Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Ma è davvero un lavoro?

Io nella mia vita non ho mai avuto bisogno di soldi fino a cinquant’anni. Non mi sono proprio mai posta il problema di spendere o non spendere. Sono andata via da Roma e poi dall’Italia e poi sono arrivati i figli e ho semplicemente fatto. La madre, la moglie, la figlia e tutti i mestieri di mezzo. Appena avevo un buco leggevo o scrivevo. A cinquant’anni mi sono ritrovata sola in una città che non era la mia, con due figli, una madre anziana, il conto in banca a zero, sette romanzi pubblicati e socia Icwa.

Incomprensibilmente non avevo mai trovato il tempo per pensare a una mia reale indipendenza economica, assorbita com’ero dalle mie infantili certezze di felicità. Vai a fare la commessa, mi è stato detto. Io un lavoro ce l’ho, ho risposto. Oggi quel lavoro, la scrittrice di romanzi per ragazzi e ragazze, mi aiuta a sopravvivere, ma mi fa arrabbiare, anzi incazzare, il fatto che non sia riconosciuto come lavoro (come tutti i mestieri creativi). Perché da questo fatto partono i guai per chi di scrittura vuole vivere.

Gli autori fiamminghi hanno un sostegno statale per preservare la qualità del loro lavoro, i francesi le royalty per i prestiti bibliotecari dei loro romanzi, molti Paesi traducono per l’estero per esportare la propria cultura. Ma questo lo sappiamo già. E noi? Quanti provano a vivere di scrittura? Le librerie indipendenti chiudono. I pochi lettori sono contesi. Le scuole sono un bacino unico appetibilissimo e subissato di proposte.

Però scrivere resta il sogno di tanti. Perché è così affascinante essere letti? I corsi di scrittura creativa si moltiplicano e quindi la richiesta di una professionalità in questo campo esiste. Ma leggere, non leggono in tanti. Colui o colei che va in libreria o in biblioteca per trovare qualcosa da leggere non è quantizzabile in Italia. O meglio, forse, non è giustificata la mole di libri che esce per quanti leggono.

Un mondo editoriale che continua a sfornare libri ma non forma lettori è destinato al collasso. E collasso è già, se un grande marchio editoriale ricorre al romanzetto sgrammaticato per far cassa. E l’asticella di quello che fa bene ai lettori, e li conserva nel tempo, si abbassa.

Per fare un lettore ci vuole un buon romanzo e una politica di educazione alla lettura promossa a livello istituzionale.

Sento parlare di letteratura che deve coinvolgere il lettore, trascinarlo altrove, e denigrare ogni tentativo commerciale o parascolastico. Ma che senso ha? Prima di sdegnarsi bisogna avere un quadro chiaro di cosa sia il mondo del lavoro in Italia e il lavoro creativo vive della clandestinità e della professionalità castrata al pari di chi finisce per raccogliere pomodori. Lo so, appare irrispettoso scriverlo, mi scuso, ma è una frase che deve fare male.

Per come la vedo io l’unica speranza sono i circoli letterari e i gdl, una lucina in fondo al tunnel. Quelli che leggono per scelta, l’unico bacino che conta, che dobbiamo alimentare, da cui partire.

Per carità ci sarebbero le scuole, ma lì la lettura è arma a doppio taglio, si può far molto bene e si può far male. Dipende dalle competenze e dall’impegno. Dipende da come e quanto ci si crede.

Come molte di quelle che fanno il mio mestiere ricevo inviti per incontri e presentazioni. Negli ultimi mesi ho ricevuto in particolare tre mail di professori che mi chiedevano di andare nelle loro scuole. Entusiasti dei miei romanzi.  Non un accenno alle spese di viaggio. Io rispondo sempre che se l’acquisto delle copie è importante si rivolgano alla mia casa editrice o a una libreria che organizzano loro, diversamente chiedo un compenso (ovviamente vado gratuitamente dove opportuno, non sono una snob, indosso scarpe basse e faccio passi ben distesi). Avendo una partita Iva posso emettere fattura elettronica e lavorare con le scuole. Ho più del 30% di oneri e le spese di viaggio, quello che mi resta è il giusto per progettualità, impegno e fatica per un incontro ben strutturato con studenti e studentesse (il famoso esperto esterno). Il 20% della ritenuta d’acconto usato per la prestazione occasionale, che ridurrebbe i costi, non è applicabile perché ha un tetto massimo e per alcuni progetti bisogna emettere per obbligo fattura elettronica.

