Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Dico la mia sulle varie polemiche libresche, anche se non ne sente certo la necessità!

Non è questione di fotoromanzo, libro brevissimo, upgrade cartaceo dei booktoker o romance come se non ci fosse un domani, tutto si fa bene o meno bene a prescindere, tutto ci sta, ma è così che formiamo lettori? Questo il dubbio. Perché quelli servono, a noi che scriviamo e pubblichiamo libri.

Una bravissima educatrice mi ha insegnato che gli adolescenti non vanno inseguiti ma affascinati e invece tanti mi paiono gli inseguimenti.

Opinione mia, per carità.

Resto convinta che la lettura tra i giovani oggi si salvi solo con tanta buona letteratura e seri gruppi di lettura a scuola-in biblio-in libreria, dove vi pare. E anche con i buoni festival che coinvolgono tra gli organizzatori ragazzi e ragazze.

Ed è solo una goccia di salvezza perché è vero che non esiste pensiero e sostegno istituzionale o educazione alla lettura. Un deserto.

Ma provocare i lettori adolescenti con l’ottima letteratura del romanzo che scuote, fa discutere e sveglia, quello acchiappa. Io ci credo. Sembra assurdo eppure essere sfidanti tra gli adolescenti può essere più efficace di quanto si creda. Almeno per la mia esperienza.

Non si acchiappano tutti, certo, ma è un inizio solido con il quale guardare lungo.

Temo che siamo nella condizione di dover piantare un seme oggi con la consapevolezza che noi non vedremo i frutti dell’albero di domani. Mi sa che non c’è scelta.

Poi, spazio di pensiero e di azione a ognuno, in ogni categoria della filiera del libro, io stessa faccio quello in cui credo, perché non dovrebbero gli altri?

Aggiungo, ancora, che sui romance (quello specifico tipo di romance) di cui le ragazzine giovanissime sono affamate ho seri dubbi e li ho già espressi.

Mi hanno già dato della vecchia, non fa niente, vale quanto dire a una donna ma fattela una risata dopo aver espresso un commento sessista. Facile liquidarmi così.

Mi sono capitate giovani lettrici che non riescono a leggere altro e più soffrono e piangono e più va bene. Mi è capitato di incontrare delle ragazzine che chiamano i loro fidanzatini o aspiranti tali “il mio malessere“.

Lasciamo perdere la scrittura, pensiamo ai contenuti.

Si fanno cortei contro la violenza sulle donne e poi le dodicenni crescono così? Cacciamo gli stereotipi fuori dalla porta e rientrano dalla finestra.

Non lo so. Se le ragazzine fossero tutte lettrici forti e onnivore sarei tranquilla. Ma non siamo un paese di lettori e lettrici. Oggi nel 2025 abbiamo bisogno di un proliferare sconfinato di questo genere di storie che creano una vera dipendenza nelle lettrici giovanissime che leggono SOLO quelle? Mi pare una regressione, un inseguire la vendita dimenticandoci di un pensiero culturale che si forma e radicalizza attraverso il romanzo. Il romanzo è un mezzo potente, non dimentichiamolo, la storia diventa nostra, la nostra.

O forse ci fa comodo così? Le future donne le vogliamo comunque ancelle? La responsabilità è di chi pubblica? Continuiamo a inseguire la vendita per sopravvivere senza pensare al futuro? Perché di questo parliamo. Il discorso è lungo e complesso, lo so.

Leggere di tutto per una giovane lettrice onnivora va benissimo, leggere quello che piace per un’adulta è sacrosanto, ma veder leggere così le dodicenni (solo femmine) il romanzo dal pensiero unico mi lascia un sacco di dubbi e forse di preoccupazioni.

Comunque, speranza ne ho tanta, se scrivo di ragazzi e ragazze e coordino un gdl di13/17enni affamate/i di letture belle e complesse, non posso non averla.

E dubbi pure tanti.

Quello che conta…

Dietro a ogni professione, azione o pensiero c’è la persona, così dietro a ogni lettore o lettrice. Dietro a quello che facciamo ci siamo noi e dipende molto da come ci stiamo, dietro.

