Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Qui da noi, giochiamo a briscola con il morto?

Per me questo è un periodo professionalmente pieno di pensieri buoni, che si intrecciano con la vita e i giorni che passano. Sono soddisfatta di me e forse per questo sempre costretta a prendere decisioni, a rimodulare le scelte, a farmi domande tra cui chiedermi cosa voglio davvero nel mondo editoriale.

Nel mondo editoriale c’è talmente tanto con gli esordi che si moltiplicano (tra l’uso improprio e il sano scouting), i troppi per essere veri/e romanzieri e romanziere, gli scrittori vari e imprecisati. L’editoria ragazzi va un po’ da sé ed è ancora un buon posto, anche se più che inventare storie si inventano modi per farle leggere, ma ci sta.

Su tutto la questione economica che non può fare a meno di pubblicare libri, anche in assenza di buoni romanzi, con il malcelato ripiego verso il macero, vero rifugio finale della filiera.

Mi viene da chiedere se esista ancora il romanzo, se non sia stato sepolto per tenere in vita il suo mondo in qualche modo senza di lui.

Non è che non si legge proprio per questo motivo?

Leggere è una pratica ormai comune, ma si conosce quello sbandamento nel vivo impalpabile delle pagine del romanzo o tutto si confonde con i volti degli autori/autrici, nell’intrattenimento, i generi, le storie moraleggianti?

Il romanzo, quel luogo artistico dell’immaginario che assomiglia al grande cinema o alla meraviglia che sorge grande con certi dipinti o fotografie.

Ma poi c’è spazio nella vita per entrare motivati, come quando affamati varchiamo la porta del fornaio, in un museo o in libreria a cercare qualcosa che vada oltre le necessità e la sopravvivenza quotidiane? Intendo un bisogno di quell’arte che parla all’anima e assomiglia alla fede. I giovani la riconoscono quella lingua trasognata e intima che ci scuote e ci fa capaci di pensare universale e umano?

Penso a mia madre bambina appesa alle labbra di una zia che raccontava storie di paesani e di santi. Penso ai reading party di oggi e alle persone insieme una sera in un chiostro a leggere, ognuna con il proprio libro, diverse e uguali. Penso a chi perde un arto e gli pare di averlo ancora. Non ce ne accorgiamo ma le grandi storie ci mancano. Non sappiamo dirlo, non abbiamo gli strumenti, ma forse i nostri corpi ancora si cercano, si raggruppano, timidamente dimostrano una spinta viscerale verso quell’arto fantasma. Se tutto è perduto se non quel ricordo, c’è speranza.

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Autore:

Autrice di narrativa per ragazzi. http://www.icwa.it/profili/facchini-giuliana http: //www.facebook.com/pages/Giuliana-Facchini/10647355940250 http://giulianafacchini.wix.com/giuli

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