvere il problema della mancanza di lettori nel nostro Paese, par quello forse ci vuole una legge (e le persone giuste ci stanno lavorando).

Se volevo fare l’attrice e poi sono diventata romanziera è forse perché voglio vivere altre vite lasciando in pace la mia e lasciando in pace quella delle lettrici e dei lettori che se c’è qualcosa da imparare se la vedono direttamente con i romanzi, non con me.

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Leggere, ascoltare, scrivere romanzi

A Rimini a Mare di Libri, il festival dei ragazzi che leggono, ho ascoltato la bella intervista di Kavin Brooks. Ero lì per accompagnare il movimento di giovani lettori che aiuto a coordinare, Leggere Ribelle. L’autore inglese ha spiegato di come Bunker diary, un suo romanzo contestato per la durezza della storia che narra, sia stato rifiutato da vari editori e di come abbia usato quel lasso di tempo che è intercorso tra i rifiuti e infine la pubblicazione, per continuare a rifinire e ottimizzare la storia. Mentre il rifiuto di apportare le modifiche, che di volta in volta quello o quell’altro editor gli chiedeva per rendere più accettabile il romanzo, è stato perseguito con convinzione e coerenza. Anche il suo ultimo lavoro, La bestia dentro, ha avuto un percorso difficile per arrivare alla pubblicazione, ma intanto lui scriveva e pubblicava altro.

Ecco, io credo che questa sia una condizione necessaria per scrivere e una garanzia di onestà per un romanziere. Raccontarlo in pubblico, poi, è prova di semplice trasparenza verso chi compra i suoi libri, perché se di un autore o di un’autrice viene pubblicato tutto e subito, forse vuol dire che c’è qualcosa che non va. Vuol dire che non c’è criticità nel lavoro che fa con se stesso. Vuol dire che non ha idee originali al punto da essere destabilizzanti o stupefacenti per chi legge. Vuol dire che non tenta di battere strade nuove che per affermarsi, se sono valide, devono vincere lo scetticismo e la paura, anche di chi ci mette il denaro oltre che la faccia (e cioè l’editore), ma sono condizione indispensabile per un futuro di letteratura viva. E questa è condizione necessaria per i buoni romanzi che emergono tra quelli che “escono tanto per uscire” negando il loro senso profondo e il ruolo attivo della letteratura.

Ecco cosa ho pensato ascoltando un uomo che fa il mio stesso mestiere (d’accordo, a lui riesce meglio) e che aiuta me a formarmi attraverso le sue parole (e in un certo senso aiuta anche a giustificare quei circa trenta romanzi da me scritti a fronte dei diciannove pubblicati, pur considerandone una parte di scarto perché oggettivo spin off di storie migliori, che non ho mai rinnegato e in cui continuo a credere).

Scrivere romanzi è un mestiere che sta tra la logica pratica di una professione e l’illogicità della creazione con cui si confronta un artista.

Sono un animale da festival letterario, poco mi piacciono le presentazioni dei libri, ma sono attirata irresistibilmente da chi racconta con parole proprie la creazione delle storie. E mi piacciono molto anche i saggi che trattano questo argomento. Dietro ogni autore o autrice che fa storie c’è una storia che s’intreccia con la sua vita e la vita di altri esseri umani e non. Consapevolmente o meno la creazione di un romanzo di buon livello presuppone la scelta o il rifiuto di un percorso interiore, di un metodo o dell’assoluta negazione di questo e l’elaborazione di un niente perché diventi tutto. Quello è il mio terreno d’interesse, soprattutto quando è scevro di ampollosità, quando l’incontro con l’autore o l’autrice capisci che è pensato come scambio di idee e confronto.

Scelgo la mia poltrona, se non sono sola lo divento, e aspetto. Ho imparato negli anni a riconoscere gli intervistatori di cui ci si può fidare e quelli impreparati e credo di saper individuare ormai con istintivo anticipo chi è il relatore e quanto vale la pena ascoltarlo, anche se mi capitano belle sorprese, non lo nego. A volte segno degli appunti, che a volte ricopio e a volte poi perdo.

Ispeziono le storie altrui su terreni che mi appartengono oppure che raccontano l’altro, quello che poco conosco. Le parole delle donne mi affascinano più di quelle degli uomini che nel nostro Paese mi paiono in maggioranza meno onesti; non è tutta colpa loro, spesso siamo noi lettrici a metterli su quel piedistallo che in certi casi abitano fin dalla nascita, sono incolpevoli se non lo percepiscono (se l’hai sempre avuto, ti appartiene). Posso dirlo? Credo che essere maschi non sia una cosa facile se vuoi esserlo per bene.

Diversa è la questione quando gli ospiti non sono italiani; gli europei e gli americani che ho ascoltato fino a oggi sfuggono spesso a queste logiche, che sono anche un mio pregiudizio ormai, e li ascolto con maggiore interesse anche perché mi raccontano popoli e paesi di cui non sono pratica come del mio.

Intervistare non è facile come si crede e come pensa chi, come al solito, improvvisa e non immagina la sofisticata scaltrezza che ci vuole per mettere a proprio agio a livello emozionale e intellettuale l’ospite. In tutto questo c’entra il mio essere autrice di storie, che hanno una loro storia a prescindere da quella che raccontano e che s’intreccia con la mia, intima e personale.

Leggere, ascoltare e scrivere sono un tutt’uno nel mio mestiere di romanziera. I romanzi nascono dal legame inscindibile di quelle tre azioni e a seconda di come le si praticano, le storie cambiano.

Sembra insolito che io da sempre frequenti i festival letterari anche se non ne sono un’ospite. Lo faccio perché mi nutre. Ma certo, se sono anche ospite con i miei romanzi di solito ho un pass gratuito per ascoltare tutti ed è come entrare in pasticceria e abbuffarsi e io vivo di scrittura e quindi sono dignitosamente povera, mangio quando posso…!   

Una delegazione di Leggere Ribelle che intervista Lois Lowry a Mare di Libri con la traduttrice Chiara Codecà e il tecnico Massimo Fiorini per il collegamento dal Maine.
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Quel movimento di giovani lettori…

Domani Leggere Ribelle sarà a Mare di Libri. Condurremo un evento dal format nuovo e molto bello. Faremo un collegamento con il Maine e entreremo virtualmente nella casa di una famosissima scrittrice statunitense.

Quest’anno saremmo andati anche solo come spettatori e invece è venuta fuori questa cosa così emozionante per noi, un movimento ancora giovane di lettori. Siamo partiti nel 2018 pieni di energia e in soli quattro anni ci troviamo a entrare a casa di Lois Lowry, mi sembra ancora incredibile.

Non sono così sciocca da pensare che sia merito mio, a favore di LR hanno giocato molti fattori tra i quali l’aver incontrato giovani lettrici e lettori molto raffinati che, e di questo ho l’unico merito, sono riuscita a mettere in contatto con romanzi di formazione, liberi e onesti e senza badare al nome delle case editrici o degli autori/autrici, che altrimenti non avrebbero mai letto.

Ma siamo sempre nella sfera dei privilegiati e non sono così sciocca neanche da credere che LR inciderà in qualche modo sulla creazione di nuovi lettori. No, non lo credo, il sistema Italia non lo prevede e noi siamo gocce in un mare di assetati che non conoscono il sapere dell’acqua buona. Così è.

Ma ogni gruppo di lettura ha la sua storia e io non sono mai entrata in una loro discussione, a volte mi sono sorpresa della loro finezza di ragionamento, altre ho assistito alla loro rabbia, rabbia anche sconsiderata verso le letture che non li soddisfacevano. Sono adolescenti, se non s’incazzassero e te la facessero pagare con parole toste non sarebbero loro e io non ne sarei così fiera. Il nostro unico ragazzo è arrivato alla formazione Lowry con i capelli lunghi mezzi tinti di biondo e mezzi di nero, ha letto non so quante volte Il signore degli anelli, adora Murakami e ha divorato i romanzi di Kavin Brooks. Le LR lo hanno adottato.

Restano e sono i miei personaggi preferiti, altrimenti non scriverei di loro, perché io di mestiere sarei romanziera.

La stanchezza quest’anno mi ha mangiato a piccoli morsi e fingere di non vederla non aiuta a non sentirla; mi domando se LR avrà la forza di resistere nel tempo, visto che ha fatto tanto e tutto subito. Verranno chissà altri anni e altri lettori ribelli, ma per ora Good Luck ai sei prodi in trasferta riminese, a loro che non hanno paura di nulla, che affrontano il pubblico, i compagni e le compagne, i romanzi e gli adulti con un sorriso, un po’ di quella sufficienza che significa scaltrezza e il futuro radioso e tormentato negli occhi. Sono un movimento di giovani lettori e lettrici, sono in movimento e anche questo fa parte del mondo dei libri, non si tratta di sola carta. Ci ho tenuto che fosse così.

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Campo e controcampo nell’editoria per ragazze e ragazzi

Ma i ragazzi e le ragazze possono tutto?

Succede che tante iniziative vedano giovani e giovanissimi al centro dell’editoria per ragazzi e ragazze. Molte iniziative cercano di agganciare il lettore che scandisce il ritmo dell’editoria nel settore che è cresciuto di più negli ultimi anni, forse l’unico che è cresciuto.

In Italia, si sa, si pubblicano moltissimi libri, ma i lettori sono pochi, pochissimi, le lettrici qualcuna in più (ed è un meccanismo strano per qualsiasi mercato).

Tutte le iniziative di cui parlavo, a volte invasive della sfera di competenza dell’autrice o dell’autore, creano davvero lettori? Perché il grande obbiettivo culturale, educativo e sociale resta, a mio parere, quello di creare lettori. Se cresci lettore lo rimani a vita e, in qualità di fruitore di libri, alimenti una filiera importante.

Non mi dilungo a spiegare quanto io creda nel valore dei buoni romanzi, buona musica, pittura, scultura, poesia, arte in generale; quanto io creda nel valore di quei mestieri creativi che sono fonte vitale e primaria per la nostra umanità in quanto persone.

Comunque, è interesse di noi adulti, che siamo parte della filiera del libro, crescere nuovi lettori.

E allora, come si diventa lettori consapevoli e autonomi?

Con i buoni romanzi classici e contemporanei. E la comunità adulta può farsi mediatrice con i ragazzi, educare il loro gusto alla lettura. E non è solo compito dell’insegnate di lettere, ma materia a parte, trasversale. Poco fanno le istituzioni, si sa, spesso è tutto affidato alla scuola e sulle spalle dei e delle docenti di lettere. Eppure portare i libri a scuola, dove si srotola una parte importante della vita dei ragazzi e delle ragazze, non sempre crea lettori autonomi, soprattutto se la lettura arriva come parte dello studio scolastico e non come libera e rivoluzionaria passione individuale.

Per i ragazzi e le ragazze prendere un libro in mano dovrebbe essere come infilarsi le cuffiette nelle orecchie per ascoltare musica. Non accade quasi mai.

Esistono però grandi progetti che con competenza avvalorano i veri presupposti per avviare i ragazzi e le ragazze alla lettura e formano lettori. Sono pochi sul piano nazionale ed esistono. Ma ultimamente si è scatenata una scarica adrenalinica negli adulti che vogliono creare giovani lettori, alcuni improvvisano altri no e per fortuna fioriscono i corsi di formazione. Resto dubbiosa al riguardo. Coordino un gruppo di lettura dal 2018 e so cosa significa acchiappare l’attenzione di un adolescente (tredici-diciasettenne) su un buon libro, impresa ardua se il contesto è quello di lasciarli liberi di scelta: esserci o non esserci, leggere o non leggere. Se è quello di aspettare pazientemente e senza scoraggiarsi che il libro rivelazione inneschi l’amore per la lettura in lei o in lui.

Diversamente la lettura non è una scelta, ma un’imposizione e difficilmente nascerà un lettore autonomo e consapevole.

E non vi dico quanto snervante sia aspettare un messaggio di risposta a una domanda banale ma indispensabile alla gestione collettiva del gdl. Non è una passeggiata stare ai tempi degli adolescenti, soprattutto se lo fai come volontaria (e accade quasi sempre, ma questa è un’altra storia).

So che è impresa che sfinisce, quindi mi stupisco che tanti anelino a questo ruolo di educatore e promotore della lettura. L’adulto in questo caso non è (e non deve essere) protagonista, ma servo della passione letteraria.

Puntata l’attenzione del mondo editoriale su quello per ragazze e ragazzi e complice il pregiudizio che sia un terreno più facilmente praticabile rispetto a quello colto della scrittura per adulti, i ragazzi e le ragazze ne sono diventati il centro. Coinvolgerli sembra l’unica cosa da fare. Se non leggono, li facciamo scrivere oppure giudicare e indirizzare gli scrittori adulti e i loro romanzi. Tante iniziative per metterli al centro, forse troppe, non tutte ben costruite.

E, tra parentesi, una perplessità: perché fare agli alunni/e un corso di scrittura creativa se non hanno una biblioteca scolastica aggiornata? Non è un controsenso o una falsa illusione? Si sostiene forse una possibilità: si può diventare scrittori anche senza essere lettori. Mi spaventa un po’.

Se da una parte la società contemporanea vede moltissimi bambini e bambine fin da piccoli con un’agenda di impegni tra sport, musica, teatro, scuola e tutto organizzato e supervisionato dagli adulti con pochissimi spazi di autonomia; il mondo dell’editoria sembra voler consegnare loro le proprie sorti.

«… alcuni sostengono che dovrebbero essere gli stessi bambini o ragazzi a scrivere per i loro coetanei. Questa a però a mio avviso non è un’ipotesi realistica. (…) Si tratta di una vecchia disputa che prima della scrittura ha coinvolto le arti figurative e di conseguenza il campo delle illustrazioni. (…) Allo stesso modo tutti i tentativi di pubblicare e diffondere tra i bambini i testi scritti dai loro coetanei ha suscitato solo l’interesse dei pedagogisti adulti. Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti sì “il suo mondo” ma con strumenti letterari più “perfezionati” di quelli a sua disposizione.» Storia delle mie storie, Bianca Pitzorno.

E io autrice o autore? Non esiste una formazione universitaria in Italia (a differenza di quanto avviene negli altri Paesi) per diventare scrittori o scrittrici. Esistono corsi di scrittura creativa o autoformazione. Tutti possono essere scrittori e se un compositore deve farsi i suoi anni di strumento e poi studiare armonia per comporre musica (certo esistono talenti straordinari, ma questo è un discorso diverso) a scrivere un romanzo sono buoni tutti (per ragazzi e ragazze poi!). L’editoria pagamento lo sa e ci sopravvive, l’autocompiacimento autoriale paga (ovvio, anche in questo caso ci sono le dovute eccezioni). E il sudore, la fatica, lo studio per arrivare a essere pubblicato da un editore nazionale? Non conta nulla, siamo tutti scrittori e scrittrici.

Veniamo ai ragazzi e alle ragazze. Una sedicenne mi diede da leggere il suo romanzo, corretto dalla professoressa d’Italiano e stampato in tipografia dal padre con tanto di foto e biografia in quarta di copertina. Sapeva scrivere correttamente, ma nel romanzo non esistevano struttura e dialoghi, i personaggi erano stereotipati. Il mio commento gentile e correlato di bibliografia esaustiva di grandi romanzi contemporanei d’amore (perché d’amore parlava la sua storia) è stato bollato come le parole di un’adulta troppo vecchia, incapace di capirla. Soprattutto, se il mio intervento fosse arrivato prima della “pubblicazione” del suo romanzo, lei non avrebbe mai continuato a scrivere. E sarebbe stato un gran danno.

Tengo da parte quella mail piccata, è stata illuminante. Con una quindicina di romanzi (allora) all’attivo pubblicati davvero con editori nazionali, io potevo essere trattata alla pari, non ero degna di autorevolezza, né per professionalità né per anzianità.

All’inizio della mia carriera mi capitò di ricevere, a quarant’anni passati, mentre leggevo, studiavo e scrivevo per ragazze e ragazzi una grossa stroncatura da una editor autorevole. Per fortuna, pur essendo un commento negativo era ben motivato e io ci piansi. Sì, una donna a quarant’anni suonati ha pianto di rabbia e avvilimento. Me lo ricordo bene, ero seduta sulle scale di casa mia, da sola. Ma il giorno dopo ho asciugato le lacrime e inviato una risposta di ringraziamento. Ho imparato più da quella stroncatura che con un intero manuale di scrittura.

Come spiegare a una scrittrice o a uno scrittore in erba che l’umiltà è una delle doti essenziali per un qualunque creativo se è su un piedistallo da quando è bambina o bambino?

È giusto che io adulta venga giudicata, amata, scartata o ignorata dai lettori quando il mio romanzo è in libreria. I libri sono dei lettori, non di chi li ha scritti, questo è insindacabile per me. Ma sul prima ho seri dubbi riguardo alle contaminazioni non professionali (sperimentazioni e mondo della scrittura sulle piattaforme online a parte).

E bisogna anche distinguere tra lettori. Un lettore consapevole e autonomo mi sa valutare, un ragazzo o una ragazza costretto e leggere o che non legge mai, no. La lettura è un’abilità. Un giocatore in un videogioco ha un’abilità che gli o le permette di giocare, se non l’acquisisce non riesce a giocare. Perché questo non è assimilabile alla lettura?

Quindi, invitare alla lettura dove? Come? Perché? E fino a che punto è gusto coinvolgere i ragazzi e le ragazze nel mondo editoriale? Non è che con tutta questa attenzione puntata addosso “loro”, diventati così importanti per “noi”, finiscono per scappare (che forse sarebbe pure lecito)? Gli adolescenti non vanno inseguiti, ne sono certa. Oltre a essere umiliante è inutile.

Ecco, per dire che c’è tanta confusione, che forse non sono ben chiari e comuni gli obiettivi in questo mondo strambo e meraviglioso dell’editoria. Che forse alcuni punti fermi vanno messi, a costo di essere antipatica. E non sempre mettere al centro i giovani lettori e lettrici è la soluzione. A volte ho addirittura la sensazione che siano “usati” dagli adulti, perché il nostro è un mondo di adulti, anche se sembra diventata una cosa di poco conto quando invece non lo è.

Come romanziera rivendico la mia professionalità di donna adulta che ha studiato e, dopo anni di lavoro e anche di sperimentazione, fa il mestiere di scrittrice.

A un amico caro a cui piace scrivere e che ha del talento (secondo me) ho consigliato un buon corso di scrittura; già dopo alcune lezioni mi ha ringraziato, ha ammesso che non sapeva cosa fosse la struttura di un romanzo o il punto di vista, pur essendo un grande lettore. A uno scrittore o a una scrittrice serve il talento e servono gli strumenti per svilupparlo. Come al musicista, che pur sapendo improvvisare, attraverso lo studio acquisisce la capacità di esprime a pieno e al meglio il proprio talento.

Sfatiamo il mito del tutto e subito, dell’illuminazione che è capolavoro (come il grande calciatore, l’illuminazione geniale è ago nel pagliaio). Credo sia giusto avvalorare il fatto che la costanza e il tempo debbano essere gli attori principali dei nostri sogni perché questi diventino realtà.

Credo che l’umiltà sia un principio fondante per qualsiasi creativo, ma che il rispetto per se stessi e il proprio lavoro non vadano mai messi da parte.

È questione di equilibrio, come sempre, e di una ambigua deriva giovanilistica che forse inquina la nostra società seppur a fronte di moltissime iniziative valide, consapevoli e intelligenti che vedono coinvolti libri, ragazze e ragazzi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

L’ingannevolezza della buona volontà

Se chiamate un idraulico che ha studiato per corrispondenza ma con tanta buona volontà e poca attitudine, invece di riparare un guasto può forare un tubo e lasciarvi in un guaio peggiore di prima.

La buona volontà può far danni? A volte sì.

Però ci sono ambiti in cui la buona volontà la fa da padrona. E succede spesso per quei mestieri creativi o artistici che sembrano di scarsa utilità e quindi di scarsa dannosità, eppure il vuoto culturale è un danno.

Posto il fatto che io sento la necessità di un romanzo, una poesia, un’illustrazione tanto quanto di una banca per depositare i miei pochi risparmi e del paracetamolo per lenire i miei mal di testa (causati pure dai scarsi risparmi, ahimè), nel nostro Paese la cultura è troppo spesso affidata all’improvvisazione.

Una professoressa illuminata mi ha confidato come il dirigente, dopo che io per un anno avevo lavorato a scuola come esperta esterna, le avesse chiesto di arrangiarsi lei per quello successivo. “Come fare ormai lo sa, no?” Lei, da illuminata, si è rifiutata perché non è il suo lavoro e conosce la differenza tra competenza e approssimazione, ma non tutti rifiutano, lo so per certo e a volte anche per ragionevoli motivi.

Tanti si cimentano, adesso mi pare un vero e proprio bisogno adulto, nel creare gruppi di lettura per adolescenti. Un affare complicatissimo di cui pochi conoscono il valore. Non basta aver letto qualche libro, scegliere quello più in voga o dell’autore che ci sta più simpatico e poi reclutare il materiale umano (che giustamente fugge). Per proporre un solo libro bisogna averne letti cento, è condizione intellettualmente onesta e necessaria per poter dire a dei ragazzi e a delle ragazze: “leggetelo!”. Bisogna capire e sapere cos’è un gruppo di adolescenti, cosa significa fare gruppo, cosa si può offrire loro per farli appassionare ai libri e al mondo dei romanzi. Non basta proprio dire: leggi. Eppure questo nessuno pare saperlo, anche il vecchio buon esempio è in cantina sepolto dai vecchi ricordi. Pochi credono nella formazione e non parlo solo di singoli cittadini appassionati, ma anche di istituzioni (un comune che paghi un corso a una bibliotecaria perché si formi e poi lavori con i giovani lettori).

Nessuno vorrebbe in casa un idraulico non formato o in classe un insegnate non laureato, ma tutti sanno e possono scrivere, creare eventi e gruppi di lettura.

Siamo un Paese che si fonda sul volontariato, in fondo.

Si deve investire nella cultura a partire dalle piccole iniziative. Il mio è proprio un grido.

È giusto invitare un’autrice o un autore a scuola senza aver letto i suoi libri? O realizzare un evento e poi avere due persone in sala? Di chi è la responsabilità? Credetemi, capita a chiunque scriva romanzi per mestiere l’evento triste, ed è anche svilente vedere poi le foto di spalle di quei due o tre spettatori che ignari diventano pubblico dignitoso. È triste e soprattutto inutile, non aiuta a creare lettori, non cambia le cose nella testa/cuore/anima/vita delle persone come deve fare l’arte e la creatività; fa solo scena. È vuoto. È un’ occasione persa. Una finzione di cui ci accontentiamo. Se si rispetta un’autrice o un autore, prima di ingaggiarlo (pagarlo e spesarlo) si deve già sapere di avere un pubblico di base (le famose spalle coperte) che poi va allargato con la promozione, i comunicati stampa e con la scesa in campo degli uffici cultura e degli assessori che hanno creduto, avallato e pagato un progetto culturale.

La buona volontà non basta, ci vuole professionalità, si devono formare le persone che propongano la cultura e l’arte in tutte le sue forme, esattamente come si formano gli insegnati della scuola o i manager nelle aziende.

Abbiamo bisogno di bellezza e di romanzi che si mangino tutte le guerre, dobbiamo investire in questo, non in occasioni perse.

Sì, è un grido di allarme e di sofferenza, perché la bruttezza avanza e si maschera da vuoto culturale, mentre il disprezzo per la vita umana, animale e per la natura tutta cancella il nostro futuro.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il brigantino sommerso, come nascono le mie storie

Ho un quaderno degli appunti, ma non sempre scrivo lì le idee per i nuovi romanzi. Ho molti file archiviati sul computer con dei soggetti, trame, piccoli racconti che devono crescere.

Il brigantino sommerso era sul quaderno degli appunti. Frasi spezzate, luoghi, foto attaccate con la colla. Parecchi anni fa andai in Bretagna e ci tornai altre due volte. Quella terra mi è rimasta nel cuore più di ogni altra. In uno di quei viaggi visitai la cittadina di Tréguier, l’avevo trovata descritta in un romanzo e quindi avevo deciso di andarci. Nel porticciolo erano ormeggiate molte imbarcazioni da diporto e con i miei figli, allora ragazzini, scendemmo lungo la passerella per leggerne i nomi, immaginarne la navigazione e i volti dei marinai che ne erano i proprietari.

La sera in campeggio (mi piace viaggiare con la roulotte o con la tenda) buttai giù degli appunti. L’inizio della storia era chiaro, l’incipit era già pronto.

Poi Luisanna ha fatto tutto da sola, anche se era compito mio scrivere i romanzi di J. Lago.

Corro troppo?

Luisanna sfrutta una vacanza in Bretagna per cercare di conoscere il suo scrittore preferito. Si troverà coinvolta in una strana faccenda riguardante il recupero del relitto di un brigantino del XVII secolo, ma soprattutto scoprirà qualcosa del passato della sua famiglia.