Il gdl che coordino è una piccola parte del mio lavoro che è incentrato soprattutto sulla scrittura di romanzi, ma sono sempre io, una.

Prima dell’intervista di domenica 15 al festival ho fatto una proposta, quelle/o di Leggere Ribelle (il gdl di adolescenti che coordino) hanno controproposto smantellando la mia idea. Ancora una volta a un componente LR è stata fatta una proposta e ha risposto: certo, volentieri, ne parlo con Giuliana. Capitemi bene, io sono un passaggio, rappresento il gruppo, lo accudisco per tutto quel che posso, non ho potere e non ne voglio. Stare insieme è una modalità che diventa naturale se la si pratica bene e anche quando siamo chiamati in causa come singoli restiamo gruppo, seppur con le nostre particolarità.

La famiglia umana cui tutti apparteniamo è il luogo da cui partire anche per costruire un gruppo di lettura. È il come che cambia le cose, il come che semina futuro.

Troppo facile predicare inclusione e poi nella vita escludere. Lasciare fuori. Sdoppiarsi. Leggere bene per poi dimenticare. Tutte pratiche abusate. Ma niente è soltanto un lavoro. Niente è solamente lettura.

Non finisce tutto col vendere e comprare libri o esercitare una qualsiasi professione, bisogna saper starci dietro come persone.

Allora, mi è piaciuto quanto detto tempo fa da Wu Ming 1, mi ci ritrovo, ma capisco la fatica di ballare al ritmo dei contesti ormai stereotipati, sempre gli stessi, a volte consapevolmente inutili. D’altronde la lettura e la scrittura di romanzi, come tutte le arti, sono considerate superflue, sicuramente non essenziali.

Si parla di pubblicazione di libri ma siamo tanti e diversi. Credo che i romanzi siano dei lettori non di chi li scrive, che io non sia psicologa o guru, che non sia interessante ma possa interessarmi. A me piacciono le relazioni con le persone, quello che danno e quello che cerco di dare per me conta, è cosa viva, vitale. Tutto a vari livelli: profondo, meno profondo, allegro andante.

Non sono così famosa ma riesco ancora a esserci e, per fortuna o per casualità, ho quasi sempre avuto esperienza di persone belle. Scrivo per ragazzi e ragazze.

Però. È un circo, una giostra. Ci sta. Ho saputo che un libraio sul mio territorio non vende i miei romanzi perché ha accordi commerciali che lo portano altrove. Ho fatto incontri dove vivo che per me erano una festa e non è venuto quasi nessuno, non me lo aspettavo. Sono evidentemente esclusa da alcuni contesti. Più di uno. Me ne chiedono spesso il perché e non so che rispondere. Che fare, allora? Ci posso anche restare male perché io con questo mestiere ci campo (anche se in stile francescano) e poi?

Allora mi sono rimessa a studiare, università pubblica, in presenza quando posso, metà tempo. Scrivo, mi devo nutrire se voglio scrivere buone storie e farlo bene. Le paludi della banalità non sono affascinanti, sono pochezza. Dovevo volgere lo sguardo altrove. Conoscendo ancora, anche l’oscurità suggerisce e, in luoghi nuovi, amando me stessa e gli altri resto vitale. Rincorro il romanzo perfetto che non riuscirò mai a scrivere, la mia bussola punta lì. E il mio meglio è nelle mie storie, anche se può non essere un granché. Chi mi pubblica sa. Chi legge se vuole decide.

Sono vecchia, le ferite si rimarginano, e in un mondo che sa essere brutto ho scelto la mia strada di fare bene e per bene insieme a chi incontro. Finché ho tempo faccio così. Tutto il resto va da sé e un buon analista non guasta mai.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Come con i denti del giudizio che non servono più?

