Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Pensieri canini

Auguri, abbai e altri affanni

Tocca a me prendere l’abbaio.

Tocca a me scrivere per lei.

A sua madre volevo bene. Sua madre cercava di fregarmi, andava quatta quatta alla credenza e frugava nella scatola dei biscotti con destrezza, ma quando si voltava io ero lì e la guardavo. «Giuli dice che ti fanno male» borbottava, ma sapeva che diceva lo stesso anche a lei. Allora divideva. Non dovevo neanche impregnarmi troppo con il muso spezzacuori.

Le facevo spesso compagnia quando era malata, quando anche il gatto era con lei, quando era molto triste.

Il giorno che se n’è andata non capivo niente. È scivolata via, non ho sentito nulla, solo il vuoto. Sono un cane, la morte l’accetto come la vita, non la vedo arrivare ma la riconosco. Non sapevo cosa fare e mi sono ricordato della sua tristezza.

E la Umi non è stata mai ferma, lei sa sempre cosa c’è da fare. O forse non lo sa ma sembra che lo sappia. Fa. Solo io capisco quanto è confusa, perché mi sento confuso anch’io e litighiamo. Io abbaio alle macchine, lei mi sgrida, io lo faccio di nuovo, lei dice che mi detesta. Ma non è vero. Ci azzuffiamo solo per distrarci dalla confusione.

Anche andare a casa sua è stato sconcertante, non volevo entrare, mi ha dovuto strattonare dentro. Mi sono rintanato dietro al divano, dove andavo di solito, ma non era come al solito. Le sue cose hanno ancora il suo odore e lo avranno ancora per molto tempo, almeno per me che sono un cane.

La Umi fa, stacca quadri, prende libri, svuota cassetti ed è tutta una baraonda.

Poi si siede sul divano e sta, si guarda attorno e non fa più niente per un po’ e poi ce ne andiamo, ma l’indomani torniamo e lei fa di nuovo la stessa manfrina. Così la baraonda è diventata confusione pure fuori.

Ora siamo più liberi lei e io. La libertà ci piace perché possiamo scrivere e leggere e camminare quando ci pare, perché non dobbiamo preoccuparci più di nessuno se non di noi. Eppure ci sentiamo un po’ più poveri, ce ne rendiamo conto.

Io sono un cane e non ci penso troppo. Lei ci pensa di più. Allora io abbaio alle macchine, lei mi sgrida, io lo faccio di nuovo, lei dice che mi detesta. Però, ancora una volta, non è vero, ci siamo distratti e non pensiamo più.

È quel periodo dell’anno in cui si festeggia, essendo un cane non mi interessano le festività e la Umi è un po’ cane pure lei perché non interessano tanto neanche a lei. Però tra gli umani le festività sono importanti come è importante per me, quando incontro un altro cane, annusargli il didietro. Allora la Umi ha tirato fuori tutti quei ciuffi di abete con i fiocchi rossi sui quali, purtroppo, non si può fare pipì e ha comprato una teglia usa e getta per fare la pasta al forno che potrò ripulire a fine pasto e sarà una goduria. Il lato culinario delle festività umane non è da disprezzare.

Insomma la Umi è troppo impegnata a dividersi tra libertà e povertà, tra pacchetti, lasagne e ricordi, quindi mi è toccato farle presente che doveva fare gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutte le sue amiche e amici, a tutte le sue lettrici e lettori.

Pensaci tu, mi ha risposto.

Allora, da parte mia e sua, vi abbaio tanti auguri perché abbiate in abbondanza cibo da rosicchiare, boschi in cui correre e cieli a cui ululare,

spero sia abbastanza,

vostro affezionato,

Brik

Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

Un border da divano con il cuore di un lupo

 

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Ferma al capitolo sedici del nuovo romanzo, in montagna, da sola con Brik, decido di fare un giro nel bosco, così per chiarirmi le idee. Camminando si pensa. Non c’è nessuno, proseguiamo tra gli alberi e le rocce ricoperte di muschio. Prendiamo un sentiero impervio, in discesa, e libero Brik che mi precede, aspetta, mi precede, aspetta, mi precede e sparisce.

Lo chiamo, vedo la punta bianca che spazzola l’aria tra erba alta, rami e rocce in un anfratto scosceso. Si muove lì attorno, ma non ritorna; lo chiamo con voce dura, di solito non mi ignora e quindi mi preoccupo. Impossibile raggiungerlo per me. Il terzo richiamo suona stridulo. Poi lo vedo spuntare più avanti sul sentiero e porta in bocca una costola di dinosauro, d’accordo di capriolo. C’è ancora del grasso biancastro che penzola. Brik si avvicina orgoglioso e io lo metto al guinzaglio e gli tolgo la costola dalla bocca. Lui lascia fare (posso toccare il suo cibo nella ciotola mentre mangia, non ringhia mai né si arrabbia), però mi guarda sconcertato.

E la mia mente è già lontana: vaga tra racconti di bocconi piazzati nel bosco per avvelenare i predatori e quidi poter cacciare liberamente gli ungulati e sul come allertare il più vicino veterinario; avrà una macchina medico-veterinaria? Chi mi verrà a prendere quando il cane comincerà a schiumare dalla bocca e si accascerà a terra?

Nel frattempo Brik trotterella sereno e si ferma ad annusare degli escrementi. Di solito annusa quella degli altri cani con indifferenza, al massimo ci piscia sopra e prosegue, qui se fosse Sherlock l’esaminerebbe con la lente di ingrandimento. Lo guardo e lo tiro via appena in tempo prima che ci si rotoli sopra e immagino, a quel punto, che sia cacca di lupo.

Che dopo un lauto pasto a base di ungulato, un lupo si sia fermato poco più avanti per liberarsi l’intestino? Nessun boccone avvelenato solo un banchetto lupesco di cui il bricchetto ha spolverato i resti?

