Ci penso da un po’
Ci penso da quando ho letto la richiesta in un gruppo social di un libro che sviluppasse un tematica specifica. I libri a tema sono comuni nell’editoria per ragazzi. Vogliamo parlare di bullismo/integrazione/ambiente? Partiamo da un libro. Nulla di male se il libro non fosse scritto appositamente. Troppo spesso un libro furbo, scritto a tavolino, che non emoziona con una buona scrittura o una buona storia.
Non cerchiamo i libri a tema ma i temi nei libri. Questo non lo dico solo io, molti lo affermano con forza e determinazione. Un buon romanzo contiene naturalmente in sé svariate tematiche. Ognuno può scegliere quale approfondire, se ne ha voglia.
In quel gruppo social che parla di libri per ragazzi, guidato da amministratrici appassionate, c’è stata una bella discussione sull’argomento che alla fine ha reso scontenti molti: non criticateci perché cerchiamo libri a tema, dateci solo bei titoli!
Nonostante tutto è arrivata una nuova richiesta: libri che insegnassero ai ragazzini il senso della responsabilità. Ecco, spesso i libri per ragazzi hanno per protagonisti ragazzi che vivono un’avventura, si aiutano, sbrogliano misteri magici o realistici. Si prendono la briga di fare qualcosa di speciale per loro o per gli altri. Non vogliono coinvolgere gli adulti. Vogliono essere responsabili di se stessi magari sbagliando. È uno degli scenari più comuni.
Allora mi è venuto in mente il pollo (povero pollo) nudo e schiacciato nella vaschetta del banco macelleria del supermercato e quel bambino di città che pensando al pollo lo immagina così e non che razzola nell’aia becchettando vermetti.
Il pollo è stato un pennuto grassottello e prima ancora un pulcino, come possiamo averlo dimenticato?
Il libro è stato una storia viva e vibrante, come possiamo considerarlo solo un pezzo di carta stampato?
Forse potremmo ricominciare dalle parole giuste.
“Vorrei che mi suggeriste un libro nel quale vi ha tanto emozionato e stupito quello che il protagonista fa nel prendersi cura di qualcuno o qualcosa.”
È come quando diciamo a un bambino che è una femminuccia se piange. C’è dietro quelle parole una demonizzazione del pianto perché emozione femminile e sinonimo di debolezza. Meglio non dirlo, quindi. Non lo diciamo.
Forse dobbiamo tutti ricominciare con l’educarci a dire le parole giuste per formulare così richieste giuste.
Chi chiede i libri a tema, non conosce ancora il piacere della lettura, non lo fa in malafede. È come quel bambino di città per il quale un pollo in piume e ossa non non è un’immagine familiare.
Quindi è bello scambiarsi condigli letterari, ma facciamolo condividendo anche quel parlar bene che accompagna la giustezza dei concetti. Forse aiuterebbe, aiuterebbe tutti: chi legge e chi scrive.
Ecco è questo che avevo in mente da un po’.