Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Dico la mia sulle varie polemiche libresche, anche se non ne sente certo la necessità!

Non è questione di fotoromanzo, libro brevissimo, upgrade cartaceo dei booktoker o romance come se non ci fosse un domani, tutto si fa bene o meno bene a prescindere, tutto ci sta, ma è così che formiamo lettori? Questo il dubbio. Perché quelli servono, a noi che scriviamo e pubblichiamo libri.

Una bravissima educatrice mi ha insegnato che gli adolescenti non vanno inseguiti ma affascinati e invece tanti mi paiono gli inseguimenti.

Opinione mia, per carità.

Resto convinta che la lettura tra i giovani oggi si salvi solo con tanta buona letteratura e seri gruppi di lettura a scuola-in biblio-in libreria, dove vi pare. E anche con i buoni festival che coinvolgono tra gli organizzatori ragazzi e ragazze.

Ed è solo una goccia di salvezza perché è vero che non esiste pensiero e sostegno istituzionale o educazione alla lettura. Un deserto.

Ma provocare i lettori adolescenti con l’ottima letteratura del romanzo che scuote, fa discutere e sveglia, quello acchiappa. Io ci credo. Sembra assurdo eppure essere sfidanti tra gli adolescenti può essere più efficace di quanto si creda. Almeno per la mia esperienza.

Non si acchiappano tutti, certo, ma è un inizio solido con il quale guardare lungo.

Temo che siamo nella condizione di dover piantare un seme oggi con la consapevolezza che noi non vedremo i frutti dell’albero di domani. Mi sa che non c’è scelta.

Poi, spazio di pensiero e di azione a ognuno, in ogni categoria della filiera del libro, io stessa faccio quello in cui credo, perché non dovrebbero gli altri?

Aggiungo, ancora, che sui romance (quello specifico tipo di romance) di cui le ragazzine giovanissime sono affamate ho seri dubbi e li ho già espressi.

Mi hanno già dato della vecchia, non fa niente, vale quanto dire a una donna ma fattela una risata dopo aver espresso un commento sessista. Facile liquidarmi così.

Mi sono capitate giovani lettrici che non riescono a leggere altro e più soffrono e piangono e più va bene. Mi è capitato di incontrare delle ragazzine che chiamano i loro fidanzatini o aspiranti tali “il mio malessere“.

Lasciamo perdere la scrittura, pensiamo ai contenuti.

Si fanno cortei contro la violenza sulle donne e poi le dodicenni crescono così? Cacciamo gli stereotipi fuori dalla porta e rientrano dalla finestra.

Non lo so. Se le ragazzine fossero tutte lettrici forti e onnivore sarei tranquilla. Ma non siamo un paese di lettori e lettrici. Oggi nel 2025 abbiamo bisogno di un proliferare sconfinato di questo genere di storie che creano una vera dipendenza nelle lettrici giovanissime che leggono SOLO quelle? Mi pare una regressione, un inseguire la vendita dimenticandoci di un pensiero culturale che si forma e radicalizza attraverso il romanzo. Il romanzo è un mezzo potente, non dimentichiamolo, la storia diventa nostra, la nostra.

O forse ci fa comodo così? Le future donne le vogliamo comunque ancelle? La responsabilità è di chi pubblica? Continuiamo a inseguire la vendita per sopravvivere senza pensare al futuro? Perché di questo parliamo. Il discorso è lungo e complesso, lo so.

Leggere di tutto per una giovane lettrice onnivora va benissimo, leggere quello che piace per un’adulta è sacrosanto, ma veder leggere così le dodicenni (solo femmine) il romanzo dal pensiero unico mi lascia un sacco di dubbi e forse di preoccupazioni.

Comunque, speranza ne ho tanta, se scrivo di ragazzi e ragazze e coordino un gdl di13/17enni affamate/i di letture belle e complesse, non posso non averla.

E dubbi pure tanti.

Quello che conta…

Dietro a ogni professione, azione o pensiero c’è la persona, così dietro a ogni lettore o lettrice. Dietro a quello che facciamo ci siamo noi e dipende molto da come ci stiamo, dietro.

