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Non si vive di soli libri, ma anche di gatti

Dalì, Salvador

Alle sei di questa mattina il nostro ex-gatto Dalì (si è spostato a vivere dai vicini ma ci frequenta abitualmente) entra in casa dalla gattaiola e lancia un paio di miagolii prima di andarsene di nuovo. Dormivo. Mi giro mi  dall’altra parte immaginando che anche i gatti abbiano le loro paturnie. Dopo un’ora la cosa si ripete e nuovamente seppellisco la testa sotto il cuscino. Più tardi, mentre sto facendo colazione con mio figlio gli racconto quanto accaduto (lui non si sveglia neanche con il ruggito del leone) aggiungendo che mi è sembrato un avvertimento quello di Dalì, uno strano avvertimento.

Indi, il gatto regolarmente residente a casa nostra, stamattina non si vede, ma mio figlio assicura che ieri sera era con lui in mansarda e quindi non c’è ragione di preoccuparsi. Poi ci ripensa: «Ieri sera ho aperto la finestra sul tetto solo per pochi minuti e Indi era profondamente addormentato, non credo che mi abbia fregato». Il tetto è l’unico ambiente della casa vietato ai gatti: ci sono i comignoli e le finestre delle case vicine, dove non tutti gradiscono visite feline. Ovviamente è il posto più ambito dove passare la notte per il nostro gatto residente.

Partendo dal presupposto che un gatto frega sempre un umano, ci precipitiamo in mansarda: il vetro esterno (non lavo frequentemente i vetri) della Velux è pieno di impronte feline. Indi ha 14 anni e una notte sul tetto potrebbe costargli cara.

Quello che è accaduto dopo non è carino da confessare. La scrittrice per ragazzi, io, quella figura rassicurante cui professori e genitori affidano i ragazzi e che guida un gruppo di lettura in biblioteca, spunta dalla finestra del tetto fino al busto; ben visibile nel quartiere, come un campanile; scarmigliata, in canottiera, con un filetto di sgombro sottolio penzolante dalle dita (vera leccornia per il felino residente) e chiama: « Indi! Micio-micio! Pappa buona!!!»

Il caro vecchio Indi dopo la sua notte brava, di tornarsene a casa proprio non ha voglia, passeggia e miagola stando alla larga dalla mia finestra (e io sul tetto non ci salgo di certo). È in ottima salute e punta i piccioni. Me ne vado e lascio lo sgombro in un piattino in mansarda. Poiché, in fondo, io sono l’umana  e lui il gatto, appena si sente al sicuro ed entra a mangiare (meglio lo sgombro sottolio che il piccione da spennare), chiudo la finestra e lui è rimane dentro. Fregato. Chi la fa l’aspetti.

Indi – Indiana Jones

Resta solo da appurare se il nostro ex-gatto Dalì volesse avvertirci che il padrone di casa era rimasto chiuso sul tetto o fosse solo invidioso della cosa. Ai pazienti vicini l’ardua sentenza.

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Come convivere con un cane stalker e con l’arte di non saper cucinare

I border collie sono cani dalla forte personalità e dall’appetito insaziabile. Brik oltre a essere insaziabile ha un gusto da chef 5 stelle. La mia vicina di casa è un’ottima cuoca, io no. I suoi profumini sono da sempre una condanna per la mia famiglia. Brik aveva accuratamente scalzato un tratto di rete di recinzione tra le nostre case e si presentava a pranzo e a cena dai vicini. I cani dei vicini avevano sempre nelle ciotoline piccoli assaggi di manicaretti: penne al tonno, polpette, salmone alla griglia, ma i border sono veri assaltatori e i poveretti non facevano a tempo a mettere il muso nelle ciotole che un ladro gentilcane già se ne stava tornado a casa leccandosi i baffi.

Di comune accordo, per mantenere saldi i rapporti di buon vicinato abbiamo sostituito la rete di recinzione con una ben ancorata al terreno e alta un metro e ottanta. Brik ha studiato la questione a fondo, ha misurato a lunghe falcate la nuova recinzione, si è alzato sulle zampe per verificarne l’altezza. Ha fatto i suoi calcoli: il tempo di scavalcamento superava di gran lunga la permanenza dei manicaretti nelle ciotoline. I  cani dei vicini sono lenti, non fessi.

