“Sophie sui tetti di Parigi” di Katherine Rundell è un libro coinvolgente. Sarà perché Sophie e Charles sono personaggi bellissimi, sarà perché anche gli altri personaggi sono deliziosi. Sarà perché, per me, non è possibile non amare Parigi.
Un po’ di Dickens, una specie di corte dei miracoli sopraelevata, avventura… è un libro che, una volta iniziato, non riesci a smettere di leggere e rimani intrappolato, con il cuore in gola, sui tetti di Parigi.
Ho una mia opinione ben precisa del perché gli adolescenti non leggano e penso che Mare di Libri sia il modo giusto di portare i libri tra i ragazzi, soprattutto perché questo festival crede negli adolescenti che leggono.
Mi porto a casa da Rimini un volontario di Mare di Libri stanchissimo (perché i volontari lavorano sodo), ma ciò che richiede molta fatica in termini fisici e mentali poi ci lascia le più grandi soddisfazioni. Mi porto a casa un volontario con una lista di libri da leggere in testa, con un’esperienza ricca d’incontri con autori e storie nel cuore e con gli occhi accesi di quella luce che solo l’affetto degli amici ti lascia dentro.
Io non ho partecipato a molti eventi perché Brik dopo il morso ricevuto non è più tranquillo tra la gente, ma il figlio ventenne è salito su un regionale e mi è venuto in aiuto e io, ecco, beh, insomma, mi sono commossa! (Ha, comunque, precisato che in quanto a buone azioni è a posto per i prossimi dieci anni.) Anche lui è rimasto affascinato dall’aria di Mare di Libri e anche lui è interessato a un libro (…bisognerà approntare un piano strategico di acquisti e prestiti bibliotecari!)
Io, seduta sui gradini del portico con Brik, ho conversato con persone deliziose e so con certezza che l’amica scrittrice Annalisa è una donna fortunata. Poi ho incontrato una bibliotecaria con la quale avevo perso i contatti, ma che non avevo dimenticato, ho chiacchierato con amici di penna e di coda, mangiato piadine (il mio piatto preferito dopo la pizza- sì, sono una donna dai gusti semplici) e rubato con gli occhi tutto il mare che potevo. Insomma Brik ha abbaiato troppo ed è stato un po’ molesto, però la vita va presa come viene e alla fine ci regala sempre qualcosa di buono.
“Il gatto dagli occhi d’oro” di Silvana De Mari, di cui domani esce la ristampa, è un libro un po’ magico, ricco e straordinario… gli occhi di un gatto illuminano il buio più nero e aiutano a sperare.
Vivere fiutando libri in libreria o in biblioteca è bellissimo e ricorda l’ottavo diritto del lettore di Daniel Pennac: il gustosissimo diritto di spizzicare!
Trasmettere le emozioni che mi ha dato un libro e leggere ad alta voce sono per me un piacere, un modo di condividere qualcosa di bello. Non ho mai obbligato i figli a leggere, ho condiviso con loro molti libri e, sì, d’estate vigeva una regola: si poteva giocare alla playstation quanto si voleva, a patto che la stessa quantità di tempo fosse dedicata alla lettura. Vi assicuro che ne veniva fuori un equilibrio perfetto! Il tranello c’era, ed era quello di mettere nelle mani dei ragazzi libri tra le cui pagine il tempo volava. Ecco un gioco che mi ha sempre appassionato: dare il libro giusto alla persona giusta.
Nella foto ci sono i miei libri, due copie di ognuno, e in ogni mia storia c’è un po’ di me e della mia vita. Quindi, forse, non sono una scrittrice professionista perché scrivo solo quello di cui sento il bisogno di parlare, le mie urgenze e le mie passioni, per condividerle, ovvio. Due copie per i miei figli: una sottolineata, usata, piena di segnalibri, quella che porto negli incontri nelle scuole e nelle librerie; l’altra intonsa, uscita dalla scatola per prima insieme alla ormai usurata gemella. I miei figli potranno, un giorno, ricordare tra le pagine di una copia o cominciare un nuovo viaggio con l’altra, decideranno loro. Non so quanti lettori ho, ma io comincio sempre a contare da due.
