Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il brigantino sommerso… come nascono le mie storie

Ho un quaderno degli appunti, ma non sempre scrivo lì le idee per i nuovi romanzi. Ho molti file archiviati sul computer con dei soggetti, trame, piccoli racconti che devono crescere.

Il brigantino sommerso era sul quaderno degli appunti. Frasi spezzate, luoghi, foto attaccate con la colla. Parecchi anni fa andai in Bretagna e ci tornai altre due volte. Quella terra mi è rimasta nel cuore più di ogni altra. In uno di quei viaggi visitai la cittadina di Tréguier, l’avevo trovata descritta in un romanzo e quindi avevo deciso di andarci. Nel porticciolo erano ormeggiate molte imbarcazioni da diporto e con i miei figli, allora ragazzini, scendemmo lungo la passerella per leggerne i nomi, immaginarne la navigazione e i volti dei marinai che ne erano i proprietari.

La sera in campeggio (mi piace viaggiare con la roulotte o con la tenda) buttai giù degli appunti. L’inizio della storia era chiaro, l’incipit era già pronto.

Poi Luisanna ha fatto tutto da sola, anche se era compito mio scrivere i romanzi di J. Lago.

Corro troppo?

Luisanna sfrutta una vacanza in Bretagna per cercare di conoscere il suo scrittore preferito. Si troverà coinvolta in una strana faccenda riguardante il recupero del relitto di un brigantino del XVII secolo, ma soprattutto scoprirà qualcosa del passato della sua famiglia.

Non è stato così difficile scrivere i romanzi di J. Lago perché in effetti esistevano già e ne sono protagonisti il pirata Rico, la sua compagna Fiorenza e il loro fidato amico Alleluia. Tre storie lunghissime (mai pubblicate) di ispirazione salgariana, scritte di getto molti anni fa per i miei figli. Un capitolo a sera, avventure buttate giù al mattino sul foglio digitale del programma di scrittura del pc e lette a loro prima di andare a dormire. Un divertimento, un gioco tra noi che resta ancora come un piccolo patrimonio della nostra famiglia.

L’amore per quelle terre francesi e per la navigazione a vela; il fascino di personaggi misteriosi in cerca del loro autore; una ragazzina saputella i cui genitori fanno gli attori cinematografici e sono sempre in giro per il mondo; due buffe zie, Marga e Rita, l’ambiguo capitano Trou e la bellissima Catelle sono i protagonisti di questa storia avventurosa, scritta anni dopo quei viaggi in Bretagna, i cui profumi, paesaggi e venti mi sono ancora chiarissimi in mente e molto cari.

Il brigantino sommerso risalente al XVII secolo, con cui avevamo navigato Rico, Fiorenza e Alleluia, si chiamava Il Giglio, ma la nave dove vive John Lago si chiama…

… e per quale motivo si chiama così?

“Lui prese coraggio e alzò la mano destra stendendola
verso di lei:

«È stato un piacere navigare con te, Duch».
Luisanna la strinse con calore:
«Per me è stato un onore, Lago».
I due si fissarono cercando entrambi di ricacciare indietro le lacrime.”

Se avete voglia di salire a bordo, basta che andiate in libreria… ! Ogni romanzo è un viaggio, questo è fatto di brughiere battute dal vento e di rocce a strapiombo sul mare. Non dobbiamo per forza essere bambini o bambine per leggere questa storia, possiamo tornare indietro nel tempo e immedesimarci in Luisanna, oppure no e restarla solo a guardare con un pizzico di nostalgia.

“Se lei poteva entrare in una storia leggendo, forse
i personaggi di un romanzo scritto benissimo potevano
uscirne. E John Lago era bravissimo.”

Luisanna sa che può capitare, perché leggere accende il gioco potente dell’immaginazione, ed è come per i sogni che se li perseguiamo con cura, pazienza e costanza possono avverarsi.

Tutto può cominciare anche solo con un buon libro e Luisanna parte proprio da un romanzo per cercare qualcuno che è molto importante per lei.

Basta un buon libro. E se non basta, può essere l’inizio.

Buon vento!

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Libertà di lettura, lettori adolescenti e qualche considerazione in più

È un periodo che vedo proporre online molte iniziative per promuovere la lettura tra i ragazzi e gli adolescenti, per preparare adulti che educheranno alla lettura con consapevolezza. Partendo dalla scuola oppure no. E mi sembra tutto molto bello.

Eppure la questione un po’ mi preoccupa perché non vorrei che ci trasformassimo tutti in inseguitori. E la cosa, a noi entusiasti lettori che ci troviamo spesso tra i ragazzi, ci verrebbe molto naturale. Lo dico io che mi sono gettata anima e cuore in Leggere Ribelle solo per spacciare buone letture e poi ci sono rimasta legatissima.

Ogni settembre, però, mi domando se il gruppo resisterà, se ci sarà un ricambio di età (dato che coinvolge, per scelta inderogabile, solo lettori dai 13 ai 17 anni), se ci saremo e in quanti saremo (i numeri, maledetti).

La forza del gruppo di lettura sono i ragazzi e le ragazze adolescenti, loro devono esserne il motore, gli adulti non possono sostituirli.

Ma come mi disse la bravissima educatrice che mi affianca in LR: gli adolescenti non vanno inseguiti. I lettori adolescenti meno che meno, aggiungo io.

Per quanto mi riguarda, cercherò anche di non dimenticare le parole di Bianca Pitzorno in Storia delle mie storie: La sua parte, nella “promozione della lettura” lo scrittore la fa nel silenzio del suo luogo di lavoro, producendo buoni testi.

Anche chi scrive non deve inseguire il lettore. È questo il bello. È questo che fa la differenza tra i romanzi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Del diritto di leggere e di quello di scrivere. Appunti

Si chiude un anno strano. Un anno importante, nonostante tutto. A luglio si chiude sempre un anno per me. Scrivere per ragazzi spesso diventa leggere per ragazzi e poi interrogarsi su quello che è la letteratura per ragazzi. Ho infilato in due righe tre volte la parola ragazzi ma questi, mi viene da pensare, con i libri finiscono per averci poco a che fare.

Il diritto alla lettura è per lo più sconosciuto nel nostro Paese.

Diventare scrittrice…

Per me scrivere resta un mestiere creativo. Un mestiere che in Italia non si insegna in nessuna scuola pubblica o percorso universitario, quindi un mestiere che si impara facendo esperienza. Vuoi essere un compositore? Studi la tecnica e lo strumento al conservatorio, così saprai declinare la tua creatività. Ma se vuoi fare la romanziera? C’è qualche scuola privata e una infinità di proposte non qualificate, ma nulla altro. Ecco, questo diventa un guaio quando tutti scrivono e nessuno legge. Abbiamo però studi formativi che garantiscono grandi professionalità all’interno delle case editrici: bravi editor, uffici stampa, grafici e quant’altro. Strano, no? Quello che manca è un percorso di studi che garantisca una formazione agli scrittori.

Sono vent’anni che lavoro per imparare a fare il mio mestiere di scrittrice di storie di ragazzi e di ragazze e grazie ai consigli di bravissimi editor e a un paio di stroncature terribili sono diventata quello che sono. Leggere e ascoltare i grandi autori durante festival, stage, mostre del libro ha fatto il resto. Incontrare i ragazzi e ascoltarli, invece, è stato fondamentale. Perché è di loro che scrivo.

Anni di appunti presi e, bene o male, mi sono formata. Ho idee precise sul mio mestiere, che evolvono e hanno parecchio a che vedere con il diritto alla lettura. Un diritto che andrebbe insegnato e spiegato a tutti, ma di cui pochi ragazzi conoscono l’esistenza. E anche pochi adulti. Insegnanti virtuosi, festival del libro e percorsi educativi ci provano a diffondere buone pratiche di lettura, ma restano gocce in un mare di giovani non lettori.

Se i ragazzi e le ragazze leggessero…

Servono interventi strutturali nella scuola e biblioteche scolastiche aggiornate obbligatorie per cambiare nella nostra vita quotidiana il valore dei libri. Per ora restano un sentito dire, servono come punto di riferimento quando parliamo di cultura, ma pochi sperimentano davvero la lettura. C’è da svecchiare l’oggetto libro; bisogna dimostrare che leggere può essere emozionante e stimolante proprio come guardare un film o ascoltare musica; e lo affermano le neuroscienze non la parte romantica di me. È un dato di fatto. Certo, bisogna imparare a leggere.

Trasmettere la bellezza della lettura ai ragazzi è un’urgenza se non addirittura un’emergenza.

Se i ragazzi aspettassero l’uscita di un libro come aspettano quella di un videogioco o un film, avremmo la certezza che sta crescendo un popolo sano, capace di pensare e di ragionare. Usiamo la tecnologia, divertiamoci, arrabbiamoci e disperiamoci sui social, ma sempre assumendo l’antidoto all’ignoranza e al pensiero univoco che è la lettura dei buoni romanzi contemporanei e classici. Non si tratta di sostituire ma di aggiungere.

Se i ragazzi leggessero, sarebbero loro a creare il mercato librario a loro destinato. Come accade con i videogiochi o i film.

Il rischio di perdere la bussola…

Invece, temo che in Italia ci stiamo accontentando. Sì, rincorriamo l’unica fonte di sostegno dell’economia libraria che è la narrativa scolastica. La lettura che nega se stessa e diventa un modo per studiare. Legittimo, per carità, perché attraverso la narrazione si possono approfondire le tematiche dello studio. Ma non può essere un percorso assoluto e deve sempre rispettare il concetto dei buoni libri, quelli capaci di contenere la bellezza, la buona scrittura e l’anima potente delle storie.

Dall’estero arrivano traduzioni di romanzi in cui gli editori e gli scrittori hanno creduto, forse avevano quelle basi di competenza e consapevolezza del proprio mestiere che a noi mancano o se non mancano allora manchiamo certamente di coraggio.