Non è stato così difficile scrivere i romanzi di J. Lago perché in effetti esistevano già e ne sono protagonisti il pirata Rico, la sua compagna Fiorenza e il loro fidato amico Alleluia. Tre storie lunghissime (mai pubblicate) di ispirazione salgariana, scritte di getto molti anni fa per i miei figli. Un capitolo a sera, avventure buttate giù al mattino sul foglio digitale del programma di scrittura del pc e lette a loro prima di andare a dormire. Un divertimento, un gioco tra noi che resta ancora come un piccolo patrimonio della nostra famiglia.

L’amore per quelle terre francesi e per la navigazione a vela; il fascino di personaggi misteriosi in cerca del loro autore; una ragazzina saputella i cui genitori fanno gli attori cinematografici e sono sempre in giro per il mondo; due buffe zie, Marga e Rita, l’ambiguo capitano Trou e la bellissima Catelle sono i protagonisti di questa storia avventurosa, scritta anni dopo quei viaggi in Bretagna, i cui profumi, paesaggi e venti mi sono ancora chiarissimi in mente e molto cari.

Il brigantino sommerso risalente al XVII secolo, con cui avevamo navigato Rico, Fiorenza e Alleluia, si chiamava Il Giglio, ma la nave dove vive John Lago si chiama…

… e per quale motivo si chiama così?

“Lui prese coraggio e alzò la mano destra stendendola
verso di lei:

«È stato un piacere navigare con te, Duch».
Luisanna la strinse con calore:
«Per me è stato un onore, Lago».
I due si fissarono cercando entrambi di ricacciare indietro le lacrime.”

Se avete voglia di salire a bordo, basta che andiate in libreria… ! Ogni romanzo è un viaggio, questo è fatto di brughiere battute dal vento e di rocce a strapiombo sul mare. Non dobbiamo per forza essere bambini o bambine per leggere questa storia, possiamo tornare indietro nel tempo e immedesimarci in Luisanna, oppure no e restarla solo a guardare con un pizzico di nostalgia.

“Se lei poteva entrare in una storia leggendo, forse
i personaggi di un romanzo scritto benissimo potevano
uscirne. E John Lago era bravissimo.”

Luisanna sa che può capitare, perché leggere accende il gioco potente dell’immaginazione, ed è come per i sogni che se li perseguiamo con cura, pazienza e costanza possono avverarsi.

Tutto può cominciare anche solo con un buon libro e Luisanna parte proprio da un romanzo per cercare qualcuno che è molto importante per lei.

Basta un buon libro. E se non basta, può essere l’inizio.

Buon vento!

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Leggere liberi, liberi di leggere

Riflessioni con un capo e una coda, ma senza pretese.

Ci insegano a leggere e poi, almeno in Italia e in linea generale, finita la secondaria di primo grado dimentichiamo come si fa. Perdiamo il piacere della lettura, leggiamo solo per necessità. Forse è normale che sia così, l’evasione e la riflessione passano attraverso mille altre forme, più o meno idonee, rispetto a quando la letteratura la faceva da padrona. E anche molti romanzi, oggi, viaggiano pensando già alla serie tv che da loro, quasi certamente, si svilupperà. È una scommessa soprattutto economica, per altro più che giustificata.  

Restano i valori privilegiati legati alla lettura, come la capacità del lettore forte di vedere dietro le righe, di sperimentare sulla propria pelle storie di personaggi immaginari o reali, di portarsi dentro riflessioni maturate e durature o solo pronte a esplodere al momento giusto, di imparare a esercitare un pensiero e delle scelte proprie. Un sacco di belle cose insomma.

E ci sono poi gli irriducibili lettori che voglio esportare la loro passione e così nascono i gruppi di lettura, anche giovanili. In questo ultimo caso un’azione a metà tra missione e necessità oggettiva.

Incosciente come sempre, mi sono gettata nella costituzione di un gruppo di lettura, o meglio di un movimento di giovani lettori, Leggere Ribelle, che coordino insieme a due bibliotecarie e un’educatrice. Ne rivendico la direzione artistica (se così si può dire) e sono convinta dell’importanza della rete tra gruppi di lettura, soprattutto per adolescenti. Quindi ecco il pensiero fondante del confronto, ma anche quello dell’osservazione e della riflessone da parte mia. Perché resta mia la responsabilità del terreno letterario su cui cresce LR. E la sento tutta.

Vivo una vita professionale divisa tra il ruolo di lettrice e quello di romanziera. E questo dà al gdl un’impronta precisa. Nonostante qualsivoglia buona intenzione. Questo capita anche se a condurre un gdl è un insegnante e il gruppo vive una vita diversa se si incontra a scuola, oppure in biblioteca o in una libreria. Non sto dando giudizi in merito, sia chiaro. Io posso condurre il gruppo solo essendo me stessa e vale anche per gli altri. Nessuno sfugge al destino di essere quello che è, o di credere in quello che fa.

La domanda è: come facciamo a creare lettori davvero liberi? È davvero possibile? Forse no. Per tante ragioni.

Per esempio, ci sono almeno due modi di guardare un opera in un museo: con una guida che la spiega o da soli, ascoltando le emozioni che suscita in noi.

Se la prima opzione ci sembra troppo didascalica, bisogna ammettere che la conoscenza del contesto artistico dell’opera può aprire emozioni nuove e il saper utilizzare gli strumenti che ci permettono di leggere razionalmente l’opera sono porte che si aprono. Altrimenti il passaggio della conoscenza da un individuo a un altro non avrebbe senso e non sarebbe un patrimonio.

Però la libertà di lettura viene comunque condizionata. Arrivare all’ideale passaggio successivo di liberarsi degli insegnamenti dopo averli interiorizzati, per dare un giudizio personale ma non privo di competenze, è un processo complesso e lungo.

Nel gruppo che conduco presento romanzi nuovi a ogni incontro, ma sono io a sceglierli, sebbene mi impegni ad andare a scovare quelli belli che arrivano alle ragazze e i ragazzi con meno facilità e sebbene accolga anche quelli che portano in bibliografia i giovani lettori. Il gruppo d’altronde è nato per questo, per portare alle ragazze e ai ragazzi autrici e autori di levatura internazionale che il giovane lettore italiano difficilmente incontra. La lettura non è patrocinata, a scuola in maggior parte arrivano libri di divulgazione culturale e pochi romanzi veri e propri slegati dal programma di studio; non tutti i bibliotecari del territorio e i librai sono formati in questioni di letteratura giovanile. Mi ricordo che le ragazze e i ragazzi, quattro anni fa, arrivarono a costituire LR non avendo mai sentito nominare M.A. Murail o Aidan Chambers (e poi li hanno conosciuti e amati).

Anche se la situazione è in evoluzione, per fortuna, bisogna dirlo.

Io per esempio non apprezzo i romanzi di Alessandro D’Avenia e li ho sempre tenuti fuori dal nostro scaffale, ma (e di questo sono molto orgogliosa) due lettrici hanno voluto inserirli e non sono riuscita a far loro cambiare opinione. Istigare alla ribellione letteraria è sicuramente uno degli scopi non dichiarati del gruppo che coordino, ma di certo mi fa sorridere che la ribellione istighi al conformismo invece che il contrario. La libertà porta anche questo peso.

Dunque, ogni gruppo di lettura ha la propria impronta.

Per esempio, quando nella mia biblioteca di riferimento mi chiesero come avrei organizzato un gdl per adulti, io ho scartato la scelta del conduttore, educato lettore, che suggerisce un romanzo e poi avvia il confronto. Credo che il gdl tra adulti appartenga ai lettori che democraticamente alternano le loro scelte in totale libertà. Nel salotto di lettura ognuno porta la propria proposta e la motiva, questo allarga gli orizzonti di ogni partecipante e modula gli interessi di quel gruppo preciso di persone. Che siano a livello dei classici russi o de polizieschi italiani non ha nessuna importanza, ogni gruppo ha la propria personalità, si cresce insieme comunque.

Quindi, tornando agli adolescenti, il coordinatore dà la propria impronta al gruppo.

Come detto, lo scopo per cui volevo formare Leggere Ribelle principalmente era ed è: promuovere autori contemporanei di qualità, spesso famosi altrove e sconosciuti in Italia. D’altronde quando i ragazzi arrivano e si presentano al gruppo, i libri che presentano come loro romanzi preferiti dimostrano quanto spesso manchi nel loro panorama letterario la grande narrativa giovanile nazionale e internazionale contemporanea. Noi di LR ci siamo per questo!

A quattro anni e più dall’inizio, grazie agli incontri con festival e altri gruppi, il movimento LR ha ampliato enormemente la propria bibliografia di riferimento. Il mio apporto è sempre meno importante e le proposte dei lettori sono sempre più ricche, interessanti, contemporanee. I più esperti raccontano ai più giovani, i suggerimenti passano, lo scambio è attivo.

Il mio sogno sarebbe un gruppo di lettori adolescenti che si alimenta da solo.

Il tipo di conduzione di un gdl ha, quindi e nonostante tutto, il proprio peso a sfavore della libertà di lettura.

Vero è, d’altronde, che leggiamo con la nostra testa e noi siamo il prodotto della società in cui viviamo, ne subiamo indiscutibilmente i condizionamenti, anche quelli letterari.

Sono lettrice, ma resto narratrice e dietro ogni mio romanzo c’è un percorso di consapevolezza oltre che di creatività.

In Ladra di jeans ho lavorato sul contrario. Cioè pur volendo trattare, raccontare, interrogarmi sul ruolo dei nostri corpi nei rapporti con gli altri, ho voluto consapevolmente percorrere una strada che rompesse ogni consuetudine. L’ho fatto con precisione. Lo so bene perché alla fine della prima stesura nacque una lunga discussione con uno dei miei figli che l’aveva letta. Quello che era sfuggito a me, non lo era a lui e dibattemmo a lungo sul pericolo per questo libro di refusi di logica materiale. Nonostante questo, nonostante io sia stata attenta a non scrivere nulla che inducesse il lettore a credere amiche coloro che non lo erano, a volte sono state lette come tali.

Come mai? Mi sono domandata.

Non potrebbe essere perché fatichiamo a essere lettori liberi?

Leggiamo già sapendo come andrà a finire perché il terreno che la letteratura solitamente ci fornisce è fatto di elementi indiscutibili. Che il diverso verrà accettato deve essere un dato di fatto. Ma io ho giocato sul contrario. Ho provato a scucire la trama di una storia “convenzionale” per vedere cosa poteva accadere se conducevo il lettore per altre vie, se raccontavo di personaggi convinti del contrario. Perché non c’è sempre un lieto fine.

Non so se ci sono riuscita. Ovvio, nessun autore può essere sicuro delle intenzioni della propria opera, a meno che questo non sia un prodotto smaccatamente commerciale.

Comunque vada o andrà, ho ricavato due grandi lezioni per me stessa.

Non devo smettere di provare a scardinare con delicatezza le certezze del lettore in modo che, sia lui che io, possiamo farcene di nostre. Ricordo un romanzo famoso che finiva con la disfatta della protagonista, una ragazza stuprata dal branco e convinta di essersela cercata. Mi arrabbiai per quel finale, ma capii che era una leva fortissima per incitare al contrario.

Vorrei continuare a cercare buoni romanzi di bravi autori contemporanei da mettere nella bibliografia di Leggere Ribelle, che raccontino narrazioni alternative a quelle più ricorrenti, socialmente accettate o comuni. Romanzi che raccontino l’altro e altro, anche in altro modo. E non sto parlando di argomenti forti o dissacranti a ogni costo. La violenza fine a se stessa è sempre bandita per quel che mi riguarda. L’ironia è un’arma potentissima e così la delicatezza che accompagna. Ma lì ogni narratore, ogni buon narratore, è diverso, abile e affascinante a suo modo.

L’originalità in un romanzo è anche questo ed è utile per disabituarci a immaginare quello che succederà senza leggerlo veramente.

Uno dei grandi valori della lettura che dobbiamo provare a passare ai ragazzi (e non solo a loro), è la ricerca inarrestabile del pensiero libero per saper uscire dalle maglie della consuetudine. Per quanto è possibile. L’accettazione profonda e naturale della diversità (reale o immaginaria) passa attraverso il pensiero autonomo, se la letteratura “per ragazzi e adolescenti” non lavora per emanciparsi dalla zona confort delle nostre vite, forse (meglio: senza forse), non è letteratura. E solo un buon romanzo è capace di far nascere nuovi e indispensabili giovani lettori.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri…

“Il figlio ricorda bene la propria delusione quando attorno ai trent’anni lesse quelle riflessioni di Simone de Beauvoir sul «raccorciamento dell’avvenire», sull’insensatezza o almeno la futilità di formulare progetti ambiziosi e impegnativi che da un momento all’altro possono andare in fumo per una malattia, per gli acciacchi dell’età o per la morte.” da Nel nome del figlio di Bjorn Larsson per Iperborea.


Sebbene lui scriva “Dai lettori si possono ricevere stima e ammirazione (…) ma non amore o amicizia…”, per me Larsson rappresenta una sorta di amico. Un amico che non conosco, certo, ma l’uscita dei suoi romanzi, giustamente diluita nel tempo, è sempre stata un momento di festa per la consapevolezza che mi avrebbe regalato ore di lettura piene e stimolanti. Confesso che ho apprezzato tantissimo i suoi romanzi, ma in quest’ultimo mi sono chiesta per tutta la prima parte se stessi apprezzando o meno. Eppure leggevo e non mollavo, già quindi emotivamente la risposta c’era. Nella seconda parte ho preso in mano la matita e cominciato a sottolineare, quindi anche il lato razionale di me apprezzava.

Certo, nei romanzi, i lettori cercano quello di cui hanno bisogno. Quello su cui hanno bisogno di pensare e interrogarsi e io, da un po’, resto incantata o disincantata, non lo so, a guardare i miei figli, ormai uomini, scorgendo in loro gesti del padre, di mio padre, della nonna e miei (gli unici che non vorrei forse vedere). In me rivedo mia madre da giovane. Ma poi un’amica d’infanzia mi rivela in un commento un particolare sulla relazione che avevo con mia madre da giovane, completamente dimenticato, e allora questo romanzo (non romanzo) di Larsson diventa vivo e straordinariamente interessante.

C’è tanto, perché un figlio anche scrittore diventa spia e sollecito nei pensieri di noi, tutti figli. E perché se sei scrittore pensi sempre alla letteratura e a come vuoi essere scrittore. “Finito un libro, sia lo scrittore che il lettore dovrebbero chiedersi se vogliono rimanere quello che sono.”

Io non so se sono una scrittrice, una romanziera come mi piace pensarmi, non lo so perché sono forse i lettori a deciderlo; perché scrivere per me è un percorso irto, complicato, irrisolto; perché non so se ci sia una scala di gradini di vendite da salire se vuoi essere sempre più scrittrice; perché non ho capito se devi resistere e continuare a viverci di scrittura per essere libera di esserlo.

Insomma, ammettendo che io sia una scrittrice ho trovato in questo libro idee su cui convergo e che mi fanno sentire meno sola; essendo una figlia ho trovato invece pagine che stimolano i miei pensieri e persino il conforto di una possibilità cui non avevo mai pensato.

La frase che ho riportato in apertura è potente per me. Quando sono nel mezzo della scrittura di una storia sento la paura di doverla lasciare incompleta. Se ne può ridere: una volta ho raccontato dettagliatamente il finale a mio figlio, così se mi fosse successo qualcosa avrebbe potuto finirla lui!


Non so dirvi se è a causa del momento particolare che io sto vivendo, ma a me questo romanzo-non romanzo è piaciuto molto, mi è piaciuto addirittura quanto i primi Larsson che ho amato.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Colpi di coda, Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

corpi

Volevo scrivere di corpi femminili. Era tanto che volevo farlo. L’ho fatto con Ladra di jeans, ma è stato solo l’inizio.

In realtà i corpi mi facevano paura, come a tanti di noi. L’immaginario collettivo ha idee molto chiare al riguardo. Chiare sono le sue immagini.

Per guardare davvero i corpi dobbiamo andare altrove, dove l’immaginario non è riuscito a creare il diverso. Come dice Padma, come capisce Gemma. Un non luogo da cercare, da trovare, dove anche il “vecchio e brutto” assume bellezza e possiamo guardare con occhi nuovi quello che non ci spaventa più.

Se la seduzione non è la sola voce di un corpo, allora i solchi, le pieghe, le spalle curve, la pelle vuota diventano come la corteccia di un albero.

Lavare un corpo vecchio è come lavare un bambino, è una maternità tardiva che sorprende; che trasforma gesti filiali in materni e insegna a leggere al contrario. Nel corpo vecchio vedi l’oltre e la seduzione femminile diventa la veste leggera, un nulla nella totalità.

La vera bellezza, di colpo capisci, sta nel tempo consumato e mai in uno stato intermedio.

Così tutto cambia se trovi e ti fermi in quel non luogo dove non c’è il diverso.

Ladra di Jeans, maggio 2021, Sinnos Editore, collana ZonaFranca +12

Leggi anche Ladra di jeans, come nascono le mie storie

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Il sesso nei libri per ragazze e ragazzi? Niente sesso, non leggiamo

Poiché ieri mi sono trovata ancora a leggere del perché il sesso sia il grande escluso della letteratura per ragazzi contemporanea e italiana, voglio dire la mia. Aggiungere un punto di vista.

Premetto che le osservazioni lette, cui hanno dato il via persone delle quali ho molta stima, sono interessanti e stimolanti, ma mi sento chiamata in causa come autrice.

Suddividerei i romanzi per ragazzi nostrani in tre macro categorie. Quella che potremmo chiamare di divulgazione culturale, che prende per mano il lettore e lo aiuta a orientarsi nei conflitti sociali odierni e del passato, a osservarsi e comprendersi attraverso una buona narrazione; quella dove la narrazione arriva dalla fabbrica delle storie, dove è interiorizzato e fatto proprio Il viaggio dell’eroe, dove la penna sapiente dello scrittore o della scrittrice avvince il lettore e lo porta in mondi e viaggi lontani; infine quella dei romanzi “indipendenti” in continua ricerca dell’originalità del plot e dell’eccesso creativo.

Ci sono scrittori che sanno muoversi in una sola categoria, altri che spaziano. Le buone penne si riconoscono comunque.

Adesso arrivo al punto.

In Italia non ci sono lettori. In altri paesi i giovani entrano in libreria e in biblioteca e cercano buone storie da leggere? Da noi, no. O sono così pochi da essere irrilevanti ai fini del mio ragionamento.

Da noi i romanzi che i ragazzi leggono, li scelgono gli insegnanti e i genitori.

I romanzi appartenenti alla prima categoria vivono nelle scuole, supportano la lettura nelle scuole, elementari e medie, e per loro natura indicano la via ma approfondiscono le tematiche richieste. Nei secondi il sesso non interessa né il lettore né lo scrittore, cercano entrambi altro; la terza, in un popolo di non lettori, non ha nemmeno ragione di esistere, ma potrebbe e dovrebbe raccontare la sessualità a buon diritto se vuole creare personaggi vivi e veri.

Non si parla di sesso nei romanzi per ragazzi perché non ci sono lettori, quindi non si producono libri per lettori che non esistono. Ok, non è vero che i lettori giovani e forti non esistono, ma quello che producono e importano le case editrici italiane basta e avanza. Offriamo Chambers, Murail o il romanzo Ophelia e siamo, oggettivamente, a posto. E poi ci sono sempre i romanzetti YA al bisogno.

Di cosa stiamo qui a parlare noi adulti?

I progetti e gli insegnati virtuosi sono gocce sul territorio nazionale. Anche se a noi sembra tanto, è una percezione errata. Il diritto alla lettura non si sa neanche che cos’è.

È inutile parlare di sesso o esplicitarlo nei romanzi perché (a differenza di me ragazzina) non è lì che vanno a cercare confronti e risposte i ragazzi e le ragazze. E poi non è vero che non se ne parla, ma ognuno ha la sua voce. Il mio Valerio dopo che ha incontrato la vicina del terzo piano che ingolfa le sue fantasie fatica a stare sul sellino della bici (Se la tua colpa è di essere bella); e in il ragazzino che porta Daria a fotografare Rachele (La figlia dell’assassina), chiede in cambio alla ragazza una strofinata di tetta, perché non ce la fa più ad accontentarsi di altro materiale. Quindi non sono personaggi asessuati.

Se un’autrice e un autore è onesto in un suo romanzo saprà rendere vivi i suoi personaggi e il loro sesso c’è dove deve esserci. Io sono spesso in conflitto con il mio mondo editoriale, però credo che faccia il possibile per resistere in un Paese in cui il valore della cultura e dell’arte contano ancora molto poco.

Il mio mestiere di scrittrice per ragazzi (solo di scrittrice) non è riconosciuto o sostenibile, non esiste proprio. Non dimentichiamolo. Che poi di questo io faccia una battaglia e non del sesso nelle storie è un’altra questione.

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Ladra di jeans, come nascono le mie storie

Ladra di jeans è una storia che sono felice abbia subito accolto Sinnos perché non è il seguito de La figlia dell’assassina ma sento tra i due romanzi una sorta di continuità. Se Rachele e Daria sono due rette parallele, amiche e nemiche e mai s’incontrano. Tra Gemma e Padma l’odio veste i panni dell’amicizia. Loro s’incontrano in un romanzo duro e tagliente.

Vi è mai capitato di ferirvi il polpastrello con la carta? Questo è l’effetto che mi fa Ladra di jeans.

Le storie a volte nascono da un incontro o da un’immagine. Questa è nata vedendo camminare due donne, presumibilmente madre e figlia, che portavano un grosso sacchetto di carta pieno di vestiti. Erano originarie della Repubblica dell’India. La figlia minore, la protagonista della mia storia, non c’era. Non potevo neanche sapere se esisteva davvero un’altra figlia, ma era la mia Padma.

Mi sono documentata parecchio per rendere realistico il personaggio, ho visto ore di cinema indiano e letto della società e delle tradizioni indiane, ma una volta finito il romanzo ho cercato qualcuno per avere delle conferme.

Coordinavo un gruppo di lettura per adolescenti presso la biblioteca Vez Junior di Mestre e un pomeriggio, a causa di un’epidemia di influenza, non erano ancora iniziati i tempi del covid, ci ritrovammo solo io e Dristi M., una ragazza di origine indiana dell’età di Padma e grande lettrice. Così ho conosciuto chi ha confermato, suggerito o corretto parte di quanto scritto nel mio romanzo a proposito delle abitudini e delle tradizioni della Repubblica dell’India.

A lei va il mio grazie sentito e affettuoso. Non potevo incontrare consulente migliore.

Perché Padma è nata e vissuta per undici anni della sua vita in India? Sarebbe stato più facile farla essere nata altrove? Come scrittrice ho questo potere, ma come romanziera ho il dovere di lasciare ai miei personaggio il diritto di essere quello che sono. Molte delle intuizioni riguardo al modo di essere e di comportarsi di Padma si sono dimostrate esatte, anche se non sono una studiosa dell’India contemporanea nè ho amiche indiane.

Credo che si debba scrive di quello che si conosce bene, ma credo che non sappiamo tutto quello che sappiamo. Esiste anche l’intuizione e l’empatia verso il prossimo che può regalare un patrimonio di conoscenza dal carattere recessivo pronta a trovare strade diverse per venire allo scoperto. È il patrimonio dell’artista che la romanziera può e deve saper sfruttare. E io scrivendo mi fido dell’intuizione e dell’empatia.

Gemma e Padma sono in classe insieme, ma non potrebbero essere più diverse. Gemma è sfacciata, calcolatrice, cinica. Padma invece è timida, grande lettrice, buona. Ma quando, per un caso fortuito, un paio di jeans passa dall’una all’altra, si innesca tra le due una strana amicizia. Un’amicizia sul filo del rasoio, dove la sincerità, il calcolo e l’intelligenza assumono contorni sfumati e pericolosi.

Ci sono due ragazze: un sembra tonta l’altra furba, ma non è detto; una sembra buona e l’altra cattiva, ma non è specificato; una potrebbe piacervi di più l’altra per niente, ma probabilmente non è così.

Sembra un thriller psicologico!?  Può essere. Anche.

E intorno a loro c’è il nostro mondo contemporaneo saturo di immagini che vendono felicità. Immagini di belle ragazze e bei ragazzi, immagini accattivanti di cibo, immagini di oggetti desiderabili. Compri un po’ di felicità per pochi spiccioli e poi te ne arrivano vagonate che non sai di pagare.

Non so chi sceglierete di amare, se Padma o Gemma, ognuno di noi è un po’ l’una e un po’ l’altra. Il romanzo resta dei lettori, loro devono scegliere da che parte stare, oppure non scegliere affatto. Alcuni ci provano.