Sto leggendo un libro bellissimo: “Per una letteratura senza aggettivi”… e insomma: perché leggere? Perché leggere ci cambia. Si può “conoscere, apprendere, sapere” anche attraverso un buon documentario, ma solo leggendo le emozioni lasciano dentro di noi una minuscola traccia per sempre e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto.
Buona lettura a tutti.
I miei libri non sono molti e non hanno data di scadenza, eccoli in sintesi:
Perduti fra le montagne (Raffaello 2008)
Willi ed Edoardo, un ragazzo con un nome da cane e un cane con un nome da ragazzo.
La casa sul fiume (Loescher 2010)
Una colonia di gatti, un soldato austriaco moribondo, un mulino sulle le rive dell’Adige dove la Storia è stata scritta.
I malmessi (Loescher 2012)
Sei ragazzi diversi tra loro che si tengono per mano, un’oca e un maiale.
Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012)
Un storia ricca che parla di uomini e ragazzi, di montagna e di un cane.
Chiamarlo amore non si può
con il racconto “Perché odi Davide” (Mammeonline 2013)
Vita vissuta.
Il mio domani arriva di corsa (EL 2012)
Frammenti della vita di una ragazza che ha saputo salvarsi da se stessa.
Come conchiglie sulla spiaggia (Paoline 2015)
Storia profumata di poesie e disegni, crocevia d’incontro di mondi diversi.
Quella poesia del Carducci mi ronzava in testa da sempre e quando capitava che con i miei bambini mi ritrovavo nella nebbia fitta del nord, cominciavo a declamarla. Loro frequentavano una scuola materna un po’ fuori del paese e per raggiungerla facevamo in macchina una stradina tra i campi avvolti spesso nella bruma del primo mattino. Niente mare, ma “la nebbia agli irti colli” nasceva in coro dalle nostre voci.
Da lì, il salto di quei versi in una storia era inevitabile e quando tantissimo tempo fa, in un paesetto toscano, mi ritrovai in un bar del porto a guardare il mare in burrasca e la pioggia e il grigio dell’aria, un’immagine s’aggiunse a quella poesia.
Come nascono le storie:
Antonella era una ragazzina iperattiva: scarpe da ginnastica e capellino in testa e il mondo era ai suoi piedi! La vedevo scorrazzare in paese e sulla spiaggia, sempre in cerca di qualcosa e quando si arrampicò sul muro di quel vecchio capannone abbandonato, col rischio di cadere e farsi male, cercavo proprio d’immaginare cosa avrebbe potuto vedere. Attendevo quasi con ansia di capire cosa c’era all’interno e quando i suoi occhi si riempirono di dubbi davanti a quel posto stipato di bambini operosi e tristi, la storia era già tutta lì, pronta per essere scritta.
Tra le righe s’infilò a forza un gatto, grosso e battagliero, che voleva a tutti i costi una parte da coprotagonista e, si sa, i gatti ottengono sempre quello che vogliono. Però, non accettai discussioni, avrebbe avuto accanto il maestro Oreste: canuto, grassoccio, curioso quanto basta per stare dietro a una come Toni.
Eppure la storia non era ancora completa, come quando sappiamo che stiamo dimenticando qualcosa ma non capiamo cosa. Per fortuna la soluzione era lì davanti a me. Ogni mattina quando aprivo facebook c’era una nuova poesia di Roberta ad attendermi. La mia Toni disse per caso che le poesie arrivano Come conchiglie sulla spiaggia e io capii CHI avrebbe lasciato cadere nel mare i versi delle sue poesie.
Come nascono le storie!
Come abbia fatto Erika a disegnare così bene quei personaggi che io mi vedo davanti in carne e ossa, quasi non me lo spiego, perché noi non ci siamo mai parlate, non ci conosciamo neanche. E forse quel gattaccio marinaio e furbissimo ha convinto Fulvia a far diventare la sua storia un libro vero, fatto di carta e inchiostro, s’è inventato sicuramente un qualche strano sortilegio per stregarla, ma è pur vero che quando nascono, le storie, poi vivono da sole.
Come conchiglie sulla spiaggia di Giuliana Facchini, con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri. Edizioni Paoline – collana: Il parco delle storie.
Un romanzo per bambini dai nove anni in poi, ma da leggere ad alta voce a chiunque.