Se consideriamo i ragazzi i nostri lettori ideali, dobbiamo cercare di capirli e ascoltarli, noi scrittori per primi, provando a dar loro fiducia e a fare libri per loro Per emozionali, stupirli, affascinarli. Pensandoli come persone e non come rigurgito di scelte comunque adulte. Provare a colpirli e riuscire a farne dei lettori, perché i buoni libri hanno questa attitudine. Un buon libro sa creare un lettore.

La lettura è un rifugio, non la scrittura” dichiara Melvin Burgess in un’intervista rilasciata durante il festival Mare di Libri in onda 2020. “I miei libri hanno un percorso al loro interno, un viaggio. Il primo a compierlo sono io, portando il lettore con me. Io non cerco di fare lezione al lettore, il processo del viaggio a me insegna sempre qualcosa, se vale anche per il lettore: bene. Allora io entro in contatto con il lettore.” (Trascrizione libera della traduzione simultanea di C. Codecà). Burgess suggerisce anche di non scrivere solo di quello che si conosce, ma anche di quello che non si conosce, indagandolo.

Scrivere deve essere una sfida, un’incognita, un viaggio. Chi scrive di ragazzi e di ragazze e sopratutto per loro, non è diverso da chi scrive per adulti. Forse ha solo, legittimamente, una sensibilità diversa.

Venire allo scoperto…

Ho la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti e una volta una ragazza mi ha detto che nella sua scuola era stato invitato l’autore di un libro che avevano letto, ma che a lei non era piaciuto e del quale aveva dovuto fare comunque una recensione positiva. Ogni volta che entro in una scuola per incontrare gli studenti che hanno letto un mio romanzo, penso a lei.

Mi piace l’idea di togliermi i panni della scrittrice, di spogliarmi di quel ruolo che seduce tanto chi scrive storie. Il ruolo ci omologa agli altri, ci rende servili a un sistema che lusinga. Ho l’esigenza di restare solo quella donna che dà vita a un romanzo. Onesta con me stessa prima di tutto, ma onesta anche con i lettori. Restare unica e imperfetta, senza pudore, senza paura. Non si deve piacere a tutti, se capita c’è da dubitarne.

Il mio romanzo avrà, forse, il potere di scatenare emozioni e riflessioni. Sono i romanzi a dare qualcosa ai lettori come anche agli stessi autori. Il libro è del lettore, ognuno vi legge la propria storia e se lo rileggerà in un altro periodo della propria vita, sarà una storia diversa. Un lettore non è mai passivo.

Chi scrive è al servizio delle storie, la sua umanità e sensibilità lo è, se si considera il romanzo un prodotto creativo e artistico, cioè il frutto di un’idea che nasce senza avere origine eppure viva.

Insomma, queste riflessioni sono solo mie, sparse in questo articolo per tenerle a mente. Raccontano spigoli di un mondo editoriale e artistico composto di mancanze che, forse, alcuni di noi mal sopportano, ma non sappiamo o non vogliamo cambiare. Comunque la giostra gira, fermarla per cambiar posto alle idee costa fatica e soldi. Eppure se fossimo disposti a sacrificare qualcosa, credo che metteremmo in moto una trasformazione importante.

Ragazzi che leggono per libera scelta garantiscono un mercato librario sano che deve temere i propri lettori: sagaci e pronti a condannare; lettori praticanti e spietati. Un mercato capace di alimentare se stesso e di crescere.

Io li vorrei così i lettori, anche se a volte mi farebbero male. Lo so.

*Per correttezza aggiungo che nel mio discorso non considero il genere fantasy, che ha vita propria, e sopratutto ragiono sui romanzi per ragazzi dai 12 anni in su.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

8 marzo 2020

Nei tempi del Coronavirus i nostri pensieri sono impegnati in altro, e forse in altro ancora non sono impegnati abbastanza.

Comunque non fatemi gli auguri per la giornata di oggi, dell’ 8 marzo,  e non massacrate le mimose e per carità non mandatemi fiumi di parole d’occasione per messaggio, volete fare qualcosa per me? Leggetevi i miei Se la tua colpa è di essere bella e/o Io non lo odio, sono solo storie ma già capirete in quale donna credo.  Sono stata tante donne perché ho vissuto abbastanza per riconoscerle e forse non sono neanche fiera di tutte.

Leggere più romanzi di una stessa autrice traccia il suo pensiero, costruisce la sua impronta, il suo crescere e cambiare nel tempo, anche se si tratta di romanzi per ragazzi, sì, esattamente, avete capito bene.

Leggetemi e mi consocerete con le mie fragilità e i miei entusiasmi. Poi ci sono anche gli articoli sul blog, il mio diario, anche qui ci sono con fragilità ed entusiasmi.

Quello in cui credo non lo direi mai in un romanzo, non penso che potrebbe o dovrebbe interessare qualcuno, le mie storie sono solo storie, ma, nel tempo, conoscendole conoscerete me. Scrivere resta un po’ donarsi e come lettrice lo so bene.

I libri di Giuliana Facchini

Mother’s day , ma solo neo miei romanzi

Se sei donna e scrivi per ragazzi

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Se sei donna e scrivi per ragazzi

Se sei italiana, scrittrice di storie per ragazzi e donna ecco alcune regole non scritte, un po’ fumose, un po’ rognose, un po’ per ridere e soprattutto da non prendere troppo sul serio.

Se sei donna e scrivi per bambini sei fortunata. Certo, se scrivi per i più piccoli sei facilitata, sembra essere scolpito a grandi lettere nell’immaginario collettivo; l’asilo, prima di arrivare a essere la scuola dell’infanzia, è stata scuola materna. Le parole contengono concetti, le parole spiegano. La scrittrice è materna pure lei, e poi quando i lettori sono piccoli è intimamente rassicurante invitare una donna al famoso incontro con l’autrice. Che non si sa mai. Per fortuna le scrittrici italiane per bambini sono molto brave e della maternità, se non è pertinente, se ne infischiano. Se sei donna sei abituata a infischiartene. Mica puoi farti sempre sangue cattivo.

Se sei uomo e scrivi per bambini sei un po’ meno fortunato.

Sa sei donna e scrivi per ragazzi devi metterti in coda. Se scrivi d’avventura devi metterti in coda, molto in coda, proprio indietro. D’avventura scrive meglio un uomo. Non c’è storia, non c’è discussione. Suvvia non scherziamo: s’è mai vista un’avventura materna? Una maternità avventurosa, forse! La mamma sta sempre sulla porta a richiamare all’ordine, a porgere la felpa o lo spolverino, a insistere perché il protagonista mangi a sufficienza, con questi presupposti: una donna che avventura può far vivere a un ragazzino? Dove sono le competenze? Ci sono pure le madri archeologhe, ninja e soldatesse, ma vogliamo proprio raccontarlo? Che lo facciano le scrittrici straniere! Che le scrivano di casa loro queste storie!

Le biografie, invece, sono concesse, sia di donne che di uomini. Le eroine si possono raccontare, non sono tante,  che le scrittrici se le spartiscano pure! Gli scrittori uomini sono magnanimi al riguardo, in fondo, loro hanno un sacco di eroini di cui scrivere.

La letteratura civile è da condividere tra scrittori e scrittrici per ragazzi. Tira e molla. Chi più chi meno. Se sei uomo sei un pochino più fortunato. Il motivo? Non c’è. Sei scrittore un motivo per essere fortunato lo hai in ogni caso: sei pubblicato da sempre, la letteratura italiana è affollata di uomini.

Poi, esiste il fantasy, questo genere ambiguo che leggono maschi e femmine e che scrivono pure le femmine, anzi in Italia, per ragazzi, soprattutto loro. È un genere complicato, mondi da inventare e un’ideologia sottintesa che sta in equilibrio precario tra le pagine. Si può essere accusati facilmente di ambiguità se non si sta attenti. Una rogna, insomma, che se la sbrighino loro, le scrittrici. Con quella mente complicata, quei capelli colorati.

Se sei uomo e scrivi per ragazzi al massimo ti prendi il genere distopico dove l’avventura è più reale, molto simile ai giochi che facevi in cortile da bambino e con cui ti divertiresti ancora oggi. Senza alcun dubbio ti ci divertiresti ancora oggi.

Se sei uomo e scrivi d’avventura per ragazzi sei fortunato. L’avventura: quel benedetto, affascinante e intrigante genere che è l’ingrediente principale dalla fabbrica delle storie. Sei conteso perché l’avventura la leggono tutti: ragazzi e ragazze. Se usi un protagonista maschio, le femmine se ne infischiano e s’immedesimano  (siamo abituate fin da piccole a infischiarcene) se usi una femmina per protagonista puoi farne un maschiaccio tanto non ti par di far torto a nessuno e poi l’avventura piace molto anche alle professoresse che, si sa, i poli opposti si attirano.

Vuoi mettere se sei prof e ti arriva in classe un giovane e aitante, o anche brizzolato e affascinante, scrittore per ragazzi? Tu che al massimo sul posto di lavoro c’hai il collega zitello di lettere o quello passabile di matematica in una percentuale di dieci a una? Se sei uomo e sei scrittore per ragazzi sei figo per principio, sei figo a prescindere. Sei coccolato, adulato e amato con vere standing ovation e per imitazione apprezzato e letto dagli studenti. Inutile predicare, è l’esempio che conta.

E detto tra parentesi: chi di noi donne non lo vorrebbe uno scrittore per compagno, amante o marito? Noi che siamo cresciute con il mito dell’uomo alla Colin Firth, con alle spalle Woody Allen e Mister Darcy, sempre in bilico tra L’attimo fuggente e Hogwarts.  Per noi che leggiamo come dannate, lo scrittore nel nostro immaginario è meglio del principe delle fiabe. Soprattutto se montanaro. Scarponcini e camicia a quadri sono di rigore nell’incontro con l’autore. Fascino spiegazzato e sguardo un po’ perso. Lo zainetto aumenta il punteggio. La tirata con voce pacata sulla letteratura russa, con quel gesticolare stanco, di chi al mattino crea personaggi indimenticabili per le pagine delle proprie storie e il pomeriggio scala vette e spacca legna da ardere, ci lascia senza fiato.  Siamo noi lettrici a mandarlo in ristampa e in ristampa. A creare il mito (altrimenti non esisterebbe). Facciamo tutto da sole, noi donne.