Insomma questo romanzo è un solo un piccolo sasso nello stagno, che spero produca tante onde sul pelo dell’acqua, smuova delicatamente i microrganismi e porti a riva qualche dubbio o riflessione.

Credo che i romanzi siano il prodotto delle creatività artistica della scrittrice o dello scrittore, questa mia storia avrebbe potuto essere illustrazione, poesia, musica, scultura; ho usato la parola.

Perché possiamo considerare come un artista un illustratore e non un romanziere? L’artista sa scavare dentro di sé in cerca dell’essenziale che ci unisce agli altri in una sola umanità e che fa nascere domande cui solo il lettore sceglierà di rispondere, subito o tra molto tempo.

E quindi in Ladra di jeans c’è una parte di me, quello che resta mentre tento di starne fuori, di non mettere i miei pensieri nella testa dei personaggi, di far tacere la mia voce tra le pagine, di dare in mano al lettore la storia, perché sia solo sua. Nei romanzi c’è la parte bella di chi scrive. In qualunque direzione sia orientato, quel meglio di sé, la romanziera o il romanziere lo mette nel suo romanzo e di persona, lei o lui, può essere altro.

“Bisogna ricordare che scrivere non equivale a pubblicare, che il futuro di ciò che si scrive è sempre insicuro e incerto, che non sappiamo mai quello che ne sarà di ciò che scriviamo, e che per uno scrittore questa incertezza è necessaria.” Per una letteratura senza aggettivi, Maria Teresa Andruetto.

Un salto nel buio, per me. Questo romanzo lo è.

« “Ogni santo ha un passato. Ogni peccatore ha un futuro” E anche tu te la sei cavata da sola. Guardati. Niente più note. Niente più ore perse dopo la scuola. Voti migliori. Modi migliori. Hai tradito Tulip e ti sei salvata.» Quella strega di Tulip, Anne Fine.

Ma forse è un salto nel buio anche per il lettore, perché in fondo tutti scegliamo da che parte stare.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Il fascino del romanziere nell’epoca dei non-lettori

Quando si leggono saggi autobiografici o libri simili che parlano della vita e del lavoro di grandi scrittrici o scrittori, regolarmente si parla della loro infanzia e del loro amore per i libri, dell’avidità con cui si avvicinavano ai romanzi, dell’ingordigia di come leggevano. I ragazzini, oggi, non assomigliano a quei ragazzini perché esistono molti altri modi di nutrire il bisogno di evasione fantastica.

Mi domando se non ci saranno più grandi scrittrici e grandi scrittori nel caso sia questa una costante per la formazione della scrittura di qualità. Oppure se i non-lettori vorranno comunque scrivere. E in questo caso: perché?

“La narrativa è consona al suo tempo, e quando i tempi cambiano cambia il nostro approccio alla narrativa.” scrive Nail Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Il fascino che ha la figura del romanziere o della romanziera mi incuriosisce. Deve per forza essere un ruolo affascinante cui aspirare altrimenti perché tanti scrivono e bramano essere pubblicati? I libri non si vendono, durano poco in esposizione sugli scaffali subito rimpiazzati dai nuovi arrivi e non donano quell’immortalità alla quale ogni autore aspira. Scrivere, eccetto in pochissimi casi, non è un mestiere redditizio. Quasi nessuno vive di sola scrittura. È sempre un secondo lavoro. Nell’ambito della narrativa per ragazzi in Italia, ambito che conosco abbastanza bene, coloro che vivono di soli diritti d’autore si contano sulle dita di una mano.

E allora: perché? Scrivere per se stessi è naturale, ma diventare romanzieri e immaginare che stuoli di ragazzini (o adulti) trovino interessante o addirittura appassionante leggerci è un’idea del tutto fantastica e molto poco realistica.

Forse si ignora chi sia davvero uno scrittore, cosa comporti la stesura di un romanzo, che non è mai illuminazione estemporanea ma lungo faticoso percorso creativo e di documentazione se non addirittura costruzione a tavolino del best seller di turno. Forse nessuno ci insegna a scrivere un romanzo e pochi conoscono cosa accada in una casa editrice. Tutto questo alimenta un immaginario che da un lato non fa i conti con le bollette da pagare e dall’altro fa sfumare i contorni di una professione che necessita di qualifiche come ogni altra (mandereste vostro figlio in una scuola dove gli insegnanti non sono laureati?).

Insomma il Romanziere è un ruolo che ci piace un sacco interpretare. Che poi si sia in grado di scrivere buone storie questo ci riguarda poco?

Ricordo una ragazza che mi diede un suo romanzo da leggere, stampato dai genitori in tipografia con tanto di una sua foto in quarta di copertina. Una scrittura corretta, ma una storia stereotipata, priva di dialoghi e struttura. Quando glielo dissi, incoraggiandola comunque a continuare e a leggere (aggiunsi alla mia mail una bibliografia basata sui temi da lei trattati), mi rispose male, piccata, incredula e soprattutto mi disse che se mi avesse incontrata prima di aver pubblicato (!?) avrebbe smesso di scrivere e sarebbe stato un danno.

Quella lettera, che conservo ancora, mi è stata di spunto per molte riflessioni durante gli anni.

  1. Pochi sanno cosa significhi pubblicare un libro e quindi non pagare per pubblicare, ma trovare un editore che investa i suoi soldi nel tuo talento.
  2. Se una cosa non riesce subito, allora tanto vale lasciarla stare. I sogni si devono realizzare subito; non si è tenuti a nessuna lotta, costanza, coerenza, sudore per affermare la propria voce, in questo caso, letteraria.
  3. Non esiste alcun percorso universitario di educazione alla scrittura, solo scuole private o corsi di scrittura creativa.

Ma si può insegnare a scrivere un romanzo?

Considero il mestiere della romanziera un mestiere creativo, quindi come un compositore deve prima imparare a suonare il suo strumento, come la coreografa deve conoscere i passi di danza, così la scrittrice o lo scrittore devono saper usare la scrittura per metterla al servizio del proprio talento, nel caso lo si abbia, ovvio.

Sempre seguendo la stessa logica, se per fare il musicista bisogna amare la musica e per fare una coreografia la danza, la lettura sarà divertimento, passione, sogno, compagnia per la romanziera o il romanziere. Insomma prima di piacere agli altri scriveremo quello che noi amiamo leggere, inseguendo il romanzo perfetto, scartando la banalità e cercando la nostra pagina ispiratrice tra i nostri autori del cuore.

“Impara le regole prima di infrangerle. Impara a disegnare, poi ignora le regole del disegno, impara a costruire una storia e mostra alla gente cose che non ha mai visto prima in modi che non ha mai visto” Neil Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Con questo non voglio certo dire che si deve smettere di narrare, ma che i ragazzini di oggi si nutrono di diversi linguaggi e con quelli narreranno, probabilmente. Forse la mia è una generazione ambigua e disattenta, però molti scrittori creativi già spaziano in parallelo ai libri tra immagini, fumetti, videogiochi con cui sono cresciuti, di cui si sono nutriti, di cui erano affamati. E questo è davvero fantastico.

Voglio provare a sfatare il fascino del romanziere e della romanziera con due citazioni di autori che ammiro. La prima è tratta da Muoio dalla voglia di conoscerti di Aidan Chambers.

“Non ho mai capito perché i lettori siano così influenzati dall’incontro con gli scrittori. Da lettore è l’unica cosa che desidero. Nella mia esperienza quasi tutti gli scrittori di libri che hai ammirato sono deludenti come persone. Come può essere altrimenti? Se hanno un senso come scrittori, il meglio di loro deve trovarsi nei loro libri.”

E poi “Leggete i libri: ogni tanto lì riuscirete a vederci” scrive Neil Gaiman sempre in Questa non è la mia faccia.

Quindi, non sarebbe male spogliarsi del ruolo dello scrittore spostando così, nell’immaginario collettivo, l’asticella dell’attenzione più su una professione che sul fascino personale? D’altronde sono i lettori e le lettrici ad alimentare o addirittura a creare il mito dello scrittore, senza rendersi conto che il grande potere di un romanzo sta tutto nel lettore o nella lettrice.

Inutile dire che certi romanzi sono immortali mentre i loro autori o autrici sono beatamente (o meno) morti o morte e l’immortalità gliel’hanno consegnata i lettori di tutti i tempi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Festival letterari, ragazzi e bellezza

Leggo tanti post sul rientro di oggi, 14 settembre 2020, a scuola. Credo siano più preoccupati gli adulti (e hanno i loro buoni motivi) dei ragazzi (e anche loro hanno i loro motivi per esser meno in ansia). Io rientro dal FestivaLetteratura di Mantova che per tantissimi anni mi ha vista ospite come lettrice e ora anche come scrittrice di romanzi per ragazzi e lettrice di romanzi per ragazzi.
Sono un animale da festival. Mi piace passare da un evento all’altro e trovarmi una posizione decentrata per ascoltare; memorizzo, dimentico, segno su un quadernetto, lo sento far parte della vita e quindi del mio lavoro creativo. In questi giorni ho condiviso molto di me sui social, per condividere il mio entusiasmo, i lettori a volte sono così.
Questo festival, come anche MdL, ha una grande forza alla sua base che sono i ragazzi volontari. Mio figlio ne ha fatto parte (e anche l’altro figlio) e crescendo ha continuato a collaborare con i “suoi” festival. Così ho imparato a riconoscere la sua stanchezza, ma anche il grande apprezzamento per quello che fa. A leggere post e “storie” scambiate fatte di nuove amicizie, di fatica e allegria condivise.
A Mantova nel 2020 i giovani volontari coscienziosi igienizzavano, avvisavano, prendevano la temperatura.
E allora mi viene in mente la vicenda dolorosa di quel ragazzo che per far da paciere c’è morto. Mi viene in mente che i social media erano/sono, come sempre capita, inondati dalle foto degli assassini.
Di ragazzi come quello che non c’è più, ce ne sono tanti: allegri, sempre pronti ad abbracciare un’amica un po’ triste, a fare quattro tiri al pallone, a farsi avanti coi professori per perorare una causa, a farsi voler bene da tutti senza essere speciali.
Ce ne sono ma noi non li vediamo.
Vediamo il brutto invece di riempire la nostra vita del bello.
Forse ci piacciono più i cattivi dei buoni? La cultura dei finti buoni ci ha talmente saturato che abbiamo finito per appassionarci ai veri cattivi? Speculare sul brutto ci appare ormai normale?
Io scrivo di ragazzi perché basta osservarli per innamorarsi della loro gioia di vivere, dei loro sogni di finto disincanto, della loro voglia di fare ma con calma.
Forse dovremmo tutti provare a cercare e a ricominciare proprio dalla bellezza pratica e diffusa dei ragazzi, degli adolescenti, dei giovani adulti, anche se siamo vecchi e non saggi. Magari un po’ ci costa fatica perché loro sono svegli, lesti e navigano a vista, ma non dobbiamo inseguirli, solo starli a guardare e riflettere.

Ho partecipato con un mio breve contributo all’Alamanacco del festival
Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Libertà di lettura, lettori adolescenti e qualche considerazione in più

È un periodo che vedo proporre online molte iniziative per promuovere la lettura tra i ragazzi e gli adolescenti, per preparare adulti che educheranno alla lettura con consapevolezza. Partendo dalla scuola oppure no. E mi sembra tutto molto bello.

Eppure la questione un po’ mi preoccupa perché non vorrei che ci trasformassimo tutti in inseguitori. E la cosa, a noi entusiasti lettori che ci troviamo spesso tra i ragazzi, ci verrebbe molto naturale. Lo dico io che mi sono gettata anima e cuore in Leggere Ribelle solo per spacciare buone letture e poi ci sono rimasta legatissima.

Ogni settembre, però, mi domando se il gruppo resisterà, se ci sarà un ricambio di età (dato che coinvolge, per scelta inderogabile, solo lettori dai 13 ai 17 anni), se ci saremo e in quanti saremo (i numeri, maledetti).

La forza del gruppo di lettura sono i ragazzi e le ragazze adolescenti, loro devono esserne il motore, gli adulti non possono sostituirli.

Ma come mi disse la bravissima educatrice che mi affianca in LR: gli adolescenti non vanno inseguiti. I lettori adolescenti meno che meno, aggiungo io.

Per quanto mi riguarda, cercherò anche di non dimenticare le parole di Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: La sua parte, nella “promozione della lettura” lo scrittore la fa nel silenzio del suo luogo di lavoro, producendo buoni testi.

Anche chi scrive non deve inseguire il lettore. È questo il bello. È questo che fa la differenza tra i romanzi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

In quale scaffale stanno i romanzi per ragazzi e giovani adulti?

Per chi scriviamo noi romanzieri?

Cosa scegliamo di leggere noi lettori?

Premetto che io non sono né una pedagogista né una letterata; sono una romanziera o almeno provo a fare quel mestiere. In quest’articolo allaccio i fili di vari discorsi, ragiono sul mio scrivere di ragazze e ragazzi, per capirlo e capirmi.

Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

A questa domanda posta sulla mia bacheca facebook hanno, gentilmente, risposto 45 amici (di cui 4 uomini), tra cui alcuni scrittori e scrittrici per ragazzi. Tutti lettori forti. In calce trovate i commenti in forma anonima.

Provo a riassumere molto sinteticamente le risposte:

1 – Cerco STORIE, le buone storie sono per tutti.

2 – Per rivivere l’adolescenza.

3 – Per diventare un genitore/adulto migliore.

4 – Perché trovo la speranza che tutto possa ancora succedere.

5 – Per non dimenticare il punto di vista dell’adolescente.

6 – Perché lo scrittore coglie sfumature dell’adolescente che l’adulto ha dimenticato.

7 – Perché sono storie lineari, fresche, semplici eppure mai banali.

8 – Mi sento affine, ma anche empatica verso il mondo giovanile.

9 – Cerco: meraviglia, stupore, emozioni, autenticità, disvelamento.

10 – Ne apprezzo la delicatezza.

11 – Trovo temi esistenziali,  libertà, sperimentazione.

Credo che siano risposte sorprendenti. Chiunque non conosca la letteratura per ragazzi,  e accade spessissimo, resterebbe molto stupito. Anche tutti coloro che parlano e scrivono di libri, ma si occupano troppo poco di romanzi per ragazzi e adolescenti, resterebbero sorpresi. Forse penserebbero che io e la mia comunità di amici siamo una brigata di matti! È uno stupore comprensibile poiché non leggono romanzi considerati per ragazzi e adolescenti. Se li leggessero non esisterebbe più la categoria per ragazzi e adolescenti.

Mi colpisce che, se hai figli o studenti, cominci a leggere per o con loro, poi t’innamori della loro letteratura. Nessun adulto entra in libreria e va verso lo scaffale dei libri per ragazzi, insomma, ci si arriva per vie traverse.

Ma un adulto deve vergognarsi di leggere Harry Potter? Sappiamo benissimo tutti che le prime copertine erano dichiaratamente per ragazzini e solo dopo che gli editori hanno spiato quanti anni avevano i lettori, sono diventate più adulte!

Ti innamori di cosa? 

Non c’è nulla di cui innamorarsi se non della sensibilità di una scrittrice o uno scrittore. Di come lei o lui racconta quel mondo adolescente piuttosto che quello… della società rurale degli anni Trenta o della guardiana di un cimitero francese! Dalle risposte sopra riassunte si capisce che non c’è nessuna differenza tra i romanzi per adolescenti e quelli considerati da adulti, se non che esplorano concetti comuni con ottiche diverse e, forse, storie più immediate.

Se il protagonista è un ragazzo, guarderà al futuro dai sui 16 anni in su e non dai 40 in su. Tutto qui.

Quindi attraverso lo strumento libro per bambini, ragazzi, adulti possiamo conoscere il mondo, umano e non, che ci circonda e con la letteratura lo metabolizziamo, ci poniamo domande, cerchiamo risposte, viaggiamo.

Bisogna forse segnalare nella letteratura per ragazzi e giovani adulti italiana, una componente che definirei di narrativa scolastica (che non ha nulla in comune con la narrativa scolastica di parecchi anni fa, pedante e didascalica). Libri scritti appositamente per accompagnare un percorso scolastico di crescita umana e culturale. Con una tematica esplicita. Alcuni molto belli, altri meno. Come sempre capita. Anche nei romanzi per adulti. Qui la scrittrice o lo scrittore ha un progetto educativo in mente e legittimamente lo segue. Ciò non toglie che anche un adulto possa imparare molto da questo genere di libri, sempre accurati, spesso scritti da giornalisti. Potremmo aggiungervi anche le riscritture dei romanzi classici in chiave semplificata. Personalmente non mi attirano, ma hanno un loro perché. Esistono saggi, biografie e narrativa scolastica.

E poi esistono i romanzi tut curt indicati per ragazzi e adolescenti. Molti importati e tradotti, sopratutto dal Regno Unito, dalla Francia, dagli Stati Uniti. Solo buone storie e bella scrittura. Domande aperte ed emozioni. E cioè quella letteratura etichettata per ragazzi e adolescenti che forse avrebbe bisogno di emanciparsi socialmente.

Ma l’età del protagonista etichetta il romanzo?

Penso a un bellissimo libro: Per sempre o per molto, molto tempo, di Caela Carter, uscito per Mondadori, in cui i protagonisti sono bambini. Mi sono domandata, prima di metterlo nello scaffale Leggere Ribelle, cosa un ragazzo o una ragazza dai 13 ai 17 anni potrebbe trovare in questo libro. Anche io sono caduta vittima di un pregiudizio: dare ai ragazzi solo protagonisti in cui possono evidentemente immedesimarsi. Ovviamente il libro è sullo scaffale. Deve sempre essere così? O forse potremmo, con le giuste condizioni di scrittura, immedesimarci anche in un rospo quale protagonista di un romanzo? Solo i ragazzi devono immedesimarsi a ogni costo in loro coetanei, noi adulti abbiamo meno vincoli in questo senso. Perché per loro dobbiamo costruire un protagonista possibilmente un anno o due più grande del target di riferimento del libro (questa sarebbe la regola, se non sbaglio)? Che sia uno stereotipo da abbattere? Sicuramente una ragazza si immedesima in un protagonista maschio oppure femmina; un ragazzo fa fatica a mettersi in panni femminili. Dovremmo metterci in mente di scardinare parecchi pregiudizi…

Cosa dicono i ragazzi? Non può mancare il loro punto di vista. Quelli cui questo genere di letteratura è destinato.

Riporto cosa chiedono gli adolescenti dai libri traendo le risposte dall’unico documento che esiste: Ci piace leggere!de Le ragazze e i ragazzi di Mare di Libri, edito da ADD (presto anche LR produrrà un proprio manifesto del lettore adolescente).

Il primo capitolo s’intitola: Libri per ragazzi e libri per adulti e già si capisce che la questione è stata affrontata e così risolta: Eliminate le categorie adulti e ragazzi rimarrebbe solo il confronto tra libro e lettore. Forse bisognerebbe buttare giù un muro che separa i romanzi per ragazzi da quelli per adulti e, semplicemente, leggere. 

Appurato che le categorie non piacciono ai ragazzi, sintetizzo con una citazione cosa loro cercano nei romanzi: Vorremmo poter leggere di tutto perché, secondo noi, non esistono argomenti tabù. Gli adulti non dovrebbero lasciarci nell’inconsapevolezza, ma piuttosto metterci nelle condizioni di riflettere, di conoscere, di discutere.

Il capitolo Cosa ci piace è un capolavoro, ve lo consiglio, e non resisto, riporto l’ultima citazione: Vorremmo che editori e scrittori dimostrassero più fiducia in noi, rischiando, proponendoci libri scomodi e controcorrente. Ecco per me questa è la dichiarazione finale più importante.

Non trovo una differenza sostanziale tra lettori adulti e lettori ragazzi confrontando il loro pensiero, le scelte e le necessità, ma solo una convergenza di entrambi nella comunità di coloro che cercano storie attraverso i romanzi per vivere consapevolmente e meglio.

Una comunità che bisogna sicuramente allargare, come forse bisognerebbe allargare gli scaffali della narrativa per adulti per aggiungervi quella per ragazzi e adolescenti disettichettata; sarebbero poi le copertine e le quarte a parlare al futuro possibile lettore.

Un’idea un po’ folle, lo so, che incita alla lettura libera e fuori controllo!

Resta, anche, il dato di fatto che sono gli adulti a scrivere romanzi per ragazzi e penso che sia giusto così.

Citando Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti il “suo” mondo, ma con strumenti letterariamente più “perfezionati” di quelli a sua disposizione. E prendendo spunto dalle sue parole, senza snobismo, io apprezzo anche quelle scritture giovanili nate dal nulla e diventate romanzi, ma dando loro il giusto peso.

E, certo, ogni scrittrice o scrittore ha un suo lettore ideale, può essere un adolescente oppure no, anche se scrive romanzi che vengono pubblicati da case editrici specializzate per i giovani.

In finale, per quello che mi riguarda, dopo aver aperto più spunti di discussione e riflessione, cerco di trovare le ragioni per supportare un’idea.

Io leggo e scrivo di ragazze e di ragazzi, trovo affascinante proprio quell’età delle prime volte e delle speranze, grandi o piccole che siano. E di questo scrivo. Per chi? Ci ho riflettuto. Non ho in mente come lettore ideale una ragazza o un ragazzo, ma attraverso i loro occhi e le loro bocche condivido le mie domande, i miei dubbi, la mia rabbia, i miei dolori perché loro non esisterebbero se non ci fossimo noi adulti. E gli adulti nei miei romanzi ci sono. Io ci sono; scrivo per chi cerca quello che cerco io nelle storie e se questo è una ragazza o un ragazzo, bene: la cosa mi rende felice perché sono un pubblico spontaneo e sensibile. I libri restano ponti.  Forse, quello che cerco di fare io, e tutti quelli che scrivono di ragazze e ragazzi, è proprio costruire relazioni tra umanità diverse, coetanee oppure no.

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Noi adulti che leggiamo, per passione o anche per il nostro appassionante lavoro, libri per ragazzi e giovani adulti, cosa cerchiamo/troviamo in quelle storie? E cosa ci lasciano?
Leggiamo, magari con la scusa di un figlio o degli studenti, e ci facciamo prendere/affascinare da quei romanzi indicati dai 12 anni in su; sinceramente, ditemi, perché li scegliamo?
Quali sono le aspettative (forse inconsapevoli) dei lettori over 30 di middle grade e young adult?

FD -Personalmente sono proprio ferma alla loro età, mentalmente. Per gli young mi piace rivivere quei momenti bellissimi (ma odiatissimi in quell’attimo) che è impossibile riprodurre in età adulta proprio per esperienze accumulate. Per i libri per ragazzi più piccoli, invece, leggo proprio per il piacere dell’avventura, per ritrovare o scoprire un punto di vista che io fatico a percepire adesso. Per non dimenticare e, spero, tendere a essere una persona migliore anche e soprattutto per mio figlio.

VP – Cara Giuliana, ho iniziato a leggere libri per ragazzi perché lo ritenevo un tassello fondamentale della mia formazione di docente, non si può pensare di fare educazione alla lettura senza avere idea di quali siano i libri da proporre. Ho trovato storie interessanti che mi hanno fatto amare questa mia necessità formativa. Credo che un libro ben scritto non abbia età e che possa essere letto da ragazzi e adulti.

LC – cara Giuliana a me le definizioni stanno sempre strette, fatico un po’. non leggo per lavoro, mi occupo del lettori ben più piccoli. detto questo mi è capitato di leggere libri solitamente definiti nel genere ma di trovarmi a pensare che dessero spazio anche a me. cosa definisce ‘Niente’ di Janne Teller un libro per ragazzi? l’età dei protagonisti? se così fosse molta letteratura per adulti dovrebbe essere spostata di scaffale. questo per dire che io come adulta cerco buone storie, a prescindere dal genere e ogni tanto mi capita di trovarne di stimolanti anche tra i loro scaffali. Quindi tornando alla tua domanda: perché li scelgo? perché cerco storie.

MS – Non sono over 30, ma sto al confine 😅 Penso che cercherò sempre l’emozione dei primi amori, dei primi tradimenti…di tutte le prime volte che per forza di cose vengono trattate. E poi, come già ti dicevo, l’idea che tutto possa volgere al meglio, una persona cattiva diventare buona, una tragedia trasformarsi in rinascita. Emozioni pure, che i grandi, a volte, dimenticano.