Brik ha cambiato tattica. Si mette in posizione strategica in modo da fissare attraverso le maglie della rete il tavolo da pranzo dei vicini che con la porta finestra aperta è perfettamente visibile. Tenta la strada dell’ipnosi e funziona. La vicina cede e si alza a portagli un bocconcino. Lui sbava e la guarda riconoscente (che se lei non ci conoscesse potrebbe chiamare la protezione animali tanto sembra affamato). La vicina gli porta pezzettini di formaggio e lui ama il formaggio. Ogni pasto un po’ di formaggio. I border sono imperiosi nel governare le proprie pecore. Sulle prime con un mezzo abbaio richiamava l’attenzione dei commensali vicini di casa, adesso abbaia imperioso che si alzino a foraggiarlo di formaggio.

Prima ero imbarazzata che se ne andasse a suo piacimento dai vicini, adesso che usi ad arte la tecnica dello stalking.

Oggi il profumo che arrivava dalla casa accanto alla nostra era da alta cucina e la pasta al pomodoro nei piatti dei miei figli faceva una magra figura. Si sono guardati, i figli, e poi hanno guardato Brik. Credo desiderassero essere border collie.

 

English versione:  How to survive to a stalking dog and the art of being unable to cook

 

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Un’estate da cani… come nascono le storie!

Questa storia è un racconto scritto in prima persona da Ginevra. Lei non è una scrittrice e non si tratta di un diario. No. Questa storia nasce per raccontare che scrivere può essere utile. Enigmatica?

Chi ha letto Io e te sull’isola che non c’è, sa che Lucia scrive una storia dove succedono cose terribili alla sua odiata nemica. Su un foglio bianco tutto può accadere e così Lucia sfoga la sua rabbia e il suo odio. Ginevra scrive per un altro motivo. Un motivo ben preciso. Trovo affascinante poter fermare sulla carta le emozioni senza dover necessariamente essere scrittori. E’ una fotografia del nostro stato d’animo. Rileggere quelle righe anni dopo, come guardare una foto, ci racconterà chi eravamo.

Un ragazzo una volta mi chiese se la sua vita sarebbe diventata come quelle dai suoi genitori: andare a lavorare, fare figli e pagare le bollette. Io gli parlai di sogni.

In questa storia si parla di sogni. Sì, quelli che ognuno di noi ha; non esistono uomini o donne senza sogni. Alcuni credono che i loro sogni siano andati distrutti, altri pensano di non averne perché li hanno dimenticati. Quello che ci piacerebbe realizzare della nostra vita è il motore che ci anima, certi motori borbottano, altri ronfano e alcuni di noi sono sordi, ma il motore batte e pulsa volendo o non volendo.

I sogni sono la linfa vitale di cui si nutrono i ragazzi, ma alle volte gli adulti ce la mettono tutta per disilluderli, di questo racconta Un’estate da cani, di chi non vuole rinunciare al proprio sogno.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso” diceva Nelson Mandela.

“Cosa vuoi diventare da grande? Felice” Risponde Thomas ne Il libro di tutte le cose di G. Kuijer

Ecco, chissà, forse vincere vuol dire trovare la propria felicità.

Orchidea è una bellissima Levriera che Loredana e la sua famiglia hanno adottato raccontandomi poi la sua storia.

Si parla anche di cani, sì ancora. Degli ultimi, quelli di cui proprio non importa a nessuno. Ci sono persone che si occupano di loro e mi pare bellissimo. Certo ci sono ingiustizie ben peggiori, ma sono convinta che di amore ce ne sia per tutti. Anche per gli animali e l’ambiente e senza far torto a nessuno. Io sono per includere e non escludere.