E quindi va bene anche lo scrittore per ragazzi: intellettuale, complice e cameratesco con gli studenti, comprensivo con la burocrazia scolastica e piacevole conversatore durante il pranzo offerto. Siamo donne, tra noi ci si capisce, ci si comprende e se sei scrittrice per ragazzi meglio che l’avventura la lasci perdere. Giochi in casa, conosci i rischi. È quasi un atto di sorellanza mettersi da parte. Se sei donna e scrivi d’avventura per ragazzi sai già che lavori poco. Al massimo se proprio vuoi, te ne infischi (vedi sopra).

Se sei scrittrice e scrivi problem books hai il tuo spazio. Ragazzine sfigate da raccontare ce ne sono: bullizzate, molestate, isolate, mollate. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di una donna conosce certe pene e le sa raccontare. Sei una sorella maggiore, una spalla su cui appoggiarsi, colei che non fa sentire sole le lettrici. Tanto i maschi non le leggono certe storie, resta tutto tra donne.

Se sei scrittore e scrivi di problem books hai il tuo spazio. Ragazzetti tormentati da raccontare ce ne sono: incompresi, arrabbiati, solitari, innamorati. Adolescenti, insomma. Nessuno meglio di un uomo è capace di educare un giovane uomo alla vita. E anche una giovane donna, perché, sì, quelle leggono tutto. Pure dei problemi psicologici maschili si devono impicciare, pure in quelli si devono immedesimare. E con certi personaggi un po’ bruttarelli e timidi tra le pagine, pure materne riescono a diventare. Sempre in mezzo le lettrici femmine. Una condanna.

Uno spazio tutto loro tra i libri, i maschi non ce l’hanno. Poveracci! Poi si dice che non leggono e si buttano negli sport come il calcio. Per forza! Ah, no. Adesso c’è pure la nazionale di calcio femminile…

Se sei italiana, donna e scrivi per ragazzi anche il vocabolario è chiaro: romanzo, sostantivo maschile; lettura, sostantivo femminile. Insomma se sei scrittrice per ragazzi  te la devi mettere via e infischiartene, tanto poi, alla fine, è la storia che conta e che insieme alla buona scrittura produce splendida e coinvolgente letteratura per ragazze e ragazzi!

(Problem books, cioè: “libri su un problema” da “Storia delle mie storie” di B. Ptzorno).

Come nascono le mie storie… SE LA TUA COLPA È DI ESSERE BELLA

Come nascono le mie storie… IO NON LO ODIO

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Portiamo la passione per la lettura tra i ragazzi

Nello spazio Leggere Ribelle Verona appena aperto, nell’ultimo incontro, eravamo in tre. Mancavano tre ragazze che partecipavano agli eventi della Fiera Cavalli, una manifestazione molto importante in città. Sul pavimento nel circolo di lettori già 20 proposte di lettura, 20 libri, e solo otto paia di piedi, più il paio della redattrice e quello della bibliotecaria. Poteva essere un incontro triste ma non lo è stato.

Un ragazzo aveva letto e ha raccontato Cercando l’onda, di C.Vick, con passione e dovizia di particolari, emozioni e dissonanze. Poi ho raccontato io, la redattrice e il secondo ragazzo che aveva letto solo a metà. La ragazza era nuova, non ha voluto narrare le sue trame in particolare ma in generale. Il tempo è volato e i ragazzi sono andati via con due, tre, due libri a testa e hanno semplicemente detto che torneranno, hanno lasciato i dati per il loro passaporto del lettore del blog. Decisi, sicuri. Siamo andati via appagati. La passione per i libri unisce quando si crea. “Me ne vado con molta più voglia di tornare rispetto al primo incontro” ha detto uno dei ragazzi, 15 anni.

Certo, sono pochi, ma anche il gruppo fondatore di Leggere Ribelle è partito da tanti, pochi e poi si è rinforzato; ora sono 16 i partecipanti attivi. Certo è una sciocchezza in confronto al popolo dei giovani, ma mi domando cosa accadrebbe se insieme a libri e autori portassimo tra i ragazzi la passione per la lettura. Non è sempre invitata a partecipare. Si muovono soldi e autori, sembra che i progetti per la lettura siano dei potenti strumenti per diffondere libri e cultura (parola troppo sfruttata, ahimè), ma poi cambia davvero qualcosa? O restano solo un bel manifesto, un fiore di plastica all’occhiello di qualche giacca o cappotto, e la coscienza che sembra a posto?

Ho partecipato a un piccolo festival per ragazzi, non avevano letto i miei libri e allora ho fatto due eventi di un’ora e mezza ciascuno raccontando libri e passione per la lettura. Come solito ho chiesto chi fossero i lettori e chi i non lettori. I non amanti dei libri hanno finito per farmi più domande degli altri, avevano occhi brillanti, hanno scritto sul diario (e non era richiesto) tutti i titoli che ho proposto, miei e non.

La lettura dovrebbe essere promossa a scuola, resa importante come la matematica, la storia, la filosofia ma necessariamente come “materia” differente. Con  uno spazio proprio. La lettura dovrebbe fare un salto di qualità tra le mura scolastiche. I docenti dovrebbero essere formati al riguardo.  (Quanti, per esempio, conoscono ReadOn?). Finché non sarà così e ci affideremo solo a fantomatici progetti per la lettura, i libri scivoleranno ancora troppo spesso sui ragazzi senza lasciare traccia, senza creare nuovi lettori.

I protagonisti degli incontri dovrebbero essere proprio i buoni libri, la buona letteratura contemporanea capace di catturare lettori. Perché è la sua missione, il suo fine ultimo. Sono sempre i libri a fare la differenza. Portiamo molti buoni libri ai ragazzi, creiamo degli spazi di lettura libera e avremo, è molto probabile, nuovi lettori.

Sono dati reali quelli forniti sulla lettura e i giovani lettori? Non so bene come valutare i libri venduti, per esempio, per un qualsiasi progetto di lettura associato alla scuola; sono anni  che giro nelle scuole come autrice e i libri acquistati (quando va bene) spesso non sono del tutto fruiti ma solo comprati dai ragazzi, letti tanto per leggere o da associare allo studio e poi dimenticati.  Il libro rimane carta stampata, non diventa contenitore di vita e di emozioni, non innesca la passione. Ma nelle statistiche conta come libro di narrativa letto?

Libro letto? sì! Lettore abile? No!

Ci sono meravigliosi progetti di educazione alla lettura, e nel temine includo anche i festival e tutti quegli eventi che portano i libri ai ragazzi, che davvero creano lettori, ma ce ne sono altri che, secondo me, smuovono poco o nulla in quanto a passione per la lettura e credo che il motivo sia perché partono da un principio sbagliato. O forse un principio non lo hanno proprio. Gli interessi economici, la poca formazione dei promotori o a volte addirittura l’ingenuità, penalizzano ancora troppo il nostro Paese. C’è da rimboccarsi le maniche.

È un’emergenza creare lettori.

(Se non c’è chi compra libri, non c’è necessità neanche di scriverli, o no? Domanda o trabocchetto? ).

Mi viene voglia di urlarlo a chiunque abbia a che fare con i libri e i ragazzi: formatevi! Leggere libri per ragazzi scritti da autori e autrici italiani e non; informarsi sulla realtà dei giovani lettori e della lettura fuori dall’Italia e ragionare in parallelo; seguire convegni e professionisti competenti; sacrificarsi, anche, se serve, per la qualità della scrittura per ragazzi. Non improvvisare.

Incontro con l’autore? Io la penso così!

 

 

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri, ponendo domande, scrivendo storie

I miei manuali di scrittura creativa sono i buoni romanzi; annotazioni di lettura e appunti per la romanziera che vorrei essere.

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La genialità della grande scrittrice sta nel mandarci un messaggio potente raccontando l’umanità. I sentimenti, i dubbi, le emozioni, i dolori, gli sbagli, le felicità fanno di noi gli esseri umani. E la lente d’ingrandimento che usa per svelare a ognuno di noi chi è, si chiama ironia. La perfezione esiste e si compone di molteplice diversità.

Lupa bianca, lupo nero, di Marie Aude Murail, è il primo capitolo di una serie di romanzi centrati sul mondo dello psicologo antillano Sauver Sant Yves e di suo figlio, Lazare.

Dove se non nello studio di uno psicologo, Murail poteva far convergere in modo del tutto intelligente, casuale e logico le mille problematiche che l’umanità affronta ? Un dottore in psicologia qualunque? No, un uomo alto e affascinante e di colore. Non risparmia nulla l’autrice. Davvero una galleria effervescente e ricca di tematiche attualissime che tormentano l’umanità che cambia e si adatta come ha fatto per millenni e non senza fatica. L’ironia ci accompagna alla scoperta di chi siamo, sotto lo sguardo benevolo di chi sa sorridere di se stessa e vorrebbe che tutti sapessero farlo.

Ognuno legge nei libri quello di cui ha bisogno. Io leggo e cerco nelle storie quello che penso possa fare di me una romanziera migliore. Spesso dico che i miei manuali di scrittura sono i romanzi buoni, creativi, sorprendenti. Quando li incontri, ti capisci meglio.

Dopo una prima parte che sembra un lungo prologo denso, capace di offrire ai lettori una umanità viva, ironica e dolorosa al contempo, il romanzo vira sul vissuto del protagonista e la sua storia personale in un crescendo di mistero e profondità di sentimenti. Chi aiuta gli altri, sarà in grado di aiutare se stesso? Quanta complessità in questo intreccio di sguardi sugli altri e su se stessi! Nella variegata complessità ci possiamo riconoscere e intraprendere la ricerca che a ognuno di noi spetta per capire, per non restare sulla superficie dei sentimenti e delle emozioni.