Chiunque riceva un premio è felice e vorrebbe apparire al meglio di sé il giorno della premiazione. A me capita sempre d’inanellare una serie d’intoppi e impicci prima di un “momento importante” e arrivarci trafelata, scombinata e stressata. Il giorno prima della consegna ufficiale del premio “G.Righini Ricci” i figli erano riusciti abilmente a scomparire, per ricomparire solo con richieste di passaggi auto o per pranzo e spuntini vari. Invece, esattamente 24 ore prima della “mia” premiazione al Rosso è “scoppiato” un ascesso originato da un morso, lasciandogli sulla spalla un buco delle dimensioni di una moneta da due euro. Avevo pensato per praticità di somministrare solo antibiotico e riposo al Rosso, ma il felino se ne stava buono sulla sedia col suo buco da due euro e lo sguardo da “sono malato!” e così siamo andati dal veterinario. Il vet ha guardato me e io ho guardato lui e insieme abbiamo guardato il buco sulla spalla del Rosso. Ebbene sapevamo tutti e due che bisognava intervenire chirurgicamente. Quindi tra un impegno e un impasto di focaccia (ottima per nutrire figli vaganti) il giorno prima della premiazione c’era anche un gatto sedato con sette punti sulla spalla chiuso nel mio studio (come sempre trasformato in clinica veterinaria). Dopo aver sistemato il quadrupede, si è bloccato, per motivi chiari solo al dio internet, l’account dell’indirizzo elettronico della nonna (indispensabile per bollette e news fiscali). Già la sua fiducia nella posta virtuale era quasi nulla, questo duro colpo era un valido motivo per auspicare il ritorno alla carta e alla penna d’oca (per plichi da affidare a messaggeri a cavallo perché delle poste italiane non ti puoi certo fidare). Decisi d’iniziare la procedura (straziante) per il recupero della password e della fiducia nel XXI secolo della nonna con un gatto malato in braccio, un cane sui piedi e l’altro gatto che bussava a zampate alla porta chiusa dello studio. Mentre infornavo le focacce, pensavo a cosa indossare alla premiazione e se fosse il caso di utilizzare quel campioncino per un portentoso trattamento antirughe che mi avevano regalato in profumeria (quel dannato, lontano e unico giorno che c’ero entrata). Mentre le focacce cuocevano in forno, decisi di trasferire momentaneamente il Rosso ricucito nella mia stanza da letto per dedicarmi con tranquillità al ripristino della password dispersa, ma nella camera, da me creduta vuota, c’era Indiana (l’altro gatto) che solo a vederlo il Rosso s’irrita, figuriamoci a starci chiuso insieme in una stanza. Per fortuna nella camera (da me sempre creduta vuota) c’era pure il border che ha abbaiato l’allarme: “zuffa in corso”. Ci abbiamo rimesso un punto di sutura ma intanto avevo conquistato la nuova password e quindi sarebbe potuta andare peggio. Finalmente, la sera prima della consegna del premio, sono riuscita a partire per Conselice lasciando Bryce che mi guardava in cagnesco. Arrivata a destinazione, l’albergo era piccolino, tranquillo e finalmente mi rilassai. Mi dedicai a buttar giù un breve discorso di ringraziamento. Sapevo che mi sarei emozionata quindi volevo essere preparata. Ripetei a voce alta le mie dieci righe per imprimerle nella memoria ed ero abbastanza soddisfatta quando mi resi conto che le camere avevamo pareti molto sottili e sentivo distintamente le voci e i discordi degli altri ospiti. Sentii un accento del sud e capii, con un certo imbarazzo, che la delegazione dei giurati pugliesi era alloggiata nel mio stesso albergo: il mio discorso l’aveva probabilmente sentito in anteprima e per giunta ben cinque o sei volte.
Domani è un altro giorno, vero Rossella?
(Per vedere la pagina dedicata al premio cliccare qui!)
Che cosa vuol dire che vai a ritirare il Premio ma io non vengo?
Sono lusingata per aver ricevuto il Premio “Giovanna Righini Ricci“. Il giudizio di una prestigiosa commissione e quello della giuria ragazzi mi emozionano. E’ il secondo premio a un mio romanzo inedito assegnato dai RAGAZZI.
