Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Il dovere di sentirmi inutile nel romanzo

A volte penso che siamo troppo impegnati a insegnare qualcosa, a preoccuparci di far insegnare, a privilegiare la lezione frontale, anche nascosta o infiocchettata. Trascuriamo troppo spesso il romanzo e basta, quello che non è storia vera ma verosimile, quella narrazione che sembra arrivi dal nulla per farci commuovere o sorridere o spaventare, mai pensare troppo.

E invece un buon romanzo (non il suo autore o autrice) ha un grandissimo potere, la storia e il come è scritta sprigionano infinite possibilità di crescita e maturazione. E per questo possono incidere sulla realtà.

Un buon romanzo offre: tu, lettore, puoi pensare solo se lo scegli o te lo concedi e puoi anche dimenticare subito o evadere dal quotidiano e niente altro. È la differenza tra la predica e il passarci in mezzo, lo sperimentare con le sue illimitate opportunità.

Il buon romanzo non è teoria ma pratica e nel vivere, seppur immaginato, puoi scegliere e sei libero di farlo. Un buon romanzo sta tutto lì e ti lascia il tuo tempo.

E ancora, un buon romanzo non parla di questo o di quello, ma costruisce un ecosistema in cui il lettore può avere un suo posto e dal suo punto di vista si ferma su quello di cui ha bisogno, se lo desidera. Perché non necessitiamo tutti delle stesse cose e non siamo IA che ingoia indistintamente.

Chi scrive, almeno chi decide di scrivere romanzi per mestiere, dovrebbe rifletterci e preoccuparsi di farli accadere, consapevole di essere un mezzo, come capita per qualsiasi altra piccola o piccolissima opera d’arte.

Nessuno di noi sa, e questo è necessario, come si arrivi a scrivere un buon romanzo; conosciamo solo gli strumenti, come un pianista la tastiera o lo scultore il cesello. Il resto è tensione e possiamo solo cercare di farlo accadere mettendoci a disposizione della storia stessa e del come scriverla, tendendo all’ignoto, al caos creativo in cui fare un po’ d’ordine con il mestiere. (E nel mentre ci si spoglia di qualcosa che resta sul fondo, tra le righe. Di così intimo che nessuno riuscirà a trovarlo, anche se c’è. È un dono che resta nascosto sia per pudore che per necessità.)

Forse un buon romanzo sta proprio nello sforzo di sperimentare noi per primi e poi metterci da parte. Nel mezzo si muoverà il lettore o la lettrice.

Quando i critici non concordano, l’autore concorda con se stesso” Oscar Wilde.

Un buon romanzo non piace a tutti. Non può e non deve.

Non è detto che nella foresta contemporanea di carta stampata il romanzo buono riusciamo a vederlo, non è detto neanche che lo sappiamo riconoscere o favorire. Non siamo un popolo educato al romanzo, in effetti.

Autore:

Autrice di narrativa per ragazzi. http://www.icwa.it/profili/facchini-giuliana http: //www.facebook.com/pages/Giuliana-Facchini/10647355940250 http://giulianafacchini.wix.com/giuli

2 pensieri riguardo “Il dovere di sentirmi inutile nel romanzo

  1. Cara Giuliana, ci sono dei libri, ciascuno di noi a dei libri che sono stati degli incontri, che magari abbiamo letto più volte, libri che ci hanno letto integralmente, ci hanno fatto leggere qualcosa di così profondo di noi stessi che non avevamo le parole per dirlo e le troviamo miracolosamente nel libro, angoscie, emozioni, misteri, mistero stesso che noi siamo. Un libro può, come un maestro può, come un amore può cambiare la direzione della nostra vita. Per quanto riguarda l’atto creativo penso che gli artisti facciano esperienza della visitazione, cioè qualcosa li incontra, e la realizzazione dell’opera è un’esperienza di radicale esteriorità. Molti artisti dicono che un’opera è finita quando la guardano e dicono: “chi l’ha fatta”. Questo succede anche a me nelle piccole cose che faccio e che scrivo: le cose migliori sono quelle che non riconosco, sono fatte da un’altra mano. Di solito le cose più belle sono quelle che non riconosciamo come nostre. L’ atto si realizza nella misura in cui l’opera si mostra come totalmente estranea all’artista cha la realizzata.

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    1. Grazie, Andrea. Concordo quasi in tutto. Io, nel mio piccolo, piccolissimo, mi ritrovo in quello che scrivo, pur nella convinzione che non è più mio. I romanzi penso siano dei lettori e delle lettrici, non di chi li scrive. Ma è solo una mia opinione, come tutto l’articolo… e forse anche espressa in modo poco chiaro! Sempre pronta al dibattito e grazie ancora. Un abbraccio

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