Infine, in questa storia, c’è un’omaggio a mia madre da sempre incallita giallista. Dei suoi racconti mi nutro io, che i gialli non li amo. Mi accompagnano da sempre nomi come Christie, Stout, Queen, Grisham, Camilleri, Patterson, Cornowell… serial killer e patologhe mi inseguono da sempre e non poteva tutto non confluire in un mitica Cena con delitto!

Ultima nota: Marisol esiste davvero. Non so se si chiami così, ma l’ho vista in ospedale mentre aspettavo di fare una banale visita specialistica. Lei era qualche metro più avanti e per rilassarsi faceva degli esercizi di respirazione in piedi, tra il muro grigio e la finestra. Era molto discreta, forse la notai davvero solo io e m’incantai a guardarla. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei e dalla sua figura luminosa. Cominciai a respirare come lei.

Le storie siamo noi.

Buona lettura e fatemi sapere!

Trama e dettagli su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

I dolori di una non più giovane narratrice di storie

E’ accaduto, accade. Succede che un’idea ti ronzi per la testa e non ti dia tregua. Una nuova storia sta nascendo e cominci  a scrivere.

L’entusiasmo che mi pervade quando ho tra le mani quella materia grezza che è la mia immaginazione, è indescrivibile. Scrivere fa bene, mette di ottimo umore. Ogni storia nuova sembra debba aprire una nuova era, diventare quel libro perfetto che inseguo e non raggiungerò mai. Non lo scriverò mai, ovviamente, perché non esiste un delitto o un libro perfetto. La mia vita non è perfetta, chi ha una vita perfetta? La mia vita ha sempre trattato la scrittura come fosse un incantesimo di Harry Potter o come se i libri esistessero già nella borsa di Mary Poppins. I libri si scrivono, ci vuole tempo, pazienza, energia. Per fare un lavoro ben fatto, una legnaia ben impilata di parole come si vede fuori della baite trentine, ci vogliono ore vuote di pensieri e ore dense di frasi che sfuggono o arrivano in massa. Imprigionare la creatività nella disciplina è uno sforzo che stroncherebbe anche una secchiona come Hermione.

Isabel Allende, ha dichiarato che c’è un casotto nel giardino della sua villa dove si ritira a scrivere, un’altra famosa scrittrice va in Umbria nel silenzio della sua cascina ristrutturata a meditare sulle pagine del best seller di turno (dal quale il marito farà di sicuro un film). E io? Non sono un’autrice da best seller, sono una venditrice di storie che passa di classe in classe, di scuola in scuola; faccio parte di quegli scrittori di serie D che in Italia nessuno si fila e prima di me, nella categoria “narrativa ragazzi”, ci sono quelli molto bravi, quindi?

Quindi io sono magica, io le storie le tiro fuori già scritte dalla famosa borsa, gentilmente offerta in prestito dalla cara signora Poppins. Rubare ore di silenzio è realmente il mio mestiere; incontrare di nascosto i personaggi è il mio mestiere; leggere e rileggere bruciando parte della cena, lo faccio per lavoro; amare a tal punto quella storia da ripeterla tra me e me (chi mi vede pensa che io sia al telefono) mentre in auto vado di qua e di là a sbrigar commissioni, a dar passaggi, a pagar multe. Se non servissero mani e tastiera avrei fatto fuori col pensiero fiumi d’inchiostro. I miei romanzi li sudo dalla prima all’ultima riga tra le code al supermercato, gli incontri con i ragazzi delle scuole, le camminate sull’argine del fiume per far correre il cane, le fiere per sentire gli autori chiacchierare, le litigate inter-familiari, i dialoghi surreali con mia madre e le occasionali fughe dal veterinario con lo sfigato quadrupede di turno.

Non sono una professionista, non mi sento una professionista, sono più un’artista della narrazione: nel casotto? in Umbria? no! In un angolo della casa, su una scrivania piena di peli di gatto, libri, tessere sconto, seconde chiavi della macchina, un termometro, due agende, una tavoletta di cioccolata, la tazza del raccogliticcio, concentrata a ignorare chi mi chiama, chi blatera di imminenti catastrofi, chi avverte uno strano odore di bruciato in cucina. Le mie sono le storie di una funambola che nella vita continua a camminare su di un filo teso tra realtà e finzione. Non si sa fino quanto reggerà.