Ma io mi sono fermata prima. Quello che ha colpito me è la densità umana. Identità di genere, autolesionismo, relazioni di coppia, bullismo, pedofilia, atti estremi e razzismo solo per citare alcuni dei temi che spesso i romanzieri che scrivono di ragazzi affrontano uno per volta in una storia alla volta. I problems books estremizzati. Qui i problemi estremizzati sono mescolati e accostati perché nulla è mai analizzabile da solo se non non nella fiction, quella banale.  È come se vedessi questo meraviglioso romanzo fare le pernacchie a chi serio serio scrive un libro con una tematica adolescenziale che va isolata, descritta e bandita dal cuore e dall’animo del lettore adolescente. Una procedura che disumanizza la realtà, la semplifica per spiegarne la complessità (assurdo, no?) ed è un misero raccontare per iscritto, senza nulla attingere all’arte del romanziere. Davvero pensiamo che libri così scritti servano? Servono forse a chi il problema non lo conosce, non l’ha incontrato nella sua giovane vita e lo guarda dall’esterno senza curiosità. Chi nei casini di quel problema ci vive, il libro non lo legge e se lo leggesse ne riderebbe. Quel libro non serve a nessuno, se non a rassicurare noi adulti che abbiamo fatto il nostro dovere di educatori. Male. Fingendo di fare i romanzieri. Un pasticcio.

Questo vuol dire che di certe tematiche non se ne deve parlare? No! Ne puoi scrivere solo se le conosci bene o le hai vissute. E alcune le abbiamo vissute tutti noi. Credetemi. È solo una questione di registro.

Sto mescolando le carte?

Esatto. Ma mi spiego o meglio ci provo. A beneficio di chi legge e anche mio, sia chiaro.

cover InvisibileNel mio Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012), definito un romanzo a sfondo sociale, si dispiegano un intreccio di realtà emozionali che toccano i protagonisti. Significa che possiamo trovare all’interno della storia la tematica del bullismo tra le altre, ma non isolata e indagata. Quello che accade ai ragazzi è vita vera; chi di noi non si è mai trovato di fronte a un bullo? Non necessariamente qualcuno che ti ha spinto a pensare di toglierti la vita, ma qualcuno che ti ha umiliato, quando hai dovuto incassare e poi riprenderti e magari voltare pagina. Succede. Silvia in Invisibile subisce Mich, ci sta male ma la vita va avanti e arriva il capitolo successivo dove Mich non esce né vincente né perdente, lui non è stato messo in crisi, sebbene alla fine si sia dato da fare proprio per aiutare Silvia, Silvia che invece è cresciuta. Un intreccio? La vita è un intreccio e la storia che racconta Invisibile non è di bullismo, affonda nel sociale, appunto: in ciò che è relativo all’ambiente umano in cui si vive e all’ordine a esso inerente (Devoto-Oli).

Possiamo porre questioni di principio, raccontando. Lasciare che il lettore si identifichi e poi sedimenti in lui il pensiero del proprio principio di giustizia sociale e umana. Creare, quindi, spazi di libertà di pensiero; nessuna forzatura e nessun indottrinamento, raccontando. Ecco il grande potere del romanzo, il valore di storie come quelle che racconta Murail. (Non io! Che sia chiaro, io ci provo!)

Leggere può rendermi una romanziera migliore, spero. Finché io mi farò domande, avrò storie da raccontare. Un romanzo non dà risposte, indiscutibilmente regala i dubbi dello scrittore al lettore. Questo per quanto riguarda il messaggio profondo che ogni storia contiene, per il resto un romanzo per me è emozioni, sorprese, scoperte, passioni e vibrazioni… esplose o contenute, dosate a ritmo lento o incalzante, distese nel tempo o condensate in un attimo di parole e vita.

E poiché i romanzi sono incontri e gli incontri con i grandi romanzieri fermano momenti e alimentano pensieri, ecco la dedica che la signora Marie Aude Murail ha fatto sulla mia copia del suo Miss Charity. Una casualità?

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leggere e far leggere, un mestiere, una passione… una necessità

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri… sgranocchiando avventure!

I figli del re di Sonya Hartnett mi ha coinvolto come pochi romanzi. Se l’inizio sembra un po’ scontato, poi tutto è diventa affascinante: personaggi, paesaggi, situazioni. La storia è convincente, ricca di spunti e mai banale, anche raccontando di bambini e adulti come tanti, ma dalla psicologia sfumata e vivi tra le pagine. Me ne sono chiesta il perché.

Forse, romanzieri si nasce non si diventa.

Se mentre leggi scatta lo stupore, la voglia di andare avanti, la soddisfazione del finale, ti rendi anche conto che non è sempre così quando leggi. C’è una decisa differenza. Si pubblicano tanti libri e gli editori non sempre selezionano in modo adeguato per offrire buoni romanzi e non solo storie scritte.

Ultimamente, almeno nella narrativa destinata ai ragazzi e agli adolescenti, mi pare che sia troppo sfruttata la scrittura in prima persona. Forse dà allo scrittore l’impressione che si riesca meglio a stabilire empatia con il lettore. Probabile, ma è un’arma a doppio taglio. Difficile tenere se stessi lontano del personaggio. Difficile non banalizzare. Pericoloso confondere/mescolare le emozioni, le sensazioni, le percezioni dell’adulto che scrive con quelle dell’adolescente che vive tra le pagine. Altissimo il rischio di parlare solo a se stessi cercando di farsi ascoltare da tutti.

Più complicato è essere narratrici o narratori esterni. Emozionare anche con luoghi, profumi, ombre, urli o grida di un mondo in tre dimensioni che non solo il cinema sa generare. Gli scrittori bravi lo sanno creare da sempre. (E anche i bravi attori sul palcoscenico). Tecnicamente una sfida. Saper narrare una storia è prerogativa di pochi, scriverla bene è un dono creativo ancora diverso. E poi il finale. Forse la discriminante maggiore è proprio il finale: aperto o chiuso deve sorreggere l’intero romanzo. Spaventa? Deve. Non smettiamo di leggere.

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Libri come Polli

Ci penso da un po’

Ci penso da quando ho letto la richiesta in un gruppo social di un libro che sviluppasse un tematica specifica. I libri a tema sono comuni nell’editoria per ragazzi. Vogliamo parlare di bullismo/integrazione/ambiente? Partiamo da un libro. Nulla di male se il libro non fosse scritto appositamente. Troppo spesso un libro furbo, scritto a tavolino, che non emoziona con una buona scrittura o una buona storia.

Non cerchiamo i libri a tema ma i temi nei libri. Questo non lo dico solo io, molti lo affermano con forza e determinazione. Un buon romanzo contiene naturalmente in sé svariate tematiche. Ognuno può scegliere quale approfondire, se ne ha voglia.

In quel gruppo social che parla di libri per ragazzi, guidato da amministratrici appassionate, c’è stata una bella discussione sull’argomento che alla fine ha reso scontenti molti: non criticateci perché cerchiamo libri a tema, dateci solo bei titoli!

Nonostante tutto è arrivata una nuova richiesta: libri che insegnassero ai ragazzini il senso della responsabilità. Ecco, spesso i libri per ragazzi hanno per protagonisti ragazzi che vivono un’avventura, si aiutano, sbrogliano misteri magici o realistici. Si prendono la briga di fare qualcosa di speciale per loro o per gli altri. Non vogliono coinvolgere gli adulti. Vogliono essere responsabili di se stessi magari sbagliando. È uno degli scenari più comuni.

Allora mi è venuto in mente il pollo (povero pollo) nudo e schiacciato nella vaschetta del banco macelleria del supermercato e quel bambino di città che pensando al pollo lo immagina così e non che razzola nell’aia becchettando vermetti.

Il pollo è stato un pennuto grassottello e prima ancora un pulcino, come possiamo averlo dimenticato?

Il libro è stato una storia viva e vibrante, come possiamo considerarlo solo un pezzo di carta stampato?

Forse potremmo ricominciare dalle parole giuste.

Vorrei che mi suggeriste un libro nel quale vi ha tanto emozionato e stupito quello che il protagonista fa nel prendersi cura di qualcuno o qualcosa.”

È come quando diciamo a un bambino che è una femminuccia se piange. C’è dietro quelle parole una demonizzazione del pianto perché emozione femminile e sinonimo di debolezza. Meglio non dirlo, quindi. Non lo diciamo.

Forse dobbiamo tutti ricominciare con l’educarci a dire le parole giuste per formulare così richieste giuste.

Chi chiede i libri a tema, non conosce ancora il piacere della lettura, non lo fa in malafede. È come quel bambino di città per il quale un pollo in piume e ossa non non è un’immagine familiare.

Quindi è bello scambiarsi condigli letterari, ma facciamolo condividendo anche quel parlar bene che accompagna la giustezza dei concetti. Forse aiuterebbe, aiuterebbe tutti: chi legge e chi scrive.

Ecco è questo che avevo in mente da un po’.

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FestivaLetteratura 4-8 settembre 2019 a Mantova

Il Festival della Letteratura di Mantova arriva come un bellissimo regalo di fine estate.
Arriva il Festival per me perché un’editrice ha creduto in una mia storia tanto quanto me e in me molto di più di quanto io creda in me stessa (…frase difficile, ma vera).
Grazie Sinnos, Della Passarelli e Emanuela Casavecchi.
Già, perché alla Fiera del libro per ragazzi di Bologna le organizzatrici del Festival sono andate a chiedere a Della di me. Ne è nato un dialogo buffo.
– Della, ci presenteresti la tua autrice che la vorremmo al Festival con La figlia dell’assassina?
– Ma la conoscete bene…
– No, non sappiamo chi è!
– Ma se era al Festival con il gruppo di lettura adolescenti!
Già, ci conoscevamo bene. Ecco, a questo dialogo ci tengo, perché mi racconta. Ho una doppia personalità: quella della lettrice e quella della scrittrice…e tra loro s’incontrano solo in segreto!

Svelato il mistero tutto è cominciato e mi hanno affidato gli eventi di colleghi e colleghe, amici e amiche come Laura Bonalumi, Luigi Ballerini e Emanuela Nava, che ammiro e di cui ho potuto felicemente leggere di tutto; un bellissimo laboratorio sulle Recensioni Emotive (appellativo coniato da Livia Rocchi! Che si sappia!) del gruppo Leggere Ribelle (domenica alle 11.00); un incontro mio e di Davide Longo (di cui ho letto tre bei thriller, scritti benissimo) con Simonetta Bitasi in cui parleremo di libri-ponte tra adulti e ragazzi e di ReadOn, un progetto bellissimo. (Sabato alle 19.00).