Non sono una scrittrice alle prime armi, ma neanche navigata e i miei inediti giacciono anni sulle scrivanie (per carità, intasatissime di manoscritti) delle case editrici prima di riuscire a guadagnare una pubblicazione. Alcuni editor li conosco personalmente e rispetto i loro giudizi severi o empatici. Oltretutto, pochi lo sanno, ma in Italia ci sono dei grandi scrittori per ragazzi, quindi io sono in coda. Non sono una scrittrice “colta o raffinata” su questo non si discute, ma almeno non lo sono con coerenza. Sono una che dà voce a un cane su un blog, e a dir il vero a casa mia hanno sempre parlato tutti (democratici noi): Indiana, il gatto comunicava con me col pensiero perché io traducessi ai miei figli quando erano piccolissimi e, sì, anche il millepiedi e la lumaca che abitavano in giardino avevano idee molto chiare da esporre. Già, attraverso il racconto, dal vivo o stampato, ogni argomento si può affrontare.
Da sempre credo nelle storie, quelle narrate o scritte con passione, dove le emozioni superano la parola e affascinano il lettore. Saper scrivere o raccontare una storia non è cosa facile, io credo nel processo creativo scevro da qualunque imposizione o condizionamento. Una storia a mio parere deve nascere dal cuore, dalla pancia, dall’anima o anche dalla testa (insomma da dove vi pare) di uno scrittore ma attraverso un percorso vigoroso, coinvolgente e individuale. Quindi, starà all’editore innamorarsi anche lui di quella storia e poi il libro dovrà vivere da solo e con il TEMPO capiremo se sarà stato un buon libro. Scrivere così è una lotta contro i mulini a vento, è una continua ricerca in me stessa (stilistica e personale), mentre personaggi e storie assorbono le mie energie e mentre aspetto quella mail o quella telefonata che significano lavoro. Già perché è difficile ricevere una giusta (anche solo una misera) retribuzione per questo lavoro. E oltretutto c’è la vita privata e quotidiana, gli errori fatti e le mancanze. Nelle scuole gli studenti mi chiedono spesso quando e dove io scriva, ecco, forse li deludo sempre un po’ ma io alle sei del mattino preparo la colazione per i miei figli e quindi la notte dormo, non scrivo.
La mia vita non ha nulla di romantico e la scrittura è disciplina. Mi chiudo nello studio almeno quattro/cinque ore al giorno e leggo o scrivo. Mi serve disciplina per evadere dalla realtà. Poi c’è la spesa da fare, i pranzi e le cene da mettere in tavola, i figli con cui litigare, la nonna da nutrire di libri e i libri da leggere (tanti), il brik da allenare, i gatti da portare dal veterinario per curare i graffi procurati nelle zuffe… insomma un mondo di distrazioni che nutrono le storie. E’ una vita sofferta, la mia, tra tanti amori forti e la rincorsa quotidiana per trovare il tempo di viverli tutti.
Eppure quando mi comunicano che hanno scelto proprio la mia storia, mi dico che forse un senso (quel senso che sempre cerco) l’ho anch’io. Temo non sia cambiato molto da quando tutto è cominciato nella cameretta dei miei figli piccolissimi, quando leggevo loro ad alta voce o inventavo storie. Dunque, infine, cosa sono? Intrattenitrice? Educatrice? Affabulatrice? Cantastorie? Non so proprio chi sono in questa nostra società. Però rimane un dono per me non riuscire a chiudere prima di due ore un incontro con i ragazzi di una scuola che hanno letto un mio libro: m’inondano di domande e poi dalle mie risposte arrivano altre domande e alla fine parliamo di tutto, ridiamo e ci ascoltiamo, perché dentro le storie non ci sono barriere ma energia pura. Insomma fin quando continueranno a leggermi o ad ascoltarmi, io continuerò a narrare con tutte le mie forze e poi? La vita è una strada piena di bivi, deviazioni e ostacoli, poi deciderò il da farsi e se non ci sarà nulla da fare non farò nulla.
“Per sempre insieme, amen” è un libro di Guus Kuijer davvero speciale a mio parere. Scivola via, conquista e poi ti rimane nel cuore, amen! (Belli anche altri libri dello stesso autore e non solo quelli con la deliziosa protagonista Polleke!)
“La vera storia del pirata Long John Silver” è davvero un bellissimo romanzo avventuroso e piratesco. L’autore, Bjorn Larsson, è una persona gentile e disponibile che parla molte lingue correntemente tra cui l’italiano. Ho letto tutti i suoi romanzi e alcuni, come “Bisogno di libertà” e “La saggezza del mare”, li ho amati. Sotto, la sua dedica su uno dei miei preferiti “Il cerchio celtico”.
brik nella sala d’aspetto del veterinario fa il polemico.