LC – Forse nei libri ‘per ragazzi’ è più frequente trovare storie. Succede qualcosa. I personaggi cambiano, crescono, si chiariscono durante un’avventura. Di solito non ci sono quelle lunghe tirate di onanismo mentale, abbondante nei libri per adulti mainstream, specialmente italiani.
Io cerco storie 😊

RV – La capacità dello scrittore per ragazzi di cogliere quegli aspetti della vita, quelle sfumature nei sentimenti, quella capacità di osservare e cogliere particolari a cui l’occhio adulto non è più abituato.
Qualche giorno fa parlavo con un amico di alcune foto che abbiamo fatto io e Giulia (6 anni), che lui ha confrontato con le sue. Le sue erano paesaggi maestosi e imponenti, le nostre si soffermavano sulle piccole cose, a richiami, a un immaginario e a un’associazione di forme che io vedevo solo in un secondo momento.
E questa è la differenza: noi adulti ci stupiamo di ciò che è macroscopicamente bello, come un tramonto.
I bambini e i ragazzi si stupiscono e trovano il bello in ciò che noi adulti non troviamo più.
Nei libri per ragazzi c’è questo sguardo rispettoso nei loro confronti e una visione del mondo e della vita diversa da quella adulta. Che poi è la ragione per cui piacciono anche agli adulti.

PG – Cara io ovviamente li leggo per lavoro ma spesso leggo per libera scelta ma credo che il motivo sia piuttosto fuori dai pensieri che ti stanno girando in testa… Perché li leggo? Perché mi piacciono le belle storie e la buona scrittura. Insomma stesso motivo per cui leggo letteratura tout court. Però posso dirti che dopo una buona lettura “giovane” penso sempre “Ah se l’avessi letto da ragazzo!”. Quindi il legame col loro essere libri che parlano ai e dei ragazzi viene dopo, non al momento della scelta di cosa leggere. aggiungo che l’adolescenza, a differenza dell’infanzia, è un periodo che ricordo molto bene e anche che mi interessa molto. Inconsciamente credo di cercare anche delle risposte nei migliori romanzi che non trovavo mai nella vita da ragazzo. Io leggevo le cose che mi davano a scuola e non ho mai incontrato libri del genere, anche se qualcosa c’era già, penso alla collana frontiere di Einaudi (Aidan Chambers).

BM – Per me ogni libro è un viaggio. E di un viaggio prediligo il lato incognito.

AGG – Riassumo. Ho iniziato per saper consigliare. Ora leggo per me, per diventare una adulta migliore, per non dimenticare il mio essere adolescente e come vedevo gli adulti, per essere l’adulto che avrei voluto avere al mio fianco.

SKMK – I libri per bambini e ragazzi in me smuovono la meraviglia. Quella che pare essere proibita agli adulti, visto che i libri a loro rivolti sono o irrealisticamente ottimisti o drammatici. Voglio meravigliarmi, emozionarmi, provare ancora speranza per il mondo e per la vita. Questo non senza arrabbiarmi, emozionarmi o avere paura, sia ben chiaro. Credo di essere più affine alla sensibilità “giovane” che a quella cinica adulta. So che sto parlando per generalizzazioni, ovviamente, ma aprire un libro per ragazzi mi dà molte più possibilità di essere soddisfatta che aprirne uno per adulti. Le mie letture “per adulti” sono occasionali e ben selezionate, alla ricerca di cose molto specifiche, mentre per ragazzi leggo di tutto. Se ti va di parlarne a voce sono a completa disposizione.

OF – Leggo per assaporare con la consapevolezza e il vissuto di un adulto le storie che ho attraversato durante la mia adolescenza; perché quelle emozioni riemergano e facciano letteralmente esplodere il mio cuore che non riesce proprio a soffocarle e trattenerle anche adesso che i 30 li ho sorpassati da un bel po’!

BM – Per quanto mi riguarda è la freschezza delle storie, che mi fanno ricordare la mia adolescenza. Chi non sorriderebbe teneramente vedendo un ragazzino che strappa un fiore e lo offre alla sua amicetta? Si risvegliano ricordi dei momenti e periodi importantissimi per la nostra crescita. Forse anche chi non si arrende alla vecchiaia e conserva sempre quella gioia di vivere proprio tipica di quel periodo.

VR Io leggo principalmente albi illustrati o graphic novel indirizzate ai ragazzi. Cerco delle risposte, ma più spesso mi innamoro delle domande. Adoro le illustrazioni e la forma breve del racconto. ah e cerco anche il lieto fine, prediligendo le storie di formazione. Nei libri per ragazzi mi sembra più chiara la linea narrativa e le motivazioni psicologiche dei personaggi. Fatico meno a seguire le storie , mi nutrono di speranza o di suggestioni oniriche. Prediligo le trame archetipiche, ancestrali. Fiabe e favole mi risuonano dentro in modo forte. Il racconto popolare ha inoltre una struttura rituale che mi affascina.

MS – Io cerco l’autenticità di quell’età, che da adulta so riconoscere perché ovviamente l’ho vissuta.

EM – Io ancora mi immedesimo in quelle storie, mi catturano più di quelle per adulti che trovo sempre un po’ ” cupe” tristi, appesantite dalle esperienze di vita…

IL – Io leggo per i miei figli, per i miei studenti ma anche per mia passione. L’ho sviluppata a tal punto da specializzarmi a livello universitario e nella letteratura cerco un senso e un conforto che mi aiutano nella vita di tutti i giorni

MT – ALCUNI titoli etichettati “per ragazzi” uniscono la meraviglia di una scrittura decisamente bella, piena, rispettosa, ricca a storie fresche, dense, con squarci macro nelle emozioni. ALCUNE.
Le altre sono storie cartacarbone e stampino e le sbircio per lavoro.
Quelle per gli adulti, spesso, mi annoiano. O ci ritrovo delle dinamiche che mi affaticano.
Es. L'”amore malato” sofferente, tragico, irrisolto. Me lo tengo nei classici, principalmente russi. Di meglio han scritto in pochi. Comunque se mi chiedi una mia personale opinione sul perché molti adulti leggano ya la risposta più corretta e sincera resto convinta dovrebbe essere “per controllo”.  bisogno di controllo in generale

AP – Leggo libri per ragazzi perché sono scritti da adulti che si interessano ai ragazzi, scrivono per loro e di loro, delle loro storie che non sono per niente banali e da sottovalutare. Anzi, i libri per ragazzi dovrebbero essere letti insieme ai genitori, agli adulti, agli insegnanti. Se vogliamo capirli, dobbiamo “abbassarci” al loro livello. Uso una parola dell’altro giorno: empatia.

TM- Io cerco le storie. Non mi interessa più se per ragazzi o meno. Un tempo leggevo i libri per ragazzi anche per avvicinarmi al mondo del mio maggiore o per consigliargli tematiche diverse per cambiare ogni tanto.

FF –  leggo per proporre a scuola, è vero, ma le leggo perché sono capaci di parlare di tutto in modo semplice, chiaro, paradossalmente senza paranoie. E anche quando si parla di sesso, di morte, di violenza, c’è una delicatezza che spesso nel mondo adulto manca.

LA – Mi ritrovo anch’io in questa risposta di Flavia non faccio parte del mondo scolastico e non leggo per lavoro. Trovo una delicatezza che non cade mai nella visione nera del mondo, non trovo “trucitudine” si può dire?

FD- Io li leggo perche’ mi piace confrontarmi con la scrittura dei miei colleghi scrittori, soprattutto se li conosco personalmente. Spesso li trovo molto lineari ma non banali, come ha detto Luca si avviluppano meno su se’ stessi, la storia la fa da padrona e più mi interessa molto l’eta’ dei protagonisti, intendo gli adolescenti. Cio’ non toglie che leggo molta letteratura per adulti. sia per piacere sia per lavoro occupandomi di recensioni. Ma e’ piu’ difficile che un libro per ragazzi mi annoi o mi deluda. Ma mi tengo alla larga dai fantasmi, prediligo le storie realistiche, se un pizzico drammatica anche meglio

MM Io cerco la possibilità di provare ancora meraviglia.
Cerco di ritrovare quelle emozioni e sensazioni che provavo allora.
Cerco e spesso trovo anche storie inaspettate, raccontate con scritture non banali.
E, da inguaribile romantica, adoro le storie d’amore. Quel momento della vita dove tutto e il contrario di tutto è ancora possibile💕

EL- Io credo che leggere libri che qualcuno definisce “per ragazzi” sia un elisir di giovinezza. Permette di mantenere anche da adulti lo sguardo e il cuore giovani e rivivere le sensazioni di ogni prima volta, ogni prima scoperta. Leggere libri per ragazzi ci dà un superpotere!

PG – Leggere per ragazzi riporta indietro nel tempo, aiuta a mantenersi giovani, a non scordare come eravamo e a restare in contatto con i giovani che abbiamo intorno 💕

VT – Perché vorrei rivivere quel periodo della mia vita, ma farlo meglio e renderlo più bello. Nostalgia di cose che magari non ho davvero vissuto come avrei voluto  La risposta meno romantica é che poi i libri per ragazzi sono molto più divertenti e sperimentali di quelli per adulti! 😉

CS – Perche nella letteratura per ragazzi ci sono molti più temi esistenziali

LS – Perché libera!

MD – Perché adoro l’abbinamento parole e illustrazioni, sono piccole opere d’arte. Anzi, credo che anche i libri per adulti dovrebbero essere illustrati. È più piacevole leggere completando il testo con delle belle immagini.

LG – Io cerco storie belle e ben scritte e nella letteratura per ragazzi trovo che ci sia più cura. Non sempre eh, ma spesso

PC – Cerco storie vere, che rivivo con un pizzico di nostalgia. Ricordi di un’età che forse non ho vissuto a pieno, condizionata dai limiti di un’altra generazione…

SP- non ho una risposta certa a questa domanda, ma mi sono resa conto che sia nella narrativa per adulti sia in quella per ragazzi cerco storie realistiche ambientate in epoca contemporanea. no gialli, no storico, no fantasy, no fantascienza. quindi direi che i libri, sia per adulti sia per ragazzi, soddisfano il mio bisogno di calarmi nella realtà per comprenderla

RI – Ho iniziato a leggere gli stessi libri delle mie figlie perché loro volevano confrontarsi con me, chiedevano il mio parere sulle storie, sul modo di scrivere, sui temi trattati. Poi, man mano, ho conosciuto autori che diversamente non avrei letto, li ho apprezzati e continuo a leggerli. A volte, prima delle mie figlie, a volte a prescindere da loro.

MB- Perché non mi sono mai preoccupata della divisione in generi o fasce di età.
Se una storia mi ispira, mi stuzzica, mi ‘tenta’ (per stile, per tema, per ambientazione, per punto di vista…) la leggo e basta.

CP- Che bella domanda 😊
Appena ho letto il tuo post ho pensato al libro che sto leggendo, mio padre è un ppp, quello che quella storia offre è una sorta di disvelamento, la realtà è in quella storia lineare, evidente, ma la scrittura e la narrazione in prima persona della protagonista porta al disvelamento della complessità, come se sotto l’apparenza di quella realtà, le cose fossero più complesse. È solo quando Polleke accoglie la complessità trova anche la forza per cambiare e agire. Ecco io bei libri per ragazzi cerco il disvelamento, nel senso letterale del termine, una scrittura è una storia che mi conduca parola per parola a togliere il velo.

FM -avventura è più sorprendente, non ha il disincanto e le gabbie adulte, è più onesta, schietta e ha una vivacità frizzante che nella crescita purtroppo muta, personalmente mi emoziona molto di più una nuova consapevolezza acquisita da un giovane protagonista che da un adulto che ha già un suo bagaglio di esperienze, il percorso di un ragazzo che scopre il mondo è più stimolante, avverto un coinvolgimento maggiore. Non mi annoio, è più divertente provare empatia con l’io bambino.

EB – Io penso che non esistano storie per ragazzi è solo il modo in cui le si scrive che cambia.. ciascuno di noi ha parti “irrisolte” o nascoste che lo portano a leggere o preferire alcune storie… io ad esempio ho imparato ad amare Alice di Carrol in età adulta perchè alcuni aspetti metaforici della storia mi sono stati accessibili psichicamente solo allora…. così come il piccolo principe …. alcune storie sarebbe bello leggerle e poi rileggerle nel corso degli anni solo così arrivano davvero a tutte le parti della nostra anima
Facevo la stessa riflessione ieri con i film a 20 anni amavo alcuni generi impegnati ora ne amo altri…

FG – Ci sono un’autenticità e una spontaneità che in età adulta si perdono, forse per adattarsi alle convenzioni sociali e culturali di appartenenza. Un aspetto che mi affascina molto è la capacità di sentirsi ancora parte di un concetto di vita diffusa. Mi spiego meglio: sentirsi tutt’uno con ciò che ci circonda (animali, piante, universo) e, riconoscere in questo, la sacralità della vita, la sua imprevedibilità e magia. Sono stata prolissa e poco chiara ma è quel senso di smisurata libertà che si prova quando si crede ancora che tutto è possibile.

CA – Una buona storia, una buona scrittura, contrasti creativi di atmosfera e personaggi

DT – Io ho iniziato da poco con gli young adult.
Forse per capire cosa a breve potrà piacere ai miei figli. Ma anche per capire meglio la gioventù di oggi e i suoi gusti i desideri e il punto di vista. Non so se ha senso. Ma questo è quello che mi muove. Un tentativo di trovare sintonia con le nuove generazioni, anche per lavoro, sono psicologa.

SS – Al di là dell’interesse verso la letteratura per ragazzi con la finalità di consigliare buoni libri attraverso il blog e altre forme, a me appassiona leggere libri con protagonisti i ragazzi perché sono una inguaribile nostalgica, mi piace continuare ad avere, e ricerco, questo spazio di immaginazione infinito verso il futuro che inevitabilmente in età adulta di assottiglia.

CL – Volevo dare anche io il mio contributo ma ritengo sia un po’ banale e forse anche un po’ confuso. Mi verrebbe da dire semplicemente che leggo letteratura per ragazzi perché mi piace, sento sia una dimensione giusta da abitare ma poi penso che tutte le storie e i libri che mi sono piaciuti, senza distinzione, li ho sentiti “della dimensione giusta”. Quella in cui riesci a stare perfettamente ma anche che apre orizzonti inaspettati in cui trovi indizi a risposte che cerchi anche inconsapevolmente. Perciò alla fine dei giochi forse considero la letteratura per ragazzi, letteratura punto. Non c’è distinzione tra x ragazzi/ x adulti ma solo buona o cattiva (per me) o, ancora meglio, letteratura che apre orizzonti e letteratura che non lo fa. Te l’avevo detto che era tutto molto.confuso…😜

CC –Posso dire la mia o sono in ritardo? Vabbè la dico:io leggo libri per ragazzi per trovare lo stupore e perché quando leggo penso a loro e se può piacere e come provocare stupore. Poi a volte ho bisogno di staccarmi, ma poi torno sempre ❤️

FD – Perché la bimba che mi vive dentro ha ancora voglia di storie.

 

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Del diritto di leggere e di quello di scrivere. Appunti

Si chiude un anno strano. Un anno importante, nonostante tutto. A luglio si chiude sempre un anno per me. Scrivere per ragazzi spesso diventa leggere per ragazzi e poi interrogarsi su quello che è la letteratura per ragazzi. Ho infilato in due righe tre volte la parola ragazzi ma questi, mi viene da pensare, con i libri finiscono per averci poco a che fare.

Il diritto alla lettura è per lo più sconosciuto nel nostro Paese.

Diventare scrittrice…

Per me scrivere resta un mestiere creativo. Un mestiere che in Italia non si insegna in nessuna scuola pubblica o percorso universitario, quindi un mestiere che si impara facendo esperienza. Vuoi essere un compositore? Studi la tecnica e lo strumento al conservatorio, così saprai declinare la tua creatività. Ma se vuoi fare la romanziera? C’è qualche scuola privata e una infinità di proposte non qualificate, ma nulla altro. Ecco, questo diventa un guaio quando tutti scrivono e nessuno legge. Abbiamo però studi formativi che garantiscono grandi professionalità all’interno delle case editrici: bravi editor, uffici stampa, grafici e quant’altro. Strano, no? Quello che manca è un percorso di studi che garantisca una formazione agli scrittori.

Sono vent’anni che lavoro per imparare a fare il mio mestiere di scrittrice di storie di ragazzi e di ragazze e grazie ai consigli di bravissimi editor e a un paio di stroncature terribili sono diventata quello che sono. Leggere e ascoltare i grandi autori durante festival, stage, mostre del libro ha fatto il resto. Incontrare i ragazzi e ascoltarli, invece, è stato fondamentale. Perché è di loro che scrivo.

Anni di appunti presi e, bene o male, mi sono formata. Ho idee precise sul mio mestiere, che evolvono e hanno parecchio a che vedere con il diritto alla lettura. Un diritto che andrebbe insegnato e spiegato a tutti, ma di cui pochi ragazzi conoscono l’esistenza. E anche pochi adulti. Insegnanti virtuosi, festival del libro e percorsi educativi ci provano a diffondere buone pratiche di lettura, ma restano gocce in un mare di giovani non lettori.

Se i ragazzi e le ragazze leggessero…

Servono interventi strutturali nella scuola e biblioteche scolastiche aggiornate obbligatorie per cambiare nella nostra vita quotidiana il valore dei libri. Per ora restano un sentito dire, servono come punto di riferimento quando parliamo di cultura, ma pochi sperimentano davvero la lettura. C’è da svecchiare l’oggetto libro; bisogna dimostrare che leggere può essere emozionante e stimolante proprio come guardare un film o ascoltare musica; e lo affermano le neuroscienze non la parte romantica di me. È un dato di fatto. Certo, bisogna imparare a leggere.

Trasmettere la bellezza della lettura ai ragazzi è un’urgenza se non addirittura un’emergenza.

Se i ragazzi aspettassero l’uscita di un libro come aspettano quella di un videogioco o un film, avremmo la certezza che sta crescendo un popolo sano, capace di pensare e di ragionare. Usiamo la tecnologia, divertiamoci, arrabbiamoci e disperiamoci sui social, ma sempre assumendo l’antidoto all’ignoranza e al pensiero univoco che è la lettura dei buoni romanzi contemporanei e classici. Non si tratta di sostituire ma di aggiungere.

Se i ragazzi leggessero, sarebbero loro a creare il mercato librario a loro destinato. Come accade con i videogiochi o i film.

Il rischio di perdere la bussola…

Invece, temo che in Italia ci stiamo accontentando. Sì, rincorriamo l’unica fonte di sostegno dell’economia libraria che è la narrativa scolastica. La lettura che nega se stessa e diventa un modo per studiare. Legittimo, per carità, perché attraverso la narrazione si possono approfondire le tematiche dello studio. Ma non può essere un percorso assoluto e deve sempre rispettare il concetto dei buoni libri, quelli capaci di contenere la bellezza, la buona scrittura e l’anima potente delle storie.

Dall’estero arrivano traduzioni di romanzi in cui gli editori e gli scrittori hanno creduto, forse avevano quelle basi di competenza e consapevolezza del proprio mestiere che a noi mancano o se non mancano allora manchiamo certamente di coraggio.

Se consideriamo i ragazzi i nostri lettori ideali, dobbiamo cercare di capirli e ascoltarli, noi scrittori per primi, provando a dar loro fiducia e a fare libri per loro Per emozionali, stupirli, affascinarli. Pensandoli come persone e non come rigurgito di scelte comunque adulte. Provare a colpirli e riuscire a farne dei lettori, perché i buoni libri hanno questa attitudine. Un buon libro sa creare un lettore.

La lettura è un rifugio, non la scrittura” dichiara Melvin Burgess in un’intervista rilasciata durante il festival Mare di Libri in onda 2020. “I miei libri hanno un percorso al loro interno, un viaggio. Il primo a compierlo sono io, portando il lettore con me. Io non cerco di fare lezione al lettore, il processo del viaggio a me insegna sempre qualcosa, se vale anche per il lettore: bene. Allora io entro in contatto con il lettore.” (Trascrizione libera della traduzione simultanea di C. Codecà). Burgess suggerisce anche di non scrivere solo di quello che si conosce, ma anche di quello che non si conosce, indagandolo.

Scrivere deve essere una sfida, un’incognita, un viaggio. Chi scrive di ragazzi e di ragazze e sopratutto per loro, non è diverso da chi scrive per adulti. Forse ha solo, legittimamente, una sensibilità diversa.

Venire allo scoperto…

Ho la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti e una volta una ragazza mi ha detto che nella sua scuola era stato invitato l’autore di un libro che avevano letto, ma che a lei non era piaciuto e del quale aveva dovuto fare comunque una recensione positiva. Ogni volta che entro in una scuola per incontrare gli studenti che hanno letto un mio romanzo, penso a lei.

Mi piace l’idea di togliermi i panni della scrittrice, di spogliarmi di quel ruolo che seduce tanto chi scrive storie. Il ruolo ci omologa agli altri, ci rende servili a un sistema che lusinga. Ho l’esigenza di restare solo quella donna che dà vita a un romanzo. Onesta con me stessa prima di tutto, ma onesta anche con i lettori. Restare unica e imperfetta, senza pudore, senza paura. Non si deve piacere a tutti, se capita c’è da dubitarne.

Il mio romanzo avrà, forse, il potere di scatenare emozioni e riflessioni. Sono i romanzi a dare qualcosa ai lettori come anche agli stessi autori. Il libro è del lettore, ognuno vi legge la propria storia e se lo rileggerà in un altro periodo della propria vita, sarà una storia diversa. Un lettore non è mai passivo.

Chi scrive è al servizio delle storie, la sua umanità e sensibilità lo è, se si considera il romanzo un prodotto creativo e artistico, cioè il frutto di un’idea che nasce senza avere origine eppure viva.

Insomma, queste riflessioni sono solo mie, sparse in questo articolo per tenerle a mente. Raccontano spigoli di un mondo editoriale e artistico composto di mancanze che, forse, alcuni di noi mal sopportano, ma non sappiamo o non vogliamo cambiare. Comunque la giostra gira, fermarla per cambiar posto alle idee costa fatica e soldi. Eppure se fossimo disposti a sacrificare qualcosa, credo che metteremmo in moto una trasformazione importante.

Ragazzi che leggono per libera scelta garantiscono un mercato librario sano che deve temere i propri lettori: sagaci e pronti a condannare; lettori praticanti e spietati. Un mercato capace di alimentare se stesso e di crescere.

Io li vorrei così i lettori, anche se a volte mi farebbero male. Lo so.

*Per correttezza aggiungo che nel mio discorso non considero il genere fantasy, che ha vita propria, e sopratutto ragiono sui romanzi per ragazzi dai 12 anni in su.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Scrivere è un affare di famiglia

Scrivere inizialmente per me è stato un affare di famiglia. E come tale, dato che i panni sporchi si lavano in famiglia, non se ne poteva parlare fuori delle mura domestiche. Ci ho messo molto, quasi venti libri pubblicati con case editrici nazionali medie e grandi, per trovare il coraggio di definirmi una scrittrice.

Quando nel 2006 pubblicai il mio primo romanzo i figli, entusiasti, mi chiesero se potevano dirlo alla maestra. Non potevo deluderli e alla maestra la cosa piacque. Timidamente accettai uno dei miei primi incontri con i ragazzi di scuola. Un bambino alzò la mano per intervenire dopo che la maestra aveva spiegato alla classe di come la mamma di un loro compagno fosse una scrittrice di storie per ragazzi e disse: “Ecco perché lui, ai compleanni, regala sempre libri!”.

Ancora rido. Eppure non fu un’osservazione banale! Appartengo alla specie umana dei lettori: leggiamo, amiamo, condividiamo e regaliamo libri in ogni occasione. Le storie ci scorrono nel sangue non possiamo farne a meno!

Fino a oggi ci sono stati una ventina di libri pubblicati ma anche venti anni di lettura, studi e scrittura. Una parte del mio lavoro legato alla scrittura, all’inizio, è stato sul campo.

Ho studiato Discipline dello spettacolo all’università, non letteratura; arrivavo alla scrittura dalla pratica della lettura, non dalla teoria e avevo letto pochi libri per ragazzi. Dalla più tenera età avevo sempre potuto scegliere quello che volevo, senza alcuna censura, dall’enorme libreria di casa stipata di romanzi d’avventura e gialli per adulti, classici e contemporanei.

Sul campo? Sì, leggevo ai miei figli ancora piccoli, oltre agli altri romanzi, anche le mie storie inedite, a puntate, la sera, prima di dormire. Erano i miei consulenti. Se loro stavano attenti, nella loro camera con accesa solo una lucina da lettura per creare l’atmosfera, quello che avevo scritto funzionava; se avevano sete, dovevano andare in bagno, cadeva il cuscino, quello che avevo scritto andava riscritto.

Buttare mi fa paura, sia chiaro, ma bisogna accettare di poter buttare del materiale che non funziona, se si vuole fare la scrittrice come mestiere.

Ecco il contributo che hanno dato i miei figli alla mia carriera. Però era anche un gioco complice, era un vivere insieme nelle mie storie. Da quando i miei figli sono stati in grado di giocare da soli, ho cercato di dare loro uno spazio privato. L’ultimo piano della nostra casa era loro: una mansarda con la moquette, una cassa con i costumi, una casa fatta con una grossa scatola, peluche, libri, costruzioni, matite per colorare, fogli di carta. Materiale per costruire giochi e immaginare avventure. Avevano il loro spazio privato e il loro parere sui miei libri contava. Bambini e individui da ascoltare. È così che mi piacevano!

