Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Con il cuore in mostra, auguri!

Leggere romanzi è fare un patto con l’eternità, scriverne é non arrivare mai.

Amavo il Natale non lo amo più. Erano giorni di dolci speciali, di addobbi e di sorprese. Di persone, tante persone e di giochi. Di gatti e cani che dopo la mezzanotte parlavano di nascosto tra loro. Tutto questo non è più. Ma c’è ancora che i miei due figli dalla notte della vigilia al pranzo di Santo Stefano stanno qui, a casa, con me. Cucino per loro, decoro la casa, ci scambiamo pacchetti e riempiamo le ore di ricordi, film, risate, partite a scarabeo. Tutto si trasforma e il confine tra madre e figlia è labile; il mondo intorno è un macigno doloroso e bisogna starci e ci sta pure che questo non sia più il mio periodo preferito dell’anno. Se non fosse per ragioni personali, almeno per rispetto.

Dunque, poi, io leggo tanto, studio, scrivo, dormo, vedo le mie due amiche del cuore, cammino e penso parecchio. Positivi o negativi faccio bilanci, conti, sconti, disavanzi.

Quest’anno il positivo l’ho messo in mostra. A fuoco spento ma che lambisca il pericolo. Lo voglio guardare e lo mostro, perché lì lo sguardo punti. E un po’ stupisca perfino me.
A catalogo 18 + 1 in arrivo; romanzi scritti, amati, donati (+4 fc).

Tengo il conto? Metto in mostra come i bambini con le figurine? È un gioco? Sì, pieno di passione.

C’è la parte bella di me tra quelle pagine, se basta non lo so, ma sono grata alle editrici che mi hanno pubblicata e accompagnata perché tutto é stato fatto credendoci a piene mani, ai lettori e alle lettrici, ai colleghi e alle colleghe che mi sono amiche.

Comunque i conti non tornano mai quando si tratta di libri, (quindi chi mi legge compri i miei romanzi che aiuta), eppure vuoi mettere quanta strada?

Vissuto e umanità, parole e pensieri, carezze e disincanti?

Vuoi mettere?
Non so neanche se il mio è un mestiere, non so se è il più bello di tutti, ma so che c’è tanta vita dentro; c’è amore, ricerca, dolore, inquietudine, ambiguità, amicizie, lieti fine e finali aperti.

Romanzi stampati su carta rispettosa dell’ambiente con caratteri inclusivi, a volte disegnati altre poetati, regalano mondi da immaginare, storie da portare con sé o da lasciare andare, seminano possibilità o evasioni.

Si tratta pur sempre solo di romanzi eppure i romanzi, quando capita e se capita, anche solo a causa di una virgola sbagliata, ci cambiano e ci portano realmente altrove prima, durante o dopo aver letto l’ultima pagina.


Leggere romanzi è fare un patto con l’eternità, scriverne é non arrivare mai.

Buone feste!

Curiosi? A gennaio!
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Spazio YA. Investiamoci, investiamolo di buone storie.

Inno all’originalità o almeno al tentativo, al provarci, allo sforzarci se scriviamo per ragazzi e ragazze, e a cominciare escludendo. Escludiamo tutti i protagonisti che pensano da vecchi, gli incongruenti. Sono vent’anni che entro ed esco dalle scuole e che leggo libri per ragazzi e ora più che mai i dodici/tredicenni maturi o dannatamente inquieti – ma con fascini composti – non li vedo proprio né nella realtà né nei sogni o immaginari contemporanei. Forse non ci sono mai stati, di sicuro ce li siamo inventati. Con questo non intendo che si debbano raccontare gli adolescenti di oggi a specchio, a loro uso e consumo. Per carità. Ma che i personaggi debbano essere credibili, vivi, autosufficienti.

Per nulla togliere agli ado di oggi, soprattutto perché sono un nostro prodotto, vedo maschi disinteressati/disinteressanti e femmine interessate solo al loro mondo romance. Le femmine sono avanti e nonostante quella sia spazzatura se ne fregano, almeno quella è roba loro e senza interferenze o travestimenti. La ribellione è un valore fondamentale per formare lettori. Da sempre, mica da oggi.

Sono materia informe gli ado. Non è un giudizio cinico, è come è sempre stato, come deve essere, come era quando ero ragazza io e prima mia madre. A lei proibivano di leggere Salgari, di me schifavano le Espadrillas puzzolenti.