Lui entra e si guarda attorno, ignora i pazienti miagolanti nei trasportini o nelle gabbiette e si concentra sui cani. Cerca subito di stabilire un contatto con ognuno dei presenti, lui non si fa i fatti suoi, lui deve annusare con chi divide la stanza.
Bryce: – La fauna della sala d’attesa del veterinario non è delle migliori. Ho sentito lì dentro cose, che voi umani neanche potete immaginare. Stiamo tutti insieme in quello spazio angusto, bestie di tutte le taglie: alcune immense, altre minuscole. Non dico che uno voglia farsi quattro corse e due, tre giri di annusate di sottocoda, ma un minimo di socialità non guasterebbe per stemperare il nervosismo.
Lui osserva un Terranova di dimensioni orsine, sdraiato, pacifico, con il muso a terra. Brik strisciando con indifferenza cerca di avvicinarlo. Quello apre un occhio e lui s’immobilizza (uno, due, tre, stella?) e poi ancora spalmato a terra cerca d’arrivare ad annusargli una zampa. Il Terranova apre entrambi gli occhi e il brik sbatte la coda socievole: – Ehi orso, come va?
Bryce: – L’orso fa da tappeto e comunica solo aprendo e chiudendo gli occhi neanche fosse in stato terminale, una cagnina bianca ansima di paura, il cucciolo di Golden mena pacche e si morde la coda. Pare abbia fatto fuori l’intera confezione di pillole anti-concezionali della sua umana comprese di blister: eh, no, i cuccioli non ci arrivano proprio! Poi c’è il Lupo Cecoslovacco: ecco quello di sicuro non lo reggo! Ti guarda con lo sguardo accigliato che ricorda quello degli Husky, uno sa che se sei un Husky guardi così, ma se sei un Lupo Cecoslovacco, invece, DAI FASTIDIO… Poi sta fermo, in punta di zampe e ringhia fesso, come se fosse arrivato ieri dalla Siberia e non conoscesse altri abbai se non “io ti spiezzo in due”. Rilassati, Siberia! Gli volto le spalle. Ti ignoro Siberia, smettila di grugnire.
Brik si dimentica di quelli in attesa, si sdraia elegantemente: zampe alla stracciatella distese, spalle erette, orecchie dritte (una a metà) e muso illuminato da due occhi attenti a quello che avviene nell’ambulatorio dietro la porta a vetri.
Bryce:– Mi siedo con sfacciata eleganza e il mio sguardo si concentra sui suoni che provengono dall’ambulatorio vero e proprio. Cerco di decifrare un urlo felino: raccapricciante. Lo stomaco mi si stringe. Esce la dottoressa e parla: seguo il movimento delle sue labbra, mi sforzo di capire il linguaggio degli umani. Gli hanno schiacciato le ghiandole perianali? Guardo il gatto nel trasportino: sì, succede anche questo qui dentro, e poi ti rattoppano, di pungono, ti spediscono a fare un trip con l’anestesia, ti misurano la febbre in modo non convenzionale. Io alla fine ci ho rimediato un orecchio ricucito abbastanza dritto, con tre strisce genetico-fashion bianche, una sorpresa della natura! Sì, ci può stare fratelli: il mio nome totemico sarà Orecchia Striata, anche meglio di Due calzini!
Consigliato per chi vuole riattivare la circolazione sanguigna la mattina presto e soffre di pressione bassa.
L’esercizio consiste nell’alzarsi alle sei e dopo il caffè attivarsi per la ricerca a tempo di un oggetto perduto.