Fino a ora, nel 2024, ho fatto incontri letterari con studenti e studentesse intensi, belli, centrati. L’ultimo con cinque classi di terza media in due gruppi, il mio intervento era pagato e programmato da tempo.
In 6 tra tutti avevano letto il mio libro.
Non posso dire che non sia stato bello: ragazzi e ragazze attenti, la parte femminile accanita lettrice di romance. Abbiamo parlato di tutto, raccontato la storia del mio romanzo con chi aveva letto a beneficio di chi non lo aveva fatto, ho spiegato la mia passione per la lettura, promosso, risposto ad alcune curiosità. Una ragazza voleva intraprendere la carriera di scrittrice e passo per passo abbiamo provato a capire come fare, in mancanza di un percorso nelle università pubbliche. Insomma tre ore in due turni dense e vissute davvero bene tutti insieme usando le storie come collante.
Le professoresse sono state in fondo e ci hanno ascoltati dialogare.
E allora io mi domando: perché non hanno fatto leggere il mio romanzo? Erano ottime classi, disciplinate e con buona proprietà di relazione e linguaggio. Se le docenti non volevano far comperare un libro, potevano caldeggiare la biblioteca visto che da lì è partito il progetto. Potevano leggersi 150 pagine e raccontarle, dedicare al libro solo trenta minuti da sottrarre al programma. Perché perdere questa opportunità? Perché ignorarla in modo quasi offensivo per chi come me ha comunque lavorato con le classi? È stato bello perché io ci ho creduto, ma poteva essere ancora meglio.
Non mi hanno detto una parola e io non ho chiesto. Non impongo nulla, figuriamoci, io faccio un mestiere creativo, mi propongo non inseguo, provo a condividere.
Non hanno colto l’opportunità semplicemente perché a loro non interessava. Punto.
E perché questo episodio, vissuto peraltro benissimo con i ragazzi e le ragazze, interessa me?
Perché si innesta in un discorso più ampio, quello sul futuro della lettura e dei libri e quindi anche un po’ il mio. Leggere non è una pratica istituzionalizzata perché non importa che sia tale. Temo.
Tutti si riempiono la bocca del valore della lettura, ma questo è per lo più sconosciuto.
Quelle come me faticano a rendersene conto perché frequentano realtà virtuose come alcune scuole e i festival. Quelle come me finiscono per vivere tra persone che pensano e vivono con i libri, ma non sono la maggioranza, anzi sono una minoranza nel Paese. Siamo troppo pochi e non tiro in ballo i territori difficili. Io ero a quindici chilometri da casa.
E dunque i dati della lettura diventano realistici. Si pubblica troppo e non si legge perché nella maggior parte dei casi non interessa neanche nelle sedi legate ai saperi, come le scuole. Non abbiamo una laurea magistrale in scrittura creativa perché scrivere e leggere, con parole grossolane, possono essere definiti un hobby. Ho anche dei dubbi sui numeri dei libri venduti, soprattutto nelle scuole e nell’editoria per ragazzi e ragazze, dove ormai tutti gli scrittori e le scrittrici si affacciano. Entri in una scuola e partono centinaia di copie, quindi si vende.
Ma vendere significa davvero: un libro uguale un lettore?
Perché l’editoria si salva solo con i lettori e non con quelli presunti tali. E io temo che non tutti i libri venduti siano finiti in mano a giovani lettrici e lettori, anche se hanno letto.
L’educazione alla lettura è questione seria e portante. Ma se nessuno rinnegherà mai l’importanza del ruolo di un insegnante, non è affatto così per uno scrittore o una scrittrice.
Faticano tutti a vivere di libri: librai, scrittori e scrittrici, case editrici, i margini economici sono faticosamente bassi.
Che la scrittura e la lettura siano in via d’estinzione?
Come capita con i denti del giudizio che li tolgono perché non servono più?
Sono solo domande, sia chiaro, io continuo a fare quello che faccio, a scrive e a leggere, a incontrare felicemente romanzi bellissimi. Vivo l’oggi, faccio quel poco che è in mio potere per il domani in cui credo, ma nonostante tutto il bello che vedo nel mio piccolo mondo ho un sacco di dubbi sul futuro dei romanzi.
Tutto evolve, magari sono io a non saper vedere. Poca cosa, quindi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Ma è davvero un lavoro?

Io nella mia vita non ho mai avuto bisogno di soldi fino a cinquant’anni. Non mi sono proprio mai posta il problema di spendere o non spendere. Sono andata via da Roma e poi dall’Italia e poi sono arrivati i figli e ho semplicemente fatto. La madre, la moglie, la figlia e tutti i mestieri di mezzo. Appena avevo un buco leggevo o scrivevo. A cinquant’anni mi sono ritrovata sola in una città che non era la mia, con due figli, una madre anziana, il conto in banca a zero, sette romanzi pubblicati e socia Icwa.