Il gdl che coordino è una piccola parte del mio lavoro che è incentrato soprattutto sulla scrittura di romanzi, ma sono sempre io, una.

Prima dell’intervista di domenica 15 al festival ho fatto una proposta, quelle/o di Leggere Ribelle (il gdl di adolescenti che coordino) hanno controproposto smantellando la mia idea. Ancora una volta a un componente LR è stata fatta una proposta e ha risposto: certo, volentieri, ne parlo con Giuliana. Capitemi bene, io sono un passaggio, rappresento il gruppo, lo accudisco per tutto quel che posso, non ho potere e non ne voglio. Stare insieme è una modalità che diventa naturale se la si pratica bene e anche quando siamo chiamati in causa come singoli restiamo gruppo, seppur con le nostre particolarità.

La famiglia umana cui tutti apparteniamo è il luogo da cui partire anche per costruire un gruppo di lettura. È il come che cambia le cose, il come che semina futuro.

Troppo facile predicare inclusione e poi nella vita escludere. Lasciare fuori. Sdoppiarsi. Leggere bene per poi dimenticare. Tutte pratiche abusate. Ma niente è soltanto un lavoro. Niente è solamente lettura.

Non finisce tutto col vendere e comprare libri o esercitare una qualsiasi professione, bisogna saper starci dietro come persone.

Allora, mi è piaciuto quanto detto tempo fa da Wu Ming 1, mi ci ritrovo, ma capisco la fatica di ballare al ritmo dei contesti ormai stereotipati, sempre gli stessi, a volte consapevolmente inutili. D’altronde la lettura e la scrittura di romanzi, come tutte le arti, sono considerate superflue, sicuramente non essenziali.

Si parla di pubblicazione di libri ma siamo tanti e diversi. Credo che i romanzi siano dei lettori non di chi li scrive, che io non sia psicologa o guru, che non sia interessante ma possa interessarmi. A me piacciono le relazioni con le persone, quello che danno e quello che cerco di dare per me conta, è cosa viva, vitale. Tutto a vari livelli: profondo, meno profondo, allegro andante.

Non sono così famosa ma riesco ancora a esserci e, per fortuna o per casualità, ho quasi sempre avuto esperienza di persone belle. Scrivo per ragazzi e ragazze.

Però. È un circo, una giostra. Ci sta. Ho saputo che un libraio sul mio territorio non vende i miei romanzi perché ha accordi commerciali che lo portano altrove. Ho fatto incontri dove vivo che per me erano una festa e non è venuto quasi nessuno, non me lo aspettavo. Sono evidentemente esclusa da alcuni contesti. Più di uno. Me ne chiedono spesso il perché e non so che rispondere. Che fare, allora? Ci posso anche restare male perché io con questo mestiere ci campo (anche se in stile francescano) e poi?

Allora mi sono rimessa a studiare, università pubblica, in presenza quando posso, metà tempo. Scrivo, mi devo nutrire se voglio scrivere buone storie e farlo bene. Le paludi della banalità non sono affascinanti, sono pochezza. Dovevo volgere lo sguardo altrove. Conoscendo ancora, anche l’oscurità suggerisce e, in luoghi nuovi, amando me stessa e gli altri resto vitale. Rincorro il romanzo perfetto che non riuscirò mai a scrivere, la mia bussola punta lì. E il mio meglio è nelle mie storie, anche se può non essere un granché. Chi mi pubblica sa. Chi legge se vuole decide.

Sono vecchia, le ferite si rimarginano, e in un mondo che sa essere brutto ho scelto la mia strada di fare bene e per bene insieme a chi incontro. Finché ho tempo faccio così. Tutto il resto va da sé e un buon analista non guasta mai.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Dalla parte delle lettrici e dei lettori

Nulla di nuovo se dico che in Italia tutti scrivono e pochi leggono. Come se tutti coltivassero pomodori e facessero conserve, ma a nessuno piacesse la salsa di pomodoro.

Insomma tu scrivi, vuoi che ti leggano e quindi cerchi di pubblicare ma non leggi i libri degli altri. Atto incoerente e privo di umiltà, e quest’ultima serve a badilate in qualsiasi professione artistica o creativa.