Perlustri ogni stanza con attenzione e l’uso eventuale (consigliato per la salute del timpano auricolare) della torcia, lì dove qualcuno ancora dorme. Il tempo passa e la ricerca sembra vana. Rifai il giro dei locali, naso a terra, usando anche il fiuto. In mansarda il gatto ti guarda, seduto composto e con sguardo severo, neanche fosse un giudice di gara. Stai attenta: potresti essere squalificata. Il piano A di ricerca fallisce miseramente e bisogna passare al B, più cerebrale (fase due: dopo aver svegliato il corpo ci si concentra sulla mente). Seduta al tavolo di cucina, davanti a una tazza di tè nero forte, attivi un interrogatorio mirato all’occultatore dell’oggetto con messaggi WhatsApp: “Torna indietro nella memoria, dove lo hai usato per l’ultima volta? Quando lo hai usato? Con chi eri?” Il border si sdraia a terra con il muso tra le zampe: ha capito che deve trattenerla. I minuti scorrono e anche il piano B non produce risultati, il tempo è scaduto. Mentre costruisci una mappa degli ultimi spostamenti dell’oggetto preparandoti a una verifica outdoor, cercando di allontanare il pensiero della denuncia di smarrimento dei documenti e dell’attivazione della nuova tessera autobus e del nuovo badge scolastico, arriva un messaggio sottobanco: “trovato nello zaino” (già, il posto dove non lo avresti mai cercato). Dopo un simile inizio di giornata potresti sventare un intrigo internazionale, fare un giro di agility arrivando all’ultimo ostacolo prima del brik, oppure, se sei una mezza tacca di autrice, metterti a scrivere.
Incrocio un vecchio signore mentre mi trovo in centro paese con Bryce. I miei occhi scorrono velocemente la sua figura e si fermano sui guanti. L’anziano ha una chioma di capelli bianchi che contornano un viso secco e liscio. Ha occhi azzurri velati e rosse labbra sottili. Indossa un giaccone blu scuro su pantaloni e scarpe dai colori sobri, ma sfoggia un paio di guanti di pile rosso a quadri scozzesi. Sono un faro su quella figura anziana dai colori scuri. Ecco come alle volte nasce una storia o un racconto, ecco come nascono le avventure del brik: da un piccolo spunto, un particolare che accende l’immaginazione.
L’anziano quei guanti li ha ricevuti per Natale. I ragazzi, mentre sceglievano il regalo per il nonno, d’un tratto avranno stillato: “Quelli! Quelli!” attirati dai colori sgargianti del pile tra i guanti da uomo un po’ seriosi, di lana o di pelle, neri, blu o marroni. “Ma il nonno non metterà mai una cosa del genere!” avrà commentato la mamma. “Sono belli, colorati, fanno allegria!” avranno replicato loro. Lei avrà sorriso pensando che sarebbe sciocco negare ai ragazzi la gioia di aver scelto il dono. E così i guanti in pile scozzese finiscono sotto l’albero di Natale della nostra storia e il nonno ride quando scarta il regalo e dice che non è più un ragazzino lui, ma in fondo è contento di quel dono un po’ bambino. Con pazienza tipicamente anziana li indossa quei guanti: al bar o al circolo dirà che è un regalo dei suoi nipoti.
D’accordo è una storiella buonista e natalizia ma tenete conto che stavo mangiando una fetta di pandoro offerta dagli alpini, ero sotto stelle luminose che suonavano “Jingle bells” e il brik mi tirava a zig zag tra le gambe della gente per raccogliere briciole e leccare zucchero a velo. Avevo pochi secondi prima di filarmela perché il vigile mi puntava da lontano e sicuramente mi avrebbe chiesto la museruola, che non avevo, per il brik, quindi l’immaginario è andato sul facile.
Certo, il nonnetto poteva essere un cleptomane, i guanti avrebbero potuto essere del fratello, abile suonatore di cornamusa, ahimè defunto. Oppure avrebbero potuto essere stati fatti a mano dalla moglie che comprava scampoli di tessuto ma era finita ai domiciliari per molestie ai commessi dei grandi magazzini. L’anziano signore poteva averli comprati, trovati, rubati… in fondo cosa importa? Quello che conta è il gioco dell’immaginazione: l’invadente metodo inventastorie! Da quando ricordo, per me, è sempre mode on!
“It’s not time to make a change – Just relax, take it easy”
Una volta si poteva festeggiare perché non si sapeva nulla, il mondo era piccolo intorno a noi. Nelle difficoltà ci si univa e ci si aiutava, c’erano le chiavi sulla porta di casa, ci si conosceva tutti o quasi. Eravamo un solo panettone pieno di uvetta e canditi.
“You’re still young, that’s your fault – There’s so much you have to know”
I bambini, loro sì, possono festeggiare, loro vivono un mondo bambino. Possono sognare e ignorare: non sanno ancora tutto. Vivono nel pandoro soffice e spolverato di zucchero a velo.