Ricordo ancora quando decisi di far morire un personaggio in una storia e scatenai una vera rivolta, a notte tarda, perché accadeva alla fine del romanzo. Allora loro salvarono la vita di un personaggio e io riscrissi il capitolo. Loro erano i lettori. Le storie erano e sono dei lettori. Così sono nati i miei libri: cercando sempre la complicità dei ragazzi e il loro rispetto. Non voglio dimenticarlo, perché resta un buon principio per cominciare bene ogni nuova storia.

Oggi i miei figli sono giovani adulti, ma se pranziamo o ceniamo insieme capita ancora che si parli di un mio personaggio come fosse uno di famiglia e per scherzo se ne citino le battute. Spesso si tratta anche di romanzi che sono rimasti inediti, ma che nel loro immaginario di bambini hanno avuto un posto importante.

“Charles è una sottile sagoma di fronte alla folla fervente, nella luce brutale dell’illuminazione a gas che scolpisce ogni tratto di quel viso noto a tutti. Non ha mai letto così bene né con tanta disinvoltura. Quando termina il secondo brano, scoppiano applausi che durano diversi minuti. Lui, che non ha mai concesso il bis, torna comunque in scena. Si fa silenzio. «Signori e signori, sarebbe inutile fingere che mettendo fine a questo episodio della mia vita, io non stia provando un sentimento di profonda tristezza». Quindici anni di letture pubbliche e questa sera è tutto finito.” da Picnic al cimitero e altre stranezze, un romanzo su Charles Dickens di Marie Aude Murail, Giunti Editore.

 

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

8 marzo 2020

Nei tempi del Coronavirus i nostri pensieri sono impegnati in altro, e forse in altro ancora non sono impegnati abbastanza.

Comunque non fatemi gli auguri per la giornata di oggi, dell’ 8 marzo,  e non massacrate le mimose e per carità non mandatemi fiumi di parole d’occasione per messaggio, volete fare qualcosa per me? Leggetevi i miei Se la tua colpa è di essere bella e/o Io non lo odio, sono solo storie ma già capirete in quale donna credo.  Sono stata tante donne perché ho vissuto abbastanza per riconoscerle e forse non sono neanche fiera di tutte.

Leggere più romanzi di una stessa autrice traccia il suo pensiero, costruisce la sua impronta, il suo crescere e cambiare nel tempo, anche se si tratta di romanzi per ragazzi, sì, esattamente, avete capito bene.

Leggetemi e mi consocerete con le mie fragilità e i miei entusiasmi. Poi ci sono anche gli articoli sul blog, il mio diario, anche qui ci sono con fragilità ed entusiasmi.

Quello in cui credo non lo direi mai in un romanzo, non penso che potrebbe o dovrebbe interessare qualcuno, le mie storie sono solo storie, ma, nel tempo, conoscendole conoscerete me. Scrivere resta un po’ donarsi e come lettrice lo so bene.

I libri di Giuliana Facchini

Mother’s day , ma solo neo miei romanzi

Se sei donna e scrivi per ragazzi

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Se sei donna e scrivi per ragazzi

Se sei italiana, scrittrice di storie per ragazzi e donna ecco alcune regole non scritte, un po’ fumose, un po’ rognose, un po’ per ridere e soprattutto da non prendere troppo sul serio.

Se sei donna e scrivi per bambini sei fortunata. Certo, se scrivi per i più piccoli sei facilitata, sembra essere scolpito a grandi lettere nell’immaginario collettivo; l’asilo, prima di arrivare a essere la scuola dell’infanzia, è stata scuola materna. Le parole contengono concetti, le parole spiegano. La scrittrice è materna pure lei, e poi quando i lettori sono piccoli è intimamente rassicurante invitare una donna al famoso incontro con l’autrice. Che non si sa mai. Per fortuna le scrittrici italiane per bambini sono molto brave e della maternità, se non è pertinente, se ne infischiano. Se sei donna sei abituata a infischiartene. Mica puoi farti sempre sangue cattivo.

Se sei uomo e scrivi per bambini sei un po’ meno fortunato.

Sa sei donna e scrivi per ragazzi devi metterti in coda. Se scrivi d’avventura devi metterti in coda, molto in coda, proprio indietro. D’avventura scrive meglio un uomo. Non c’è storia, non c’è discussione. Suvvia non scherziamo: s’è mai vista un’avventura materna? Una maternità avventurosa, forse! La mamma sta sempre sulla porta a richiamare all’ordine, a porgere la felpa o lo spolverino, a insistere perché il protagonista mangi a sufficienza, con questi presupposti: una donna che avventura può far vivere a un ragazzino? Dove sono le competenze? Ci sono pure le madri archeologhe, ninja e soldatesse, ma vogliamo proprio raccontarlo? Che lo facciano le scrittrici straniere! Che le scrivano di casa loro queste storie!

Le biografie, invece, sono concesse, sia di donne che di uomini. Le eroine si possono raccontare, non sono tante,  che le scrittrici se le spartiscano pure! Gli scrittori uomini sono magnanimi al riguardo, in fondo, loro hanno un sacco di eroini di cui scrivere.

La letteratura civile è da condividere tra scrittori e scrittrici per ragazzi. Tira e molla. Chi più chi meno. Se sei uomo sei un pochino più fortunato. Il motivo? Non c’è. Sei scrittore un motivo per essere fortunato lo hai in ogni caso: sei pubblicato da sempre, la letteratura italiana è affollata di uomini.

Poi, esiste il fantasy, questo genere ambiguo che leggono maschi e femmine e che scrivono pure le femmine, anzi in Italia, per ragazzi, soprattutto loro. È un genere complicato, mondi da inventare e un’ideologia sottintesa che sta in equilibrio precario tra le pagine. Si può essere accusati facilmente di ambiguità se non si sta attenti. Una rogna, insomma, che se la sbrighino loro, le scrittrici. Con quella mente complicata, quei capelli colorati.

Se sei uomo e scrivi per ragazzi al massimo ti prendi il genere distopico dove l’avventura è più reale, molto simile ai giochi che facevi in cortile da bambino e con cui ti divertiresti ancora oggi. Senza alcun dubbio ti ci divertiresti ancora oggi.

Se sei uomo e scrivi d’avventura per ragazzi sei fortunato. L’avventura: quel benedetto, affascinante e intrigante genere che è l’ingrediente principale dalla fabbrica delle storie. Sei conteso perché l’avventura la leggono tutti: ragazzi e ragazze. Se usi un protagonista maschio, le femmine se ne infischiano e s’immedesimano  (siamo abituate fin da piccole a infischiarcene) se usi una femmina per protagonista puoi farne un maschiaccio tanto non ti par di far torto a nessuno e poi l’avventura piace molto anche alle professoresse che, si sa, i poli opposti si attirano.

Vuoi mettere se sei prof e ti arriva in classe un giovane e aitante, o anche brizzolato e affascinante, scrittore per ragazzi? Tu che al massimo sul posto di lavoro c’hai il collega zitello di lettere o quello passabile di matematica in una percentuale di dieci a una? Se sei uomo e sei scrittore per ragazzi sei figo per principio, sei figo a prescindere. Sei coccolato, adulato e amato con vere standing ovation e per imitazione apprezzato e letto dagli studenti. Inutile predicare, è l’esempio che conta.

E detto tra parentesi: chi di noi donne non lo vorrebbe uno scrittore per compagno, amante o marito? Noi che siamo cresciute con il mito dell’uomo alla Colin Firth, con alle spalle Woody Allen e Mister Darcy, sempre in bilico tra L’attimo fuggente e Hogwarts.  Per noi che leggiamo come dannate, lo scrittore nel nostro immaginario è meglio del principe delle fiabe. Soprattutto se montanaro. Scarponcini e camicia a quadri sono di rigore nell’incontro con l’autore. Fascino spiegazzato e sguardo un po’ perso. Lo zainetto aumenta il punteggio. La tirata con voce pacata sulla letteratura russa, con quel gesticolare stanco, di chi al mattino crea personaggi indimenticabili per le pagine delle proprie storie e il pomeriggio scala vette e spacca legna da ardere, ci lascia senza fiato.  Siamo noi lettrici a mandarlo in ristampa e in ristampa. A creare il mito (altrimenti non esisterebbe). Facciamo tutto da sole, noi donne.

E quindi va bene anche lo scrittore per ragazzi: intellettuale, complice e cameratesco con gli studenti, comprensivo con la burocrazia scolastica e piacevole conversatore durante il pranzo offerto. Siamo donne, tra noi ci si capisce, ci si comprende e se sei scrittrice per ragazzi meglio che l’avventura la lasci perdere. Giochi in casa, conosci i rischi. È quasi un atto di sorellanza mettersi da parte. Se sei donna e scrivi d’avventura per ragazzi sai già che lavori poco. Al massimo se proprio vuoi, te ne infischi (vedi sopra).

Se sei scrittrice e scrivi problem books hai il tuo spazio. Ragazzine sfigate da raccontare ce ne sono: bullizzate, molestate, isolate, mollate. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di una donna conosce certe pene e le sa raccontare. Sei una sorella maggiore, una spalla su cui appoggiarsi, colei che non fa sentire sole le lettrici. Tanto i maschi non le leggono certe storie, resta tutto tra donne.

Se sei scrittore e scrivi di problem books hai il tuo spazio. Ragazzetti tormentati da raccontare ce ne sono: incompresi, arrabbiati, solitari, innamorati. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di un uomo è capace di educare un giovane uomo alla vita. E anche una giovane donna, perché, sì, quelle leggono tutto. Pure dei problemi psicologici maschili si devono impicciare, pure in quelli si devono immedesimare. E con certi personaggi un po’ bruttarelli e timidi tra le pagine, pure materne riescono a diventare. Sempre in mezzo le lettrici femmine. Una condanna.

Uno spazio tutto loro tra i libri, i maschi non ce l’hanno. Poveracci! Poi si dice che non leggono e si buttano negli sport come il calcio. Per forza! Ah, no. Adesso c’è pure la nazionale di calcio femminile…

Se sei italiana, donna e scrivi per ragazzi anche il vocabolario è chiaro: romanzo, sostantivo maschile; lettura, sostantivo femminile. Insomma se sei scrittrice per ragazzi  te la devi mettere via e infischiartene, tanto poi, alla fine, è la storia che conta e che insieme alla buona scrittura produce splendida e coinvolgente letteratura per ragazze e ragazzi!

(Problem books, cioè: “libri su un problema” da “Storia delle mie storie” di B. Ptzorno).

Come nascono le mie storie… SE LA TUA COLPA È DI ESSERE BELLA

Come nascono le mie storie… IO NON LO ODIO

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Portiamo la passione per la lettura tra i ragazzi

Nello spazio Leggere Ribelle Verona appena aperto, nell’ultimo incontro, eravamo in tre. Mancavano tre ragazze che partecipavano agli eventi della Fiera Cavalli, una manifestazione molto importante in città. Sul pavimento nel circolo di lettori già 20 proposte di lettura, 20 libri, e solo otto paia di piedi, più il paio della redattrice e quello della bibliotecaria. Poteva essere un incontro triste ma non lo è stato.

Un ragazzo aveva letto e ha raccontato Cercando l’onda, di C.Vick, con passione e dovizia di particolari, emozioni e dissonanze. Poi ho raccontato io, la redattrice e il secondo ragazzo che aveva letto solo a metà. La ragazza era nuova, non ha voluto narrare le sue trame in particolare ma in generale. Il tempo è volato e i ragazzi sono andati via con due, tre, due libri a testa e hanno semplicemente detto che torneranno, hanno lasciato i dati per il loro passaporto del lettore del blog. Decisi, sicuri. Siamo andati via appagati. La passione per i libri unisce quando si crea. “Me ne vado con molta più voglia di tornare rispetto al primo incontro” ha detto uno dei ragazzi, 15 anni.

Certo, sono pochi, ma anche il gruppo fondatore di Leggere Ribelle è partito da tanti, pochi e poi si è rinforzato; ora sono 16 i partecipanti attivi. Certo è una sciocchezza in confronto al popolo dei giovani, ma mi domando cosa accadrebbe se insieme a libri e autori portassimo tra i ragazzi la passione per la lettura. Non è sempre invitata a partecipare. Si muovono soldi e autori, sembra che i progetti per la lettura siano dei potenti strumenti per diffondere libri e cultura (parola troppo sfruttata, ahimè), ma poi cambia davvero qualcosa? O restano solo un bel manifesto, un fiore di plastica all’occhiello di qualche giacca o cappotto, e la coscienza che sembra a posto?

Ho partecipato a un piccolo festival per ragazzi, non avevano letto i miei libri e allora ho fatto due eventi di un’ora e mezza ciascuno raccontando libri e passione per la lettura. Come solito ho chiesto chi fossero i lettori e chi i non lettori. I non amanti dei libri hanno finito per farmi più domande degli altri, avevano occhi brillanti, hanno scritto sul diario (e non era richiesto) tutti i titoli che ho proposto, miei e non.

La lettura dovrebbe essere promossa a scuola, resa importante come la matematica, la storia, la filosofia ma necessariamente come “materia” differente. Con  uno spazio proprio. La lettura dovrebbe fare un salto di qualità tra le mura scolastiche. I docenti dovrebbero essere formati al riguardo.  (Quanti, per esempio, conoscono ReadOn?). Finché non sarà così e ci affideremo solo a fantomatici progetti per la lettura, i libri scivoleranno ancora troppo spesso sui ragazzi senza lasciare traccia, senza creare nuovi lettori.

I protagonisti degli incontri dovrebbero essere proprio i buoni libri, la buona letteratura contemporanea capace di catturare lettori. Perché è la sua missione, il suo fine ultimo. Sono sempre i libri a fare la differenza. Portiamo molti buoni libri ai ragazzi, creiamo degli spazi di lettura libera e avremo, è molto probabile, nuovi lettori.

Sono dati reali quelli forniti sulla lettura e i giovani lettori? Non so bene come valutare i libri venduti, per esempio, per un qualsiasi progetto di lettura associato alla scuola; sono anni  che giro nelle scuole come autrice e i libri acquistati (quando va bene) spesso non sono del tutto fruiti ma solo comprati dai ragazzi, letti tanto per leggere o da associare allo studio e poi dimenticati.  Il libro rimane carta stampata, non diventa contenitore di vita e di emozioni, non innesca la passione. Ma nelle statistiche conta come libro di narrativa letto?

Libro letto? sì! Lettore abile? No!

Ci sono meravigliosi progetti di educazione alla lettura, e nel temine includo anche i festival e tutti quegli eventi che portano i libri ai ragazzi, che davvero creano lettori, ma ce ne sono altri che, secondo me, smuovono poco o nulla in quanto a passione per la lettura e credo che il motivo sia perché partono da un principio sbagliato. O forse un principio non lo hanno proprio. Gli interessi economici, la poca formazione dei promotori o a volte addirittura l’ingenuità, penalizzano ancora troppo il nostro Paese. C’è da rimboccarsi le maniche.

È un’emergenza creare lettori.

(Se non c’è chi compra libri, non c’è necessità neanche di scriverli, o no? Domanda o trabocchetto? ).

Mi viene voglia di urlarlo a chiunque abbia a che fare con i libri e i ragazzi: formatevi! Leggere libri per ragazzi scritti da autori e autrici italiani e non; informarsi sulla realtà dei giovani lettori e della lettura fuori dall’Italia e ragionare in parallelo; seguire convegni e professionisti competenti; sacrificarsi, anche, se serve, per la qualità della scrittura per ragazzi. Non improvvisare.

Incontro con l’autore? Io la penso così!

 

 

 

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Contro l’impoverimento dei libri per ragazzi

Una delle cose che mi mette a disagio del mondo della letteratura per ragazzi è la ricerca affannosa dell’argomento o dell’avvenimento che tra cinque, sei mesi, un anno sarà quello più richiesto e quindi essere pronti per poter pubblicare a raffica romanzi, biografie, raccolte di vite di personaggi relative a quell’argomento o quell’avvenimento. In versioni svariate. Mi mette un’ansia terribile e cerco di starne alla larga. Un po’ come i pandori che il due di novembre prendono il posto delle zucche. Mi danno la stessa ansia.

D’accordo, il mercato editoriale in generale utilizza il meccanismo d’indovinare le tendenze e i gusti del lettore, però il sistema trova la sua massima applicazione tra i libri per ragazzi. E forse in maniera singolare.

Genericamente, oggi, nulla sembra essere vissuto per quel che è, ma perché va consumato. Subito. Credo, forse, sia un po’ la nostra malattia.

Un buon libro ha i suoi tempi di lettura, un buon libro ti inchioda ore fermo sulla poltrona, sul letto con i cuscini dietro la schiena, sulla coperta distesa sul prato. Un buon romanzo non va di corsa, anzi ti impone di fermati. Quando dicono: non ho tempo per leggere, è perché per leggere serve tempo, non possiamo far diventare un libro un prodotto usa e getta.

Cosa ce ne faremo tra un po’ di mesi di tutti i libri sulla Luna pubblicati perché sono passati 50 anni esatti dall’allunaggio? Solo qualcuno molto bello, perché per fortuna i libri belli esistono, resterà sugli scaffali delle librerie, un po’ defilato, per quei lettori che alla luna pensano spesso o sempre.

I giovani (e non solo loro) in Italia entrano poco in libreria e fuori da scuola non leggono volentieri o in pochi leggono, oppure sono lettori seriali o di Fantasy. Quindi per quanto riguarda i libri per ragazzi, l’uscita di un romanzo per il preciso appuntamento con una ricorrenza, un centenario o solo un problema sociale urgente è la risposta alle necessità della scuola (in particolare secondaria di primo grado), il polo di diffusione della lettura e in particolare della vendita dei libri. Sono loro che dettano in buona parte la legge del mercato editoriale della letteratura per ragazzi.

Perché alla scuola sono utili i libri che trattano argomenti specifici? Per esempio ora è il momento del muro di Berlino. Del Muro a scuola non si può parlare leggendo articoli e testimonianze, ascoltando brani musicali o documentari? Bello farlo anche con i romanzi, vero. Verissimo. Io stessa quando volevo approfondire cosa fossero i kibbutz ho letto Amos Oz che ci ha vissuto. Appunto Amos Oz.

L’editoria per ragazzi si sta specializzando e forse vuole offrire alla scuola, già pronto, un tipo di romanzo che riassuma e svisceri l’argomento o il personaggio: una comodità, insomma.

Non sono tutti (alcuni sì, non lo nego) veri e propri romanzi, se come romanzo intendiamo una una buona storia, accattivante e sorprendente, e una scrittura di pregio. Mesi di lavoro creativo e faticoso che uno scrittore decide di affrontare come una necessità e che farà innamorare l’editore e appassionare il lettore.

Credo che dobbiamo cercare di non perdere di vista il vero significato della parola romanzo usandone invece un surrogato che s’identifica forse con una via di mezzo tra il manuale e il racconto. Come tale, se ben fatto, insegna. Leggere rimarrà qualcosa di simile allo studiare, magari uno studio facilitato. Fluido, piacevole. È bello facilitare lo studio. Non è cosa da poco. Ha un suo valore.

Di fatto, però, lo studente non lettore continuerà a ignorare la passione per la lettura, per le emozioni che scaturiscono dal romanzo. Cosa che il lettore giovane di Fantasy non ignora anche se il suo genere di lettura sembra solo intrattenimento. Forse, invece, si avvicina di più a quello che un romanzo vorrebbe essere.

Senza sottrarre nulla, ma aggiungendo, sarebbe bello proporre (soprattutto nella scuola secondaria di primo grado) più libri che insegnino solo la passione per le storie e per la lettura, fonte di emozioni e attività piacevole, come la musica, il cinema, l’arte in generale.

Un buon romanzo insegna senza che il lettore se ne accorga. Se hai tempo di accorgerti che stai imparando qualcosa, ecco, non è un buon romanzo, è qualcos’altro! Un buon romanzo ti frega, ti rimane nella testa, capisci dopo, a volte molto tempo dopo, cosa voleva dirti. A te solo o sopratutto a te.

Non mi piace l’idea che il mondo italiano dei libri per ragazzi possa impoverirsi (e forse sta già accadendo), vorrei che uscissero meno romanzi con la data di scadenza e ci fosse più spazio per altri romanzi. Capisco che vivere di libri per ragazzi è quasi impossibile. Ma. Ci sono bravissimi scrittrici e scrittori italiani per ragazzi. Solo i buoni libri creano lettori. Più lettori veri ci sono e maggiore è sostengono per il mercato editoriale. Qualsiasi altra espressione non torna, è matematico.

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Fiutando libri, ponendo domande, scrivendo storie

I miei manuali di scrittura creativa sono i buoni romanzi; annotazioni di lettura e appunti per la romanziera che vorrei essere.

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La genialità della grande scrittrice sta nel mandarci un messaggio potente raccontando l’umanità. I sentimenti, i dubbi, le emozioni, i dolori, gli sbagli, le felicità fanno di noi gli esseri umani. E la lente d’ingrandimento che usa per svelare a ognuno di noi chi è, si chiama ironia. La perfezione esiste e si compone di molteplice diversità.

Lupa bianca, lupo nero, di Marie Aude Murail, è il primo capitolo di una serie di romanzi centrati sul mondo dello psicologo antillano Sauver Sant Yves e di suo figlio, Lazare.

Dove se non nello studio di uno psicologo, Murail poteva far convergere in modo del tutto intelligente, casuale e logico le mille problematiche che l’umanità affronta ? Un dottore in psicologia qualunque? No, un uomo alto e affascinante e di colore. Non risparmia nulla l’autrice. Davvero una galleria effervescente e ricca di tematiche attualissime che tormentano l’umanità che cambia e si adatta come ha fatto per millenni e non senza fatica. L’ironia ci accompagna alla scoperta di chi siamo, sotto lo sguardo benevolo di chi sa sorridere di se stessa e vorrebbe che tutti sapessero farlo.

Ognuno legge nei libri quello di cui ha bisogno. Io leggo e cerco nelle storie quello che penso possa fare di me una romanziera migliore. Spesso dico che i miei manuali di scrittura sono i romanzi buoni, creativi, sorprendenti. Quando li incontri, ti capisci meglio.

Dopo una prima parte che sembra un lungo prologo denso, capace di offrire ai lettori una umanità viva, ironica e dolorosa al contempo, il romanzo vira sul vissuto del protagonista e la sua storia personale in un crescendo di mistero e profondità di sentimenti. Chi aiuta gli altri, sarà in grado di aiutare se stesso? Quanta complessità in questo intreccio di sguardi sugli altri e su se stessi! Nella variegata complessità ci possiamo riconoscere e intraprendere la ricerca che a ognuno di noi spetta per capire, per non restare sulla superficie dei sentimenti e delle emozioni.

Ma io mi sono fermata prima. Quello che ha colpito me è la densità umana. Identità di genere, autolesionismo, relazioni di coppia, bullismo, pedofilia, atti estremi e razzismo solo per citare alcuni dei temi che spesso i romanzieri che scrivono di ragazzi affrontano uno per volta in una storia alla volta. I problems books estremizzati. Qui i problemi estremizzati sono mescolati e accostati perché nulla è mai analizzabile da solo se non non nella fiction, quella banale.  È come se vedessi questo meraviglioso romanzo fare le pernacchie a chi serio serio scrive un libro con una tematica adolescenziale che va isolata, descritta e bandita dal cuore e dall’animo del lettore adolescente. Una procedura che disumanizza la realtà, la semplifica per spiegarne la complessità (assurdo, no?) ed è un misero raccontare per iscritto, senza nulla attingere all’arte del romanziere. Davvero pensiamo che libri così scritti servano? Servono forse a chi il problema non lo conosce, non l’ha incontrato nella sua giovane vita e lo guarda dall’esterno senza curiosità. Chi nei casini di quel problema ci vive, il libro non lo legge e se lo leggesse ne riderebbe. Quel libro non serve a nessuno, se non a rassicurare noi adulti che abbiamo fatto il nostro dovere di educatori. Male. Fingendo di fare i romanzieri. Un pasticcio.

Questo vuol dire che di certe tematiche non se ne deve parlare? No! Ne puoi scrivere solo se le conosci bene o le hai vissute. E alcune le abbiamo vissute tutti noi. Credetemi. È solo una questione di registro.

Sto mescolando le carte?