Metteteci una cena con un’editrice speciale, il venerdì del Festival con il gruppo dei ragazzi e delle ragazze di Leggere Ribelle e un pass FestivaLetteratura con cui accedere a quasi tutti gli eventi (… e mi sono allenata in montagna per avere il fiato di non perdere nulla! Sono un animale da Festival, io!) e cercate di capire quanto possa essere contenta… Tanto, insomma!

Gli eventi a cui partecipo li trovate qui in coda alla mia biografia e bibliografia

festivaletteratura.it/it/2019/autori/giuliana-facchini


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Un attimo, tutta la vita… come nascono le storie

Certe storie nascono davvero in modo curioso!

Eravamo qui…

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Fulvia ed io. C’eravamo incontrate per pranzo. Chiacchieravamo del più e del meno; lei arrivava dalla palestra io da una passeggiata per Milano con la mia amica Anna.

Con Fulvia non eravamo amiche come lo siamo ora, ci conoscevamo, era stata la mia editor per un libro della collana che lei dirige per le edizioni Paoline.

Era almeno un anno che mi arrovellavo il cervello con l’idea di una storia che non riuscivo a scrivere. Ero certa che non l’avrei mai scritta eppure non volevo rinunciarvi, ci credevo, pensavo potesse diventare un buon romanzo.

Stavamo prendendo una caffè quando le chiesi se quella storia voleva scriverla con me. Lo feci d’istinto senza pensarci troppo. Certe strade bisogna percorrere insieme se da soli non ce la fai. E io da sola non ce l’avrei fatta. L’argomento era troppo forte e io troppo emotiva, mi avrebbe preso la mano e mi avrebbe trascinata lontano dalla stesura di un qualsiasi buon romanzo verso una terra di emozioni incolte.

Fulvia non mi rispose subito, mi telefonò qualche giorno dopo dicendo che sì, l’idea le piaceva, che ci stava.

Fulvia: Ero arrivata al Crazy CatCafè con il cuore in subbuglio. Avevo appena avuto una crisi di pianto e autocommiserazione, capita nelle fatiche della vita di mamma di due adolescenti. Ma avevo messo da parte il mio turbamento per godermi l’incontro in quel luogo così singolare, in cui i gatti scorrazzano liberi e si struscino alle gambe dei clienti e balzano sui loro tavoli. Giuliana era già una gattara, io non ancora, ma lo sono adesso dopo la convivenza di oltre un anno con la mia Grace. Da anni sognavo di scrivere una storia a quattro mani: una sfida stimolante per una scrittrice, che mi mancava e a me piace cimentarmi in nuove imprese. Così quando Giuliana ha buttato lì quel tema,
il dramma degli incidenti stradali in scooter, ho sentito subito quel frizzicorino nel cervello, che si accende quando sono di fronte a una buona idea. Dovevo solo trovare la chiave giusta, che fosse originale e che affrontasse un tema così tragico in modo non melodrammatico e scontato. Non avevo dubbi che mi sarebbe venuto in mente qualcosa.

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Al Crazy CatCafè avevo detto a Fulvia quale era l’idea della quale volevo scrivere e quello che assolutamente non volevo che diventasse. Avevo ben chiaro solo il capitolo centrale. Quale sarebbe stato il finale non lo sapevo e quello che avrebbe potuto essere la potenziale conclusione non mi piaceva affatto. Senza aver neppure iniziato a imbastire adeguatamente la trama, mi disse lei il finale. A me non era proprio venuto in mente. Era quello giusto. Pensai che quella storia sarebbe diventa un buon romanzo: avevamo il capitolo centrale e anche il finale. Era un buon inizio!

Fulvia: Gli argomenti drammatici sono la mia passione. Tutti i miei romanzi per adolescenti toccano tematiche scottanti, estreme. Far vibrare le corde dell’emozione, senza pateticismi, ma scandagliando l’animo umano, questo amo fare. Sì, sarebbe stata una buona storia. 

Una sera ci sentimmo al telefono e sebbene sulle prime eravamo un po’ intimidite ci volle un attimo per scioglierci e lasciar correre libera la fantasia. Lei scelse i nomi dei due personaggi protagonisti e io li adorai subito. Io scrissi il capitolo centrale (chi ha detto che si deve sempre partire dall’inizio?) che avrebbe fatto da chiave di violino per accordarci e scrivere insieme.

Fulvia: Non è inconsueto per me iniziare a scrivere un romanzo non rispettando il naturale ordine dei capitoli. L’importante in una storia è coglierne il nucleo centrale, la cosiddetta ispirazione, poi il resto di intreccia, usando anche un po’ di mestiere. E se nella scrittura individuale si può anche procedere per tentativi, e improvvisazione, quando a scrivere si è in due occorre che la trama sia molto chiara sin dall’inizio, con una precisa scansione dei capitoli, in modo da tenere sotto controllo le tappe della stesura. E in questo caso era semplice, perché i protagonisti erano due, un ragazzo e una ragazza, e ognuna di noi se ne è scelto uno per narrare la storia dal suo punto di vista che così si alternava con quello dell’altro personaggio.

Stabilimmo i capitoli e il numero di battute da rispettare e poi partimmo: io scrivevo un capitolo e glielo inviavo, lei lo correggeva e mi inviava il successivo scritto da lei, che io a mia volta correggevo. Io valutavo le sue osservazioni sulla mia scrittura, lei le mie. E procedemmo così. Senza che nessuna delle due si offendesse mai e con un’empatia che mai potevo immaginare quel giorno al Crazy Cat. Tutto filò liscio fino alla fine. Umiltà e rispetto non ci sono mai mancati, forse per questo è venuto fuori un buon romanzo. Almeno secondo noi. Ognuna ha dato il meglio di sé e il superfluo abbiamo saputo buttarlo via.

Fulvia: Scrivere in coppia ti costringe a rispettare i tempi, evita le distrazioni, è come percorrere un binario in cui è difficile deragliare. Per cui scrivere questo romanzo è stato per me più facile che in altre occasioni più solitarie. E permette di fare in corsa un buon editing, perché l’occhio esterno sulla propria scrittura lima le sbavature, migliora la forma e la coerenza. E pur essendoci ritrovate in questa avventura per caso, ed essendo due perone caratterialmente molto diverse, la nostra scrittura si è amalgamata fino quasi a fondersi tanto da non risultare distinguibile per chi legge.

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Sono felice che questo romanzo abbia trovato la sua voce e sono felice di aver trovato un’amica.

Fulvia: A me personalmente è rimasta la voglia di farlo ancora, tutto sta a ritrovare quell’alchimia. Merito del Crazy CatCafè?

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UN ATTIMO, TUTTA LA VITA

di Fulvia Degl’Innocenti e Giuliana Facchini

Raffaello Ragazzi, collana Insieme

Orlando ha 16 anni e adora spostarsi in scooter, per lui è più di un mezzo di trasporto, è quasi una parte di sé. A una festa conosce Angelica e, dopo qualche schermaglia, i due ragazzi si innamorano. Tutto sembra andare bene fino a quando arrivano i primi litigi. Dopo uno di questi, Orlando parte con lo scooter: ha il cuore in subbuglio e presta meno attenzione alla guida.
Eppure sa che per rischiare tutto, persino la vita stessa, basta un attimo. E Orlando vivrà sulla sua pelle proprio ciò che in quell’attimo accade.

E siamo certe che il luogo dove tutto è nato,

porterà fortuna a questo romanzo!

Buona lettura

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Gruppi di lettura per adolescenti: appunti di viaggio

Ho avuto la fortuna di coordinare un gruppo di lettori adolescenti ( LEGGERE RIBELLE ) che ha concluso la sua prima stagione qualche giorno fa e sento il desiderio di condividere in questo articolo alcune considerazioni tratte dalla mia esperienza. Questo blog è per me un diario professionale e anche personale, lì dove il mio mestiere e la mia vita si sovrappongono.

Io sono un’autrice, ma da vent’anni, da quando ho cominciato a scrivere storie con protagonisti ragazze e ragazzi, non ho mai smesso di leggere romanzi di colleghe e colleghi italiani e stranieri e di curiosare ovunque si parli con competenza di promozione/educazione alla lettura. Oggi essere un’autrice (etichettata) per ragazzi ha poco a che vedere con la visone romantica della scrittrice tout court.

Non so bene quando mi sia venuto in mente di provare creare sul territorio dove vivo uno spazio dedicato ai lettori dai 13 ai 17 anni, ma in realtà credo di averlo meditato e studiato per anni. Forse non pensavo neanche che un giorno lo avrei fatto davvero.

Dopo un incontro in una scuola per uno qualunque dei miei romanzi, non so bene perché, ma si finiva per restare sempre a chiacchierare di libri con un gruppo di ragazze e ragazzi, che spesso mi sacrificavano la ricreazione. Non mi è mai piaciuto fare incontri con platee enormi, dove posso spezzetto, resto ore in più con lo stesso compenso (!) ma cerco il dialogo e il confronto personale con i miei lettori. Sempre. Consigliavo libri e finivo per raccontarli in breve e vedevo occhi affamati intorno a me. Insomma la fame di libri tra gli adolescenti c’è. I potenziali lettori si nascondono ovunque.

Quello che mancava, dunque, era uno scaffale dove trovare buoni romanzi di narrativa contemporanea. Libri sconosciuti nelle scuole e poco venduti/proposti nelle librerie se non in quelle specializzate. Buona letteratura pluripremiata da anni in Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti e non solo, ma per lo più sconosciuta agli adolescenti in Italia.

Come a volte capita, forse si sono allineati i pianeti giusti, ho incontrato un’educatrice territoriale Paola Zermian che crede nel potere dei buoni romanzi in età adolescenziale e una bibliotecaria indomita e quindi tutto è cominciato.

Tre importanti punti da unire per partire con un gruppo di lettura dedicato ai ragazzi dai 13 ai 17: una pedagogista, una persona che conosce bene il territorio e una lettrice forte in grado di portare agli adolescenti i libri giusti per far nascere la passione per la lettura o anche solo alimentarla adeguatamente.