Forse lo dobbiamo rispettare questo divario generazionale, forse è sano, forse gli sforzi inorriditi di noi femministe davanti alle ancelle dedite ai bad-boy li dobbiamo trasformare in creatività potente, utilizzando la nostra anzianità letteraria e saggezza sociale dobbiamo trovare ponti infuocati, originali e alternativi.

Non siamo saggi? Impariamo a esserlo, possiamo, basta insicurezze, perché essere vecchi ci ha fornito anni di esperienza accumulata da mettere nell’estrattore per procurarci l’elisir della sapienza. Facciamolo. Partiamo da noi.

Tutto ciò mi porta a un’ulteriore evidenza: i romanzi young adult non si pubblicano perché non li leggono, il loro spazio sul mercato è occupato dal romance. Concetto secco, preciso, inconfutabile.  Oppure, in conseguenza a quanto scritto sopra, abbiamo calato le braghe noi autori e autrici e gli editori pure. È colpa del mercato. È sempre colpa di qualcun altro da Spinoza in poi, almeno.

Però con i libri si vende libertà e autonomia di pensiero, mica patate (con grande rispetto per le patate, che adoro, quelle rosse di più).

Per essere precisi bisogna aggiungere che resistono ancora nelle collane YA gli scrittori e le scrittrici straniere, un po’ con e un po’ senza motivo, un po’ per il fascino dell’esotico, un po’ per questioni strettamente economiche legate ai progetti europei di traduzione. Una storia banale ambientata nel Nord Europa ha il suo fascino; luoghi, relazioni e dinamiche diverse da quelle casalinghe incuriosiscono. Mica a torto. Alcune sono anche coraggiose per noi, non per i Paesi da dove provengono.

Dunque e comunque Chambers e Murail sono diventati obsoleti?

Chi si occupa di letture e bibliografie per i giovani adulti cerca storie tra quelle che escono per il pubblico adulto, spesso con editori indipendenti. Ne deduco che quelle storie di letteratura giovanile servano ancora, solo che bisogna cercarle altrove. Gli editori specializzati per ragazzi e ragazze, alcuni fondamentali, pare non siano più all’altezza – a ragione o meno. E alcuni si sono buttati sul romance. Lo YA ha perso attrattiva e potenzialità come etichetta.

Insomma, quello in cui credeva Chambers serve ma va cercato altrove. E altrove non sempre si trova.

Nel mio lavoro di lettrice per Leggere Ribelle, il gdl dai 13 ai 17anni che coordino, ho incontrato storie consigliate per loro ma pubblicate da editori per adulti. Alcune, poche, funzionano. Parlano ai ragazzi e agli adulti. Come succede ed è sempre successo con i romanzi. Altre no.

Se scrivi con gli occhi di un adolescente e uscivi in collane YA, con lo sguardo adorante rivolto ai maestri quali Cambers, Murail, Almond, Dowd e altri, i tuoi protagonisti stabilivano un’empatia con il lettore che non è quella di chi scrive per adulti. Non è che sei educatore, assolutamente no, ma sei diversa o diverso, c’è una sensibilità autoriale diversa in te, c’è una peculiarità squisitamente letteraria che si sublima nella letteratura giovanile. Se sei un lettore o una lettrice lo capisci, lo senti. Far fuori questa categoria di scrittori e scrittrici è un peccato.

Sono materia informe gli adolescenti mica stupida. Tutt’altro che stupida. Provate a parlarci esortandoli con onestà – se chiedi fiducia, dai prima fiducia – a smettere di cercare un messaggio nei romanzi che leggono, a buttare via le regole di comprensione ben scritte a scuola, a ribaltare tutto e lasciateli sbrigliati tra le pagine. Se ci riuscite, e non è detto, sapranno criticare con ferocia scorretta e grandiosa. E non ci dispiaccia; per creare lettori serve smantellare, stupire, esibire qualità altissima che sappia incidere l’indifferenza.

Il potere non lo abbiamo noi che scriviamo, ma i romanzi e le storie raccontate, disegnate, suonate, vissute. Noi dobbiamo solo essere all’altezza, ma dobbiamo impegnarci, non siamo da buttare noi scrittori e scrittrici per ragazzi e ragazze, non lo sono le collane YA. Tutt’altro. Abbiamo quella chiave che traghetta, conosciamo quello spazio giovaniadulti (tutto attaccato) che ha un suo senso e una sua dignità bella.