Esatto. Ma mi spiego o meglio ci provo. A beneficio di chi legge e anche mio, sia chiaro.

cover InvisibileNel mio Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012), definito un romanzo a sfondo sociale, si dispiegano un intreccio di realtà emozionali che toccano i protagonisti. Significa che possiamo trovare all’interno della storia la tematica del bullismo tra le altre, ma non isolata e indagata. Quello che accade ai ragazzi è vita vera; chi di noi non si è mai trovato di fronte a un bullo? Non necessariamente qualcuno che ti ha spinto a pensare di toglierti la vita, ma qualcuno che ti ha umiliato, quando hai dovuto incassare e poi riprenderti e magari voltare pagina. Succede. Silvia in Invisibile subisce Mich, ci sta male ma la vita va avanti e arriva il capitolo successivo dove Mich non esce né vincente né perdente, lui non è stato messo in crisi, sebbene alla fine si sia dato da fare proprio per aiutare Silvia, Silvia che invece è cresciuta. Un intreccio? La vita è un intreccio e la storia che racconta Invisibile non è di bullismo, affonda nel sociale, appunto: in ciò che è relativo all’ambiente umano in cui si vive e all’ordine a esso inerente (Devoto-Oli).

Possiamo porre questioni di principio, raccontando. Lasciare che il lettore si identifichi e poi sedimenti in lui il pensiero del proprio principio di giustizia sociale e umana. Creare, quindi, spazi di libertà di pensiero; nessuna forzatura e nessun indottrinamento, raccontando. Ecco il grande potere del romanzo, il valore di storie come quelle che racconta Murail. (Non io! Che sia chiaro, io ci provo!)

Leggere può rendermi una romanziera migliore, spero. Finché io mi farò domande, avrò storie da raccontare. Un romanzo non dà risposte, indiscutibilmente regala i dubbi dello scrittore al lettore. Questo per quanto riguarda il messaggio profondo che ogni storia contiene, per il resto un romanzo per me è emozioni, sorprese, scoperte, passioni e vibrazioni… esplose o contenute, dosate a ritmo lento o incalzante, distese nel tempo o condensate in un attimo di parole e vita.

E poiché i romanzi sono incontri e gli incontri con i grandi romanzieri fermano momenti e alimentano pensieri, ecco la dedica che la signora Marie Aude Murail ha fatto sulla mia copia del suo Miss Charity. Una casualità?

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leggere e far leggere, un mestiere, una passione… una necessità

 

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Fiutando libri… sgranocchiando avventure!

I figli del re di Sonya Hartnett mi ha coinvolto come pochi romanzi. Se l’inizio sembra un po’ scontato, poi tutto è diventa affascinante: personaggi, paesaggi, situazioni. La storia è convincente, ricca di spunti e mai banale, anche raccontando di bambini e adulti come tanti, ma dalla psicologia sfumata e vivi tra le pagine. Me ne sono chiesta il perché.

Forse, romanzieri si nasce non si diventa.

Se mentre leggi scatta lo stupore, la voglia di andare avanti, la soddisfazione del finale, ti rendi anche conto che non è sempre così quando leggi. C’è una decisa differenza. Si pubblicano tanti libri e gli editori non sempre selezionano in modo adeguato per offrire buoni romanzi e non solo storie scritte.

Ultimamente, almeno nella narrativa destinata ai ragazzi e agli adolescenti, mi pare che sia troppo sfruttata la scrittura in prima persona. Forse dà allo scrittore l’impressione che si riesca meglio a stabilire empatia con il lettore. Probabile, ma è un’arma a doppio taglio. Difficile tenere se stessi lontano del personaggio. Difficile non banalizzare. Pericoloso confondere/mescolare le emozioni, le sensazioni, le percezioni dell’adulto che scrive con quelle dell’adolescente che vive tra le pagine. Altissimo il rischio di parlare solo a se stessi cercando di farsi ascoltare da tutti.

Più complicato è essere narratrici o narratori esterni. Emozionare anche con luoghi, profumi, ombre, urli o grida di un mondo in tre dimensioni che non solo il cinema sa generare. Gli scrittori bravi lo sanno creare da sempre. (E anche i bravi attori sul palcoscenico). Tecnicamente una sfida. Saper narrare una storia è prerogativa di pochi, scriverla bene è un dono creativo ancora diverso. E poi il finale. Forse la discriminante maggiore è proprio il finale: aperto o chiuso deve sorreggere l’intero romanzo. Spaventa? Deve. Non smettiamo di leggere.

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FestivaLetteratura 4-8 settembre 2019 a Mantova

Il Festival della Letteratura di Mantova arriva come un bellissimo regalo di fine estate.
Arriva il Festival per me perché un’editrice ha creduto in una mia storia tanto quanto me e in me molto di più di quanto io creda in me stessa (…frase difficile, ma vera).
Grazie Sinnos, Della Passarelli e Emanuela Casavecchi.
Già, perché alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna le organizzatrici del Festival sono andate a chiedere a Della di me. Ne è nato un dialogo buffo.
– Della, ci presenteresti la tua autrice che la vorremmo al Festival con La figlia dell’assassina?
– Ma la conoscete bene…
– No, non sappiamo chi è!
– Ma se era al Festival con il gruppo di lettura adolescenti!
Già, ci conoscevamo bene. Ecco, a questo dialogo ci tengo, perché mi racconta. Ho una doppia personalità: quella della lettrice e quella della scrittrice…e tra loro s’incontrano solo in segreto!

Svelato il mistero tutto è cominciato e mi hanno affidato gli eventi di colleghi e colleghe, amici e amiche come Laura Bonalumi, Luigi Ballerini e Emanuela Nava, che ammiro e di cui ho potuto felicemente leggere di tutto; un bellissimo laboratorio sulle Recensioni Emotive (appellativo coniato da Livia Rocchi! Che si sappia!) del gruppo Leggere Ribelle (domenica alle 11.00); un incontro mio e di Davide Longo (di cui ho letto tre bei thriller, scritti benissimo) con Simonetta Bitasi in cui parleremo di libri-ponte tra adulti e ragazzi e di ReadOn, un progetto bellissimo. (Sabato alle 19.00).

Metteteci una cena con un’editrice speciale, il venerdì del Festival con il gruppo dei ragazzi e delle ragazze di Leggere Ribelle e un pass FestivaLetteratura con cui accedere a quasi tutti gli eventi (… e mi sono allenata in montagna per avere il fiato di non perdere nulla! Sono un animale da Festival, io!) e cercate di capire quanto possa essere contenta… Tanto, insomma!

Gli eventi a cui partecipo li trovate qui in coda alla mia biografia e bibliografia

festivaletteratura.it/it/2019/autori/giuliana-facchini


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Gruppi di lettura per adolescenti: appunti di viaggio

Ho avuto la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti ( LEGGERE RIBELLE ) che ha concluso la sua prima stagione qualche giorno fa e sento il desiderio di condividere in questo articolo alcune considerazioni tratte dalla mia esperienza. Questo blog è per me un diario professionale e anche personale, lì dove il mio mestiere e la mia vita si sovrappongono.

Io sono un’autrice, ma da vent’anni, da quando ho cominciato a scrivere storie con protagonisti ragazze e ragazzi, non ho mai smesso di leggere romanzi di colleghe e colleghi italiani e stranieri e di curiosare ovunque si parli con competenza di promozione/educazione alla lettura. Oggi essere un’autrice (etichettata) per ragazzi ha poco a che vedere con la visone romantica della scrittrice tout court.

Non so bene quando mi sia venuto in mente di provare creare sul territorio dove vivo uno spazio dedicato ai lettori dai 13 ai 17 anni, ma in realtà credo di averlo meditato e studiato per anni. Forse non pensavo neanche che un giorno lo avrei fatto davvero.

Dopo un incontro in una scuola per uno qualunque dei miei romanzi, non so bene perché, ma si finiva per restare sempre a chiacchierare di libri con un gruppo di ragazze e ragazzi, che spesso mi sacrificavano la ricreazione. Non mi è mai piaciuto fare incontri con platee enormi, dove posso spezzetto, resto ore in più con lo stesso compenso (!) ma cerco il dialogo e il confronto personale con i miei lettori. Sempre. Consigliavo libri e finivo per raccontarli in breve e vedevo occhi affamati intorno a me. Insomma la fame di libri tra gli adolescenti c’è. I potenziali lettori si nascondono ovunque.

Quello che mancava, dunque, era uno scaffale dove trovare buoni romanzi di narrativa contemporanea. Libri sconosciuti nelle scuole e poco venduti/proposti nelle librerie se non in quelle specializzate. Buona letteratura pluripremiata da anni in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e non solo, ma per lo più sconosciuta agli adolescenti in Italia.

Come a volte capita, forse si sono allineati i pianeti giusti, ho incontrato un’educatrice territoriale Paola Zermian che crede nel potere dei buoni romanzi in età adolescenziale e una bibliotecaria indomita e quindi tutto è cominciato.

Tre importanti punti da unire per partire con un gruppo di lettura dedicato ai ragazzi dai 13 ai 17: una pedagogista, una persona che conosce bene il territorio e una lettrice forte in grado di portare agli adolescenti i libri giusti per far nascere la passione per la lettura o anche solo alimentarla adeguatamente.

Quali sono i libri giusti? Quelli che consigliano altri lettori adolescenti.

Questo è il principio da cui parte tutto. Se mi sento in grado di proporre libri a un gruppo di ragazzi è perché per anni e anni ho letto libri consigliati da lettori adolescenti esperti (come quelli, per esempio, del festival di Mare di libri di Rimini). Da lì tutto è cominciato. Ho ascoltato autori come Murail, Chambers, Burgess e parecchi altri, ho partecipato a seminari organizzati da Festivaletteratura di Mantova o Hamelin di Bologna e partendo dai gusti dei ragazzi e della scrittura di grandi autori contemporanei pluripremiati e grandi educatori alla lettura, sono nate le mie bibliografie. Anni di letture. Anni ad ascoltare consigli letterari di esperti che stimo e ammiro. Anni ad approfondire gli spunti che mi arrivavano. Anni, non giorni e solo per avere un piccola formazione. Lo riconosco.

Lo ribadisco perché un gruppo di lettura per ragazzi adolescenti non s’improvvisa. Quando s’improvvisa, scusate se lo scrivo e sono antipatica, si fanno danni o al massimo non si creano lettori (e allora un club serve solo ad alimentare l’ego dell’adulto che lo dirige). Che danni? Più che danni, occasioni perse: non si allargano le prospettive di lettura con buoni libri; non si affina il gusto per la lettura che poi con il tempo porterà il lettore a cercare altri buoni romanzi, i propri buoni romanzi, scegliendo con cognizione di causa.

I libri giusti sono quei romanzi che sono ben scritti e raccontano una buona storia e che affrontano argomenti forti e vibranti, perché se vogliamo creare lettori (o la passione per la lettura) tra i giovani adolescenti dobbiamo mirare al cuore e toccare le loro emozioni.

Di autori contemporanei perché vicini alla realtà dei potenziali lettori e vivi perché non si facciano l’idea che la letteratura appartenga solo a persone morte. (I mestieri creativi esistono anche oggi).

Scrittura contemporanea di grande qualità+una buona storia+emozioni.

Altro particolare importante è che non si deve obbligare nessuno a leggere un certo romanzo, ma si può, a ogni incontro, offrire un ventaglio di proposte invitanti e accattivanti, soprattutto se si accolgono lettori dai 13 ai 17 anni, che sono molto diversi tra loro. Noi siamo arrivati ad avere sul nostro scaffale dei libri 100 romanzi, in un anno e 10 incontri. Ognuno affronta la lettura quando vuole e quando se la sente, non c’è obbligo. Ci sono molti buoni romanzi diversi tra loro. Si può leggere di quello che interessa o stimola di più in quel preciso momento della vita, senza imposizioni. E poi ogni lettore può portare le proprie proposte di lettura.

Dunque, a ogni incontro si potrà scegliere liberamente un libro da leggere, che poi con naturalezza spesso diventano più di uno. I buoni libri mettono appetito.

Il libro letto poi si racconta/ propone agli altri giovani lettori senza fare spoiler e con l’entusiasmo o il non entusiasmo che ha suscitato la lettura. Se si sono letti gli stessi libri (capita naturalmente) se ne discute. Ne discutono tra lettori. Certi romanzi arrivano poi sul blog del gruppo sotto forma di consigli letterari. Quindi se l’argomento che attira il lettore adolescente è forte, verrà letto/vissuto, poi raccontato e quindi addirittura scritto. Tutto questo si chiama crescere con i libri, diventare lettori consapevoli e autorevoli, saper parlare e scrivere e pensare. Un’operazione delicatissima che va fatta con responsabilità nonostante sostanzialmente per i ragazzi sia solo leggere insieme. Ecco perché un’educatrice esperta di dinamiche di gruppo adolescenziali c’è, osserva, legge, supporta.

Perché un blog?

Il blog è la voce della piccola impresa di alcuni ragazzi adolescenti nel mondo della lettura; lascia una traccia nel tempo per noi e per gli altri; combatte l’immagine del ragazzo lettore come solitario e casalingo, lo trasforma in leader positivo: i ragazzi che leggono creano ragazzi che leggono.

Importanti sono soprattutto i momenti di verifica e riflessione tra gli organizzatori ma anche tra gruppi di lettura.

Ecco a cosa serve fare rete: al confronto. E serve uscire dalle pareti della biblioteca, zona confort, e andare ai festival, partecipare a iniziative collettive, incontrare autori e conoscere altri ragazzi che partecipano ad altri gruppi di lettura.

E ancora, chi si prende il piacere e l’onere di organizzare un gruppo di lettura deve fare autocritica se necessario e i conti con i bilanci di fine anno; senza timore, senza vergogna verificare con chi l’affianca i punti critici e migliorarsi, perché tutti sbagliamo e tutti possiamo migliorare.

Insomma fare le cose per bene per creare lettori adolescenti, per far crescere quelli deboli e alimentare quelli forti, non ha nulla a che vedere con l’improvvisazione sopratutto in un Paese di adulti non lettori.

Come per il teatro e per la danza così anche per la scrittura, tutti si sentono autorizzati e competenti per scrivere libri, fare corsi di scrittura o organizzare gruppi di lettura per ragazzi adolescenti (che sono cosa diversa da quelli per adulti).

Nessuno manderebbe il proprio figlio in una scuola dove insegnano docenti che non hanno una laurea e non sono abilitati all’insegnamento, ma nessuno ha problemi a comprare un libro di pessima qualità per i propri figli o per sé… ma questa è un’altra storia e un altro articolo.

(Per approfondire Gdl per adolescenti, come non educarli L’incontro con l’autrice e gli articoli raccolti in FIUTANDO LIBRI)

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Fiutando libri… una scorpacciata di emozioni forti!

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Ho appena iniziato “Per sempre o per molto molto tempo” di C.Carter ed è già molto doloroso e potente: “Non ci trovo nulla di buono in una cosa che non dura”.
Ho terminato la lettura di Almond che è sublime nel raccontare di Orfeo e poi Siobhan Dowd che per me è stata una scoperta prorompente. Amo le sue storie e la sua scrittura. Patrick Ness dice: “Non penso che abbia scritto questa storia su un giovane nomade irlandese per farci la morale. Penso che questa storia le bruciasse dentro. E penso che la ragione per cui questa storia le bruciava dentro fosse che era anche un atto di compassione, di empatia, un atto – posso osare? – d’amore”. Queste parole le incornicerei. Spiegano quello che dovrebbe essere un romanzo e che un romanziere non dovrebbe mai dimenticare. Questa storia è unica e bellissima. Sempre grata a Uovonero per averla portata in Italia.

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“Sa come costringersi a smettere di provare emozioni, la sua mente è più forte e stabile del caos volubile e imprevedibile che occupa il suo cuore. Non l’organo vero e proprio, certo, ma quel pasticcio arcano che lo circonda, le cellule nervose collegate al cervello e, chissà perché, piazzate in mezzo al petto, e le altre parti misteriose che non si possono osservare né misurare, quel punto del suo cuore che confonde panico e amore.” da Nowhere girls, di Amy Reed.
Me lo ha suggerito un’amica (ai cui suggerimenti tengo molto). Parla di violenze sessuali in una scuola americana, di una società maschilista e razzista e racconta di solidarietà femminile, di ragazze unite che non si vergognano più e non lasciano perdere perché “tanto non cambia nulla”. E poi ci sono le assemblee tra le ragazze e i loro discorsi che suscitano riflessioni e domande. C’è davvero tanto. Non so se era sfuggito a me oppure proprio non ha girato tra i lettori. Secondo me sarebbe un dovere farlo girare nelle scuole superiori. 58379205_2904087796282947_6305157074523258880_o

Mia madre è sempre stata una forte lettrice, tra i vari scrittori apprezzava anche Wilbur Smith. (Io stessa sono cresciuta con i romanzi storici, d’avventura e di narrativa poliziesca pescati dalla grande libreria materna. I classici per ragazzi li ho letti da adulta!). Ha appena finito di leggere la sua autobiografia e sulla scrivania mi lascia un foglio dove ha trascritto una frase (lo fa spesso). Dice che mi si adatta. “Non so da dove nasca il bisogno di raccontare storie, so solo che era dentro di me sin dalla volta in cui riuscii a comporre la mia prima frase.” W. Smith.
È mia madre, mi conosce meglio di me. C’era quando scrivevo storto sul quaderno di prima elementare.
Io invece ho appena finito l’ultimo libro di Ptzorno (che la genitrice ha già letto e apprezzato). La sua scrittura scivola come la seta tra le dita (e in questo caso calza a pennello), inutile ribadire l’ovvio: Bianca Ptzorno è una scrittrice di grande talento. Leggiamo e impariamo con umiltà. 

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La prima donna reporter, assunta nel 1887 a NY al NYWorld diretto allora da J.Pulitzer si firmava Nellie Bly. Una gran bella narrazione, si legge con molto piacere, non un romanzo ma appassionante vita vera.
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Belli tutti e due. Il secondo prezioso anche per i consigli letterari che contiene. Metto una citazione dal secondo romanzo, che però considero universale. La sento profondamente mia e la trovo bellissima. Credo piacerà anche ad Alice Keller.
“Innanzitutto scrivo di ragazzi perché sono un ragazzo. Scrivo per loro perché ho sempre pensato che scrivere per adulti sia artisticamente inutile: sono preoccupati per le rate delle macchina e i pagamenti delle ipoteche. I giovani invece possono ancora perdersi nella storia, vivono le avventure in modo molto più personale e possono identificarsi in modo viscerale con i personaggi. Tutte cose che gli adulti perdono con il passare del tempo. I ragazzi sono senz’altro i migliori lettori che uno scrittore possa desiderare.” Gary Paulsen
Grazie Camelozampa, grazie EquiLibri.

E poi…

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Se la tua colpa è di essere bella – la lettura di Mara Mundi per Firufilandia


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È raro trovare libri così onesti come “Se a tua colpa è di essere bella” di Giuliana Facchini, uscito per Feltrinelli, nella collana per ragazzi FeltrinelliUp, poco meno di un anno fa. È onestissimo nella scrittura: non vuole stupire, non ammicca al lettore, ma tiene salda la penna, offre qualità e cura, rende credibili la voce narrante, i dialoghi, le situazioni e i personaggi.

È onesto nella trama, che racconta la storia di tre amici, ai primi anni del liceo, alle prese con il tentativo di violenza subito da una loro compagna di classe, una sera, ad una festa di compleanno in discoteca.

È solo il pretesto narrativo, questo, per raccontare i giorni in cui il gruppo s’impegna per difendere la reputazione della loro amica, per smontare gli stereotipi, per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone. Ma soprattutto, nelle trame della vita quotidiana, senza sbavature, lontano dalle vetrine e dai podi, questi ragazzi ci mostrano che si può, anzi, si deve coltivare il sogno di un futuro collettivo migliore e che la vita ha senso soltanto nell’appartenenza, nell’essere con gli altri, in relazione .

Libri così, ci fanno sperare che il cinismo, lo sfruttamento reciproco che condiziona i rapporti di troppi adulti andati a male, sarà arginato dalle nuove generazioni, che ad esempio, tappezzeranno la facciata esterna dell’istituto scolastico con degli striscioni per rispondere agli attacchi omofobi ricevuti da un loro compagno. È successo a Brindisi, con un flash mob di solidarietà, appena qualche giorno fa. Succede anche nel romanzo, con un flash mob all’ingresso della scuola in omaggio a Laura, la bellissima ragazza processata dalla stampa dopo il tentativo di violenza, con frasi striscianti del tipo: se l’è cercata, troppo provocante, era vestita in modo succinto…

In questo libro apprezziamo il valore di chi combatte per la propria e per l’altrui felicità, e poco importa se si lotta per difendere il proprio diritto a portare un vistoso fiore tra i capelli, oppure per superare una difficilissima operazione di mastectomia bilaterale. Hanno valore entrambe le situazioni, perché entrambe celebrano la vita.

È un libro che canta la gioia in ogni sua forma, come si legge anche nella poesie che compone il protagonista. La voce poetica di Valerio, che dissemina versi e filastrocche, è opera di Roberta Lipparini, autrice delle poesie, che troviamo impastate qui e là in un romanzo che arriva come una carezza.

Oppure, per usare il linguaggio cinematografico cui spesso l’autrice fa ricorso, è un libro che vi terrà compagnia molto oltre i titoli di coda.

 

 

Mara Mundi, bibliotecaria e giornalista, è laureata in scienze pedagogiche e della progettazione educativa, con un corso di perfezionamento in letteratura per l’infanzia e promozione della lettura. Autrice di due saggi, pubblicati da Aracne, è convinta che leggere ad alta voce per persone di ogni età sia un atto d’amore e di cura.

 

 

 

 *Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non. Questa recensione mi è particolarmente cara. Grazie Mara!

Giuliana 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Un libro necessario

Un ponte di libri, di Jella Lepman mi ha incantato.

Mi ha incantato l’entusiasmo che pervade l’autrice e che traspare dal suo scritto. L’ entusiasmo è un atteggiamento da prendere con le pinze, pare che oggi gli entusiasti, ne esistono e io ne sono la prova, siano considerati poco eleganti. Eppure l’entusiasmo infuoca un progetto, lo rende vivo prima che sia realizzato, ha il potere di mostrarlo già fatto quando non lo è. L’entusiasmo ha un altissimo potenziale. Spesso nasce dalle macerie come quelle che calpestò Jella Lepman nella Germania del secondo dopoguerra. Un ponte di libri: unire attraverso i libri i bambini delle diverse nazioni in nome di una pace vera e duratura, divenne la missione di Jella Lepman, accesa sempre da un entusiasmo indomabile, anno dopo anno, pagina dopo pagina. E ne valse la pena.

Chi come me ha ricevuto sulla sua copia di Miss Charity una dedica da Marie Aude Murail come questa: Leggere e far leggere, un mestiere, una passione, una necessità e la sente sua, tatuata sull’anima, comprende bene l’entusiasmo di Jella Lepman.

Non ho la pretesa di saper parlare di pace attraverso i libri per ragazzi, ma sento di calpestare delle macerie. Non vere carcasse di edifici o buche provocate dalle bombe, ma credo che oggi ragazzi e adolescenti camminino sulle macerie di una società culturalmente disastrata, quella nostra, quella italiana. Se nel ’46 Jella Lepman cominciava a istillare attraverso i libri per ragazzi l’amore per la lettura, aiutata dalle donazioni di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e altre nazioni, gettando basi solide dove crescere lettori, oggi noi viviamo un momento di abbandono e disordine, mentre in Germania (e altrove) continuano a dare alla letteratura per ragazzi spazio e alimento.

Abbiamo bisogno di prendere esempio da Jella Lepman e di farci contagiare dal suo entusiasmo per ricostruire. Ne vale la pena perché, oggi come allora, quando si radunano intorno ai buoni libri gruppi di bambini, ragazzi o adolescenti è evidente il risultato positivo. I buoni libri uniscono, affascinano, creano spirito critico e stimoli che possono avere effetto sulla realtà. I buoni libri educano al pensiero libero e infondono coraggio e forza alle idee. Tutte pratiche cui noi adulti siamo ormai disabituati.

Senza una politica adeguata a favore dei libri e della lettura, che coinvolga innanzitutto scuole e biblioteche, rimarremo sempre un popolo di lettori deboli e il nostro mondo della letteratura per ragazzi e adolescenti resterà pervaso dalla sindrome del provincialismo, specie se messo a confronto con altre nazioni in cui autori e case editrici sono ben considerati e riconosciuti.

Con entusiasmo impegniamoci nel nostro Paese perché i ragazzi e le ragazze incontrino la buona letteratura contemporanea nazionale e internazionale; perché chi scrive scegliendo come proprio lettore ideale un ragazzo o una ragazza possa vivere del proprio mestiere; perché i buoni libri tornino ad avere un valore riconosciuto e non minore di una ricarica del cellulare; perché la buona letteratura per bambini, ragazzi e adolescenti viva con la dignità che merita e il rispetto della critica internazionale.

Un ponte di libri di Jella Lepman ha suscitato in me questi pensieri e bisogni. Un libro necessario, entusiasmante e pieno di entusiasmo.