Incomprensibilmente non avevo mai trovato il tempo per pensare a una mia reale indipendenza economica, assorbita com’ero dalle mie infantili certezze di felicità. Vai a fare la commessa, mi è stato detto. Io un lavoro ce l’ho, ho risposto. Oggi quel lavoro, la scrittrice di romanzi per ragazzi e ragazze, mi aiuta a sopravvivere, ma mi fa arrabbiare, anzi incazzare, il fatto che non sia riconosciuto come lavoro (come tutti i mestieri creativi). Perché da questo fatto partono i guai per chi di scrittura vuole vivere.

Gli autori fiamminghi hanno un sostegno statale per preservare la qualità del loro lavoro, i francesi le royalty per i prestiti bibliotecari dei loro romanzi, molti Paesi traducono per l’estero per esportare la propria cultura. Ma questo lo sappiamo già. E noi? Quanti provano a vivere di scrittura? Le librerie indipendenti chiudono. I pochi lettori sono contesi. Le scuole sono un bacino unico appetibilissimo e subissato di proposte.

Però scrivere resta il sogno di tanti. Perché è così affascinante essere letti? I corsi di scrittura creativa si moltiplicano e quindi la richiesta di una professionalità in questo campo esiste. Ma leggere, non leggono in tanti. Colui o colei che va in libreria o in biblioteca per trovare qualcosa da leggere non è quantizzabile in Italia. O meglio, forse, non è giustificata la mole di libri che esce per quanti leggono.

Un mondo editoriale che continua a sfornare libri ma non forma lettori è destinato al collasso. E collasso è già, se un grande marchio editoriale ricorre al romanzetto sgrammaticato per far cassa. E l’asticella di quello che fa bene ai lettori, e li conserva nel tempo, si abbassa.

Per fare un lettore ci vuole un buon romanzo e una politica di educazione alla lettura promossa a livello istituzionale.

Sento parlare di letteratura che deve coinvolgere il lettore, trascinarlo altrove, e denigrare ogni tentativo commerciale o parascolastico. Ma che senso ha? Prima di sdegnarsi bisogna avere un quadro chiaro di cosa sia il mondo del lavoro in Italia e il lavoro creativo vive della clandestinità e della professionalità castrata al pari di chi finisce per raccogliere pomodori. Lo so, appare irrispettoso scriverlo, mi scuso, ma è una frase che deve fare male.

Per come la vedo io l’unica speranza sono i circoli letterari e i gdl, una lucina in fondo al tunnel. Quelli che leggono per scelta, l’unico bacino che conta, che dobbiamo alimentare, da cui partire.

Per carità ci sarebbero le scuole, ma lì la lettura è arma a doppio taglio, si può far molto bene e si può far male. Dipende dalle competenze e dall’impegno. Dipende da come e quanto ci si crede.

Come molte di quelle che fanno il mio mestiere ricevo inviti per incontri e presentazioni. Negli ultimi mesi ho ricevuto in particolare tre mail di professori che mi chiedevano di andare nelle loro scuole. Entusiasti dei miei romanzi.  Non un accenno alle spese di viaggio. Io rispondo sempre che se l’acquisto delle copie è importante si rivolgano alla mia casa editrice o a una libreria che organizzano loro, diversamente chiedo un compenso (ovviamente vado gratuitamente dove opportuno, non sono una snob, indosso scarpe basse e faccio passi ben distesi). Avendo una partita Iva posso emettere fattura elettronica e lavorare con le scuole. Ho più del 30% di oneri e le spese di viaggio, quello che mi resta è il giusto per progettualità, impegno e fatica per un incontro ben strutturato con studenti e studentesse (il famoso esperto esterno). Il 20% della ritenuta d’acconto usato per la prestazione occasionale, che ridurrebbe i costi, non è applicabile perché ha un tetto massimo e per alcuni progetti bisogna emettere per obbligo fattura elettronica.