Tutto questo può portare a un incommensurabile successo o alla catastrofe più nera, oppure può relegarti nella mediocrità. Altre opzioni non ce ne sono. Già, perché ormai tutti ti conoscono e l’ennesimo inedito sparirà inghiottito dalle lunghe file d’attesa nelle case editrici, non saprai mai se sei brava e sfortunata oppure se in te stessa, alla fine, ci credi solo tu.

E’ un guaio, non sei una professoressa, non sei impegnata nel sociale, vendi spiccioli d’avventura ai tuoi lettori ideali, quei ragazzi dei quali vorresti avere ancora l’età. Sogni come dovrebbero fare loro e non vuoi che loro abbandonino i loro sogni, è per questo che scrivi. Una missione imbottita di cuscini tra i quali far cadere i sognatori di vite diverse, la missione un po’ folle della scrittrice senza casa, che abita il mondo e non va da nessuna parte. La sua meta è il viaggio nelle storie che costruiscono gradini su cui accompagnare i lettori. Tu, li porti per mano e poi li lasci andare quando tra le storie sanno muoversi da soli.

Fai un lavoro fine a se stesso, ma non molli, sei tenace. Non devi arrivare da nessuna parte, non hai fretta.

Ma ti lasceranno sopravvivere?

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Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura!

Un libro che affronta con la freschezza, il sorriso e il coraggio di una ragazzina un tema importante. Mi è piaciuto tutto: la grafica, i disegni e la copertina. Ma soprattutto mi è piaciuto l’equilibrio di una storia semplice che ci esorta a rispettare noi stessi.

Top Secret di Maria Giuliana Saletta

Amicizia, amore, omosessualità, stereotipi sono temi importanti con cui confrontarsi con semplicità e naturalezza come è giusto che sia. Un paese tra i monti, la natura di cui si sente il profumo e un nonno con cui avere un rapporto speciale. Uno stile fresco e immediato. Per me un libro pieno di dolcezza.

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura!

Con Luna Park di Livia Rocchi (edito da Camelozampa) mi sono emozionata e commossa. Una storia che arriva semplicemente dritta al cuore. Da leggere!

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A mio parere, questo romanzo ha il grande pregio di parlare a tutti, davvero a tutti. Non dobbiamo avere paura di proporre ai ragazzi libri che affrontano argomenti forti, ma esiste anche un modo di narrare storie importanti con un linguaggio che rasenta quello poetico e che nessuno avrà mai timore o scrupolo di proporre ai ragazzini.

Il “racconto” Luna Park esce nel 2013 nella raccolta “Chiamarlo amore non si può”, che racconta ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne, antologia della quale sono coautrice (vedi i dettagli tra i miei libri). Da quel racconto nasce il romanzo Luna Park una storia completa ed efficace.

Evviva i libri che hanno voce propria, basta carta stampata impersonale, pubblichiamo di meno ma pubblichiamo libri sinceri, onesti, veri!

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io e te sull’isola che non c’è. Come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

Cattura.JPG cvCerte in un modo, alcune in un altro! Questo romanzo ha per me qualcosa di speciale perché racconta tante storie, ci sono tanti personaggi e ognuno con la propria vita, una sensibilità e un destino. Il romanzo è nato parlando di cani… e ti pareva! esclamerete subito, già ogni autore ha i suoi nervi sensibili, quella sua anima inquieta e sorniona che torna sempre nella storie. Quando presi con me Bryce conobbi un tipo di cinofila bella e un rapporto con gli animali, con i cani in particolare, straordinario. Si può, credetemi, addestrare un cane alle discipline più nobili in modo mostruoso, ma si può, per fortuna, anche lavorare sull’intesa e l’amore reciproco. Questa modalità a mio parere addestra cani sereni abili al soccorso, al sostegno delle disabilità umane e anche alla semplice compagnia. Con questi giovani cinofili allegri e espertissimi ho conosciuto cani speciali e, se me lo consentite, di grande personalità ed è nata la voglia di raccontarli. In “Io e te sull’isola che non c’è” si parla del rapporto con i cani come mezzo per allenare gli umani al linguaggio dell’empatia e della sensibilità. Il rapporto con gli animali ci insegna a non comunicare solo con la parola ma anche con il linguaggio del corpo e a essere più recettivi verso gli altri.