Jella Lepman fondò la Internazionale Jugendbibliothek, creò IBBY (International Board of Books for Young People) e istituì il premio Hans Christian Andersen considerato il Nobel della letteratura infantile.

Grazie a Sinnos Editrice per questa nuova edizione del libro con la curata e scorrevole traduzione di Anna Patrucco Becchi.

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MA…

Un anno importante il 2018 per me. Due nuovi libri per ragazzi 13/17, quell’età per cui mi piace tanto scrivere. E un’età con cui mi piace tanto dialogare, infatti è nato anche un gruppo di lettura 13/17 nella biblioteca del Comune dove vivo, quello dei Lettori Ribelli. Un percorso il mio cominciato tanti anni fa e proseguito con tenacia. Ho lottato per quello che volevo fosse il mio mestiere e per farlo come lo intendo io.

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Ultimi usciti…

I ragazzi 13/17 non leggono, sembra incredibile voler scrivere per loro.

Ma… esiste un MA grosso, gigantesco. È quella congiunzione avversativa che racchiude in sé le potenzialità inespresse, accantonate, disabilitate. Esiste la fiducia in un futuro prossimo che sta tutta stipata in quel MA.  Le biblioteche scolastiche praticamente non esistono, ma tante insegnanti leggono insieme ai ragazzi; le biblioteche in generale non hanno fondi, ma i gruppi di lettura nascono e vivono nelle storie; le librerie a volte sono costrette a chiudere, ma noi scrittori continuiamo a scrivere pensando come lettore ideale un ragazzo o una ragazza.

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LEGGERE RIBELLE/ http://www.leggereribelle.com

Sembra l’azione di un manipolo di folli, eppure quella follia è ossigeno. Forse elio, forse un gas inebriante che contagia e  appassiona. Ogni romanzo appartiene a un lettore, eppure la storia può essere sempre la stessa che unisce nella naturale diversità di ognuno. Le buone storie non devono insegnare nulla, eppure nelle storie impariamo a essere liberi e a esercitare la nostra libertà.

I ragazzi e le ragazze che vivono pienamente il loro presente, ma hanno anche un libro  da leggere tra le mani, hanno dei sogni nel cassetto. In quel cassetto sta il futuro, anche quello di noi adulti di oggi.

Solo il vero folle non crederebbe nei ragazzi lettori e nelle ragazze lettrici.

Buon Natale e sereno anno nuovo!

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Le  mie  prossime letture!
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I miei libri…
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I miei libri…
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I miei libri…
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I miei libri…
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Fiutando libri e facendo un tuffo… tra i miei autori del cuore

Passare dalla Murail a Ness è stato uno shock. Un tuffo in un lago con l’acqua gelata. Due autori tanto diversi ma entrambi grandi.

Eppure, una cara amica libraia mi ha detto di un libro di Ness che le pareva costruito. Non ero d’accordo ma quella parola ha continuato ha ronzarmi in testa. Quel libro era forse costruito a meraviglia, Mentre noi restiamo qui un po’ meno. Ho grande stima di Ness, ma questo libro mi ha dato ha qualcosa meno degli altri. (A parte la nota finale dell’autore che trovo strepitosa).

Sarà che sono fissata con la questione età e che una collega scrittrice mi dice sempre: per quanto potremo continuare a scrivere per ragazzi o peggio per giovani adulti? Domandona piena di significati che divampano in mille direzioni diverse. Sarà che trovare la propria e la giusta dimensione di scrittrice è una solo una ricerca continua.

Comunque, ho la sensazione di poter contestualizzare questo libro e a me non piace farlo. È scritto per ragazzi? Un buon romanzo non ha età di lettura.

Mi sono asciugata e ho bevuto un tè caldo dopo quel tuffo in acqua gelata. Non mi sono scaldata del tutto, ma a Patrick vorrò per sempre bene. Chaos, rimane Chaos. Sette minuti dopo la mezzanotte, resta Sette minuti dopo la mezzanotte

Se con Ness ho fatto un tuffo in un lago dall’acqua gelata, con Confessioni del giovane Tidman sono affondata in una comodissima poltrona imbottita calda  e accogliente. Aidan Chambers ormai non si discute, si legge. La narrazione, sapientemente articolata, sembra uscire dalla bocca dell’autore. I suoi interventi verbali sono sempre precisi e ben calibrati. Questo libro non lascia nulla al caso e io come sempre ho ascoltato volentieri narrare la storia di Tidman. Ciò che mi ha colpito è il senso di autenticità che  pervade il romanzo. Una quasi biografia, forse, che rivela l’onestà profonda dello scrittore nei confronti del lettore.

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Fiutando libri e addentando un Croque monsieur!

Stamattina per colazione avrei voluto un delizioso Croque monsieur, ma mi sono dovuta accontentare di pane, burro e marmellata. Pazienza!

Christophe Léon mi tiene sul filo del rasoio e colpisce duro, Marie-Aude Murail mi strappa un sorriso pensieroso, di quelli che friccicano (come diremmo a Roma) sulle labbra e poi esplodono con un tuono nel cuore e nella testa.

“Tutti muoiono a questo mondo. Non vale neanche la pena di nascere. Su questa riflessione incoraggiante, Violaine spalancò gli occhi. Ecco, era mattina, lei era incinta per tutto il resto della giornata.” da La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

Letti e amati tutto d’un fiato: Champion (Camelozampa Ed.) e Spazio aperto(Sinnos Ed.) di C.Léon e La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

E mi viene spontanea una riflessione: perché quando la fantasia e le emozioni dei narratori possono essere infiniti, le pubblicazioni si copiano, rincorrono e si sfidano spesso sugli stessi format o temi? D’accordo il mercato è il mercato e ha le sue leggi che io non capisco, ma poi, a ben guardare, la buona letteratura da leggere c’è.

Le mie letture continuano, a presto!

P.S. Niente recensioni, ma solo i miei libri del cuore sul blog di Brik, è bene ricordarlo!

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Fiutando libri e raccontando: Invisibile

“Nina aveva fatto tante volte quel sogno, ma ogni volta le salivano le lacrime agli occhi, specialmente quella notte che era sola perché Elias non era tornato. Era invisibile.”

(da Invisibile, San Paolo ragazzi, 2012)

 

Scrivere per ragazzi non significa educarli, per carità io non me la cavo per nulla bene come educatrice. E come scrittrice come me la cavo? Non lo so!

Scrivere per ragazzi vuol dire semplicemente scrivere. E non è detto che le storie non abbiano a che fare con la realtà. Oggi sentivo un servizio sul caporalato e il lavoro dei clandestini nelle coltivazioni di pomodori: gli invisibili, quelle persone che sono senza documenti e non esistono.

Nel 2012  è uscito il mio Invisibile per San Paolo Ragazzi e i libri non scadono. O almeno i bei libri non scadono. (E spero che questo lo sia…).  Come in tutte le storie parto sempre da me, da un pozzo, un polo, un punto dentro di me dove la creatività si nutre di quello che mi affascina o sconvolge della realtà. Le mie storie sono reali. Non posso e non voglio parlare di tutto, ma Invisibile utilizzava quando emerso proprio da un’inchiesta giornalistica sul caporalato per  raccontare Elias  (un uomo scappato dal suo paese per motivi politici) e il suo lavoro clandestino nei campi. Lui viene arrestato e la sua bambina di cinque anni, Nina, anche lei fuggita dalla guerra (non una guerra in particolare) resta da sola in una grotta in un bosco. (“Quella Grass da dove viene Nina potrebbe essere ovunque e le guerre più o meno conosciute sono tante. È un nome che non dice nulla… o forse tutto, fate voi.”). Nina se la cava.

I miei figli a cinque anni non sapevano allacciare le stringhe delle scarpe, ma alcuni bambini a cinque anni sopravvivono da soli per le strade o come in questo caso in una grotta nel bosco. Eppure questa non è una storia triste o pedante, ma solo una vera avventura sui sentieri di montagna con protagonisti Silvia e Fabio e una banda di altri ragazzi molto bulli. C’è anche un cane, Pirata, un border collie (..ma va? Ebbene sì!).

Un romanzo a cui sono particolarmente affezionata. Vincitore del Premio Arpino, formato da una giuria di ragazzi.

Strave è un paese di montagna con i propri riti e abitudini, e come ogni anno in estate al paese tornano i fedelissimi turisti sicuri di trovare il paesaggio incantato che solo boschi e campi sanno regalare. Il bar di Rocco è il punto di incontro dei ragazzi dove nascono dispute e amori, ma anche il luogo dove Silvia, Bruno e Fabio cercano di svelare la trama del mistero che si presenta ai loro occhi: chi è la bambina abbandonata nella grotta? Che significato hanno gli indizi rinvenuti accanto a lei? Nina ha cinque anni e sta spettando il suo papà, Elias la cui vita da fuggiasco è segnata da sofferenze e fatica. Lui fa parte del popolo degli invisibili e in quanto tale è come se non esistesse, privo di diritti e giustizia. Silvia, Bruno e Fabio, guidati dal fedele Pirata, sapranno svelare il mistero che circonda Nina, e anche lo strafottente Mich dovrà aprire gli occhi e lasciare il suo atteggiamento da bullo per collaborare a risolvere una situazione più grande di lui. Giuliana Facchini scrive Invisibile per le edizioni San Paolo, accompagnando il giovane lettore per i sentieri di un bosco amico che nasconde anche realtà crudeli; il racconto porta alla ribalta una tematica forte come lo sfruttamento dei clandestini. L’importanza dell’amicizia, il rapporto speciale fra il cane Pirata e la sua padrona Silvia, il sentimento di empatia che gli abitanti di Strave hanno con la loro montagna, sono le basi sulle quali si costruisce la storia. Come faranno i ragazzi a scoprire cosa lega Nina, Elias ed Eva al vecchio Adelmo? Fidiamoci del fiuto di Pirata e armati di scarponi da montagna iniziamo l’avventuroso sentiero della lettura! (Recensione tratta da Zazie news: L’almanacco dei libri per ragazzi. A cura di Chiara Serra.)

 

Info e booktrailer su : LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

 

 

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Due ciotole di emozioni forti: niente paura è solo letteratura!

Non so come mi possa essere sfuggito; l’ho avuto in fiera a Bologna, ma l’ho letto solo ora e mi è piaciuto. Un libro particolare, forte, originale. Inquietante ed efficace parlare così d’identità.

Accidenti che onore essere in una collana come la Feltrinelli UP con il mio “Se la tua colpa è di essere bella”! Me ne sento addosso tutta la responsabilità. (Sì, un’altra!).

Interessante leggere che i costi della traduzione sono stati sostenuti dal Swedish Arts Council, un’agenzia governativa svedese che si occupa di promuovere la cultura e gli autori svedesi. (Cose da alieni… o forse gli alieni siamo noi?). Mi ha incuriosito il fatto che i protagonisti non adoperino i telefoni cellulari, anzi si menziona il telefono fisso. Il libro è del 2015, potrebbe essere stato scritto prima, oppure in Svezia i ragazzi non usano abitualmente i cellulari, oppure per scrivere una buona storia si può prescindere dai particolari realistici e concentrare l’attenzione del lettore su dinamiche di relazione diverse.

La stessa cosa mi è capitata con Campi di fragole di Jordi Sierra i Fabra, un autore spagnolo conosciuto quest’anno grazie a Mare di Libri. Libro uscito nel 2005 che mi è piaciuto molto, attualissimo, dove la mancanza di “attualizzazione” legata alla vita social degli adolescenti non toglie nulla al romanzo. Dimostrazione ovvia che un buon libro non ha data di scadenza. Immagino di essere banale, ma questo dettaglio come scrittrice mi interessa moltissimo. Come trovo terribilmente affascinante il Swedish Arts Council. È affascinante il fatto di poter scrive un romanzo sapendo di avere alle spalle un’agenzia amministrativa che, se il mio è un buon libro, lo propone con orgoglio fuori dei confini del mio Paese.

Non l’ho mai fatto prima, quest’anno ho scritto una storia partendo da un mio racconto e l’ho fatto su richiesta dell’editrice che aveva pubblicato il racconto. Uscirà a novembre o a dicembre. Ci ho pensato molto poi ho trovato la chiave di scrittura giusta per narrare quella storia. Ecco, la tranquillità di scrivere sapendo che il tuo romanzo (salvo imprevisti, ovvio) verrà comunque pubblicato rilascia una libertà e una serenità pazzesche. È appagante avere la totale fiducia di un editore.

In generale non amo questa modalità, però. Mi piace adrenalina del tuffo nel vuoto che è un nuovo romanzo per un narratore. La considero funzionale ed essenziale per la creatività dell’autore.

Quindi accetto la sofferenza (!) come parte del mio mestiere… però una passeggiata nel bosco, ogni tanto, invece di scalare sempre montagne, non è male!

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Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere – recensione di Livia Rocchi

Volto l’ultima pagina e penso “Sigh” perché “Se la tua colpa è di essere bella” di Giuliana Facchini mi ha portato indietro: per qualche ora l’ho letto e sono tornata al liceo. I rappresentanti di classe, le prime ore saltate, le verifiche che sembravano chissà che spauracchio, i voti che sembravano chissà che conquista, le poesie lasciate o ritrovate nel diario, i confini tra amicizia e amore ancora tutti da imparare, il confine tra giusto e sbagliato così ingannevolmente facile da tracciare, la complicità e le baruffe a momenti alterni… c’è proprio tanto di me (va be’, della me di xxnt’ anni fa 😲 ) in questo romanzo, e c’è anche tanto di una bravissima scrittrice che ho l’onore e la fortuna di chiamare amica. Quindi non sarò obiettiva, ma ve lo consiglio: se siete giovanissimi farete la conoscenza di un gruppo di vostri coetanei davvero speciali. Se siete giovanissimi di xxnt’ anni fa potreste rivedervi in quei ragazzi e ragazze speciali e magari vi verrà anche voglia di scoprire dove sono andati a finire e di ritirarli fuori, chissà.

Qui finisce la parte emotiva della recensione. Quella tecnica non ho voglia di farla perché sarei tecnicamente in vacanza 😜 ma una cosa la voglio dire. Poco tempo fa ho letto “Te la sei cercata” di Louise O’Neil, romanzo del momento che ha il tema principale in comune con il romanzo di Giuliana: violenza sulle donne e sue conseguenze nella cosiddetta era di internet. Pur prendendo spunto dallo stesso tema principale sono due storie molto diverse; una delicata, scritta in punta di piedi ma piena di fiducia nel futuro; l’altra cruda, scritta affondando il coltello e con un finale che lascia l’amaro in bocca ma, purtroppo, onesto da far male. Qual è il migliore? Non lo so e forse non importa. Quel che (mi) importa è notare come lo stesso tema possa dare origine a storie opposte ma ugualmente vere e a chissà quante sfumature nel mezzo. Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere. E per fortuna ci sono, anche qui in Italia, tanti autori che scrivono davvero bene.

Livia Rocchi

Editor e autrice di libri per ragazzi dal 2005, ha lavorato a molti progetti tra cui la serie Geostilton per De Agostini/Piemme, la serie di romanzi per preadolescenti “The Talent Angels” per Camelozampa editore. Ha collaborato a opere di saggistica tra cui “La metafisica di Harry Potter”, “Potterologia – Dieci assaggi +1 dell’universo di J.K. Rowling”, “Hobbitologia”. Dal 2012 si occupa di promozione della lettura tra i più giovani anche attraverso workshop di scrittura creativa a loro dedicati.

 

Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non.

Che dire a Livia dopo aver letto la sua recensione del mio Se la tua colpa è di essere bella?

Che le voglio bene lo sa, che mi vuole bene lo so. Dico che è tanto bello camminare insieme in questo mondo della scrittura “per ragazzi” dove tra la maggior parte di noi non esiste competizione, ma amicizia. Che non vuol dire risparmiarci critiche, ma farcene di costruttive, che aiutano, che ti cambiano, che ti fanno crescere come persona e poi, forse, anche come scrittrice.

Grazie!

 

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I ragazzi che leggono

Non è una novità quanto io tenga ai miei lettori. Ai ragazzi che leggono. Quanto vorrei che avessero più voce e non solo a scuola. Vorrei che la lettura diventasse motivo di aggregazione come lo sono lo sport, il teatro per alcuni o magari il cinema. Eppure ci sono intoppi e vuoti e non sempre i libri giusti arrivano tra le mani dei ragazzi. Il gruppo di lettura per adolescenti, Leggere ribelle, a cui ho il piacere di partecipare  mi sta svelando un sacco di meraviglie e il mio cervello si è messo in moto per capire e migliorare la mia collaborazione.

Da un lato voglio proporre agli adolescenti bibliografie che non conoscono, ma che sono state apprezzate da tanti lettori della loro stessa età, e dall’altra voglio dare spazio alla loro voce in merito ai libri. Mi piacerebbe essere un tramite e un buttafuori-adulti insomma. I ragazzi al centro, dice questo libro che s’intitola Ci piace leggere!. Sì, ci voglio lavorare. Sto toccando con mano la bellezza di cui i lettori adolescenti sono capaci e non si può descrivere, né si può negare.

Noi adulti che scriviamo (o consigliamo libri) per ragazzi crediamo a volte di sapere cosa sia meglio per loro. Davvero lo sappiamo?

Ci piace leggere! risponde con semplicità. Questo libro scritto da ragazzi lettori è prezioso. È la testimonianza di un numerosissimo gruppo di lettori che sorregge un intero e unico festival letterario: Mare di Libri. Sono voci di ragazzi e si sente, come si vedono i ragazzi dietro al festival. Dei ragazzi bravi, organizzati, intelligenti come tanti ma uniti dalla passione per la lettura.

Ecco una frase del libro che vorrei fosse gridata a gran voce, che per me è un capolavoro.

“Cari scrittori non abbiate paura a raccontare il mondo così com’è, perché noi quel mondo lo abiteremo. Scrivete libri onesti, scrivete storie intense. E combattete perché vengano pubblicate.”

Direi che va stampata a lettere cubitali e ci va tappezzato il mondo dell’editoria in generale. Se fosse facile essere un romanziere saremmo tutti scrittori, ma non lo siamo. Chi scrive qui, sul blog di un cane, se lo domanda spesso se è una buona narratrice di storie; umile e onesta sì, ma buona? Una risposta non riesce a darsela.

Teniamo in grande considerazione la voce dei ragazzi, credo sia fondamentale. Ascoltarli è fondamentale se vogliamo scrivere non per loro: solo se vogliamo scrivere, a volte, anche di loro.

Se i libri non devono dare risposte ma suscitare dubbi e domande, anche scrivere è un percorso faticoso in cui le risposte sono sempre un passo avanti e non si riesce mai ad afferrarle.

Ci piace leggere! è da leggere!

Pieno, straripante, di spunti di riflessione intelligenti, poco comodi o davvero scomodi.

Insomma da non perdere per chi vuole ascoltare.

Un’ultima brevissima citazione che per me è l’ennesima sottolineatura (a matita); una necessità per scavalcare una naturale barriera generazionale che non va demonizzata ma solamente compresa “…vorremmo che le nuove tecnologie fossero descritte come parte integrate della vita di noi adolescenti, come sono ormai nella realtà”.

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Seguendo il filo di un pensiero

Seguendo il filo di un pensiero o di una perdita mentale di tempo, chissà: letto “Graffiti moon” di Cath Crowley giorni fa con piacere (…ascolterò l’autrice a MdL per “Io e te come un romanzo”). Uno dei protagonisti scrive poesie (così anche nel mio Se la tua colpa è di essere bella), l’altro lascia la scuola perché è in difficoltà ma si esprime con l’arte dei graffiti. (“Muoio dalla voglia di conoscerti” di A.Chambers – il protagonista ha le stesse difficoltà nello scrivere e si dedicherà all’arte). In generale si parla anche di aspettative genitoriali e di ragazzi che vogliono vivere della loro arte (così nel mio Un’estate da cani il protagonista scappa di casa per vivere della sua musica per strada). Sono tutti maschi, tutti ragazzi questi artisti e poeti. Sono i ragazzi a sognare questo di cui scriviamo? Oppure siamo noi scrittori a volerli invitare a non vivere di solo pane, ma anche d’arte? Eppure si arranca se si vuole fare del proprio lavoro creativo un vero lavoro (insomma pagarci le bollette). Senza buone poesie e storie e illustrazioni e buoni film e musica sparata nelle orecchie come potremmo vivere? Nessuno potrebbe farlo (chi lo fa non vive bene sicuro), eppure pochi sono disposti a pagarla la creatività per farsi di musica, storie, film, immagini dipinte, stampate e o graffitate. Roba buona che ci aiuta a rileggere noi stessi e il mondo. Perché questo libro, che non è un capolavoro, mi è piaciuto più di altri? Perché sono esterofila? (Come dice una mia amica). Perché è comunque una buona storia filtrata tra tante e ben tradotta? (Come dice il figlio). Perché è solo un romanzo YA che ci permette di sognare che si può di vivere d’Arte?

Non sono un’intellettuale, non mi rispondo, non mollo solo per vizio. Finirà come finirà.

Muro di Berlino – graffiti

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Se la tua colpa è di essere bella, lettura critica di Alessandra Starace

In un mondo che va sempre più di corsa, dove ogni evento e pensiero godono di una vita e un’attenzione momentanea, dove le riflessioni prendono corpo e si condividono nello spazio di un post di poche righe su Facebook, il libro di Giuliana Facchini “Se la tua colpa è di essere bella” edito nella collana UP di Feltrinelli, invita il lettore a fermarsi, a guardare agli eventi in modo meno superficiale.
La lettura di questo libro grazie alla possibilità di esplorazione dei vissuti esponenziali da molto vicino offe la possibilità di potenziare la consapevolezza emotiva e trasformare e ampliare la prospettiva dello sguardo, costituendo un’occasione di cambiamento e crescita personale.

Se il titolo e la quarta di copertina non lasciano molti segreti sul tema portante della storia, “il tentativo di violenza su una studentessa, durante una festa di compleanno, e sulle reazioni della gente all’indomani del fatto”, leggendo il libro si scopre, in realtà, che quell’evento costituisce solo il filo conduttore per accompagnare il lettore attraverso la vita che emerge dalle pagine, e che può e dovrebbe essere vissuta in modo meno superficiale.

Il tema che a mio avviso emerge con più forza, in questo libro, e che l’autrice ha saputo evidenziare con abilità, è quello della MODALITÀ DELLA CURA.
Vi spiego meglio e per farlo credo utile ricorrere al pensiero del filosofo
Heidegger così come è esposto nel saggio “Essere e tempo”, ( ed. it. a cura di F. Volpi sulla versione di P. Chiodi, Milano, Longanesi, 2006).
Heidegger ha individuato nella Cura, la modalità fondamentale del soggetto umano nel suo essere nel mondo, e ha evidenziato una sostanziale differenza tra il “PRENDERSI CURA INCURANTE” che definisce i rapporti degli uomini con le cose ed è caratterizzato dall’indifferenza, dall”utilizzabilità e dall’afferrabilità e la CURA rivolta ai “SOGGETTI UMANI”, intesa come un “AVER A CUORE” i soggetti con cui si entra in relazione.

Se nei rapporti umani non nasce questa seconda modalità di cura lo sapete cosa può accadere?

Può prevalere l’incuranza, e anche le persone si trasformano in cose cose che si possono usare strumentalizzandole o restando indifferenti.

L’EDUCAZIONE ALLA CURA E ALLA DEDIZIONE PER GLI ALTRI andrebbe sempre coltivata.

Se è vero che un educazione emotiva è sempre più necessaria e urgente, incoraggiare la tenerezza verso coloro che hanno bisogno di essere accuditi perché più indifesi, fragili o con disabilità, è benefico e auspicabile e per lo sviluppo emotivo.
E soprattutto, sviluppare e coltivare il sentimento della tenerezza può essere utile a contrastare l’attuale prevalere di modelli arroganti, competitivi e sprezzanti verso i più deboli.

