Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Chiudere e Aprire


Il giorno 18 dicembre di quest’anno si è chiusa una porta. Senza clamori o troppi affanni, a dire il vero.

Chiudere e aprire, morire e nascere facciamo che si sovrappongano, che abbiano un legame di senso. Noi donne, le nascite e le rinascite, ben le conosciamo, le abbiamo inscritte nel patrimonio genetico. Nessuna come noi è tanto avvezza ad aprire una porta per entrare in un’altra stanza e poi richiuderla alle proprie spalle, mille e mille volte lo facciamo nella vita. E mica solo noi, si capisce.

Leggo di Frances Burnett che cura la famiglia mentre scrive romanzi. L’ho fatto anche io, ma poi ho potuto anche leggermi, riconoscermi e, se mai ha importanza, trovarmi. Non siamo più nell’Ottocento grazie a quelle dell’Ottocento.

Gli abiti che frusciano, i passi che ticchettano, la mano delicata che esita sulla maniglia e poi decisa abbassa e rilascia: et voilà!

Sono diventata ricercatrice di storie, approfonditrice di destini, orgogliosa dissonante in cerca di voce propria, sempre se mai qualcuno volesse sapere.

Scrivere romanzi è avere tante certezze che si sa di dover perdere, questo l’ho capito chiudendo e aprendo porte. Addirittura, forse, è indispensabile presupposto se prendiamo la penna o sfioriamo la tastiera per inseguire una storia.

E così oggi mi ritrovo a chiudere e aprire, perdere e riacquistare, un consumismo dell’animo, ma: evviva ogni fine che sia anche inizio.

Auguro a tutte e a tutti assennate virgole, ma soprattutto presuntuosi punti. Molti A Capo e Lettera maiuscola all’inizio di ogni frase che, se la vita non è un romanzo, abbia sempre almeno un bel passo e un buon ritmo e goda di un impasto succoso di chiusure e aperture.

L’immagine ha anche lo scopo di vendere i miei romanzi! Vivo di scrittura, non potrebbe essere altrimenti!

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Dentro durante intanto. Ora

Quand’è che sono diventata una 59enne che non me ne sono accorta?
Dentro mi pare di avere i sogni di una ragazzina, anche se la mente si trascina dietro un corpo che invecchia.

Quello passato è stato un anno difficile. Ho negoziato la separazione da un uomo che ho amato molto e mai capito. Dalla morte di mia madre, in un riflusso inaspettato, sono arrivate fragilità e domande modificando i pensieri. Ho avuto un crollo psicofisico e quando i giorni erano troppo scuri, mi ha salvata la psicoterapia.

Durante, la mia scrittura decollava e mi dicevo: Hai lavorato tantissimo, ora non molli, non te lo permetto, hai già sprecato abbastanza.

Credo di amare il mio mestiere perché è follia che assorbe. Restituire vite e mondi immaginati, non lo è? Non mi lascia il tempo di considerare di aver passato ormai buona parte della vita destinata a un’umana; che quello che mi resta da vivere, nel migliore dei casi, sia un terzo di quello che ho vissuto. E mi pare pochissimo per fare tutto ciò che ho da fare e perché di vita non ce n’è mai abbastanza.

Intanto con i miei romanzi ho incontrato donne che hanno medicato piccole parti di me. DonneSorelle che nel mare grosso ci sono state, poco o molto, non ha importanza. Le DonneSorelle si annusano, si riconoscono, si eleggono. Hanno famiglie e vite proprie, ma sono la stessa nota suonata da strumenti diversi, dal canto o del vento. Esistono solo quando si sentono. E non c’è balsamo più potente dello scambiarsi confidenza. Senza pensarci troppo, senza farne una confessione, con la semplicità dell’esserci in quel momento e in quel posto.

Mia madre prima di morire mi chiese uno specchio e poi mi disse che ricordava di essere più giovane.
La vita è feroce.
Un ragazzino mi ha domandato: Lei, fino a quando pensa di continuare a scrivere?
Io non ho saputo rispondere.
Ora ci sono e scrivo. In bianco e nero. Tanto basta e non è poco.