 Da nessuna di quelle tre particolari mail ho avuto replica, neanche un no grazie. Dall’entusiasmo a un silenzio maleducato e si può immaginare scandalizzato.

Noi le facciamo il favore di acquistare una copia e di leggere!

È ignoranza, non è cattiveria, nel senso che non sanno cosa sia il mondo editoriale. Come per chi varca la scoglia di un supermercato e non immagina chi lo abbia costruito e come. Ed entrerebbero in campo le regole e le leggi.

È, invece, tutto scandalosamente al ribasso.

In quelle scuole andrà chi non ha chiesto compenso e per venti copie vendute (forse) e quindi 20 euro di diritti (forse). Chi è costui o costei? È ricco di famiglia o ha un altro lavoro (non accenno neanche al sottobosco di improvvisatori). Quindi cosa privilegiamo? Non certo una professione che deve essere riconosciuta come tale. Non che chi faccia un altro lavoro con cui campa non sia un bravo scrittore o scrittrice, ci mancherebbe e ce ne sono di bravissimi e bravissime.

Ma potersi dedicare totalmente alla scrittura ha dei vantaggi come il tempo, le energie, la concentrazione e ovviamente dignità da offrire alla professione. Dovrebbe essere un diritto per tutti poter fare il proprio mestiere, soprattutto se lo si sa fare bene.

Ma cosa significa esattamente vivere di scrittura? E come si possono cambiare le cose per avvicinarci agli standard europei? Alla prossima.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Un buon romanzo è sempre politico

Ieri sera Gramellini (In altre parole, La7) ha detto qualcosa che aspettavo da tempo.

Gramellini, con la dovuta educazione, ha preso la distanza dagli sdraiati, giovani inetti, spesso additati come tali per consuetudine, perché fa audience e anche un po’ per tradizione.

Gli sdraiati di M. Serra è un romanzo che non ho apprezzato e di cui non ho apprezzato neanche la ri-presentazione nel programma La torre di Babele, La7, di Augias (per cui ho grande stima) facendo comunque virare il senso della trama perché non si focalizzasse sul titolo. Ma quel libro è il suo titolo! Ho apprezzato poco anche quanto detto nella puntata Augias-Serra e in quella Augias-Galimberti sul nichilismo giovanile. Soprattutto mi ha tanto irritato il passaggio velocissimo sui movimenti ecologisti, lodati ma definiti irrisori, che non fanno la differenza. Mi sorprende come nessuno abbia considerato la velocità dei cambiamenti odierni. Oggi tutto cambia molto più velocemente che in passato e vale anche se parliamo di ragazzi e di ragazze.

Dalla manifestazione Cecchettin i movimenti giovanili, sono mutati. Quel terribile episodio è stato drammaticamente determinante. A Pisa sono scesi in tantissimi in piazza contro la violenza gratuita dispensata agli studenti e alle studentesse. Dal libro di Galimberti sul nichilismo a oggi le cose sono già cambiate. E mi dispiace che due grandi intellettuali non si siamo fermati proprio su quella scintilla che sono i movimenti ambientalisti per parlare dei giovani e non si siano schierati dalla loro parte per dar loro forza, come padrini. Ho apprezzato il discorso sulle donne in piazza per i loro diritti, ma c’erano anche i loro amici maschi in piazza. I giovani appunto, senza badare al genere. E anche i meno giovani, scusate, eh.

Più la maestra dice che non sa fare e più il bambino non fa. Più lei vede (anche poco) fatto bene e più il bambino farà bene. Questo è un principio che vale sempre.
Gramellini a mio pare ha saputo leggere i nostri tempi, o almeno la sua lettura è la mia.

E chi scrive, anche romanzi per ragazzi e ragazze, fa politica.

Un buon romanzo (come diceva Michela Murgia) fa sempre politica. E aggiungo, è pratica, non teoria, proprio per questo.

A volte finisco di leggere un romanzo e ci penso o solo capisco che qualcosa in me si è mosso. Ogni piccolo cambiamento ci muove verso il pensiero libero e autonomo.

Un buon romanzo esprime un giudizio sui tempi e lo caldeggia, non dando risposte facili, ma condividendo un amore. Io scrivo di ragazzi e ragazze perché vedo in loro delle promesse, mi fido, mi appassiono e per me gli sdraiati sono rimasti sepolti tra le pagine di un libro brutto.

Invece, quanto può far male un libro che diventa best seller seguendo l’onda di quello che più piace perché più comodo e confortevole? È politica. È irresponsabilità. Molto più faticoso essere dalla parte dei giovani, molto più faticoso spiegare cosa sia l’amore tossico.