Nella storia che racconta Giuliana la cura e la tenerezza permeano tutte le relazioni che coinvolgono i protagonisti del libri, per prima quella tra madre e figlio, un nucleo che costituisce il primo luogo di apprendimento dei sentimenti, poi tra gli amici, sia della stesso sesso che di sesso opposto, tra fratelli di diversa età, tra nipoti e nonni, tra persone che neanche si conoscono, e tra uomini e animali. “Un piatto ricolmo di pasta condita con pomodoro, besciamella e mozzarella” preparato prima, per il figlio, da una madre che lavora, una porta tenuta aperta sorridendo, una poesia, un complimento, un fiore tra i capelli, un bacio sulla guancia, tanti sono gli indizi disseminati nel libro sulla tenerezza e la cura. Perfino nel descrivere la relazione tra Cate, la madre del protagonista, e Sorbetto, il suo gatto, Giuliana, con un’arte sottile e in modo sensorialmente percettibile, mette in luce questa modalità di cura.
Le crudeltà gratuite di cui la cronaca ci dà notizia quotidianamente è il risultato di un odio che viene riversato verso i più deboli in un crescente panorama di cinismo e indifferenza.
Se la modalità di cura affiora in ogni relazione e viene sottolineata in molti episodi, vedi per esempio la giornata che gli studenti passano in ospedale insieme ai bambini malati, tanto per citare uno degli esempi più evidenti, anche l’incuranza viene descritta e portata alla luce.
Primo fra tutti il tentativo di stupro verso una ragazza, ridotta a oggetto di desiderio, A UNA COSA BELLA DA USARE a proprio piacimento.
Una cosa che diventa una notizia da strumentalizzare, e qui ancora una gran prova di sensibilità e gusto dell’autrice, che a costo di non far scalpore, si dissocia da chi preferisce descrizioni crude e sensazionali, evitando descrizioni scandalistiche, limitandosi a raccontare l’accaduto senza fornire dettagli inutili.
Ma se si può mancare di cura per analfabetizzazione emotiva, può succedere anche per la fretta, la distrazione, la superficialità.
Alla mancanza dell’intelligenza del cuore, della propensione alla cura, l’educazione attraverso la parola scritta, può essere di aiuto.
La storia diventa terapeutica e benefica, aiuta le persone, e in questo caso i giovani, a comprendere meglio che non basta vivere uno accanto all’altro ma si dovrebbe stare uno con l’altro, rendendo possibile un’educazione che custodisce la dignità dell’esistenza umana.
Vivere in un ambiente dove la CURA e la TENEREZZA sono alla base delle relazioni, permette agli individui di crescere con maggiore autostima e fiducia, di sviluppare la propria personalità e un carattere forte, capace di pensare con la propria testa e fare delle scelte con il coraggio necessario.

Giuliana ha fiducia nei giovani, perché li conosce, li frequenta, ma sa bene che non esiste un libretto di istruzioni da consegnare loro, si dimostra, però, capace di offrire un orientamento verso la consapevolezza ‘intelligenza emotiva, attraverso la sua arte narrativa.
Di cosa parla il libro?
A voi scoprirlo! Ho rivelato fin troppo.
Bello l’espediente narrativo d’inserire delle poesie all’interno del testo che scopro essere opera di Roberta Lipparini.
Un ulteriore stimolo per i ragazzi a usare mezzi meno consueti per esprimersi e comunicare, con CURA e nella CURA.
Quella stessa CURA e DELICATEZZA che l’illustrazione di copertina di Alessandro Baronciani ci restituisce prima e dopo la lettura, per appuntarcelo sul cuore.
UP!

Buona lettura, Alessandra

 

Alessandra Starace – Libraia e promotrice della lettura, biblioterapista , fondatrice di Tata Libro, blog dedicato alla letteratura per bambini e ragazzi. Ideatrice dei SEMInari, tavole rotonde per approfondire tematiche relative alla letteratura per l’infanzia.

 

 

* Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non. Questa lettura critica del mio  romanzo Se la tua colpa è di essere bella scritta con cura all’indomani dell’uscita, mi è molto cara perché mi racconta intimamente e per questo volevo che figurasse qui.

Grazie Alessandra per quello che fai e per la persona che sei.

Giuliana

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Dalla vostra spacciatrice di bei libri

Oggi #GiornataMondialeDelLibro
Detesto chi blatera il valore dei libri ma non ne legge nemmeno uno. Di solito sono adulti, i ragazzi leggono oppure no: non mi piace leggere, non ne riconosco il valore e faccio altro. Punto. Mi sembra molto più onesto. Capita che gli adulti di prima dicano ai ragazzi di leggere e magari si rammarichino perché non lo fanno.

Invece di invitare a leggere senza leggere: leggete.

Leggere non è facile, soprattutto all’inizio (non parlo di scuola elementare) e soprattutto ci voglio i libri giusti.

Allora, OGGI (tanto per cominciare), andate da qualcuno che vi conosce e che è un buon lettore e fatevi consigliare un libro. Provate anche con i librai e i bibliotecari, ce ne sono di bravi e se vi spiegate bene riuscite a trovare il libro giusto per voi. Che poi saranno i libri giusti per voi.

Insomma trovate un CONSIGLIERE DI LIBRI (uno dei miei mestieri preferiti) e cominciate. Se davvero credete “sulla parola” al valore dei libri, diventate militanti della lettura. Sarà un piacere per voi e se ci sono ragazzi che non leggono intorno a voi: tacete e leggete!

Parafrasando una famosa frase di Rousseau: “La lettura non può sussistere senza libertà, né la libertà senza i libri, né i libri senza lettori. Ora, formare i lettori non è affare di un giorno; e per avere dei lettori adulti bisogna istruirli da bambini.”

I miei ultimi due libri del cuore:

“La Biblioteca delle lettere è una sezione della libreria in cui i libri non sono in vendita. I clienti possono leggerli ma non portarli a casa. Il concetto è che possono sottolineare le parole o le frasi che amano. Possono scrivere parole a margine. Possono lasciare lettere per le persone che li hanno letti e che sono passate da lì prima di loro.” da Io e te come un romanzo, di Cath Crowley.

Una ragazza del gruppo lettura Leggere Ribelle (Sara 19 anni) lo ha presentato definendolo un libro che racconta come i giovani non debbano mai stare in silenzio davanti alle ingiustizie, di qualsiasi tipo esse siano.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Una ciotola di emozioni forti… è solo Letteratura!

La potenza narrativa di un buon romanzo, a mio parere, non può essere rinchiusa in nessun clichè, affonda la sua radice creativa nell’autore stesso e si rivolge a chiunque sappia o voglia ascoltare una storia.

Aggiungo tre romanzi ai miei libri del cuore….

The stone – di Guido Sgardoli! Bellissimo, non si discute! Per carità, ambientazione e storia sono nelle mie corde ma nella narrativa ragazzi italiana un libro così, è inconsueto. Rompe gli schemi e appassiona senza limiti o timori bigotti. Questa è la strada giusta per dare valore alla nostra narrativa contemporanea. Bravi quelli di Piemme! …E in più: è lungo, che sembra che gli scrittori per ragazzi italiani fatichino a scrivere a differenza dei colleghi inglesi o americani che accumulano pagine su pagine.

Gli scrittori per ragazzi italiani sono bravi, a volte più bravi dei loro colleghi considerati di serie A per adulti!

Dello stesso autore ho apprezzato The frozen boy per vari motivi, non ultimo quello di saper vedere oltre la convinzione che i libri per ragazzi prevedano protagonisti ragazzi e imprigionino in un mondo a dimensione di ragazzo la forza narrativa di una storia.

 

 

L’isola delle balene – di M. Morpurgo (Ed. Il Castoro) è un’altra avventura fatta di mare e di vento. Una storia magica e affascinate che mescola le antiche leggende con un pizzico di spirito ecologista contemporaneo.

Infine Da quando ho incontrato Jessica – di Andrew Norriss (Ed. Il Castoro) per affrontare un tema molto forte con una dimensione alternativa, con il coraggio della narrazione originale e di stampo visivo e coinvolgente. 

 

 

 

 

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

7contro7 una storia d’amore … come nascono le storie!

I libri raccontano una storia ma hanno anche una storia.

Questo romanzo è stato scritto tanti anni fa tra gli spalti di una piscina e il bar del centro sportivo. I miei figli giocavano a pallanuoto e l’unica piscina adeguata era a ventiquattro chilometri da casa; per arrivarci servivano due autobus che di notte non passavano, quindi li accompagnavo in macchina e mentre loro si allenavano scrivevo con il portatile. Per ore. Tra altri testi  è nato 7contro7, perché la formazione in campo in una partita di pallanuoto è di 7 giocatori;  una storia d’amore, perché si parla d’amore: amore per lo sport, tra un ragazzo e una ragazza, per i giovani in generale.

Nell’aria satura di cloro della piscina coglievo gli sguardi e le battute dei ragazzi e delle ragazze, li vedevo muovere, ridere, vivere; ascoltavo e forse un po’ rubavo. Ho impastato tutto con l’immaginazione  ed è venuta fuori questa storia. Mi sono divertita un mondo a scriverla e l’ho fatto di getto e in pochissimo tempo. Fu accolta subito da una grande casa editrice, che però poi decise di non pubblicarla e così rimase nel cassetto. Mentre valutavano questo testo io già ne avevo scritti due e non lo proposi ad altri. Ma sono una che ama tutte le sue storie, anche quelle non pubblicate e così l’ho ripescata, riletta e corretta e ho deciso che volevo proprio con questo testo fare un percorso alternativo.

Mi piace esageratamente accompagnare i miei libri nelle scuole ma con questo non credo che lo farò. Questo romanzo nasce come e-book (principalmente) e vuole stare su uno scaffale web. Sentivo il bisogno di confrontami con un pubblico diverso o forse solo in modo diverso con il pubblico dei lettori giovani e meno giovani. Ho bisogno di sperimentare e sentirmi libera di farlo.

Continuerò a scrivere nel mio mondo della narrativa ragazzi (con un 2018 pieno di belle novità!) dove con alcuni editori editori ormai c’è amicizia e stima reciproca, ma ho voglia anche di scoprire cosa c’è fuori.

Amarganta è una piccola casa editrice, di cui mi avevano parlato molto bene in termini di serietà. Infatti è seria. Non mi piace l’auto-pubblicazione. Io devo avere a che fare con editor e grafici, io so scrivere solo il testo (forse). A Cristina Lattaro di Amarganta la storia è piaciuta subito e con la redazione ha deciso di metterla in catalogo. Inutile dire che ho imparato molto anche con loro. Chi mi conosce sa che so riconoscere le persone in gamba dalle quali s’impara sempre qualche cosa.

Adesso ho un po’ paura, lo confesso. Sono un po’ fuori dal mio mondo, è il primo passo ma so che ne farò altri. O almeno ci proverò. Io, se non sperimento, soffoco; se non viaggio, muoio. Credo che la scrittura sia qualcosa di fluido e in movimento e abbia bisogno di crescere e forse anche invecchiare. Certo sono sempre io di storia in storia, di romanzo in romanzo. Forse non sono neanche così brava ma mi consolo scrivendo.

Hamingway rispondeva a chi gli chiedeva come si fa a scrivere bene, di uscire e andarsi a impiccare, che magari non t’ammazzi ma hai materiale per una storia. (Non che mi piaccia troppo l’uomo, biograficamente parlando, ma la risposta mi piace un sacco!)

Insomma forse non sono brava ma sono io, sono sincera nel male e nel bene. Nello scrivere ci si spoglia (metaforicamente parlando, eh) anche se fai solo la romanziera. Ogni tanto trovo qualche conferma e gli editori mi pubblicano, si prendono la responsabilità di condividere le mie storie e questo mi rende felice. Se poi incontro i giovani lettori (che sono i miei preferiti) e parliamo di libri e di lettura e sono ancora più felice.

Chissà quel è il mio posto? Non lo so, continuo a cercare.

Il bello non è arrivare, ma camminare (soprattutto con Brik al fianco).

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Ho incontrato un poeta

Caro Roberto Piumini,

voglio ringraziarti. Non l’ho fatto subito perché sono lenta e alle consapevolezze arrivo sempre un po’ “dopo”.

Sono venuta al laboratorio ICWA di sabato scorso senza aspettarmi nulla e quindi rilassata.

So, perché lo hai detto tu, che questo genere di laboratori li tieni anche nelle realtà disagiate del Paese, con bambini e adulti. Loro producono dei materiali che provengono dal loro territorio o da loro stessi e tu li fai diventare poesia. Questo, perché possano guardarsi come in uno specchio con i tuoi versi. Insomma è un modo per aiutare le anime a salvarsi.

Nel tuo laboratorio ci hai chiesto di creare su un foglio delle immagini, di non raccontare, di non usare parole, di gettare sulla carta emozioni legate a un tema (per me Folla). Immagini che tu poi avresti tradotto in poesia. Lo abbiamo fatto con un gruppo di lavoro, ma in fondo anche singolarmente. In uno spazietto io ho ritagliato un grosso cruciverba da una Settimana enigmistica e l’ho sminuzzato, ho stropicciato i pezzettini di carta, li ho ben bene maltrattati e poi li ho incollati vicini, sovrapposti, scomposti. Mi sono sporcata le mani di colla mentre disponevo brandelli di carta non a caso, seguendo dei comandi precisi che arrivavano da me, ma che non ordinavo io.

Da quella parte del cartellone/immagine tu hai tratto due versi:

“la gente cruciverba,

(non fu, anche il Primo, in croce?)”

Versi importanti e bellissimi.

Durante le successive fasi del laboratorio nelle quali ci siamo confrontati e spiegati hai detto che attraverso l’immagine della gente cruciverba, funzionale al testo poetico, volevi arrivare all’immagine di Cristo e non viceversa.

Da anni mi metto in discussione. Mi sono capita e ritrovata nel percorso del tuo laboratorio di poesia. La scrittura nei suoi contenuti, per me, rimane un percorso creativo. Quando scrivo, racconto una storia verso la quale ho solo un ruolo servile, pur essendo io stessa a crearla non so né da dove e né come nasca (esattamente come la disposizione dei pezzettini di carta di cruciverba). Eppure dalle mie storie i ragazzi sono arrivati a concetti importanti (forse non come Cristo) e me li hanno svelati.

Si può essere diseducati nei contenuti dello scrivere, forse la creatività non è educata e se in qualche modo educo con un romanzo non lo faccio apposta. Forse non sono abbastanza brava, forse è un’idea deviata della scrittura la mia, ma mi sono riconosciuta ed è un buon punto di partenza o almeno un sollievo per me. Grazie.

Scrivo per ringraziarti, ma scrivo anche per non dimenticare. Dopo averla inviata a te e dopo il secondo laboratorio ICWA per non spoilerare, metterò questa lettera sul mio blog (dove di solito è un cane a parlare) perché lì ci sono io.

Con gratitudine,

Giuliana

(domenica, 15 ottobre 2017)

 

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Quella strega di Tulip

“E allora quel era il problema? – chiesi sarcastica.
– La situazione non era abbastanza brutta?
– No – disse piano, dopo un attimo. – Non era abbastanza brutta. E temo che la vita sia un po’ così, Natalie. Deve essere molto più che brutta per diventare insopportabile. E finché non arriva a quel punto, le persone sono sole. ”

Un libro che io trovo strepitoso e terribile, magistralmente tradotto da B.Masini.

Appena riletto!

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Chi non legge libri non ha dubbi

Come quando ascolti una canzone che ti porta indietro nel tempo, così mi sta capitando con Tartarughe all’infinito di John Green. Non ho letto Colpa delle stelle, ma altri suoi libri sì. Il mio preferito è Città di carta. Credo sia uno dei pochi libri che io abbia riletto; la mia lista dei libri da rileggere è lunga e ferma, sono troppo impegnata con nuove storie. Tartarughe mi fa tornare in mente le atmosfere di Cercando Alaska. Mi pare di sentirmi come allora. Insomma di sentirmi dieci anni di meno. Mi ritrovo scrittrice agli esordi, sicura delle mie storie e a un passo dagli obbiettivi da raggiungere. Entusiasta e sicura, sempre felice. Madre di due bambini e, per come la vedo io, non esiste nulla di più rassicurante per la propria autostima di avere due figli bambini. Ti amano incondizionatamente anche se sei alcolista, cocainomane, anoressica o obesa.

In questi dieci anni sono passati tantissimi libri tra le mie mani, ho letto e scritto tanto e di più. Oggi i figli sono adulti e proprio perché ci amiamo da adulti non ci risparmiamo nulla e l’autostima è tornata a livelli normali. Ho all’attivo 10 libri pubblicati con editori nazionali di cui sono orgogliosa, ma non sono più entusiasta né sicura e gli obbiettivi professionali e artistici da raggiungere mi paiono lontani anni luce (per quanto riguarda la felicità, bé sono felice di testa e un po’ meno di pancia, ma qui non c’entra).

Da tutto questo si deduce che leggere fa venire dei dubbi.

Forse ci sono pochi lettori per questo: non a tutti piace avere dubbi invece che certezze. Poi, per leggere ci vuole tempo. Ore. Meglio guardarsi un film, che in un’ora e mezza ti toglie quella voglia di emozioni e poi stai meglio (dipende dal film, lo concedo). Quando un libro ti prende davvero fatichi a  smettere di leggere e quello che leggi ti s’incastra dentro alle volte e le emozioni si trasformano in pensieri e, perché no, in dubbi.

Ecco devo ricordarmi di parlarne ai ragazzi la prossima volta che mi capita di incontrarli nelle scuole o nelle librerie. Perché leggere? Perché fa venire dubbi. Abbiamo bisogno di dubbi per crescere. Tutti, adulti compresi.

Se avete voglia di dubbi: Niente di J. Teller. Consigliatissimo.

Tartarughe all’infinito di John Green, molto bello, da leggere.

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Per fare uno scrittore ci vuole un mare…

Sono le 5:53 e apro gli occhi. Sono tornata ieri sera dal festival Mare di Libri e questa non sarà una cronaca, ma un viaggio di pensieri. Non la farò breve. Perché un’autrice di narrativa per ragazzi (o presunta tale) dovrebbe essere spettatrice a un festival come MdL? Da bambina cercavo spesso a scuola o alle feste un posticino per osservare  quello che accadeva intorno a me. A MdL chi scrive per ragazzi può trovare un posticino (magari in penultima fila) per osservare autori e ragazzi dialogare. Un privilegio.

E’ un festival fatto dai ragazzi, questo è importante e si sente. I ragazzi sono loro stessi a MdL, è come quando le maestre lasciano esprimere liberamente i loro alunni e vengono fuori disegni sghembi e imperfetti ma veri.

Ho seguito una serie di eventi, ovviamente non tutti, e per primo Aidan Chambers, uno scrittore inglese ottantatreenne pluripremiato e consacrato da critica e lettori. Mrs Chambers, che sui jeans indossa la magliettina del festival, tiene una lezione serissima e densa di concetti importanti con leggerezza e umiltà disarmanti. Lui è al servizio delle storie e dei lettori. I ragazzi lo applaudono con affetto come fosse una star della musica pop (ragazzi adolescenti che urlano “bravo” a un 83enne? Stupitevi, è successo). Lui ha ha scritto libri di ineguagliabile originalità e forza narrativa, è un formatore e potrebbe divertirsi e gigioneggiare, ma non lo fa. Tiene una lezione in piena regola. Non spreca l’opportunità di essere davanti a dei ragazzi che rappresentano il futuro di tutti noi e non li sottovaluta.

Ecco la prima rigorosa lezione del festival.

Poi arrivo in sala, dove a parlare ai ragazzi è Bruno Tognolini e il registro cambia, ascolto il ritmo  originale del poeta, il poeta che è l’essenza delle cose e della natura.

“Ascolta, ascolta, il vento sta parlando” disse Giovannino chinando la testa da un lato “dici davvero che non saremo più in grado di udirlo quando saremo grandi, Mary Poppins? “Lo udirete benissimo” disse Mary Poppins “ma non lo comprenderete.”

Questo scriveva Pamela Lyndon Travers e Tognolini va oltre: Tu sei tutti e tu sei tu. Sono le rime che ci rimangono in testa ne Il giardino dei musi eterni e raccontano che facciamo parte di un tutto sebbene siamo individui. Il poeta Tognolini con quel suo modo speciale di raccontare parla di quelle donne e quegli uomini che si dichiarano madri e padri dei propri cagnolini. Non li deride, né si scandalizza. Con l’umiltà dell’uomo che si guarda attorno e si sente una piccola parte della natura e del tutto,  accetta quella paternità o maternità differita. Già, perché: Tu sei tutti e tu sei tu.

Il mio festival continua con Cristopher Vick che ho apprezzato quasi più del suo romanzo. I ragazzi non leggono storie d’amore a differenza delle ragazze e lui invece ne scrive. Bella la sua capacità come uomo di svelarsi davanti ai suoi lettori. Le scrittrici lo fanno con facilità, gli scrittori no. Pongono dei filtri, non si raccontano sempre sinceramente nei libri attraverso i loro protagonisti maschi per essere letti da lettori maschi. Vick lo fa e come lui pochi scrittori lo hanno fatto. Vick l’ho visto ascoltare gli incontri dei colleghi, attento e interessato. Anche questo non è da tutti.

Arrivo finalmente da J. Teller, l’autrice di Niente e ho la conferma che dietro un grande libro c’è una gran bella persona. Lei si pone e si è posta delle domande, che tutti dobbiamo saperci porre, partendo da: Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena di far niente, lo vedo solo adesso. (dalla prima pagina del libro). La Teller è una donna disponibile eppure ferma, dalla grazia nordica. Mette subito in tavola un pensiero che ritiene scontato (ma io credo non lo sia): I ragazzi devono avere i loro segreti (un pensiero a doppia lama che terrorizza molti di noi adulti). E’ fondamentale per diventare individui e non restare cuccioli a vita. Racconta che ha scritto il libro in due settimane, ma ci è voluta una vita intera per prepararsi a farlo. E parla di onestà. Uno scrittore deve essere, tutti noi dobbiamo essere onesti. E’ facile e comodo chiudere gli occhi e rimanere aggrappati alle nostre convinzioni senza mettersi in discussione.  Ecco il suo romanzo e la sua storia di persona. Anche Jennifer Donnely e Kenneth Oppel nei libri mettono loro stessi. La novelist newyokese Donnely (che adoro) con tocco squisitamente statunitense racconta che si mette in ascolto dei personaggi delle sue storie. Personaggi che arrivano dal passato per aiutarci/la a capire il presente. Con ironia parla di una sorta di seduta spiritica e poi Oppel dice di se stesso e di quanto di lui ci sia nel protagonista del suo libro.

J.Donnnelly

Ecco l’onestà dello scrittore che scava in se stesso e attraverso le pagine dei suoi libri si dona al lettore. (Lo so, suona un po’ alla Grotowsky! Sarà l’amore per il teatro che non esaurisce mai!) Tutti possono scrivere ma non è scrivendo che si crea un romanzo. Pagine di emozioni che attivano sentimenti e ci  lasciano inevitabilmente diversi quando finiamo di leggere, non possono essere facili e scontate da scrivere. Sono un percorso che scorre parallelo alla nostra vita.  E forse come Tognolini ha sottolineato… ognuno di noi scrive di quello che gli manca, di quello che sogna di essere o creare.

Una cosa buffa del Festival è stato veder firmare il programma di MdL da alcuni autori su richiesta di ragazzini o genitori. Non avevano il libro, immagino. Insomma una bella copia del fogliettino strappato dal quaderno che nelle scuole spesso gli alunni fanno firmare agli autori (sì, anche a me) quando non hanno comprato il libro.

Ce la facciamo a capire che il valore sta nel libro con o senza firma dell’autore, ma la firma dell’autore senza il suo libro è ben poca cosa?

MdL per me è stato anche la colazione piena di dolci fatti in casa dalla proprietaria dell’albergo dove alloggiavo, la piadineria del borgo e il mare dove lascio sempre scivolare i pensieri sul pelo dell’acqua come fossero le tavole da surf di Vick; sono state le lacrime alla fine della proiezione di Una vita da Zucchina; è stato la lettura di alcuni brani di libri scelti dai ragazzi fatta da Lella Costa con grande bravura o il cortile della biblioteca dove ho ascoltato Silvia Vecchini e l’attrice Alessia Canducci, alle undici di sera,  raccontare una fiaba della buona notte. Era una fiaba dei fratelli Grimm, una Cenerentola che non lasciava dormire sonni tranquilli.

Ma vogliamo davvero dormire sonni tranquilli?

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Una ciotola di emozioni forti… è solo Letteratura!

 

Considerazioni mie su Bunker diary di K. Brooks. (Attenzione spoiler!!!)

Avevo quasi paura di leggerlo per come ne avevo sentito parlare e invece l’ho trovato un libro equilibrato e ben scritto.

Racconta una situazione e una vicenda angosciose, ma non nuove, anzi direi un classico di certo genere di libri o film. Il finale è quello che fa discutere. Si parla spesso di eroi, o personaggi positivi, nella cosiddetta letteratura civile che vengono uccisi. (Pensiamo solo a Iqbal, un ragazzo che muore assassinato) La cosa non ci mette troppa ansia, l’accettiamo perché erano persone esistite veramente e purtroppo morte, ma non siamo noi. Non ci identifichiamo. In Bunker si va oltre, perché ci identifichiamo nel protagonista e soffriamo con lui. Una frase nel libro dice, più o meno, che chi non ha mai provato paura non ha mai vissuto davvero. Sono d’accordo, esistono tante paure. La letteratura non serve anche a questo? A farci sperimentare forti emozioni che non sono vita vera? Forse per formare giovani che potrebbero sentirsi eroi o eroine la paura serve. Quindi, secondo me, ben vengano libri che rompono gli schemi e scuotono, se ben scritti ed equilibrati, ovviamente.