“All the times that I’ve cried – Keeping all the things I knew inside – And it’s hard, but -it’s harder – To ignore it”
Io, adulta, come faccio a festeggiare ignorando la morte di tanti ragazzini, la schiavitù e la violenza sulle donne e sulle bambine? Le mutilazioni e le feroci morti inutili? Come posso ignorare esseri viventi ingabbiati, torturati, divorati senza pensare al loro cuore che batteva, ai loro occhi che nascondevano paura e rassegnazione, al loro essere nati, senza saperlo, solo per essere consumati. Nessun ciclo della vita per alcuni. Niente etica nella morte, niente dignità tra gli uomini. Che faccio: addobbo l’albero? Siamo torrone incenerito, carbone amaro e polveroso.
“Find a girl, settle down – If you want, you can marry – Look at me, I am old – But I’m happy “
Eppure è Natale, non si può dimenticare. La natalità è la scintilla della creazione che assomiglia a quella dell’immaginazione. E ci vuole immaginazione per una vita che si rinnova instancabile, nonostante tutto, negli esseri umani, negli animali, negli alberi e nei fiori. Né padri, né madri, indiscriminatamente siamo tutti genitori di semi di stelle luminose oppure oscure. Tanti doni in uno: la vita che è colostro al sapore di vino moscato.
“I was once like you are now – And I know that it’s not easy”
Ho fatto nascere le mie stelle, le ho allevate a tè, latte e buone parole, spostate di tana in tana trattenendole per la collottola per non far loro del male e adesso vanno e sono meravigliose, scaldano il cuore. E non è tutto: alcune mi scodinzolano attorno, altre fanno nido sul mio grembo con fiducia, altre saziano lo sguardo, verdi e legnose o esili e profumate.
“To be calm when you’ve found – Something going on – But take your time, think a lot”
Solo la vita posso festeggiare, ogni giorno e ogni Natale, il bambino che non è ancora nato, un fiore che non s’è seccato, un randagio sottratto alla fame, un sogno a qualcuno regalato. Piccoli morsi natalizi possono saziare e solo pensando in PICCOLO posso festeggiare: panforte e pasta di mandorle!
Buon Natale dalla Umi e dal Brik
…auguri sinceri di Buona Vita, quindi, sulle note di “Father and Son” di Cat Stevens, a tutti gli esseri viventi a due e a quattro zampe, con radici oppure no.
un lavoro creativo, come scrivere libri per ragazzi, per essere un vero lavoro deve remunerare, altrimenti la Umi non può mantenermi: non può comprare le mie crocchette preferite, quelle senza grano perché sono allergico (…visto mai un lupo mangiare il semolino o due spaghi?) e non può pagarmi le lezioni di agility, gli ossi di pelle di bufalo pressata, il cacio per premietti e ricompense.
Quindi, questo è un accorato appello… mi volete sul blog? Comprate i suoi libri!
(Che poi, detto tra noi, non sono affatto male… )
Cliaccate sulla foto per maggiori informazioni oppure andate sul sito della Umi!
Potrebbe succedere… può capitare… alle volte succede… insomma non è mica un delitto! “Una sottile linea rosa” di Annalisa Strada è un libro bello nel quale s’inciampa e ci si alza di nuovo con serenità… perché l’importante è parlarne! Sono criptico? Vabbè… sono un border, eh, mica un umano e poi abbaio, mica parlo! 😉
La Umi è un po’ dispiaciuta perché non c’è la dedica della Sciura Strada su questa copia… 🙂
“Mistica Maërva e l’anello di Venezia” di Laura Walter è un libro magico e prezioso… e di Mistica si può continuare a leggere! Laura ha sorpreso Mistica a Padova e poi… (non poi: adesso!) a Verona. Wow!
Uno scrittore anziano e un ragazzo entrambi in crisi con le proprie vite.
“Muoio dalla voglia di conoscerti” di Aidan Chambers è un romanzo intenso e splendidamente tradotto da Beatrice Masini. Una traduzione in sintonia con la scrittura dell’autore è importantissima.
Io e Bryce abbiamo avuto la fortuna di ascoltare questo autore durante un festival letterario e questa è la prima pagina della mia/nostra copia del libro.