Torno ai lettori e alle lettrici, io sono una di loro. Ultimamente ho letto tre libri di Olivia Laing e mi sono appassionata alla sua scrittura. Non facile, intensa, profonda. Ragiona spesso di solitudini e questo è argomento che mi interessa molto. Scrive di arte, di storia e di natura e con tutto questo trascina in ragionamenti che possono incontrare l’anima di chi legge, la mia di sicuro.

Benché abbia altro da leggere oltre a lei, ieri mi sono messa a sbirciare tra gli e-book che erano di mia madre, ma che sono rimasti nel mio kindle. Una scrittrice ha attirato la mia attenzione, e poiché il suo nome era stato fatto più volte da un’amica stimata, ho cominciato a leggere. Si tratta di un romanzo di Nora Roberts, non è quello che leggo di preferenza ora, piuttosto è quello che leggevo una volta, ma pagina dopo pagina mi sono accomodata in quella storia.

Considero la lettura un atto anarchico. Con i romanzi siamo liberi, ci soffermiamo dove vogliamo, quando e se vogliamo.

Ora che l’onda dei romance travolge le giovani lettrici, quando le incontro nelle scuole non mi sogno neanche per un momento di dire che quello che leggono fa schifo. Anche se lo penso lo tengo per me. Propongo, però, storie (d’amore) belle e ben scritte che se le iniziano non smettono di leggere, restano tra le pagine. Roba buona che solo perché è buona fa la differenza con il resto e forma – senza fatica, senza filosofia subdola, senza mettersi in cattedra – il pensiero di lettore o di lettrice, affina il gusto.

Ma leggere può essere come guardare un dipinto. Puoi avere una guida che te lo spiega o – come è prerogativa dell’arte – puoi farti trascinare al di là del tempo e della conoscenza e ascoltare tela e colori.

Se leggiamo letteratura contemporanea (o anche no) possiamo concederci di restare liberi, arrivare se e dove arriviamo. No, io non credo che si possa o si debba insegnare a leggere, ammaestrare il gusto. Fuori dalla scuola almeno, nei gruppi di lettura specialmente.

Che non vuol dire affatto non formare lettori!

Voglio essere libera di leggere come voglio e quello che voglio in un romanzo. Siamo io e la storia, e sono fatti miei quello che capisco o meno e soprattutto non c’è una lettura sbagliata e una giusta, c’è la mia. E va bene così. Non devo renderne conto a nessuno!

A volte, per questo, è complicato leggere a scuola nonostante tanti bei progetti. Non è colpa di nessuno, è che la lettura pare cosa vicino allo studio e quindi ecco che i romance diventano un atto di libera autoaffermazione. La lettura per appassionare si deve accompagnare al senso di ribellione, è nella natura di un buon romanzo portarci altrove. Ma un buon romanzo oggi ha fama di essere adatto solo a educarci e nessuno ha voglia di farsi educare, soprattutto se si passa la mattina a scuola o al lavoro.

I buoni romanzi sono caduti nella rete di quella roba lì, in disgrazia. Nessuno sa più che in un romanzo siamo pienamente liberi e padroni di noi stessi. C’è qualcuno che ce li vuole spiegare e se non li abbiamo capiti come dice, finiamo per sentirci in colpa. Che brutto tunnel per questa forma d’arte meravigliosa che è la letteratura.

Per formare lettori bisogna restituire ai romanzi la loro libertà.

Ti è piaciuto? Sì!
Perché? Non lo so…
La prossima volta lo saprai, chissà!
A far pratica nelle storie si scoprono un sacco di cose di se stessi e degli altri, senza fretta, con i nostri tempi. Rispettabilissimi, sempre.

Se smettiamo di utilizzare la nostra capacità di immaginare restiamo schiavi dei romance, dei finali chiusi, dei personaggi descritti nei minimi particolari. Ci devono dire tutto, altrimenti non ci piace, ci affatica immaginare se non siamo abituati. Siamo lettori schiavi e addomesticati.

Ma se a un buon romanzo gli rubi la libertà, questo accade.

