Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Meteo e perfezioni

Il Salone di Torino mi affascina da sempre, quest’anno il progetto Adotta è stato esplosivo nella mia testa.

Testa, appunto.

Dimensioni, spazi di vita particolari che si creano inaspettatamente e per caso. Mi sono rimasti dentro un sacco di pensieri, vivo di empatia e mi ci ammalo al bisogno.

Dunque, mi sono preparara con cura per Torino; ho scelto cosa avrei indossato, il sabato mi sono fatta la messa in piega (fa anni Sessanta, fa ridere) e ho preparato bene lo zaino. In treno ho iniziato un audiolibro potentissimo Non lasciarmi di Ishiguro.

Tutto perfetto.

No, la perfezione non esiste.

Infatti ho dimenticato l’ombrello.

Ma non pioveva.

Però era prevista pioggia.

E io ho sfiduciato le previsioni meteo perché quando tutto è perfetto non puoi avere intuizioni sbagliate.

Eppure dentro resto una campeggiatrice, con il DNA ben organizzato, una che pesca nella borsa la forcina per capelli e risolve.

Capelli, appunto.

Prima di lasciare l’albergo ho ripassato mentamente se avessi almeno qualcosa per riparare la benedetta messa in piega anni Sessanta in caso di pioggia. Ma non avrebbe piovuto e comprare l’ennesimo ombrello era impensabile.

Non avevo nulla con me di impermeabile, allora ho perquisito la stanza d’albergo in cerca di qualcosa e infine qualcosa ho trovato e soddisfatta sono uscita per prendere la metro. L’aria era incerta, ma non mi sarei lasciata ingannare dall’accorto ambulante che vedeva ombrelli clandestini.

Alle 19:00 la pioggia picchiava sul tetto del Salone.

Avrebbe smesso, ne ero certa.

Alle 20: 00 l’altoparlante annunciava che il Salone stava per chiudere, di avviarsi all’uscita. Gli espositori coprivano i libri, io ancora esitavo dando alla perfezione un’ultima possibilità di esistere.

Quando davanti avevo solo il piazzale di via Nizza, annegato di gocce, da coprire fino al tunnel della metro, ho immaginato le foto del giorno dopo all’evento finale di Adotta l’autrice con la capigliatura arricciata alla pecorella. Quindi ho fatto un bel respiro, scartato e indossato la cuffia da doccia presa in albergo solo a scopo precauzionale e guadagnato con passo sicuro la stazione della metropolitana.

Ricordo indelebile del Salone 2024.

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Come con i denti del giudizio che non servono più?

Fino a ora, nel 2024, ho fatto incontri letterari con studenti e studentesse intensi, belli, centrati. L’ultimo con cinque classi di terza media in due gruppi, il mio intervento era pagato e programmato da tempo.
In 6 tra tutti avevano letto il mio libro.
Non posso dire che non sia stato bello: ragazzi e ragazze attenti, la parte femminile accanita lettrice di romance. Abbiamo parlato di tutto, raccontato la storia del mio romanzo con chi aveva letto a beneficio di chi non lo aveva fatto, ho spiegato la mia passione per la lettura, promosso, risposto ad alcune curiosità. Una ragazza voleva intraprendere la carriera di scrittrice e passo per passo abbiamo provato a capire come fare, in mancanza di un percorso nelle università pubbliche. Insomma tre ore in due turni dense e vissute davvero bene tutti insieme usando le storie come collante.
Le professoresse sono state in fondo e ci hanno ascoltati dialogare.
E allora io mi domando: perché non hanno fatto leggere il mio romanzo? Erano ottime classi, disciplinate e con buona proprietà di relazione e linguaggio. Se le docenti non volevano far comperare un libro, potevano caldeggiare la biblioteca visto che da lì è partito il progetto. Potevano leggersi 150 pagine e raccontarle, dedicare al libro solo trenta minuti da sottrarre al programma. Perché perdere questa opportunità? Perché ignorarla in modo quasi offensivo per chi come me ha comunque lavorato con le classi? È stato bello perché io ci ho creduto, ma poteva essere ancora meglio.
Non mi hanno detto una parola e io non ho chiesto. Non impongo nulla, figuriamoci, io faccio un mestiere creativo, mi propongo non inseguo, provo a condividere.
Non hanno colto l’opportunità semplicemente perché a loro non interessava. Punto.
E perché questo episodio, vissuto peraltro benissimo con i ragazzi e le ragazze, interessa me?
Perché si innesta in un discorso più ampio, quello sul futuro della lettura e dei libri e quindi anche un po’ il mio. Leggere non è una pratica istituzionalizzata perché non importa che sia tale. Temo.
Tutti si riempiono la bocca del valore della lettura, ma questo è per lo più sconosciuto.
Quelle come me faticano a rendersene conto perché frequentano realtà virtuose come alcune scuole e i festival. Quelle come me finiscono per vivere tra persone che pensano e vivono con i libri, ma non sono la maggioranza, anzi sono una minoranza nel Paese. Siamo troppo pochi e non tiro in ballo i territori difficili. Io ero a quindici chilometri da casa.
E dunque i dati della lettura diventano realistici. Si pubblica troppo e non si legge perché nella maggior parte dei casi non interessa neanche nelle sedi legate ai saperi, come le scuole. Non abbiamo una laurea magistrale in scrittura creativa perché scrivere e leggere, con parole grossolane, possono essere definiti un hobby. Ho anche dei dubbi sui numeri dei libri venduti, soprattutto nelle scuole e nell’editoria per ragazzi e ragazze, dove ormai tutti gli scrittori e le scrittrici si affacciano. Entri in una scuola e partono centinaia di copie, quindi si vende.
Ma vendere significa davvero: un libro uguale un lettore?
Perché l’editoria si salva solo con i lettori e non con quelli presunti tali. E io temo che non tutti i libri venduti siano finiti in mano a giovani lettrici e lettori, anche se hanno letto.
L’educazione alla lettura è questione seria e portante. Ma se nessuno rinnegherà mai l’importanza del ruolo di un insegnante, non è affatto così per uno scrittore o una scrittrice.
Faticano tutti a vivere di libri: librai, scrittori e scrittrici, case editrici, i margini economici sono faticosamente bassi.
Che la scrittura e la lettura siano in via d’estinzione?
Come capita con i denti del giudizio che li tolgono perché non servono più?
Sono solo domande, sia chiaro, io continuo a fare quello che faccio, a scrive e a leggere, a incontrare felicemente romanzi bellissimi. Vivo l’oggi, faccio quel poco che è in mio potere per il domani in cui credo, ma nonostante tutto il bello che vedo nel mio piccolo mondo ho un sacco di dubbi sul futuro dei romanzi.
Tutto evolve, magari sono io a non saper vedere. Poca cosa, quindi.