Intanto affrontiamo la salita; il tempo passa, il cane non schiuma, ma mi guarda di traverso mentre lappa da un torrente l’acqua che scorre. È un po’ offeso per il mio furto del suo furto di costola. Glielo leggo negli occhi quello che mi direbbe se potesse parlare: certo che hanno proprio ragione i miei fratelli umani, come sei ansiosa, due soldi di fiducia in me, no?

L’immaginazione è tutto per una scrittrice e l’ansia in fondo è un derivato dell’amore. Sono sempre ferma al capitolo sedici, in compenso c’è un nuovo articolo sul blog. Desolata per non aver fotografato la costola, meritava. 

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Pubblicato in: Pensieri canini

Io (Brik), il burro e la carota

Non è che solo perché sei un cane non conosci la differenza tra le azioni che fai e che gli umani fanno.

Pane, burro e marmellata è la colazione della mia umana di riferimento (Umi per semplicità). Per me basterebbe il burro. Conosco bene la differenza tra quello di pianura e quello di montagna. Il primo è dolce, equilibrato, fine; il secondo denso e deciso. Lo preferisco: ha un odore intenso con il sapore (ma anche il sapere) persistente dell’erba e il colore paglierino del fieno. Comunque, di solito, mi accontento.

Conosco la differenza tra l’apertura della scatola dei biscotti e il tonfo secco della custodia porta-burro. E quindi so chi fa colazione, anche se non mi formalizzo. Non deludo nessuno. So anche la differenza tra lasciarsi sfuggire e offrire. Stabilito che, come da contratto (ius primae ientaculi), chi fa colazione con pane, burro e marmellata mi deve un ricciolo del panetto bianco: se nell’offrirmelo cade a terra, me ne spetta un secondo. Ti è caduto, non me lo hai dato. E tutto ciò che è commestibile sul tavolo è tuo, sotto è mio.

Se lo depositi nella mia ciotola, mi va bene. Resta più rapido, forse brutale ma decisamente soddisfacente, indirizzarlo verso di me con un movimento secco del polso mentre ci guardiamo negli occhi. Lo prendo al volo e ci lasci anche l’odore delle dita, che mi piace perché sa di noi.

Sono un cane e anche se non parlo ma abbaio, sento quello che pensi, provi e neanche tu sai. Quindi non offendermi, per favore. Nel caso tu fallisca la prima consegna, molla il secondo ricciolo di burro senza farti pregare o mostrarti poco elegante nel richiedere, ogni volta, di essere da me sollecitata. 

E la carota?

Beh, quella è un’altra storia.

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Pubblicato in: Pensieri canini

Lettera aperta di scuse del cane coautore alla sua umana di riferimento

Sì umana, sono pentito. Ti ho leccato la mano e ho scodinzolato timidamente, non hai visto?

Posso spiegarti, però, non è come sembra.

Cerca di capirmi,  è una legge di natura, i giovani vogliono stare con i giovani e io con i giovani adulti di casa nostra mi ci trovo proprio bene. A causa di questa storia del virus contagioso… che c’avete solo VOI umani e noi bestie no, anzi forse ce l’avevamo e ve l’abbiamo scaricato perché VOI non la smettete di mangiarci…

(E datevi una calmata umani ingordi, che noi mangiamo solo quando abbiamo fame e uccidiamo anche solo in quel caso, mica a caso o per sport come voi).  

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Per colpa di questo virus, dicevo, c’erano tre young adult tutti per me a casa nostra e abbiamo guardato la tivù insieme fino a tardi, ho dormito a turno con tutti loro e fatto colazione a turno con tutti loro (io ho fatto tutti i turni coscienziosamente) e poi abbiamo tirato corda e palla e anche se ho dovuto vederli giocare con dei listelli di legno che non potevo rosicchiare, non fa niente.

(Loro dicevano che stavano costruendo una cassa da orto – o da morto non ho capito bene – per il balcone – chi sarebbe morto sul balcone? – perché in giardino non si può coltivare che è solo mio e dei gatti, MA non ci ho creduto – anche se confermo che il giardino è solo mio e non dei gatti).

Ecco, in mezzo a questa meraviglia di fratellanza mi sono addormentato con quelli della mansarda e mi sono dimenticato di venire a dormire in camera tua. Così, la mattina, ti sei svegliata da sola.

Immagino lo spavento. Il vuoto. Lo sconcerto. 

Capisco di averti ferito. In otto anni di vita ti sei sempre svegliata con le mie tenere testate, qualche leccatina delicata e a volte ti ho anche offerto il mio petto da grattare.

Conoscendo come sei ansiosa, immagino che tu non vedendomi abbia pensato che mi fosse successo qualcosa; eri certa che nulla mi avrebbe tenuto lontano da te e quindi forse giacevo stecchito sulla poltrona del salotto o chiuso fuori in giardino come un povero randagio o uno stupido cane da guardia.

Ho sentito la tua voce tremula in corridoio che mi chiamava e mi sono svegliato di soprassalto; mi sono catapultato giù dalla scala a chiocciola ma ormai era troppo tardi. Quando mi hai visto arrivare hai capito che stavo benissimo. Eri forse un po’ sollevata, ma anche rattristata. Mi sono subito sentito in colpa, te ne sei accorta?

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Però anche tu quando vai nelle scuole o nelle biblioteche a parlare dei tuoi libri e stai fuori più giorni non mi porti con te e non ti svegli con me e allora, per una vola, fai finta che, quale autore cane di un blog, sono stato invitato a fare un workshop per autori cani e sono rimasto a dormire fuori. Che ne dici? Può andare?

Sentitamente sempre tuo,

o quasi sempre solo tuo,

Brik

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