“Gli animali ci rendono tutti più umani”

Ma non si parla solo di cani, anzi, in questo romanzo torna una fiaba di Andersen “I cigni selvatici” che mi impressionò da bambina. Si parla di fiaba e di realtà e di quanto di magico (tra virgolette) ci sia nella vita. Credere a tutti i costi in qualcosa che solo noi abbiamo intravisto, avere fiducia nei fili da seguire che la vita ci mette tra le mani, raccontano che vivere non è solo quello che sperimentiamo con i cinque sensi. Empatie, sogni, emozioni non si toccano, annusano, vedono, sentono o assaporano ma ne percepiamo gli effetti se sappiamo metterci in posizione di ascolto.

Scrivere è un mestiere strano e la fantasia un’entità astratta. Bello aver fantasia, ma la fantasia non si tocca, non si trova ovunque e a cosa serve? Si sbarca il lunario con la fantasia? Forse no, quando si sale quella scala a pioli che porta su una nuvoletta fantastica tutto può accadere e solo lì, a mio parere, nasce davvero una buon romanzo.

Mi dicono spesso che nelle mie storie ci sono troppi personaggi e vie da seguire, eppure io credo che siamo tutti, ragazzi (soprattutto loro sono abilissimi) e non, in grado di seguire l’affresco variopinto e ricco di un romanzo, in grado di innamorarci di un protagonista oppure di personaggio antipatico, di scegliere i tramonti da dipingere con la mente e quali sguardi seguire. Vi lascio la mia storia… fatemi sapere!

…. Ah, dimenticavo: un grazie speciale a mio figlio grande (perché le mie storie sono sempre un affare di famiglia, leggere per credere Cortometraggio di famiglia) che ha ideato un bel titolo per questo romanzo!

Galleria fotografica dei protagonisti a quattro-zampe del romanzo! 

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Eko con Tabatha e Sancho – “…aveva pubblicato la foto di Eko con un mestolo da cucina in bocca. Aveva un’aria seria, solo un po’ scocciata, mentre la didascalia diceva: Stasera cucino io! “
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Eko (lo zio di Bry)- “…con una fetta biscottata in bilico sulla testa. Il cane aveva uno sguardo buffo perché lei lo fotografava sempre nelle pose più assurde, invece lui voleva solo papparsi la fetta fragrante!”

 

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Nana – “…l’aveva fotografata accucciata su un grosso vocabolario con gli occhiali da lettura sul naso e forse era davvero l’unico modo per descrivere Nana! “
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Emily – “Emily era sempre disponibile al gioco, ma non era invadente! “
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Emily – ” I suoi occhi cercavano Lucia e la invitavano a lasciare da parte i problemi quotidiani per perdersi con lei in un mondo di palline, salti, corse e coccole. “

 

 

 

 

 

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Cica (la nonna di Bry) – ” …due splendidi cani occupavano rispettivamente due poltrone e non si mossero. Erano le due femmine dell’allevamento: Cica e Queen. “
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Queenbee – “Queen e Cica, chiuse nella camera di Meggy, se ne stavano sulla terrazza attigua, fisse e immobili come statue, a osservare dall’alto cosa stesse accadendo nel loro regno”
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Jazz (Nel romanzo interpreta la parte dell’amico del cuore di Nico ed essendo una vera primadonna lo fa in modo esemplare!) “Jazz lo fissò scavando, con i suoi piccoli occhi scuri di cane fortunato, nel dolore del ragazzo…”

 

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Orma Rossa – … cui Lucia ha scippato il nome per il suo nickname!
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Bryce – “Si chiama Bry, sarà il tuo cane e insieme vi divertirete un mondo”

*I Border collie fotografati appartengono tutti alla famiglia (ops all’allevamento) Gingerbell.