Tornando alla romanziera che sono, nel mio piccolissimo ho scritto Borders che è un grido ambientalista, dove la vecchia Olmo mette nelle mani di una ragazza e tre ragazzi il destino della biodiversità, e No Borders dove a insorgere per una rivoluzione di idee sono i giovani.

Attraverso il romanzo condivido speranza nel futuro e questa passa per i giovani e questa è politica e attualità. Una distopia (i miei sono romanzi distopici) parla del futuro ma racconta il presente.

Io mi fido dei giovani, questo sto dicendo pur solo scrivendo una storia. E se vengono presi a manganellate dei ragazzini a volto scoperto è perché fa paura quello che potrebbero diventare. Fa paura il rinnovamento che logora il sistema politico vecchio e corrotto. È il germe di qualcosa. Certo, per me è facile scriverlo in un romanzo, la vita è altro, ma è una visione. La mia sicuramente.

Ed è una possibilità. Che da adulti responsabili dobbiamo darci e dare ai giovani.

Io non sono nessuno, per carità, ma credo in quello che faccio e nel come lo faccio. Immagino che non basti, ma la strada è quella giusta e di questo sono sicura.

Non è tutto guadagno economico e successo, non si può sempre tacere perché non faremo mai la differenza.

Quale scopo abbiamo nella vita se non quello nobile di seminare qualcosa che non vedremo mai crescere?

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Bar Einstein, come nascono le mie storie

Come nascono le mie storie?

Ero in una cittadina tedesca, nel nord della Germania; ero stanca e coloro che erano in vacanza con me non si staccavano dalle vetrine di un grosso negozio di apparecchi fotografici.

Vidi un bar al di là della strada, la scritta gialla recitava: Bar Einstein e io mi avviai verso la porta, anche quella gialla. Gli altri mi avrebbero raggiunto più tardi.

Entrai e mi accolse un locale pieno di foto e locandine sui muri, persino il soffitto era decorato con delle stampe. Mi sedetti a uno dei tavoli, che era stato quello di una vecchia macchina da cucire, ne conservava la pedaliera in ferro lavorato. Le sedie erano spaiate ma accostate con armonia. Una donna mi dava le spalle, aveva i pantaloni aderenti verde acceso e le scarpe rosse con il tacco, i capelli lunghi, biondi. Aveva il corpo di un’adolescente, ma quando si voltò il viso era quello sciupato di una sessantenne, con gli occhi e la bocca truccati. Non era equivoca o volgare. Era senza alcun dubbio la padrona. Lo sguardo sfrontato e indifferente allo stesso tempo non si posò neanche su di me, pensava ai fatti suoi. Mi servì una ragazza in jeans e maglietta con i capelli castani, semplice, accogliente, gentile.

Questo romanzo è nato in quel momento. Quel locale e quella donna, il mio Bar Einstein e la mia Dalia si erano impressi nell’immaginazione. Un attimo riscrivere il luogo e la donna, il loro passato mi era già chiaro.

Dalia parlava d’amore vissuto e il bar era denso di ricordi. Quindi la storia avrebbe narrato l’amore e la vita che da come la guardi, da un lato, dal basso, dall’alto, è sempre diversa.

Un’amore forte tra un ragazzo e una ragazza, una passione che sfida la logica, che divora e che se anche fa soffrire, resta l’esercizio primario per imparalo a vivere sul serio, l’amore.

Se non hai mai sbandato, se non sei mai stato o stata travolta, non saprai mai amare del tutto. Non è l’amore della tua vita, difficilmente lo è, ma i compagni che incontrerai dopo dovranno tutto a quel lui o quella lei. E così anche tu.

Questo è Bar Einstein, una storia d’amore a tinte noir che vive di luoghi alternativi come una Comune, un bar dove: Se i muri di una qualsiasi stanza o casa hanno memoria e parlano, quelli urlano canzoni intonate e risate roche che si trasformano in singhiozzi sommessi e il fiume. Il fiume torna spesso nelle mie storie, rassicurante. La natura e la vita scorrono insieme, il temporale passa e si asciuga, la paura del buio non fa paura se svelata, non ci sono luoghi brutti o belli, ma solo sconosciuti. Amore e morte, criminalità e pura bellezza, si confondono; a vincere non è nessuno, ma si salvano solo i più giovani se fuggono nella direzione giusta. Quello che resta è cruda nostalgia.

Così è come è andata fino qui. Forse fino al 19 maggio 2023 in cui Bar Einstein arriverà in libreria. Da lì in poi, per come la vedo io, questa storia diventerà dei lettori e nulla di quanto ho scritto sopra varrà più.