Quali sono i libri giusti? Quelli che consigliano altri lettori adolescenti.

Questo è il principio da cui parte tutto. Se mi sento in grado di proporre libri a un gruppo di ragazzi è perché per anni e anni ho letto libri consigliati da lettori adolescenti esperti (come quelli, per esempio, del festival di Mare di libri di Rimini). Da lì tutto è cominciato. Ho ascoltato autori come Murail, Chambers, Burgess e parecchi altri, ho partecipato a seminari organizzati da Festivaletteratura di Mantova o Hamelin di Bologna e partendo dai gusti dei ragazzi e della scrittura di grandi autori contemporanei pluripremiati e grandi educatori alla lettura, sono nate le mie bibliografie. Anni di letture. Anni ad ascoltare consigli letterari di esperti che stimo e ammiro. Anni ad approfondire gli spunti che mi arrivavano. Anni, non giorni e solo per avere un piccola formazione. Lo riconosco.

Lo ribadisco perché un gruppo di lettura per ragazzi adolescenti non s’improvvisa. Quando s’improvvisa, scusate se lo scrivo e sono antipatica, si fanno danni o al massimo non si creano lettori (e allora un club serve solo ad alimentare l’ego dell’adulto che lo dirige). Che danni? Più che danni, occasioni perse: non si allargano le prospettive di lettura con buoni libri; non si affina il gusto per la lettura che poi con il tempo porterà il lettore a cercare altri buoni romanzi, i propri buoni romanzi, scegliendo con cognizione di causa.

I libri giusti sono quei romanzi che sono ben scritti e raccontano una buona storia e che affrontano argomenti forti e vibranti, perché se vogliamo creare lettori (o la passione per la lettura) tra i giovani adolescenti dobbiamo mirare al cuore e toccare le loro emozioni.

Di autori contemporanei perché vicini alla realtà dei potenziali lettori e vivi perché non si facciano l’idea che la letteratura appartenga solo a persone morte. (I mestieri creativi esistono anche oggi).

Scrittura contemporanea di grande qualità+una buona storia+emozioni.

Altro particolare importante è che non si deve obbligare nessuno a leggere un certo romanzo, ma si può, a ogni incontro, offrire un ventaglio di proposte invitanti e accattivanti, soprattutto se si accolgono lettori dai 13 ai 17 anni, che sono molto diversi tra loro. Noi siamo arrivati ad avere sul nostro scaffale dei libri 100 romanzi, in un anno e 10 incontri. Ognuno affronta la lettura quando vuole e quando se la sente, non c’è obbligo. Ci sono molti buoni romanzi diversi tra loro. Si può leggere di quello che interessa o stimola di più in quel preciso momento della vita, senza imposizioni. E poi ogni lettore può portare le proprie proposte di lettura.

Dunque, a ogni incontro si potrà scegliere liberamente un libro da leggere, che poi con naturalezza spesso diventano più di uno. I buoni libri mettono appetito.

Il libro letto poi si racconta/ propone agli altri giovani lettori senza fare spoiler e con l’entusiasmo o il non entusiasmo che ha suscitato la lettura. Se si sono letti gli stessi libri (capita naturalmente) se ne discute. Ne discutono tra lettori. Certi romanzi arrivano poi sul blog del gruppo sotto forma di consigli letterari. Quindi se l’argomento che attira il lettore adolescente è forte, verrà letto/vissuto, poi raccontato e quindi addirittura scritto. Tutto questo si chiama crescere con i libri, diventare lettori consapevoli e autorevoli, saper parlare e scrivere e pensare. Un’operazione delicatissima che va fatta con responsabilità nonostante sostanzialmente per i ragazzi sia solo leggere insieme. Ecco perché un’educatrice esperta di dinamiche di gruppo adolescenziali c’è, osserva, legge, supporta.

Perché un blog?

Il blog è la voce della piccola impresa di alcuni ragazzi adolescenti nel mondo della lettura; lascia una traccia nel tempo per noi e per gli altri; combatte l’immagine del ragazzo lettore come solitario e casalingo, lo trasforma in leader positivo: i ragazzi che leggono creano ragazzi che leggono.

Importanti sono soprattutto i momenti di verifica e riflessione tra gli organizzatori ma anche tra gruppi di lettura.

Ecco a cosa serve fare rete: al confronto. E serve uscire dalle pareti della biblioteca, zona confort, e andare ai festival, partecipare a iniziative collettive, incontrare autori e conoscere altri ragazzi che partecipano ad altri gruppi di lettura.

E ancora, chi si prende il piacere e l’onere di organizzare un gruppo di lettura deve fare autocritica se necessario e i conti con i bilanci di fine anno; senza timore, senza vergogna verificare con chi l’affianca i punti critici e migliorarsi, perché tutti sbagliamo e tutti possiamo migliorare.

Insomma fare le cose per bene per creare lettori adolescenti, per far crescere quelli deboli e alimentare quelli forti, non ha nulla a che vedere con l’improvvisazione sopratutto in un Paese di adulti non lettori.

Come per il teatro e per la danza così anche per la scrittura, tutti si sentono autorizzati e competenti per scrivere libri, fare corsi di scrittura o organizzare gruppi di lettura per ragazzi adolescenti (che sono cosa diversa da quelli per adulti).

Nessuno manderebbe il proprio figlio in una scuola dove insegnano docenti che non hanno una laurea e non sono abilitati all’insegnamento, ma nessuno ha problemi a comprare un libro di pessima qualità per i propri figli o per sé… ma questa è un’altra storia e un altro articolo.

(Per approfondire Gdl per adolescenti, come non educarli L’incontro con l’autrice e gli articoli raccolti in FIUTANDO LIBRI)

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri… una scorpacciata di emozioni forti!

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Ho appena iniziato “Per sempre o per molto molto tempo” di C.Carter ed è già molto doloroso e potente: “Non ci trovo nulla di buono in una cosa che non dura”.
Ho terminato la lettura di Almond che è sublime nel raccontare di Orfeo e poi Siobhan Dowd che per me è stata una scoperta prorompente. Amo le sue storie e la sua scrittura. Patrick Ness dice: “Non penso che abbia scritto questa storia su un giovane nomade irlandese per farci la morale. Penso che questa storia le bruciasse dentro. E penso che la ragione per cui questa storia le bruciava dentro fosse che era anche un atto di compassione, di empatia, un atto – posso osare? – d’amore”. Queste parole le incornicerei. Spiegano quello che dovrebbe essere un romanzo e che un romanziere non dovrebbe mai dimenticare. Questa storia è unica e bellissima. Sempre grata a Uovonero per averla portata in Italia.

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“Sa come costringersi a smettere di provare emozioni, la sua mente è più forte e stabile del caos volubile e imprevedibile che occupa il suo cuore. Non l’organo vero e proprio, certo, ma quel pasticcio arcano che lo circonda, le cellule nervose collegate al cervello e, chissà perché, piazzate in mezzo al petto, e le altre parti misteriose che non si possono osservare né misurare, quel punto del suo cuore che confonde panico e amore.” da Nowhere girls, di Amy Reed.
Me lo ha suggerito un’amica (ai cui suggerimenti tengo molto). Parla di violenze sessuali in una scuola americana, di una società maschilista e razzista e racconta di solidarietà femminile, di ragazze unite che non si vergognano più e non lasciano perdere perché “tanto non cambia nulla”. E poi ci sono le assemblee tra le ragazze e i loro discorsi che suscitano riflessioni e domande. C’è davvero tanto. Non so se era sfuggito a me oppure proprio non ha girato tra i lettori. Secondo me sarebbe un dovere farlo girare nelle scuole superiori. 58379205_2904087796282947_6305157074523258880_o

Mia madre è sempre stata una forte lettrice, tra i vari scrittori apprezzava anche Wilbur Smith. (Io stessa sono cresciuta con i romanzi storici, d’avventura e di narrativa poliziesca pescati dalla grande libreria materna. I classici per ragazzi li ho letti da adulta!). Ha appena finito di leggere la sua autobiografia e sulla scrivania mi lascia un foglio dove ha trascritto una frase (lo fa spesso). Dice che mi si adatta. “Non so da dove nasca il bisogno di raccontare storie, so solo che era dentro di me sin dalla volta in cui riuscii a comporre la mia prima frase.” W. Smith.
È mia madre, mi conosce meglio di me. C’era quando scrivevo storto sul quaderno di prima elementare.
Io invece ho appena finito l’ultimo libro di Ptzorno (che la genitrice ha già letto e apprezzato). La sua scrittura scivola come la seta tra le dita (e in questo caso calza a pennello), inutile ribadire l’ovvio: Bianca Ptzorno è una scrittrice di grande talento. Leggiamo e impariamo con umiltà. 

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La prima donna reporter, assunta nel 1887 a NY al NYWorld diretto allora da J.Pulitzer si firmava Nellie Bly. Una gran bella narrazione, si legge con molto piacere, non un romanzo ma appassionante vita vera.
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Belli tutti e due. Il secondo prezioso anche per i consigli letterari che contiene. Metto una citazione dal secondo romanzo, che però considero universale. La sento profondamente mia e la trovo bellissima. Credo piacerà anche ad Alice Keller.
“Innanzitutto scrivo di ragazzi perché sono un ragazzo. Scrivo per loro perché ho sempre pensato che scrivere per adulti sia artisticamente inutile: sono preoccupati per le rate delle macchina e i pagamenti delle ipoteche. I giovani invece possono ancora perdersi nella storia, vivono le avventure in modo molto più personale e possono identificarsi in modo viscerale con i personaggi. Tutte cose che gli adulti perdono con il passare del tempo. I ragazzi sono senz’altro i migliori lettori che uno scrittore possa desiderare.” Gary Paulsen
Grazie Camelozampa, grazie EquiLibri.

E poi…

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Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io non lo odio… come nascono le storie!

Ringraziamenti in chiusura del libro IO NON LO ODIO di Giuliana Facchini, edito da Matilda Edizioni.