Proviamo a investire nelle storie di letteratura giovanile di nuovo? Proviamo a riprenderci quel terreno che ci è stato sottratto dai romance (a ragione perché ce lo siamo voluto)?

Investiamoci, investiamolo di buone storie.  

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Qui da noi, giochiamo a briscola con il morto?

Per me questo è un periodo professionalmente pieno di pensieri buoni, che si intrecciano con la vita e i giorni che passano. Sono soddisfatta di me e forse per questo sempre costretta a prendere decisioni, a rimodulare le scelte, a farmi domande tra cui chiedermi cosa voglio davvero nel mondo editoriale.

Nel mondo editoriale c’è talmente tanto con gli esordi che si moltiplicano (tra l’uso improprio e il sano scouting), i troppi per essere veri/e romanzieri e romanziere, gli scrittori vari e imprecisati. L’editoria ragazzi va un po’ da sé ed è ancora un buon posto, anche se più che inventare storie si inventano modi per farle leggere, ma ci sta.

Su tutto la questione economica che non può fare a meno di pubblicare libri, anche in assenza di buoni romanzi, con il malcelato ripiego verso il macero, vero rifugio finale della filiera.

Mi viene da chiedere se esista ancora il romanzo, se non sia stato sepolto per tenere in vita il suo mondo in qualche modo senza di lui.

Non è che non si legge proprio per questo motivo?

Leggere è una pratica ormai comune, ma si conosce quello sbandamento nel vivo impalpabile delle pagine del romanzo o tutto si confonde con i volti degli autori/autrici, nell’intrattenimento, i generi, le storie moraleggianti?

Il romanzo, quel luogo artistico dell’immaginario che assomiglia al grande cinema o alla meraviglia che sorge grande con certi dipinti o fotografie.

Ma poi c’è spazio nella vita per entrare motivati, come quando affamati varchiamo la porta del fornaio, in un museo o in libreria a cercare qualcosa che vada oltre le necessità e la sopravvivenza quotidiane? Intendo un bisogno di quell’arte che parla all’anima e assomiglia alla fede. I giovani la riconoscono quella lingua trasognata e intima che ci scuote e ci fa capaci di pensare universale e umano?

Penso a mia madre bambina appesa alle labbra di una zia che raccontava storie di paesani e di santi. Penso ai reading party di oggi e alle persone insieme una sera in un chiostro a leggere, ognuna con il proprio libro, diverse e uguali. Penso a chi perde un arto e gli pare di averlo ancora. Non ce ne accorgiamo ma le grandi storie ci mancano. Non sappiamo dirlo, non abbiamo gli strumenti, ma forse i nostri corpi ancora si cercano, si raggruppano, timidamente dimostrano una spinta viscerale verso quell’arto fantasma. Se tutto è perduto se non quel ricordo, c’è speranza.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

LEGGERE TEEN

Una chiacchierata, una testimonianza, un ringraziamento.

Durante l’estate 2024 per prepararmi a condurre le ragazze e i ragazzi di Blurandevù del Festival Internazionale della Letteratura di Mantova mi sono ritrovata tra le mani tanti miei appunti su cui ragionare, volevo trovare il modo giusto di rivolgermi a quelle ragazze e a quei ragazzi, e poi ho cominciato a pensare di farne una narrazione, nulla di troppo impegnativo, solo un po’ di ordine e forse nemmeno troppo, in quella che è la mia esperienza con i gruppi di lettura. Nel mese di settembre l’ho messa in prosa.


Leggere Teen è un racconto innamorato delle giovani lettrici e dei giovani lettori, di tanta bella letteratura giovanile, di un mondo di libri, storie, ragazze e ragazzi bellamente imperfetto e divertente. Chi non legge non sa quel che perde.


È anche un grazie a chi fa tanto per formare lettrici e lettori adolescenti; è un grazie a insegnanti, educatrici, bibliotecarie, libraie illuminate (il femminile si consideri esteso!) ed è un grazie a quei genitori complici.
Ci ho messo del mio, metodo e dubbi, un po’ di voci Leggere Ribelle e un racconto alla fine, una specie di bonus track, perché non ci si confonda su chi sono e perché prima di tutto sempre si legga.