Spero che saprà parlare ai lettori e alle lettrici, spero che li trascinerà tra le pieghe di una narrazione oscura, onesta, donata. Spero. Non so se sarà così. Ogni romanzo ha una vita propria, prescinde dall’autrice. Una volta che l’ha lasciata andare non può più fare nulla per lei, se non stare a guardare e ascoltare.

Questo romanzo viene pubblicato nella collana che avevo sempre desiderato per lui, con un editore che stimo. È importante per me potermi fidare del mio editore. Ringrazio Luisella Arzani che ha mantenuto la promessa fatta tempo fa di leggere questa storia per poi scegliere (insieme alla redazione di EDT/Giralangolo) di pubblicarla; Francesca Fimiani che l’ha curata con un editing attento sul piano stilistico ed emozionale e Miriam Pedata per la passione e la provocazione che mette nel suo lavoro redazionale. Mi viene da pensare che la bella copertina di Marco Viale sia il frutto di tutto questo, della professionalità e dell’umanità che le storie scatenano e che gli addetti ai lavori finiscono per vivere come vita vera, in una gioco di ruoli, dentro e fuori, lasciandovi infine un sentimento magico che imprime la carta, le parole, gli spazi bianchi.

E questo è Bar Einstein, quello che vi narrano il titolo, la copertina e i suoi colori, la quarta, la dedica e infine frasi e spazi bianchi, virgole e punti.

Queste mie parole di oggi e quel pomeriggio in una cittadina tedesca sono Bar Einstein.

Scrittorincittà2023
Scrittorincittà2023
Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

…incontrare l’autrice, incontrare l’autore

L’incontro con l’autrice, l’incontro con l’autore è un momento importante per i giovani lettori. O almeno dovrebbe. Una festa, un tripudio, un confronto, una lezione, ognuno di noi che scrive di ragazzi e ragazze (oppure per la narrativa ragazzi/e) ha la sua modalità. Ogni scuola, festival, libreria o biblioteca ha la sua modalità.

Mi sono domandata cosa sia per me.

Nel 2008 ho messo piede a scuola per la prima volta come autrice con un libro della Raffaello (ancora a catalogo, grazie) e me lo ricordo benissimo. Da allora sono cambiate tante cose in me, come persona e come romanziera; un percorso pieno di domande, tentativi, delusioni, ricostruzioni; nulla è immobile, tutto deve diventare altro, è ovvio.

In 15 anni non sono certo diventata famosa, né sono diventata abbastanza brava e questo basterebbe a far desistere chiunque, ma non me, testarda e idealista, convinta creativa in eterno cammino. Folle e sciocca, insomma.

In quest’ottica mi sono messa in testa che ogni incontro deve avere un suo respiro, che se incontro lettrici e lettori lo faccio aprendo ogni volta una paretesi nuova, guardando chi ho davanti, mettendomi in relazione. Un gioco, una missione, una sperimentazione, uno sparigliare le carte una volta ancora per cercare e capire, perché nulla diventi routine, ma ogni parola abbia senso.

Non sono neanche un professionista, no. Dagli incontri esco sfinita, spesso molto soddisfatta perché ho dato e ricevuto, ha funzionato. A volte sono contrariata. Mi arrabbio per quel dominio dell’economia e della mercificazione del libro, il disinteresse puro, il tempo sprecato, l’inutilità. Scrivere è un mestiere, sì, ma creativo e andare nelle scuole non è come fare la presentazione di un libro per adulti, è altro. Di sicuro un privilegio, in un certo senso un lavoro a parte. Ma sei sempre tu. E libri e incontri vanno a braccetto. Dice, ma se se sei scrittrice non devi mica essere capace anche di parlare in pubblico, vero, ma le pagine non mentano sul proprio autore o autrice, a ben guardare, a voler vedere.

Questo per me è un anno fortunato, o forse sono io a essere cambiata, ancora. Ieri un altro incontro bello; dirigente, professoresse (di lettere e matematica insieme!)e ragazzi che mi avevano chiesto di orientare l’incontro nella direzione in cui lavoravano loro e io l’ho fatto. Grande scambio, due ore piene che mettono insieme i tasselli dell’educazione alla lettura, del diritto alla lettura, della bellezza dello stare insieme nelle storie e in una scritta da me in particolare.

Una cosa ben fatta.

