Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

“…ed al festivo il giorno volgar succede, e se ne porta il tempo” (Leopardi)

Novembre e dicembre 2023 sono stati mesi in cui è successo tantissimo.
L’apice è stato il Torino Film Festival dove ho proposto Borders a un pubblico di addetti ai lavori. Ne passa che diventi film, serie o film d’animazione, ma non è questo il punto. Il punto è essere arrivata lì.

La sera prima, quella della prova generale, sono uscita abbattuta da Il circolo dei lettori. Mi ero preparata, come faccio sempre, ma l’obiettivo da raggiungere sembrava spostarsi ogni volta e sono stata l’unica dei presenti a cui è stato fatto ripetere due volte il pitching. Tornando in albergo avevo di nuovo, come tante volte era capitato in passato, la sensazione di essere stonata, di non riuscire ad accordarmi con gli altri. Ho camminato da sola e c’era traffico per le strade, luci e freddo. Mi sono comprata un’insalata da McDonald’s perché non ero dell’umore di prenderla altrove. Sotto i portici dormivano i senzatetto, una coppia sotto una trapunta a fiorellini come se quell’angolo di strada fosse casa. Il vuoto dentro si allargava. Sono arrivata in albergo e mi sono sentita ancora più sola in quello che era un enorme miniappartamento. Ho mangiato seduta a gambe incrociate sul letto, in una piccola tana e poi mi sono addormentata. Mi avevano detto: ripassa e preparati stasera, ma io ero in piedi dalle sei del mattino e prima di Torino ero stata a due incontri in una scuola a Vicenza.

Il giorno dopo, molto presto, in un bar bruttino, davanti al caffè amaro, ho capito cosa stavo sbagliando. Mi ero dimenticata quello in cui credo ormai da un po’, mi ero distratta, ecco.

Dopo poche ore avrei avuto davanti un pubblico speciale, in una sala spettacolare e dovevo solo raccontare una storia di cui conosco anche le virgole. Dovevo farlo in sei minuti, d’accordo, ma avrei guardato i volti degli spettatori, avrei cercato l’attenzione, avrei respirato con gli sguardi puntati su di me. Ci sarei stata io con un mio romanzo, chi lo avrebbe immaginato? Salire su quel palco era una fantastica occasione da vivere e io me la stavo perdendo.


Credo, alla fine, di aver fatto un buon pitching, o almeno io sono soddisfatta e se ho dimenticato qualcosa chi era con me sul palco mi ha aiutata. Perché ci si può aiutare. Ogni giorno è prezioso e va assaporato, compreso, vissuto pienamente perché poi passa, solo così tutto ha un senso. Scrivere romanzi non è un mestiere solitario, dentro e fuori dalle storie c’è relazione. Ed è così che voglio stare in mezzo alle persone, senza sprecare niente, neanche un momento. Guadagno poco, lotto parecchio e il mio lavoro creativo di scrittrice che racconta soprattutto di ragazzi e ragazze resta un privilegio da vivere onestamente con me stessa e con gli altri.

Anche se mi capita di distrarmi, l’importante è ritrovarmi.

Non sono tempi in cui sciupare il buono.

Serene festività!

Per i miei libri qui: Romanzi di Giuliana Facchini

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

No Borders, come nascono le mie storie

Esisteranno sempre ragazzi rivoluzionari e ragazze rivoluzionarie perché solo loro sanno mostrarci il domani migliore.

No Borders è il secondo capitolo di una storia iniziata con Borders.

Fin da subito sapevo che sarebbe stato un romanzo lungo, anche se non sono una che inizialmente pensa troppo alla struttura. Era più un sentire, un bisogno lungo di raccontare, pieno di domande senza risposte, di questioni da aprire, di timori da condividere e di speranze da tenere vive insieme ai lettori e alle lettrici.

Prima di iniziare a scrivere Borders sapevo già tutto, qualcosa più consapevolmente di qualcos’altro. Sapevo quanto doveva accadere, ma non come. Non ho mai scritto una storia a caso, ma neanche troppo precostruita, non è il mio di mestiere quello. Non sono capace, invece per me sta tutto nell’equilibrio.

Scrivere è sfida e scommessa nell’originalità dell’idea. Fatica e divertimento nella stesura. Essere dentro ed essere fuori per quello che c’è di me nella storia.