Ecco come nascono le storie: camminando. Succede che scrivi il plot per un romanzo e diventa un racconto che poi torna a essere un romanzo. E nel mezzo? Nel mezzo un cammino. Tu che cresci. Tu che cadi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che ti rialzi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che scrivi. E capisci che percorrere chilometri di vita è un privilegio.

I libri raccontano una storia ma hanno anche una loro storia.

Quando Donatella Caione mi chiese di scrivere la versione lunga del mio racconto Perché odi Davide?, le risposi di no. Pensavo che quella storia avesse già detto quello che aveva da dire.

Ma leggendo un vecchio libro che intrecciava passato e presente ho capito che non era così. Usare uno schema narrativo non lineare e adoperarlo perché fosse funzionale alla storia non era facile ma per me era una piccola idea rivoluzionaria. Ha molto da raccontare una ragazza che è riuscita a uscire da una qualsiasi forma di violenza e io potevo darle voce.

Così otto romanzi dopo Perché odi Davide? è nato Io non lo odio.

Durante un incontro in una scuola dove accompagnavo Chiamarlo amore non si può, una lettrice mi di chiese perché nel racconto tutti avessero un nome ma non la protagonista. Rispose lei. Non io. Disse che forse non aveva nome perché solo chi non ce la fa e finisce sui giornali ha un nome, nessuno conosce tutte coloro che ce l’hanno fatta e a testa alta sono diventate ragazze e donne consapevoli di sé.

Aveva ragione. Quindi alla protagonista ho dato un nome, Clare, e una vita serena. La sua non è una famiglia del mulino bianco, ma lei conosce il potere dell’amicizia, della fratellanza, della musica e vive bene il suo domani.

Nel raccontarci quello che le è successo, fa uno sforzo. Ha bisogno della sua chitarra per farlo. Ma sa raccontare, gestire il suo passato e impugnarlo coraggiosa per affermare non senza sofferenza: Io auguro a qualunque ragazza che come me si sia trovata a precipitare nel vuoto, una chitarra cui afferrarsi per potersi salvare. Anzi: a lei la offro. Io. Adesso.

Non è questo che ci auguriamo per un’amica, una figlia, una nipote o per noi stesse e per tutte?

Noi che scriviamo per ragazzi e ragazze (non è vero che scriviamo per ragazzi e ragazze, è solo un’etichetta per collocarci in libreria, noi tutti scriviamo solo pensando a un lettore ideale) ci troviamo spesso nelle scuole a “ricordare/celebrare” questo o quello e a volte rischiamo di diventare solo il modo per saltare un’ora di lezione.

Quando? Quando gli adulti fanno cadere a pioggia dall’alto i loro insegnamenti. Quando non si fa in modo che la parola l’abbiano loro: gli studenti.

Perché? Perché ci mettiamo la coscienza a posto che l’opportunità l’abbiamo data. A volte non è previsto il diritto alla replica. Non ce lo aspettiamo proprio un pensiero critico dai ragazzi.

Bisogna sporcarsi le mani se crediamo nei nostri interlocutori.

Un romanziere questo lo capisce bene perché crede nelle storie e le storie non insegnano ma lasciano emozioni sotto la pelle dei lettori.

Io lascio la parola a Clare.
Io non lo odio è dei lettori.
Contano i romanzi, non gli autori. Il romanzo è la loro voce, non c’è altro da aggiungere.
Racconto un periodo difficile della vita di alcuni ragazzi e ragazze ma questo è un romanzo solidale.
Spero che lo leggerete, forse ci troverete almeno una piccola parte di voi come è accaduto a me.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Se la tua colpa è di essere bella – la lettura di Mara Mundi per Firufilandia


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È raro trovare libri così onesti come “Se a tua colpa è di essere bella” di Giuliana Facchini, uscito per Feltrinelli, nella collana per ragazzi FeltrinelliUp, poco meno di un anno fa. È onestissimo nella scrittura: non vuole stupire, non ammicca al lettore, ma tiene salda la penna, offre qualità e cura, rende credibili la voce narrante, i dialoghi, le situazioni e i personaggi.

È onesto nella trama, che racconta la storia di tre amici, ai primi anni del liceo, alle prese con il tentativo di violenza subito da una loro compagna di classe, una sera, ad una festa di compleanno in discoteca.

È solo il pretesto narrativo, questo, per raccontare i giorni in cui il gruppo s’impegna per difendere la reputazione della loro amica, per smontare gli stereotipi, per richiamare l’attenzione sui diritti delle persone. Ma soprattutto, nelle trame della vita quotidiana, senza sbavature, lontano dalle vetrine e dai podi, questi ragazzi ci mostrano che si può, anzi, si deve coltivare il sogno di un futuro collettivo migliore e che la vita ha senso soltanto nell’appartenenza, nell’essere con gli altri, in relazione .

Libri così, ci fanno sperare che il cinismo, lo sfruttamento reciproco che condiziona i rapporti di troppi adulti andati a male, sarà arginato dalle nuove generazioni, che ad esempio, tappezzeranno la facciata esterna dell’istituto scolastico con degli striscioni per rispondere agli attacchi omofobi ricevuti da un loro compagno. È successo a Brindisi, con un flash mob di solidarietà, appena qualche giorno fa. Succede anche nel romanzo, con un flash mob all’ingresso della scuola in omaggio a Laura, la bellissima ragazza processata dalla stampa dopo il tentativo di violenza, con frasi striscianti del tipo: se l’è cercata, troppo provocante, era vestita in modo succinto…

In questo libro apprezziamo il valore di chi combatte per la propria e per l’altrui felicità, e poco importa se si lotta per difendere il proprio diritto a portare un vistoso fiore tra i capelli, oppure per superare una difficilissima operazione di mastectomia bilaterale. Hanno valore entrambe le situazioni, perché entrambe celebrano la vita.

È un libro che canta la gioia in ogni sua forma, come si legge anche nella poesie che compone il protagonista. La voce poetica di Valerio, che dissemina versi e filastrocche, è opera di Roberta Lipparini, autrice delle poesie, che troviamo impastate qui e là in un romanzo che arriva come una carezza.

Oppure, per usare il linguaggio cinematografico cui spesso l’autrice fa ricorso, è un libro che vi terrà compagnia molto oltre i titoli di coda.

 

 

Mara Mundi, bibliotecaria e giornalista, è laureata in scienze pedagogiche e della progettazione educativa, con un corso di perfezionamento in letteratura per l’infanzia e promozione della lettura. Autrice di due saggi, pubblicati da Aracne, è convinta che leggere ad alta voce per persone di ogni età sia un atto d’amore e di cura.

 

 

 

 *Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non. Questa recensione mi è particolarmente cara. Grazie Mara!

Giuliana 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

MA…

Un anno importante il 2018 per me. Due nuovi libri per ragazzi 13/17, quell’età per cui mi piace tanto scrivere. E un’età con cui mi piace tanto dialogare, infatti è nato anche un gruppo di lettura 13/17 nella biblioteca del Comune dove vivo, quello dei Lettori Ribelli. Un percorso il mio cominciato tanti anni fa e proseguito con tenacia. Ho lottato per quello che volevo fosse il mio mestiere e per farlo come lo intendo io.

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Ultimi usciti…

I ragazzi 13/17 non leggono, sembra incredibile voler scrivere per loro.

Ma… esiste un MA grosso, gigantesco. È quella congiunzione avversativa che racchiude in sé le potenzialità inespresse, accantonate, disabilitate. Esiste la fiducia in un futuro prossimo che sta tutta stipata in quel MA.  Le biblioteche scolastiche praticamente non esistono, ma tante insegnanti leggono insieme ai ragazzi; le biblioteche in generale non hanno fondi, ma i gruppi di lettura nascono e vivono nelle storie; le librerie a volte sono costrette a chiudere, ma noi scrittori continuiamo a scrivere pensando come lettore ideale un ragazzo o una ragazza.

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LEGGERE RIBELLE/ http://www.leggereribelle.com

Sembra l’azione di un manipolo di folli, eppure quella follia è ossigeno. Forse elio, forse un gas inebriante che contagia e  appassiona. Ogni romanzo appartiene a un lettore, eppure la storia può essere sempre la stessa che unisce nella naturale diversità di ognuno. Le buone storie non devono insegnare nulla, eppure nelle storie impariamo a essere liberi e a esercitare la nostra libertà.

I ragazzi e le ragazze che vivono pienamente il loro presente, ma hanno anche un libro  da leggere tra le mani, hanno dei sogni nel cassetto. In quel cassetto sta il futuro, anche quello di noi adulti di oggi.

Solo il vero folle non crederebbe nei ragazzi lettori e nelle ragazze lettrici.

Buon Natale e sereno anno nuovo!

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Le  mie  prossime letture!
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I miei libri…
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I miei libri…
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I miei libri…
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I miei libri…
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I miei libri…
Pubblicato in: Come nascono le mie storie

#lafigliadellassassina

Come nascono le storie?

È sempre una domanda difficile cui rispondere.

A volte (almeno questa volta è andata così) capita che ci sia un’urgenza cui dare sfogo. Un bisogno che forse potrebbe non essere solo mio e per questo scelgo di scriverne. Siccome un buon romanzo non dà mai risposte, questa piccola storia insieme alla sua autrice si pone solo giganteschi quesiti: qual è la verità? La verità, quella vera, quella che: è così e basta!, esiste? Sì? No?
Forse corrisponde al vero l’ormai famosa frase dello scrittore statunitense Jim Harrison: «La verità non esiste: esistono solo le storie».

Insomma leggere e ascoltare in un mondo rumoroso e cacofonico che parla e scrive e continua a parlare e scrivere di tutto e su tutto; dove l’umore batte l’oggettività e l’oggettività serve l’umore; quando prestare idee è un mestiere e noleggiarle è un risparmio di pensieri e di tempo, orientarsi tra le mille sfaccettature di una verità è difficile. A tratti angosciante. Meglio lasciar perdere. Meglio non farne una battaglia? Fate voi.

Tutto questo è solo la carica di adrenalina che ha mosso l’idea del romanzo.