Ho perso tanto tempo nella mia vita e mi dispiace, quello che mi rimane (spero tanto, poco non mi basta) voglio che sia ben vissuto, che regali e guadagni, voglio toccarlo, maneggiarlo con cura e saperlo ricordare. Ho bisogno di bellezza (in tanti ne abbiamo bisogno) e mi ci impegno.

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Leggere contemporaneo, leggere a scuola

La prossima settimana parte uno dei club Leggere contemporaneo grazie a una prof che ci ha sempre creduto da due anni a questa parte. Oltre al mio (piccolo) compenso la scuola che aderisce al progetto deve comperare i romanzi che indico in tre bibliografie di dieci libri ciascuna (un tesoretto, garantisco).
Io non sono una formatrice e non voglio esserlo, ma dopo vent’anni di letture, incontri e festival qualche idea sul perché i ragazzi e le ragazze non leggano me la sono fatta.

Questo club di lettura a scuola non cambia la situazione generale, ne sono certa, ma è una buona pratica.
In questa scuola superiore, nella biblioteca d’istituto, ci sono ormai 60 romanzi di grandi autori viventi ya. Romanzi belli per tutti. Romanzi che hanno gli strumenti per spianare la strada a un non lettore. Quelli di cui (non sempre senza ragione) le scuole (superiori soprattutto) sono piene.
Il danno è stato fatto, la non lettura imperversa, non cambio la rotta io in una scuola, ma continuo a spacciare buone pratiche. Il perché è il tipico male di chi legge e scrive per ragazze e ragazzi da vent’anni e vede bellezza e potenzialità e non ce la fa a stare con i libri in tasca.
Da Borders in poi la questioni semi è sdoganata, ma se è il tuo mondo e lo ami non puoi non cercare di piantare semi per farlo sopravvivere.

Saranno in 45 di cui 30 di terza superiore, che vengono per i crediti, certo, ma poi io e i romanzi belli facciamo squadra: io li racconto bene, loro si fanno scegliere e quando i ragazzi e le ragazze arrivano all’incontro successivo qualche sguardo adolescente catturato c’è e il dubbio che si possa anche leggere per piacere è instillato.

Essere parte del mondo dell’editoria per ragazzi e ragazze come romanziera ha un po’ questo effetto collaterale. Scrivi spesso di loro perché sono i personaggi in cui credi di più (e qui qualsiasi analista avrebbe da lavorare) e per loro, in carne e ossa, salvi romanzi perché abbiano la possibilità di incontrare storie scritte pensando ai lettori come persona di genere vario e non infante cresciuto (e non parlo delle mie che non metto mai in bibliografia, per una sorta di strana controproducente onestà intellettuale).

Detto ciò e continuando a ringraziare chi ha fiducia in me (e in loro, inutile ripetere chi siano) condivido le locandine di due eventi in cui ci sono a parlare di buone pratiche libresche, dei perché e dei per come. Non sono una formatrice e vi indico pure chi dovete seguire se volete approfondire la questione libri&lettori, ma vi passo la mia esperienza. Che poi non è una cosa così diversa, lo so, ma io ci tengo a restare romanziera un po’ per indole e un po’ per giustezza che non mi sento i titoli per educare nessuno.

Resto un’artigiana che non ha nulla di speciale, solo qualcosa da dire a modo suo e vi invita a bottega (e che bottega: una libreria e una biblioteca!).

*A chi interessa il progetto Leggere contemporaneo può richiedere informazioni via mail a giulianafacchini.autrice@gmail.com

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Campo e controcampo nell’editoria per ragazze e ragazzi

Ma i ragazzi e le ragazze possono tutto?

Succede che tante iniziative vedano giovani e giovanissimi al centro dell’editoria per ragazzi e ragazze. Molte iniziative cercano di agganciare il lettore che scandisce il ritmo dell’editoria nel settore che è cresciuto di più negli ultimi anni, forse l’unico che è cresciuto.

In Italia, si sa, si pubblicano moltissimi libri, ma i lettori sono pochi, pochissimi, le lettrici qualcuna in più (ed è un meccanismo strano per qualsiasi mercato).

Tutte le iniziative di cui parlavo, a volte invasive della sfera di competenza dell’autrice o dell’autore, creano davvero lettori? Perché il grande obbiettivo culturale, educativo e sociale resta, a mio parere, quello di creare lettori. Se cresci lettore lo rimani a vita e, in qualità di fruitore di libri, alimenti una filiera importante.

Non mi dilungo a spiegare quanto io creda nel valore dei buoni romanzi, buona musica, pittura, scultura, poesia, arte in generale; quanto io creda nel valore di quei mestieri creativi che sono fonte vitale e primaria per la nostra umanità in quanto persone.

