Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Il fascino del romanziere nell’epoca dei non-lettori

Quando si leggono saggi autobiografici o libri simili che parlano della vita e del lavoro di grandi scrittrici o scrittori, regolarmente si parla della loro infanzia e del loro amore per i libri, dell’avidità con cui si avvicinavano ai romanzi, dell’ingordigia di come leggevano. I ragazzini, oggi, non assomigliano a quei ragazzini perché esistono molti altri modi di nutrire il bisogno di evasione fantastica.

Mi domando se non ci saranno più grandi scrittrici e grandi scrittori nel caso sia questa una costante per la formazione della scrittura di qualità. Oppure se i non-lettori vorranno comunque scrivere. E in questo caso: perché?

“La narrativa è consona al suo tempo, e quando i tempi cambiano cambia il nostro approccio alla narrativa.” scrive Nail Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Il fascino che ha la figura del romanziere o della romanziera mi incuriosisce. Deve per forza essere un ruolo affascinante cui aspirare altrimenti perché tanti scrivono e bramano essere pubblicati? I libri non si vendono, durano poco in esposizione sugli scaffali subito rimpiazzati dai nuovi arrivi e non donano quell’immortalità alla quale ogni autore aspira. Scrivere, eccetto in pochissimi casi, non è un mestiere redditizio. Quasi nessuno vive di sola scrittura. È sempre un secondo lavoro. Nell’ambito della narrativa per ragazzi in Italia, ambito che conosco abbastanza bene, coloro che vivono di soli diritti d’autore si contano sulle dita di una mano.

E allora: perché? Scrivere per se stessi è naturale, ma diventare romanzieri e immaginare che stuoli di ragazzini (o adulti) trovino interessante o addirittura appassionante leggerci è un’idea del tutto fantastica e molto poco realistica.

Forse si ignora chi sia davvero uno scrittore, cosa comporti la stesura di un romanzo, che non è mai illuminazione estemporanea ma lungo faticoso percorso creativo e di documentazione se non addirittura costruzione a tavolino del best seller di turno. Forse nessuno ci insegna a scrivere un romanzo e pochi conoscono cosa accada in una casa editrice. Tutto questo alimenta un immaginario che da un lato non fa i conti con le bollette da pagare e dall’altro fa sfumare i contorni di una professione che necessita di qualifiche come ogni altra (mandereste vostro figlio in una scuola dove gli insegnanti non sono laureati?).

Insomma il Romanziere è un ruolo che ci piace un sacco interpretare. Che poi si sia in grado di scrivere buone storie questo ci riguarda poco?

Ricordo una ragazza che mi diede un suo romanzo da leggere, stampato dai genitori in tipografia con tanto di una sua foto in quarta di copertina. Una scrittura corretta, ma una storia stereotipata, priva di dialoghi e struttura. Quando glielo dissi, incoraggiandola comunque a continuare e a leggere (aggiunsi alla mia mail una bibliografia basata sui temi da lei trattati), mi rispose male, piccata, incredula e soprattutto mi disse che se mi avesse incontrata prima di aver pubblicato (!?) avrebbe smesso di scrivere e sarebbe stato un danno.

Quella lettera, che conservo ancora, mi è stata di spunto per molte riflessioni durante gli anni.

  1. Pochi sanno cosa significhi pubblicare un libro e quindi non pagare per pubblicare, ma trovare un editore che investa i suoi soldi nel tuo talento.
  2. Se una cosa non riesce subito, allora tanto vale lasciarla stare. I sogni si devono realizzare subito; non si è tenuti a nessuna lotta, costanza, coerenza, sudore per affermare la propria voce, in questo caso, letteraria.
  3. Non esiste alcun percorso universitario di educazione alla scrittura, solo scuole private o corsi di scrittura creativa.

Ma si può insegnare a scrivere un romanzo?

Considero il mestiere della romanziera un mestiere creativo, quindi come un compositore deve prima imparare a suonare il suo strumento, come la coreografa deve conoscere i passi di danza, così la scrittrice o lo scrittore devono saper usare la scrittura per metterla al servizio del proprio talento, nel caso lo si abbia, ovvio.

Sempre seguendo la stessa logica, se per fare il musicista bisogna amare la musica e per fare una coreografia la danza, la lettura sarà divertimento, passione, sogno, compagnia per la romanziera o il romanziere. Insomma prima di piacere agli altri scriveremo quello che noi amiamo leggere, inseguendo il romanzo perfetto, scartando la banalità e cercando la nostra pagina ispiratrice tra i nostri autori del cuore.

“Impara le regole prima di infrangerle. Impara a disegnare, poi ignora le regole del disegno, impara a costruire una storia e mostra alla gente cose che non ha mai visto prima in modi che non ha mai visto” Neil Gaiman in Questa non è la mia faccia.

Con questo non voglio certo dire che si deve smettere di narrare, ma che i ragazzini di oggi si nutrono di diversi linguaggi e con quelli narreranno, probabilmente. Forse la mia è una generazione ambigua e disattenta, però molti scrittori creativi già spaziano in parallelo ai libri tra immagini, fumetti, videogiochi con cui sono cresciuti, di cui si sono nutriti, di cui erano affamati. E questo è davvero fantastico.

Voglio provare a sfatare il fascino del romanziere e della romanziera con due citazioni di autori che ammiro. La prima è tratta da Muoio dalla voglia di conoscerti di Aidan Chambers.

“Non ho mai capito perché i lettori siano così influenzati dall’incontro con gli scrittori. Da lettore è l’unica cosa che desidero. Nella mia esperienza quasi tutti gli scrittori di libri che hai ammirato sono deludenti come persone. Come può essere altrimenti? Se hanno un senso come scrittori, il meglio di loro deve trovarsi nei loro libri.”

E poi “Leggete i libri: ogni tanto lì riuscirete a vederci” scrive Neil Gaiman sempre in Questa non è la mia faccia.

Quindi, non sarebbe male spogliarsi del ruolo dello scrittore spostando così, nell’immaginario collettivo, l’asticella dell’attenzione più su una professione che sul fascino personale? D’altronde sono i lettori e le lettrici ad alimentare o addirittura a creare il mito dello scrittore, senza rendersi conto che il grande potere di un romanzo sta tutto nel lettore o nella lettrice.

Inutile dire che certi romanzi sono immortali mentre i loro autori o autrici sono beatamente (o meno) morti o morte e l’immortalità gliel’hanno consegnata i lettori di tutti i tempi.