(Non la chiamo ispirazione, l’ispirazione è una cosa troppo complicata. È il nome di una barca a vela, la mia).

Spesso nelle mie storie i fili che s’intrecciano sono sottili come se ricorrere a una trama semplice (seppur affilata e tagliante) sia sempre sufficiente a guidarci. Come se i dialoghi adolescenziali, senza parole troppo belle, volessero condurci nel quotidiano e mai nell’assoluto. Quello viene dopo, fuori dalle storie. È dentro di noi.

Rachele e Daria sono diverse e non saranno mai amiche. Sono una vittima e una carnefice nel gioco della verità che sta attorno alla vicenda di una donna, Eva Contini, che uccide un’altra donna con ferocia. Eva Contini, la madre di Rachele, la moglie di Gerald, l’amica di Leone e Magda, l’assassina, #lassassina.

E intorno a loro: Joshua, la madre di Daria, Matteo, Andrea, Martina, Anna, Antonio Loforte. Gli altri. Tanti altri che parlano tra loro, condividono, indagano, scrivono. Vivono nel microcosmo di una storia camminando per le strade, sedendo in giardino, togliendo i panni da uno stendibiancheria, ascoltando nell’ufficio di una caserma.

 

Passano le ore e la storia va avanti; passano velocemente le ore se t’immergi nella lettura di un romanzo dove trovi le sicurezze che la vita non ti dà ma, la vita, Rachele deve affrontarla e con lei, noi, cercheremo di capire qual è la verità. E poi, anche noi come Rachele, andremo avanti a leggere fino all’ultima pagina.

Un romanzo, una storia che tanto mi coinvolge e appartiene, che Sinnos Editrice ha scelto di custodire nel suo catalogo, che spero vi lasci qualcosa: un’emozione, un pensiero, la voglia di leggere ancora. Anche non me, ma leggere.

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LA FIGLIA DELL’ASSASSINA

SINNOS Editrice

Collana Zona Franca – dal 22 novembre 2018 in libreria

Gerald, Rachele e Joshua non hanno più nulla. La loro triste vicenda familiare ha avuto un forte clamore mediatico e Gerald e i figli sono stati al centro dell’attenzione di articoli giornalistici e scandalistici. I genitori di Gerald dall’Inghilterra non si fanno vedere, ma l’uomo sistema la loro roulotte nel grande giardino dell’amico Leone Batista e vi si trasferisce con Rachele e Joshua lasciando definitivamente Roma. Leone, sua moglie e i figli, li accolgono, ma la convivenza non è facile, anzi la loro presenza in paese desta la curiosità degli amici dei ragazzi. 

Rachele attira l’attenzione di Daria che la fotografa e sul web la foto diventa virale in poche ore con l’hashtag #lafigliadellassassina. Rachele, esasperata, s’intrufola nella scuola del quartiere. Sale fino sulla terrazza, sul tetto, e rimane nascosta. Ha con sé un libro e comincia a leggere. 

L’unica a scoprire dov’è nascosta Rachele e a raggiungerla è Daria. Le due restano da sole per dieci ore, mentre in paese tutti le cercano e gli appelli si moltiplicano di ora in ora.

Una storia che riguarda adulti e ragazzi: nessuna morale, nessuna punizione per nessuno e forse nessuna salvezza, perché il finale nella vita resta comunque aperto, fino all’ultimo.

Buona lettura!

(su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI tutte le segnalazioni e le recensioni)

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Ho incontrato un poeta

Caro Roberto Piumini,

voglio ringraziarti. Non l’ho fatto subito perché sono lenta e alle consapevolezze arrivo sempre un po’ “dopo”.

Sono venuta al laboratorio ICWA di sabato scorso senza aspettarmi nulla e quindi rilassata.

So, perché lo hai detto tu, che questo genere di laboratori li tieni anche nelle realtà disagiate del Paese, con bambini e adulti. Loro producono dei materiali che provengono dal loro territorio o da loro stessi e tu li fai diventare poesia. Questo, perché possano guardarsi come in uno specchio con i tuoi versi. Insomma è un modo per aiutare le anime a salvarsi.

Nel tuo laboratorio ci hai chiesto di creare su un foglio delle immagini, di non raccontare, di non usare parole, di gettare sulla carta emozioni legate a un tema (per me Folla). Immagini che tu poi avresti tradotto in poesia. Lo abbiamo fatto con un gruppo di lavoro, ma in fondo anche singolarmente. In uno spazietto io ho ritagliato un grosso cruciverba da una Settimana enigmistica e l’ho sminuzzato, ho stropicciato i pezzettini di carta, li ho ben bene maltrattati e poi li ho incollati vicini, sovrapposti, scomposti. Mi sono sporcata le mani di colla mentre disponevo brandelli di carta non a caso, seguendo dei comandi precisi che arrivavano da me, ma che non ordinavo io.

Da quella parte del cartellone/immagine tu hai tratto due versi:

“la gente cruciverba,

(non fu, anche il Primo, in croce?)”

Versi importanti e bellissimi.

Durante le successive fasi del laboratorio nelle quali ci siamo confrontati e spiegati hai detto che attraverso l’immagine della gente cruciverba, funzionale al testo poetico, volevi arrivare all’immagine di Cristo e non viceversa.

Da anni mi metto in discussione. Mi sono capita e ritrovata nel percorso del tuo laboratorio di poesia. La scrittura nei suoi contenuti, per me, rimane un percorso creativo. Quando scrivo, racconto una storia verso la quale ho solo un ruolo servile, pur essendo io stessa a crearla non so né da dove e né come nasca (esattamente come la disposizione dei pezzettini di carta di cruciverba). Eppure dalle mie storie i ragazzi sono arrivati a concetti importanti (forse non come Cristo) e me li hanno svelati.

Si può essere diseducati nei contenuti dello scrivere, forse la creatività non è educata e se in qualche modo educo con un romanzo non lo faccio apposta. Forse non sono abbastanza brava, forse è un’idea deviata della scrittura la mia, ma mi sono riconosciuta ed è un buon punto di partenza o almeno un sollievo per me. Grazie.

Scrivo per ringraziarti, ma scrivo anche per non dimenticare. Dopo averla inviata a te e dopo il secondo laboratorio ICWA per non spoilerare, metterò questa lettera sul mio blog (dove di solito è un cane a parlare) perché lì ci sono io.

Con gratitudine,

Giuliana

(domenica, 15 ottobre 2017)

 

Pubblicato in: Pensieri canini

Zuffa di sera, bel tempo si spera

Grosso meticcio a ore nove, Rottweiler a dritta e alle spalle un Labrador. Ad agosto stare in campeggio per noi cani non è uno scherzo. Gli umani non capiscono niente, ci mancano di rispetto. Il nostro naso è tormentato da infiniti messaggi odorosi diversi, il nostro istinto vorrebbe mettere ordine: stabilire gerarchie, allontanare i provocatori, identificare i reietti ma non è possibile. Infiniti guinzagli ci inchiodano in un quadrato di terra, senza neanche una recinzione a dare un senso alle nostre frustrazioni. Mi domando se sia questa la domesticazione…

Giorni fa, in val di Fiemme, abbiamo incontrato tre simil-border liberi nei campi lungo la strada. Mi hanno individuato da lontano e mi sono venuti incontro. Erano tipi montanari, tutto muscoli e lotta per la sopravvivenza. Zuffa di sera bel tempo si spera, mi sono detto. Poi mi sono ricordato di essere al guinzaglio e che dall’altro capo mi trascinavo la Umi* che è una che raccoglie le deiezioni e sfila orgogliosa davanti ai forestali nel bosco con me al piede. Niente zuffa, mi sono detto, buttarla a terra con uno strattone mi dispiaceva. Allora ho sentito la Umi dire: Richiamate i cani, per favore.

Lei chiede sempre per favore. Come se qualcuno facesse mai un favore a qualcun’altro che non sia se stesso. Lei è così. La trattano male e si avvilisce: non riesce a capire le cattiverie. Non ci arriva. E’ scema.

I cani da pastore mi hanno guardato e io ho bloccato la coda ritta in alto, ferma come una mezzaluna dal pennacchio bianco:  sarò pure al guinzaglio ma non ho la museruola ragazzi, intendevo dire a chiara coda. Il contadino, il capo di quei tre rozzi, era grosso, indossava una giacca vecchia e un cappello calato fin sugli occhi. Quello che della sua pelle si vedeva era del colore della corteccia degli alberi, scuro e rugoso. Ha fatto un sibilo che la Umi non ha sentito, ma che mi ha trapassato il cervello. Io non muovevo un muscolo tenendo d’occhio quei tre, ma loro si sono ritirati e hanno riparato accanto al loro grosso umano. Si capiva che si sarebbero divertiti a farmi a pezzi, ma avevano rinunciato. Lui era la mano che li sfamava dopo ore di guardia o di lavoro tra le pecore o le mucche, chissà. I tre gli scodinzolavano attorno, c’era un patto tra loro: tu mi sfami, io ti obbedisco, ‘fanculo la libertà!

Un classico, ma lo ammetto, un patto è più bello di un guinzaglio.

Io sono rimasto immobile, con un’orecchia e mezza dritte e lo sguardo attento. La linea del mio corpo elegante non aveva nulla a che fare con quei tre, la mia intelligenza da blogger, la mia convivenza con una scrittrice facevano di me un animale diverso. Sono sempre un cane, ma vuoi mettere?

Alcuni di noi cani lavorano nelle fattorie, altri praticano sport e parecchi fanno da badanti nella case degli umani. Poi ci sono io che sto con la Umi e penso che patto o guinzaglio la vita sia sempre un compromesso e, ‘fanculo la libertà, io proteggo la Umi che degli umani non ci si può mai fidare.

Concludo con un consiglio letterario non occulto né disinteressato (se lei vende io mangio): l’ultimo libro della Umi: UN’ ESTATE DA CANI che purtroppo non è la mia autobiografia, ma è strepitoso ugualmente. Abbaio mio!

 

 

 

(Umi= Umana di Riferimento, in questo caso Giuliana Facchini, leggi anche Spieghiamoci… per capire meglio! nda)