Rinnovo della carta d’identità cartacea, ufficio anagrafe, stamattina.
Nome, cognome, stato civile, altezza… professione.
-Professione? – mi chiede l’impiegata, ci penso: se dicessi casalinga i figli mi denuncerebbero per aver dichiarato il falso, sono sicura.
“Umi” non lo propongo neanche: “Lettrice? Narratrice di storie?” provo e la donna mi guarda senza capire. Tento di nuovo: “Scri…” L’impiegata mi incoraggia con lo sguardo, Bryce si gratta, le persone in coda rumoreggiano.
Inghiotto saliva e dichiaro: “Scrittrice.”
A Manzoni scappa un lacrimuccia (non succedeva da secoli), Calvino si rivolta nella tomba, Eco ride, ma ride così forte che disturba tutti.
La donna annuisce e con pochi tocchi di tastiera compila e stampa il documento.
In fondo dopo migliaia di ore di lettura, centinaia di ore di praticantato con gli studenti, parecchi articoli come ghostwriter di un cane, venti romanzi nel cassetto e otto pubblicati con case editrici specializzate e nazionali (ben recensiti e venduti), con beneficio d’inventario e senza un attento esame di coscienza, nella categoria “Scrittori” potrei rientrare.
E poi, tutto sommato… chi la legge la professione sulla carta d’identità?