Comunque, è interesse di noi adulti, che siamo parte della filiera del libro, crescere nuovi lettori.

E allora, come si diventa lettori consapevoli e autonomi?

Con i buoni romanzi classici e contemporanei. E la comunità adulta può farsi mediatrice con i ragazzi, educare il loro gusto alla lettura. E non è solo compito dell’insegnate di lettere, ma materia a parte, trasversale. Poco fanno le istituzioni, si sa, spesso è tutto affidato alla scuola e sulle spalle dei e delle docenti di lettere. Eppure portare i libri a scuola, dove si srotola una parte importante della vita dei ragazzi e delle ragazze, non sempre crea lettori autonomi, soprattutto se la lettura arriva come parte dello studio scolastico e non come libera e rivoluzionaria passione individuale.

Per i ragazzi e le ragazze prendere un libro in mano dovrebbe essere come infilarsi le cuffiette nelle orecchie per ascoltare musica. Non accade quasi mai.

Esistono però grandi progetti che con competenza avvalorano i veri presupposti per avviare i ragazzi e le ragazze alla lettura e formano lettori. Sono pochi sul piano nazionale ed esistono. Ma ultimamente si è scatenata una scarica adrenalinica negli adulti che vogliono creare giovani lettori, alcuni improvvisano altri no e per fortuna fioriscono i corsi di formazione. Resto dubbiosa al riguardo. Coordino un gruppo di lettura dal 2018 e so cosa significa acchiappare l’attenzione di un adolescente (tredici-diciasettenne) su un buon libro, impresa ardua se il contesto è quello di lasciarli liberi di scelta: esserci o non esserci, leggere o non leggere. Se è quello di aspettare pazientemente e senza scoraggiarsi che il libro rivelazione inneschi l’amore per la lettura in lei o in lui.

Diversamente la lettura non è una scelta, ma un’imposizione e difficilmente nascerà un lettore autonomo e consapevole.

E non vi dico quanto snervante sia aspettare un messaggio di risposta a una domanda banale ma indispensabile alla gestione collettiva del gdl. Non è una passeggiata stare ai tempi degli adolescenti, soprattutto se lo fai come volontaria (e accade quasi sempre, ma questa è un’altra storia).

So che è impresa che sfinisce, quindi mi stupisco che tanti anelino a questo ruolo di educatore e promotore della lettura. L’adulto in questo caso non è (e non deve essere) protagonista, ma servo della passione letteraria.

Puntata l’attenzione del mondo editoriale su quello per ragazze e ragazzi e complice il pregiudizio che sia un terreno più facilmente praticabile rispetto a quello colto della scrittura per adulti, i ragazzi e le ragazze ne sono diventati il centro. Coinvolgerli sembra l’unica cosa da fare. Se non leggono, li facciamo scrivere oppure giudicare e indirizzare gli scrittori adulti e i loro romanzi. Tante iniziative per metterli al centro, forse troppe, non tutte ben costruite.

E, tra parentesi, una perplessità: perché fare agli alunni/e un corso di scrittura creativa se non hanno una biblioteca scolastica aggiornata? Non è un controsenso o una falsa illusione? Si sostiene forse una possibilità: si può diventare scrittori anche senza essere lettori. Mi spaventa un po’.

Se da una parte la società contemporanea vede moltissimi bambini e bambine fin da piccoli con un’agenda di impegni tra sport, musica, teatro, scuola e tutto organizzato e supervisionato dagli adulti con pochissimi spazi di autonomia; il mondo dell’editoria sembra voler consegnare loro le proprie sorti.

«… alcuni sostengono che dovrebbero essere gli stessi bambini o ragazzi a scrivere per i loro coetanei. Questa a però a mio avviso non è un’ipotesi realistica. (…) Si tratta di una vecchia disputa che prima della scrittura ha coinvolto le arti figurative e di conseguenza il campo delle illustrazioni. (…) Allo stesso modo tutti i tentativi di pubblicare e diffondere tra i bambini i testi scritti dai loro coetanei ha suscitato solo l’interesse dei pedagogisti adulti. Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti sì “il suo mondo” ma con strumenti letterari più “perfezionati” di quelli a sua disposizione.» Storia delle mie storie, Bianca Pitzorno.