 Da nessuna di quelle tre particolari mail ho avuto replica, neanche un no grazie. Dall’entusiasmo a un silenzio maleducato e si può immaginare scandalizzato.

Noi le facciamo il favore di acquistare una copia e di leggere!

È ignoranza, non è cattiveria, nel senso che non sanno cosa sia il mondo editoriale. Come per chi varca la scoglia di un supermercato e non immagina chi lo abbia costruito e come. Ed entrerebbero in campo le regole e le leggi.

È, invece, tutto scandalosamente al ribasso.

In quelle scuole andrà chi non ha chiesto compenso e per venti copie vendute (forse) e quindi 20 euro di diritti (forse). Chi è costui o costei? È ricco di famiglia o ha un altro lavoro (non accenno neanche al sottobosco di improvvisatori). Quindi cosa privilegiamo? Non certo una professione che deve essere riconosciuta come tale. Non che chi faccia un altro lavoro con cui campa non sia un bravo scrittore o scrittrice, ci mancherebbe e ce ne sono di bravissimi e bravissime.

Ma potersi dedicare totalmente alla scrittura ha dei vantaggi come il tempo, le energie, la concentrazione e ovviamente dignità da offrire alla professione. Dovrebbe essere un diritto per tutti poter fare il proprio mestiere, soprattutto se lo si sa fare bene.

Ma cosa significa esattamente vivere di scrittura? E come si possono cambiare le cose per avvicinarci agli standard europei? Alla prossima.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Campo e controcampo nell’editoria per ragazze e ragazzi

Ma i ragazzi e le ragazze possono tutto?

Succede che tante iniziative vedano giovani e giovanissimi al centro dell’editoria per ragazzi e ragazze. Molte iniziative cercano di agganciare il lettore che scandisce il ritmo dell’editoria nel settore che è cresciuto di più negli ultimi anni, forse l’unico che è cresciuto.

In Italia, si sa, si pubblicano moltissimi libri, ma i lettori sono pochi, pochissimi, le lettrici qualcuna in più (ed è un meccanismo strano per qualsiasi mercato).

Tutte le iniziative di cui parlavo, a volte invasive della sfera di competenza dell’autrice o dell’autore, creano davvero lettori? Perché il grande obbiettivo culturale, educativo e sociale resta, a mio parere, quello di creare lettori. Se cresci lettore lo rimani a vita e, in qualità di fruitore di libri, alimenti una filiera importante.

Non mi dilungo a spiegare quanto io creda nel valore dei buoni romanzi, buona musica, pittura, scultura, poesia, arte in generale; quanto io creda nel valore di quei mestieri creativi che sono fonte vitale e primaria per la nostra umanità in quanto persone.

Comunque, è interesse di noi adulti, che siamo parte della filiera del libro, crescere nuovi lettori.

E allora, come si diventa lettori consapevoli e autonomi?

Con i buoni romanzi classici e contemporanei. E la comunità adulta può farsi mediatrice con i ragazzi, educare il loro gusto alla lettura. E non è solo compito dell’insegnate di lettere, ma materia a parte, trasversale. Poco fanno le istituzioni, si sa, spesso è tutto affidato alla scuola e sulle spalle dei e delle docenti di lettere. Eppure portare i libri a scuola, dove si srotola una parte importante della vita dei ragazzi e delle ragazze, non sempre crea lettori autonomi, soprattutto se la lettura arriva come parte dello studio scolastico e non come libera e rivoluzionaria passione individuale.

Per i ragazzi e le ragazze prendere un libro in mano dovrebbe essere come infilarsi le cuffiette nelle orecchie per ascoltare musica. Non accade quasi mai.

Esistono però grandi progetti che con competenza avvalorano i veri presupposti per avviare i ragazzi e le ragazze alla lettura e formano lettori. Sono pochi sul piano nazionale ed esistono. Ma ultimamente si è scatenata una scarica adrenalinica negli adulti che vogliono creare giovani lettori, alcuni improvvisano altri no e per fortuna fioriscono i corsi di formazione. Resto dubbiosa al riguardo. Coordino un gruppo di lettura dal 2018 e so cosa significa acchiappare l’attenzione di un adolescente (tredici-diciasettenne) su un buon libro, impresa ardua se il contesto è quello di lasciarli liberi di scelta: esserci o non esserci, leggere o non leggere. Se è quello di aspettare pazientemente e senza scoraggiarsi che il libro rivelazione inneschi l’amore per la lettura in lei o in lui.

