Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.