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L’ingannevolezza della buona volontà

Se chiamate un idraulico che ha studiato per corrispondenza ma con tanta buona volontà e poca attitudine, invece di riparare un guasto può forare un tubo e lasciarvi in un guaio peggiore di prima.

La buona volontà può far danni? A volte sì.

Però ci sono ambiti in cui la buona volontà la fa da padrona. E succede spesso per quei mestieri creativi o artistici che sembrano di scarsa utilità e quindi di scarsa dannosità, eppure il vuoto culturale è un danno.

Posto il fatto che io sento la necessità di un romanzo, una poesia, un’illustrazione tanto quanto di una banca per depositare i miei pochi risparmi e del paracetamolo per lenire i miei mal di testa (causati pure dai scarsi risparmi, ahimè), nel nostro Paese la cultura è troppo spesso affidata all’improvvisazione.

Una professoressa illuminata mi ha confidato come il dirigente, dopo che io per un anno avevo lavorato a scuola come esperta esterna, le avesse chiesto di arrangiarsi lei per quello successivo. “Come fare ormai lo sa, no?” Lei, da illuminata, si è rifiutata perché non è il suo lavoro e conosce la differenza tra competenza e approssimazione, ma non tutti rifiutano, lo so per certo e a volte anche per ragionevoli motivi.

Tanti si cimentano, adesso mi pare un vero e proprio bisogno adulto, nel creare gruppi di lettura per adolescenti. Un affare complicatissimo di cui pochi conoscono il valore. Non basta aver letto qualche libro, scegliere quello più in voga o dell’autore che ci sta più simpatico e poi reclutare il materiale umano (che giustamente fugge). Per proporre un solo libro bisogna averne letti cento, è condizione intellettualmente onesta e necessaria per poter dire a dei ragazzi e a delle ragazze: “leggetelo!”. Bisogna capire e sapere cos’è un gruppo di adolescenti, cosa significa fare gruppo, cosa si può offrire loro per farli appassionare ai libri e al mondo dei romanzi. Non basta proprio dire: leggi. Eppure questo nessuno pare saperlo, anche il vecchio buon esempio è in cantina sepolto dai vecchi ricordi. Pochi credono nella formazione e non parlo solo di singoli cittadini appassionati, ma anche di istituzioni (un comune che paghi un corso a una bibliotecaria perché si formi e poi lavori con i giovani lettori).

Nessuno vorrebbe in casa un idraulico non formato o in classe un insegnate non laureato, ma tutti sanno e possono scrivere, creare eventi e gruppi di lettura.

Siamo un Paese che si fonda sul volontariato, in fondo.

Si deve investire nella cultura a partire dalle piccole iniziative. Il mio è proprio un grido.

È giusto invitare un’autrice o un autore a scuola senza aver letto i suoi libri? O realizzare un evento e poi avere due persone in sala? Di chi è la responsabilità? Credetemi, capita a chiunque scriva romanzi per mestiere l’evento triste, ed è anche svilente vedere poi le foto di spalle di quei due o tre spettatori che ignari diventano pubblico dignitoso. È triste e soprattutto inutile, non aiuta a creare lettori, non cambia le cose nella testa/cuore/anima/vita delle persone come deve fare l’arte e la creatività; fa solo scena. È vuoto. È un’ occasione persa. Una finzione di cui ci accontentiamo. Se si rispetta un’autrice o un autore, prima di ingaggiarlo (pagarlo e spesarlo) si deve già sapere di avere un pubblico di base (le famose spalle coperte) che poi va allargato con la promozione, i comunicati stampa e con la scesa in campo degli uffici cultura e degli assessori che hanno creduto, avallato e pagato un progetto culturale.

La buona volontà non basta, ci vuole professionalità, si devono formare le persone che propongano la cultura e l’arte in tutte le sue forme, esattamente come si formano gli insegnati della scuola o i manager nelle aziende.

Abbiamo bisogno di bellezza e di romanzi che si mangino tutte le guerre, dobbiamo investire in questo, non in occasioni perse.

Sì, è un grido di allarme e di sofferenza, perché la bruttezza avanza e si maschera da vuoto culturale, mentre il disprezzo per la vita umana, animale e per la natura tutta cancella il nostro futuro.