Certo, il primo volume era soprattutto un grido ambientalista, quello che volevo era un romanzo avvincente d’avventura che parlasse di biodiversità, pianeta, estinzione. L’avventura è solo il come e può bastarci benissimo, la lettura è libertà, ma se ci si vuole fermare sulle pagine di Borders, si può. (È capitato di farlo con i lettori e le lettrici.)

Stesso discorso per No Borders, in cui se pur non abbandonando nulla della prima storia, sono andata oltre: un uomo che si aggira intorno al villaggio viene catturato, cosa se ne deve fare di lui? È estraneo, ruba, non è sano di mente e il cibo costa fatica, la vita è dura, e allora? Bisogna riprodursi per sopravvivere e sono le donne a rischiare la vita per generarne di nuova, quindi? Ma quando la paura non esiste, il cibo non manca, non ci sono armi o criminali, i bambini e le bambine nascono sempre sani, i passi non si sentono sul pavimento fonoassorbente, le foglie secche non frusciano sotto i piedi, né alcun insetto infastidisce la luce dei lampioni? Quando tutto per te è già stato scritto e tu non conosci storie per immaginare la tua vita, cosa accade? Dunque, i semi li hanno, ma come si fa una rivoluzione?

Il mondo fuori Magnolia e quello dentro entrano in collisione e sono una ragazza e tre ragazzi a farlo accadere. Con l’aiuto di una civetta e di un cane. E con Ash che non sa chi è, Lara che lo sa benissimo e Juliet che arriva dritta da un romanzo scritto nel mondo di prima. E nel mezzo lo sconfinato deserto di cemento che ti uccide con il caldo soffocante o con il freddo irrespirabile.

«Forse era solo il momento giusto, forse c’entra la loro fuga e Olmo lo sapeva, forse terra fertile e buone storie sono davvero bisogni primari come cibo e acqua.»

Le distopie e i romanzi post apocalittici parlano del futuro ma sottintendono il presente e quindi le mie idee sono quelle dell’oggi che vanno a sistemarsi nel domani. E diventano altro.

Ho messo insieme la fiducia che io ho (e ho sempre avuto) in Lindgren, Alcott, Dickens e Verne e nei giovani e nelle giovani di oggi, il potere delle storie che alimenta da sempre l’umanità, infiniti dubbi e questioni opposte. Quello che è venuto fuori è una possibilità tra tantissime. Ma è anche la fiducia che questa possibilità esista, che possiamo trovarla solo se la cerchiamo.

Queste idee si potevano raccontare in tanti modi diversi, ho scelto di provare a non dare nulla per scontato, a non lusingare nessuno, a non inseguire i bisogni del momento, ma a far parlare solo la narrazione. Il modo più difficile.

Le storie sono pratica non teoria. Se sono riuscita a scrivere una buona storia vi si potrà sperimentare che un domani migliore è sempre possibile, anche se per costruirlo ci vuole pazienza. Il come sarà avventuroso, si deve essere pronti.

E soprattutto i romanzi sono dei lettori non di chi li scrive, quindi posso solo sperare che tutto quello che per me è stato scintilla diventi fuoco nell’immaginazione dei lettori e delle lettrici e li porti altrove, non importa dove.

Non siamo liberi in nessun luogo come in un buon romanzo.

Io ci ho provato ancora, dopo Borders, a scrivere un buon romanzo, ora tocca a voi, ma fatemi sapere!

Per vedere l’intervista Achab Rai2
Per vedere l’intervista Achab Rai2

Ma il futuro si può decidere?

BORDERS ha ricevuto il Premio Rodari 2022, il Premio LibroAperto 2023 ed è stato finalista al Premio Orbil 2023.

COPERTINE MERAVIGLIOSE DI MARA BECCHETTI

Grazie a Giovanni della libreria Terra di mezzo di Bussolengo per le chiacchiere distopico-formative e agli amici marconisti che mi hanno spigato quel poco che so delle radiofrequenze.

Grazie a tutti quelli e quelle di Sinnos Editrice, perché questa mia lunga storia non poteva incontrare mani migliori (leggete il loro articolo: La rivoluzione dei ragazzi e delle ragazze). Grazie a Della, amica cara ed editrice coraggiosa; a Federico che sa guardare quello che io non vedo, e per chi scrive romanzi non c’è nulla di più prezioso; a Emanuela che è insostituibile e bella come poche; a chi non cito, ma c’è.