Diversamente la lettura non è una scelta, ma un’imposizione e difficilmente nascerà un lettore autonomo e consapevole.

E non vi dico quanto snervante sia aspettare un messaggio di risposta a una domanda banale ma indispensabile alla gestione collettiva del gdl. Non è una passeggiata stare ai tempi degli adolescenti, soprattutto se lo fai come volontaria (e accade quasi sempre, ma questa è un’altra storia).

So che è impresa che sfinisce, quindi mi stupisco che tanti anelino a questo ruolo di educatore e promotore della lettura. L’adulto in questo caso non è (e non deve essere) protagonista, ma servo della passione letteraria.

Puntata l’attenzione del mondo editoriale su quello per ragazze e ragazzi e complice il pregiudizio che sia un terreno più facilmente praticabile rispetto a quello colto della scrittura per adulti, i ragazzi e le ragazze ne sono diventati il centro. Coinvolgerli sembra l’unica cosa da fare. Se non leggono, li facciamo scrivere oppure giudicare e indirizzare gli scrittori adulti e i loro romanzi. Tante iniziative per metterli al centro, forse troppe, non tutte ben costruite.

E, tra parentesi, una perplessità: perché fare agli alunni/e un corso di scrittura creativa se non hanno una biblioteca scolastica aggiornata? Non è un controsenso o una falsa illusione? Si sostiene forse una possibilità: si può diventare scrittori anche senza essere lettori. Mi spaventa un po’.

Se da una parte la società contemporanea vede moltissimi bambini e bambine fin da piccoli con un’agenda di impegni tra sport, musica, teatro, scuola e tutto organizzato e supervisionato dagli adulti con pochissimi spazi di autonomia; il mondo dell’editoria sembra voler consegnare loro le proprie sorti.

«… alcuni sostengono che dovrebbero essere gli stessi bambini o ragazzi a scrivere per i loro coetanei. Questa a però a mio avviso non è un’ipotesi realistica. (…) Si tratta di una vecchia disputa che prima della scrittura ha coinvolto le arti figurative e di conseguenza il campo delle illustrazioni. (…) Allo stesso modo tutti i tentativi di pubblicare e diffondere tra i bambini i testi scritti dai loro coetanei ha suscitato solo l’interesse dei pedagogisti adulti. Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti sì “il suo mondo” ma con strumenti letterari più “perfezionati” di quelli a sua disposizione.» Storia delle mie storie, Bianca Pitzorno.

E io autrice o autore? Non esiste una formazione universitaria in Italia (a differenza di quanto avviene negli altri Paesi) per diventare scrittori o scrittrici. Esistono corsi di scrittura creativa o autoformazione. Tutti possono essere scrittori e se un compositore deve farsi i suoi anni di strumento e poi studiare armonia per comporre musica (certo esistono talenti straordinari, ma questo è un discorso diverso) a scrivere un romanzo sono buoni tutti (per ragazzi e ragazze poi!). L’editoria pagamento lo sa e ci sopravvive, l’autocompiacimento autoriale paga (ovvio, anche in questo caso ci sono le dovute eccezioni). E il sudore, la fatica, lo studio per arrivare a essere pubblicato da un editore nazionale? Non conta nulla, siamo tutti scrittori e scrittrici.

Veniamo ai ragazzi e alle ragazze. Una sedicenne mi diede da leggere il suo romanzo, corretto dalla professoressa d’Italiano e stampato in tipografia dal padre con tanto di foto e biografia in quarta di copertina. Sapeva scrivere correttamente, ma nel romanzo non esistevano struttura e dialoghi, i personaggi erano stereotipati. Il mio commento gentile e correlato di bibliografia esaustiva di grandi romanzi contemporanei d’amore (perché d’amore parlava la sua storia) è stato bollato come le parole di un’adulta troppo vecchia, incapace di capirla. Soprattutto, se il mio intervento fosse arrivato prima della “pubblicazione” del suo romanzo, lei non avrebbe mai continuato a scrivere. E sarebbe stato un gran danno.

