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Donne in corriera e madri da tartufo. E’ vero, ma non ci credo

Agosto 2015
Agosto 2015

Gennaio 2014. Parcheggia la station-wagon tra il lenzuolo del venditore ambulante marocchino e lo sportello bancomat e va  a fare la spesa. Sono lì, in attesa del mio “pusher” (un’amica) per ricevere una bottiglia di echinacea (panacea di tutti i mali di stagione) e getto un occhio al sedile posteriore: chiuso in auto c’è un bimbetto imbacuccato che dorme nel guscio di plastica agganciato alle cinture di sicurezza. Mi volto e la mamma, tranquilla, infila l’entrata del supermercato spingendo un carrello. Non ha l’aria di una che ha dimenticato di prendere il latte. Ritiro la mia tintura madre dopo dieci minuti e la “proprietaria” del bambino ancora non esce. Quello sgambetta, apre gli occhi, si guarda attorno. Sconcerto. Non posso andarmene. Entro nel supermercato e individuo la donna tra le mele e le arance che sceglie la frutta con calma. (La frutta è importante per una corretta alimentazione, già.) Avvicino la responsabile del box accoglienza, che informata, alza gli occhi al cielo e replica: “E’successo anche quest’estate! Adesso faccio un annuncio con l’altoparlante”. Me ne vado tranquilla perché la dipendente del supermercato esce e si mette nervosamente di guardia alla macchina. Immagino che ormai il piccolo urli e scalci, con il faccino rosso impastato di lacrime e moccio. Tranquillo piccolo, una voce dolce eppur decisa starà annunciando: “La signora che ha lasciato parcheggiato fuori il bimbo è pregata di spostarlo sul comodo carrello all’interno del supermercato. Faccia pure con comodo, il camion dei rifornimenti non l’ha schiacciato in retromarcia, l’abitacolo non ha preso fuoco e non c’è nessun criminale o ladro di bambini in giro.”

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Donne in corriera e madri da tartufo. Una vita da massaia

Decido di fare la carbonara vegetariana, non sto a spiegarvela perché ci vogliono stomaci forti e non vorrei creare imbarazzo. Rompo le uova e separo la chiara dal tuorlo, metto il rosso d’uovo nei piatti e il resto nell’imballo di cartone vuoto delle uova. Quindi trasporto il tutto verso il lavello per gettare le chiare, ma il cartone perde e lascia una bava appiccicosa sul tavolo. Me ne accorgo e con acrobazia funambola, in quel tratto che mi separa dal lavello, intercetto con il piede una corposa gocciola appiccicosa: il pavimento è salvo, mentre il cartone, prossimo al cedimento, approda sul lavandino. La chiara però s’è insinuata tra il piede e l’infradito di gomma e la pianta si appiccica e si spiccica a ogni passo. L’acqua bolle, la pasta cuoce. Esco in giardino e prendo la canna per l’irrigazione. Ci sono almeno 40 gradi data l’ora di pranzo. Apro l’acqua e ustiono il piede che intendevo ripulire, mi mordo la lingua per non sconvolgere la digestione dei vicini (noi pranziamo tardi), saltello, lascio scorrere l’acqua e appena diventa fresca, risciacquo. Sollievo. La pasta scuoce. Rientro zoppicante e con le dita del piede arrossate: Bryce, il border, è seduto davanti alla portafinestra della cucina e mi guarda; Indiana, il gatto, è sdraiato sotto il tavolo e mi guarda; i figli per fortuna non sono presenti. Nessuno chieda com’è venuta la pasta alla carbonara.WP_20150807_17_01_58_Pro

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Donne in corriera e madri da tartufo. La terapia

Ebbene mi sono concessa una spesa rilassante al supermercato: non al centro benessere, ma proprio al supermercato.

Si tratta di quella terapeutica operazione che ci permette di affrontare positivamente i lavori sporchi.

Dopo aver parcheggiato in quel posto, sì proprio in quel rettangolo bianco dove ero ferma quando ricevetti la telefonata che mi annunciava la vittoria del Premio Arpino, in quella piccola area di sosta che se trovo libera è presagio di buona giornata, mi sono armata di carrello e sono entrata con cuore leggero nel supermercato. Ho chiacchierato davanti ai limoni con un anziano signore molto distinto, un gourmet che produceva liquori fatti in casa e cercava frutta non trattata. Una discussione interessante che ha spaziato dal biologico ai viaggi in Svizzera. Poi qualche scontro con carrelli amici e vecchie conoscenze e un girovagare creativo tra le corsie alla ricerca d’idee per pranzi e cene sani, veloci da preparare e appetitosissimi (corsia 9 e ¾ non trovata). Quindi, mi sono concessa un quarto d’ora di lettura di etichette nel reparto biscotti e gallette alla ricerca della marca cui dare la Palma d’Oro per assenza di olio di palma tra i propri ingredienti (premio non assegnato). Quindi si torna a casa sereni e soddisfatti, dopo una breve e organizzata sosta alla cassa e con il bagagliaio pieno di scorte alimentari che mi auguro bastino almeno per due settimane, forse tre… insomma fino a che frigo e credenza tristemente vuoti mi richiameranno alle armi.

La spesa spensierata non prevede la famosa lista per non scordare l’indispensabile, diligentemente fatta e doverosamente lasciata a casa. Dunque, a un veloce check, ho dimenticato solo il latte (bottiglia vuotissima), l’olio si semi di girasole per Bryce (rende bello il pelo di chi è già bello) e il sale per la lavastoviglie (macchina ferma e pienissima). Per rimediare a questo spiacevole effetto collaterale farò un raid più tardi senza carrello. Entrerò furtiva e lesta, dribblerò la folla, afferrerò i tre prodotti mancanti e farò coda con aria mesta per pagare tre miseri pezzi contando sul buon cuore della massaia che intasa la cassa con un carrellone strapieno di vettovaglie.

Quando i miei figli erano piccoli usavo le storie e le letture ad alta voce per rendere risolvibili i problemi irrisolvibili, gradevoli le incombenze sgradevoli… diciamo, se può essere utile, che non ho perso il vizio.