E io autrice o autore? Non esiste una formazione universitaria in Italia (a differenza di quanto avviene negli altri Paesi) per diventare scrittori o scrittrici. Esistono corsi di scrittura creativa o autoformazione. Tutti possono essere scrittori e se un compositore deve farsi i suoi anni di strumento e poi studiare armonia per comporre musica (certo esistono talenti straordinari, ma questo è un discorso diverso) a scrivere un romanzo sono buoni tutti (per ragazzi e ragazze poi!). L’editoria pagamento lo sa e ci sopravvive, l’autocompiacimento autoriale paga (ovvio, anche in questo caso ci sono le dovute eccezioni). E il sudore, la fatica, lo studio per arrivare a essere pubblicato da un editore nazionale? Non conta nulla, siamo tutti scrittori e scrittrici.

Veniamo ai ragazzi e alle ragazze. Una sedicenne mi diede da leggere il suo romanzo, corretto dalla professoressa d’Italiano e stampato in tipografia dal padre con tanto di foto e biografia in quarta di copertina. Sapeva scrivere correttamente, ma nel romanzo non esistevano struttura e dialoghi, i personaggi erano stereotipati. Il mio commento gentile e correlato di bibliografia esaustiva di grandi romanzi contemporanei d’amore (perché d’amore parlava la sua storia) è stato bollato come le parole di un’adulta troppo vecchia, incapace di capirla. Soprattutto, se il mio intervento fosse arrivato prima della “pubblicazione” del suo romanzo, lei non avrebbe mai continuato a scrivere. E sarebbe stato un gran danno.

Tengo da parte quella mail piccata, è stata illuminante. Con una quindicina di romanzi (allora) all’attivo pubblicati davvero con editori nazionali, io potevo essere trattata alla pari, non ero degna di autorevolezza, né per professionalità né per anzianità.

All’inizio della mia carriera mi capitò di ricevere, a quarant’anni passati, mentre leggevo, studiavo e scrivevo per ragazze e ragazzi una grossa stroncatura da una editor autorevole. Per fortuna, pur essendo un commento negativo era ben motivato e io ci piansi. Sì, una donna a quarant’anni suonati ha pianto di rabbia e avvilimento. Me lo ricordo bene, ero seduta sulle scale di casa mia, da sola. Ma il giorno dopo ho asciugato le lacrime e inviato una risposta di ringraziamento. Ho imparato più da quella stroncatura che con un intero manuale di scrittura.

Come spiegare a una scrittrice o a uno scrittore in erba che l’umiltà è una delle doti essenziali per un qualunque creativo se è su un piedistallo da quando è bambina o bambino?

È giusto che io adulta venga giudicata, amata, scartata o ignorata dai lettori quando il mio romanzo è in libreria. I libri sono dei lettori, non di chi li ha scritti, questo è insindacabile per me. Ma sul prima ho seri dubbi riguardo alle contaminazioni non professionali (sperimentazioni e mondo della scrittura sulle piattaforme online a parte).

E bisogna anche distinguere tra lettori. Un lettore consapevole e autonomo mi sa valutare, un ragazzo o una ragazza costretto e leggere o che non legge mai, no. La lettura è un’abilità. Un giocatore in un videogioco ha un’abilità che gli o le permette di giocare, se non l’acquisisce non riesce a giocare. Perché questo non è assimilabile alla lettura?

Quindi, invitare alla lettura dove? Come? Perché? E fino a che punto è gusto coinvolgere i ragazzi e le ragazze nel mondo editoriale? Non è che con tutta questa attenzione puntata addosso “loro”, diventati così importanti per “noi”, finiscono per scappare (che forse sarebbe pure lecito)? Gli adolescenti non vanno inseguiti, ne sono certa. Oltre a essere umiliante è inutile.

Ecco, per dire che c’è tanta confusione, che forse non sono ben chiari e comuni gli obiettivi in questo mondo strambo e meraviglioso dell’editoria. Che forse alcuni punti fermi vanno messi, a costo di essere antipatica. E non sempre mettere al centro i giovani lettori e lettrici è la soluzione. A volte ho addirittura la sensazione che siano “usati” dagli adulti, perché il nostro è un mondo di adulti, anche se sembra diventata una cosa di poco conto quando invece non lo è.

Come romanziera rivendico la mia professionalità di donna adulta che ha studiato e, dopo anni di lavoro e anche di sperimentazione, fa il mestiere di scrittrice.

A un amico caro a cui piace scrivere e che ha del talento (secondo me) ho consigliato un buon corso di scrittura; già dopo alcune lezioni mi ha ringraziato, ha ammesso che non sapeva cosa fosse la struttura di un romanzo o il punto di vista, pur essendo un grande lettore. A uno scrittore o a una scrittrice serve il talento e servono gli strumenti per svilupparlo. Come al musicista, che pur sapendo improvvisare, attraverso lo studio acquisisce la capacità di esprime a pieno e al meglio il proprio talento.

