Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Storie tra parentesi

2020slash2021


C’era un sogno rimasto chiuso in un cassetto. Era stato di un bambino che, diventato vecchio, aprì il cassetto per prendere la chiave del passaggio e lo vide. Stava in fondo, accanto a una penna senza inchiostro e mezzo nascosto da un foglio stropicciato di carta da regali. Si rammaricò molto di averlo dimenticato. Allora impacchettò il sogno con cura e, dopo aver tolto la cartuccia dalla penna, lo infilò nel cilindro di plastica vuoto e quindi lo soffiò fuori della finestra. Era una notte serena e ricca di stelle, si udivano schiamazzi e risa per le strade nonostante la neve cadesse in fiocchi pesanti. Soddisfatto il vecchio introdusse la chiave nella serratura e aprì la porta. Quando la richiuse alle sue spalle, l’ultima cosa che provò fu la quieta certezza di non aver sprecato un sogno.

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storie tra parentesi…

1945. Notte fonda. Roma è stata violata dalla guerra: è stanca e silenziosa. I grandi palazzi del centro sono chiusi. Qualcuno bussa a un portone di via Basento, ma nessuno apre. La paura è ancora un’abitudine. Una delle due sorelle zitelle del secondo piano si mette il cappotto sopra la vestaglia, sopra la camicia da notte e scende di sotto. Aspetta un cugino di ritorno dalla guerra e va a vedere se è lui. Fa girare il chiavistello e il rumore rimbomba nell’androne delle scale, fino su al quinto piano salendo per la tromba buia. Apre il portone e si trova davanti un’ombra scura con il pastrano militare e gli scarponi. Non lo riconosce, non è lui. Richiude di botto, spingendo la grossa anta pesante. L’ombra bussa di nuovo con più forza e una voce dice “Apritemi!” ma la donna se ne guarda bene e sta per andarsene quando quello urla “Sono il figlio di Fran****!” La donna trasalisce e torna indietro: i Fran**** quelli del quinto piano! Apre e lo riconosce: è sporco, certamente pieno di pidocchi, smagrito e lacerato nell’anima, ma è lui. Lo lascia entrare e scappa su per le scale, le sale di corsa, col cuore in gola, urlando: “Signor Silvio, Signor Silvio è tornato vostro figlio!” La gente si affaccia sui pianerottoli con gli occhi assonnati e commossi. A ognuno sembra che sia tornato qualcuno della propria famiglia. Si partecipa sperando nel prossimo ritorno, non ci s’inquieta per il disturbo notturno. Nessuno dormirà più a casa del signor Silvio per quella notte, perfino la bambina, mia madre, siede al grande tavolo della cucina ad ascoltare le parole di quello zio che è tornato dall’Africa e dalla prigionia di guerra, pieno di sporcizia e di racconti.

Piccola cappella costruita dai prigionieri di guerra italiani in Africa
Piccola cappella costruita dai prigionieri di guerra italiani in Africa