Sono nato in una bella casa in un bosco e stavo in un box con otto fratelli di latte rossi, bianchi e maculati di tanti colori. La mia umana di riferimento, che per semplicità da adesso in poi chiamerò “Umi”, venne a prendermi un giorno d’autunno inoltrato (la sua stagione preferita) quando per terra nel bosco c’era un pavimento di foglie rosse e gialle. Aveva piovuto, le foglie erano lucide come fossero state trattate con la cera e i pochi raggi di sole le accendevano di riflessi caldi, luminosi e odorosi. Filari di vite e alberi sempreverdi riempivano le colline e il paesaggio, mentre in braccio alla Umi guardavo fuori dal finestrino della nostra auto. Non avevo paura, ma lasciare i miei fratelli e l’umana che mi aveva aiutato a nascere, un po’ m’intimoriva. Ero pieno di fiducia negli umani come tutti noi cani quando nasciamo tra loro, tra voi.
Arrivato nella mia nuova casa incontrai due gatti grossi più di me, ci annusammo con cautela e loro miagolarono qualcosa del tipo: ne è arrivato un altro! Poi conobbi i miei due matti fratelli bipedi e giocai a morsi e a tirare la corda e loro mi piacquero tantissimo subito!
Gli umani sono fissati con l’igiene della tana e mettono una specie di tappeto assorbente dove devi sporcare. Ogni volta che la fai lì, ti danno un croccantino per premio. Dosando bene le pipì e le cacche si fanno delle gran panciate.
L’umana che mi ha fatto nascere si era raccomandata di non farmi salire e scendere le scale per una questione di ossa e la Umi costruì, allora, un cancello di legno: un bellissimo lavoro artigianale! Quando lei e i fratelli lo posizionarono davanti alla scala della nostra casa (che io non dovevo assolutamente salire) lo ammirammo tutti molto soddisfatti. Poi quando con abilità passai tra le sbarre per ben guardarlo dall’alto dei gradini, tutti si sedettero per terra avviliti e ancora oggi me ne domando il perché. Parlavano di misure sbagliate, ma non lo erano affatto: il legno era morbido al punto giusto per farsi i denti! Quindi la Umi inventò l’ascensore umano, cioè per scendere e salire prendevo il primo umano che passava e beccavo pure un croccantino. Quando si dice la comodità, eh.
La Umi sulle prime non mi lasciva montare sui divani (poi crescendo e con i giusti appoggi ho risolto questa incresciosa questione), allora, siccome pensava che volessi montarci solo per starle vicina (dolcissima lei) veniva a sedersi con me sul mio cuscinone-cuccia. La cosa non mi era sgradita, era bello appiccicarsi addosso a lei mentre lavorava. Si appoggiava il PC portatile sulle ginocchia e scriveva e rideva e diceva “il mio prossimo romanzo sarà scritto da cani”. Non la considerai un’offesa e così ce ne restavamo ore lì, tutti e due in cuccia, io a dormire o masticare l’osso e lei a “scrivere ad alta voce”. Cosa vuol dire? …Alla prossima!
Bry