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Donne in corriera e madri da tartufo. Ci sei, ma non ti vedo

Brutto mestiere il mio che non mi lascia mai in pace…

Solita toccata e fuga al supermercato dove, con un barattolo di marmellata e un sacchetto d’insalata tra le mani, mi metto in coda alla cassa dietro una signora dal carrello straripante.

La donna, una tipa di quelle che si veste con cura anche quando va a fare la spesa (diversamente da me che indosso pastrano, scarponcini e cappello da puffo), carica tutto sul nastro trasportatore e aspetta che il cliente prima di lei paghi digitando il codice sull’apparecchio bancomat. In nome della riservatezza non lo può guardare, ma anche voltarsi indietro e fissare me sarebbe un problema: deve far finta di non vedermi poiché ho solo due miseri prodotti in mano.

La donna osserva le caramelle sullo stand accanto alla cassa con tale concentrazione che pare decifrare un antico codice egizio, poi si controlla le scarpe sperando che la transazione bancaria fili via senza intoppi. La osservo di sottecchi e lei scruta il soffitto con aria assorta come se fosse presa da pensieri e tormenti privati. Il suo viso è contratto.

Non è che non mi voglia far passare, è che non mi vede proprio, sia chiaro! E’ straordinaria: provate voi in un metro di corridoio tra le casse a non guardare né avanti e né dietro, bisogna inventarsi un mondo parallelo.

Il cliente che la precede imbusta, va via e la cassiera fa passare il codice a barre dei suoi prodotti iniziando a comporre il suo scontrino. E’ salva. Adesso si gira e mentre chiacchiera allegramente per esorcizzare lo scampato pericolo mi sorride. Anche volendo non potrebbe certo più farmi passare, quasi quasi si scuserebbe…

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Donne in corriera e madri da tartufo. E’ vero, ma non ci credo

Agosto 2015
Agosto 2015

Gennaio 2014. Parcheggia la station-wagon tra il lenzuolo del venditore ambulante marocchino e lo sportello bancomat e va  a fare la spesa. Sono lì, in attesa del mio “pusher” (un’amica) per ricevere una bottiglia di echinacea (panacea di tutti i mali di stagione) e getto un occhio al sedile posteriore: chiuso in auto c’è un bimbetto imbacuccato che dorme nel guscio di plastica agganciato alle cinture di sicurezza. Mi volto e la mamma, tranquilla, infila l’entrata del supermercato spingendo un carrello. Non ha l’aria di una che ha dimenticato di prendere il latte. Ritiro la mia tintura madre dopo dieci minuti e la “proprietaria” del bambino ancora non esce. Quello sgambetta, apre gli occhi, si guarda attorno. Sconcerto. Non posso andarmene. Entro nel supermercato e individuo la donna tra le mele e le arance che sceglie la frutta con calma. (La frutta è importante per una corretta alimentazione, già.) Avvicino la responsabile del box accoglienza, che informata, alza gli occhi al cielo e replica: “E’successo anche quest’estate! Adesso faccio un annuncio con l’altoparlante”. Me ne vado tranquilla perché la dipendente del supermercato esce e si mette nervosamente di guardia alla macchina. Immagino che ormai il piccolo urli e scalci, con il faccino rosso impastato di lacrime e moccio. Tranquillo piccolo, una voce dolce eppur decisa starà annunciando: “La signora che ha lasciato parcheggiato fuori il bimbo è pregata di spostarlo sul comodo carrello all’interno del supermercato. Faccia pure con comodo, il camion dei rifornimenti non l’ha schiacciato in retromarcia, l’abitacolo non ha preso fuoco e non c’è nessun criminale o ladro di bambini in giro.”