Tengo da parte quella mail piccata, è stata illuminante. Con una quindicina di romanzi (allora) all’attivo pubblicati davvero con editori nazionali, io potevo essere trattata alla pari, non ero degna di autorevolezza, né per professionalità né per anzianità.

All’inizio della mia carriera mi capitò di ricevere, a quarant’anni passati, mentre leggevo, studiavo e scrivevo per ragazze e ragazzi una grossa stroncatura da una editor autorevole. Per fortuna, pur essendo un commento negativo era ben motivato e io ci piansi. Sì, una donna a quarant’anni suonati ha pianto di rabbia e avvilimento. Me lo ricordo bene, ero seduta sulle scale di casa mia, da sola. Ma il giorno dopo ho asciugato le lacrime e inviato una risposta di ringraziamento. Ho imparato più da quella stroncatura che con un intero manuale di scrittura.

Come spiegare a una scrittrice o a uno scrittore in erba che l’umiltà è una delle doti essenziali per un qualunque creativo se è su un piedistallo da quando è bambina o bambino?

È giusto che io adulta venga giudicata, amata, scartata o ignorata dai lettori quando il mio romanzo è in libreria. I libri sono dei lettori, non di chi li ha scritti, questo è insindacabile per me. Ma sul prima ho seri dubbi riguardo alle contaminazioni non professionali (sperimentazioni e mondo della scrittura sulle piattaforme online a parte).

E bisogna anche distinguere tra lettori. Un lettore consapevole e autonomo mi sa valutare, un ragazzo o una ragazza costretto e leggere o che non legge mai, no. La lettura è un’abilità. Un giocatore in un videogioco ha un’abilità che gli o le permette di giocare, se non l’acquisisce non riesce a giocare. Perché questo non è assimilabile alla lettura?

Quindi, invitare alla lettura dove? Come? Perché? E fino a che punto è gusto coinvolgere i ragazzi e le ragazze nel mondo editoriale? Non è che con tutta questa attenzione puntata addosso “loro”, diventati così importanti per “noi”, finiscono per scappare (che forse sarebbe pure lecito)? Gli adolescenti non vanno inseguiti, ne sono certa. Oltre a essere umiliante è inutile.

Ecco, per dire che c’è tanta confusione, che forse non sono ben chiari e comuni gli obiettivi in questo mondo strambo e meraviglioso dell’editoria. Che forse alcuni punti fermi vanno messi, a costo di essere antipatica. E non sempre mettere al centro i giovani lettori e lettrici è la soluzione. A volte ho addirittura la sensazione che siano “usati” dagli adulti, perché il nostro è un mondo di adulti, anche se sembra diventata una cosa di poco conto quando invece non lo è.

Come romanziera rivendico la mia professionalità di donna adulta che ha studiato e, dopo anni di lavoro e anche di sperimentazione, fa il mestiere di scrittrice.

A un amico caro a cui piace scrivere e che ha del talento (secondo me) ho consigliato un buon corso di scrittura; già dopo alcune lezioni mi ha ringraziato, ha ammesso che non sapeva cosa fosse la struttura di un romanzo o il punto di vista, pur essendo un grande lettore. A uno scrittore o a una scrittrice serve il talento e servono gli strumenti per svilupparlo. Come al musicista, che pur sapendo improvvisare, attraverso lo studio acquisisce la capacità di esprime a pieno e al meglio il proprio talento.

Sfatiamo il mito del tutto e subito, dell’illuminazione che è capolavoro (come il grande calciatore, l’illuminazione geniale è ago nel pagliaio). Credo sia giusto avvalorare il fatto che la costanza e il tempo debbano essere gli attori principali dei nostri sogni perché questi diventino realtà.

Credo che l’umiltà sia un principio fondante per qualsiasi creativo, ma che il rispetto per se stessi e il proprio lavoro non vadano mai messi da parte.

È questione di equilibrio, come sempre, e di una ambigua deriva giovanilistica che forse inquina la nostra società seppur a fronte di moltissime iniziative valide, consapevoli e intelligenti che vedono coinvolti libri, ragazze e ragazzi.