Mi è capitato di raccattare gatti abbandonati e quando ne porto a casa uno un po’ traumatizzato, quello si cerca un posticino tranquillo, si acciambella e si fa un lungo sonno.
Per me è lo stesso: mi raggomitolo sotto una coperta, nel mio letto e mi addormento. Quando mi sveglio da quelle lunghe dormite fuori programma ho mal di testa e mi sento frastornata.
Anche il micio quando si sveglia, ancora traballante, esplora incerto la casa: non sa dove si trova, è confuso. Poi piano piano si rasserena, mangia dalla sua ciotolina e si struscia cauto alle mie caviglie. La coda è ritta, fa le fusa, apre e socchiude gli occhi in un balletto di zampe, vibrisse e nasino vibranti di piacere. Infine ha indovinato che se i gatti potessero giocare alla lotteria, lui avrebbe vinto il primo premio: ingrasserà, sarà visitato dal veterinario al primo accenno di tracheite, potrà infilasi umido di pioggia sotto il piumone del letto di quell’umana che tiranneggerà a vita in cambio di poche fusa gorgoglianti.
Le similitudini con un gatto finiscono qui, io sono solo un’umana e dopo una tazza di tè esco a camminare col fido border. Oggi il cielo è terso, il monte Baldo in lontananza ha la cima spruzzata di neve e il vento freddo porta il profumo dell’inverno.
Ci si rimette in cammino e visto che il muso di Brik pare sorridere, ricomincio a sorridere anch’io.
(Vabbè, alle volte prendo anche una doppia dose di magnesio e valeriana, ma questa è un’altra storia… )