Sfatiamo il mito del tutto e subito, dell’illuminazione che è capolavoro (come il grande calciatore, l’illuminazione geniale è ago nel pagliaio). Credo sia giusto avvalorare il fatto che la costanza e il tempo debbano essere gli attori principali dei nostri sogni perché questi diventino realtà.

Credo che l’umiltà sia un principio fondante per qualsiasi creativo, ma che il rispetto per se stessi e il proprio lavoro non vadano mai messi da parte.

È questione di equilibrio, come sempre, e di una ambigua deriva giovanilistica che forse inquina la nostra società seppur a fronte di moltissime iniziative valide, consapevoli e intelligenti che vedono coinvolti libri, ragazze e ragazzi.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io non lo odio… come nascono le storie!

Ringraziamenti in chiusura del libro IO NON LO ODIO di Giuliana Facchini, edito da Matilda Edizioni.

Ecco come nascono le storie: camminando. Succede che scrivi il plot per un romanzo e diventa un racconto che poi torna a essere un romanzo. E nel mezzo? Nel mezzo un cammino. Tu che cresci. Tu che cadi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che ti rialzi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che scrivi. E capisci che percorrere chilometri di vita è un privilegio.

I libri raccontano una storia ma hanno anche una loro storia.

Quando Donatella Caione mi chiese di scrivere la versione lunga del mio racconto Perché odi Davide?, le risposi di no. Pensavo che quella storia avesse già detto quello che aveva da dire.

Ma leggendo un vecchio libro che intrecciava passato e presente ho capito che non era così. Usare uno schema narrativo non lineare e adoperarlo perché fosse funzionale alla storia non era facile ma per me era una piccola idea rivoluzionaria. Ha molto da raccontare una ragazza che è riuscita a uscire da una qualsiasi forma di violenza e io potevo darle voce.

Così otto romanzi dopo Perché odi Davide? è nato Io non lo odio.

Durante un incontro in una scuola dove accompagnavo Chiamarlo amore non si può, una lettrice mi di chiese perché nel racconto tutti avessero un nome ma non la protagonista. Rispose lei. Non io. Disse che forse non aveva nome perché solo chi non ce la fa e finisce sui giornali ha un nome, nessuno conosce tutte coloro che ce l’hanno fatta e a testa alta sono diventate ragazze e donne consapevoli di sé.

Aveva ragione. Quindi alla protagonista ho dato un nome, Clare, e una vita serena. La sua non è una famiglia del mulino bianco, ma lei conosce il potere dell’amicizia, della fratellanza, della musica e vive bene il suo domani.

Nel raccontarci quello che le è successo, fa uno sforzo. Ha bisogno della sua chitarra per farlo. Ma sa raccontare, gestire il suo passato e impugnarlo coraggiosa per affermare non senza sofferenza: Io auguro a qualunque ragazza che come me si sia trovata a precipitare nel vuoto, una chitarra cui afferrarsi per potersi salvare. Anzi: a lei la offro. Io. Adesso.

Non è questo che ci auguriamo per un’amica, una figlia, una nipote o per noi stesse e per tutte?

Noi che scriviamo per ragazzi e ragazze (non è vero che scriviamo per ragazzi e ragazze, è solo un’etichetta per collocarci in libreria, noi tutti scriviamo solo pensando a un lettore ideale) ci troviamo spesso nelle scuole a “ricordare/celebrare” questo o quello e a volte rischiamo di diventare solo il modo per saltare un’ora di lezione.

Quando? Quando gli adulti fanno cadere a pioggia dall’alto i loro insegnamenti. Quando non si fa in modo che la parola l’abbiano loro: gli studenti.

Perché? Perché ci mettiamo la coscienza a posto che l’opportunità l’abbiamo data. A volte non è previsto il diritto alla replica. Non ce lo aspettiamo proprio un pensiero critico dai ragazzi.

Bisogna sporcarsi le mani se crediamo nei nostri interlocutori.

Un romanziere questo lo capisce bene perché crede nelle storie e le storie non insegnano ma lasciano emozioni sotto la pelle dei lettori.

Io lascio la parola a Clare.
Io non lo odio è dei lettori.
Contano i romanzi, non gli autori. Il romanzo è la loro voce, non c’è altro da aggiungere.
Racconto un periodo difficile della vita di alcuni ragazzi e ragazze ma questo è un romanzo solidale.
Spero che lo leggerete, forse ci troverete almeno una piccola parte di voi come è accaduto a me.