Grazie a Livia Rocchi per un primo editing discusso ma giusto, lei è precisa io molto meno.

Grazie a Marta Bracciale, gentile e instancabile, che ha accomodato Leggere Teen per la sua uscita al Salone con relatori autorevoli. E ha accomodato anche me.

Grazie all’ufficio stampa La Chicca che lo ha lanciato in rete con parole belle.

Last but not least, in ultimo il grazie più sentito a Sara Saorin e Francesca Segato , le Camelozampa, che sanno vedere dove io non so e ancora una volta hanno confezionato il tutto meravigliosamente intuendo esattamente cosa questo non-manuale vuole essere.

Un piccolo libro, una allegra e breve testimonianza, tante professionalità dentro e fuori le pagine e io così felice di poterlo condividere che non lo so dire.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Dalla parte delle lettrici e dei lettori

Nulla di nuovo se dico che in Italia tutti scrivono e pochi leggono. Come se tutti coltivassero pomodori e facessero conserve, ma a nessuno piacesse la salsa di pomodoro.

Insomma tu scrivi, vuoi che ti leggano e quindi cerchi di pubblicare ma non leggi i libri degli altri. Atto incoerente e privo di umiltà, e quest’ultima serve a badilate in qualsiasi professione artistica o creativa.

Torno ai lettori e alle lettrici, io sono una di loro. Ultimamente ho letto tre libri di Olivia Laing e mi sono appassionata alla sua scrittura. Non facile, intensa, profonda. Ragiona spesso di solitudini e questo è argomento che mi interessa molto. Scrive di arte, di storia e di natura e con tutto questo trascina in ragionamenti che possono incontrare l’anima di chi legge, la mia di sicuro.

Benché abbia altro da leggere oltre a lei, ieri mi sono messa a sbirciare tra gli e-book che erano di mia madre, ma che sono rimasti nel mio kindle. Una scrittrice ha attirato la mia attenzione, e poiché il suo nome era stato fatto più volte da un’amica stimata, ho cominciato a leggere. Si tratta di un romanzo di Nora Roberts, non è quello che leggo di preferenza ora, piuttosto è quello che leggevo una volta, ma pagina dopo pagina mi sono accomodata in quella storia.

Considero la lettura un atto anarchico. Con i romanzi siamo liberi, ci soffermiamo dove vogliamo, quando e se vogliamo.

Ora che l’onda dei romance travolge le giovani lettrici, quando le incontro nelle scuole non mi sogno neanche per un momento di dire che quello che leggono fa schifo. Anche se lo penso lo tengo per me. Propongo, però, storie (d’amore) belle e ben scritte che se le iniziano non smettono di leggere, restano tra le pagine. Roba buona che solo perché è buona fa la differenza con il resto e forma – senza fatica, senza filosofia subdola, senza mettersi in cattedra – il pensiero di lettore o di lettrice, affina il gusto.

Ma leggere può essere come guardare un dipinto. Puoi avere una guida che te lo spiega o – come è prerogativa dell’arte – puoi farti trascinare al di là del tempo e della conoscenza e ascoltare tela e colori.

Se leggiamo letteratura contemporanea (o anche no) possiamo concederci di restare liberi, arrivare se e dove arriviamo. No, io non credo che si possa o si debba insegnare a leggere, ammaestrare il gusto. Fuori dalla scuola almeno, nei gruppi di lettura specialmente.

Che non vuol dire affatto non formare lettori!

Voglio essere libera di leggere come voglio e quello che voglio in un romanzo. Siamo io e la storia, e sono fatti miei quello che capisco o meno e soprattutto non c’è una lettura sbagliata e una giusta, c’è la mia. E va bene così. Non devo renderne conto a nessuno!

A volte, per questo, è complicato leggere a scuola nonostante tanti bei progetti. Non è colpa di nessuno, è che la lettura pare cosa vicino allo studio e quindi ecco che i romance diventano un atto di libera autoaffermazione. La lettura per appassionare si deve accompagnare al senso di ribellione, è nella natura di un buon romanzo portarci altrove. Ma un buon romanzo oggi ha fama di essere adatto solo a educarci e nessuno ha voglia di farsi educare, soprattutto se si passa la mattina a scuola o al lavoro.

I buoni romanzi sono caduti nella rete di quella roba lì, in disgrazia. Nessuno sa più che in un romanzo siamo pienamente liberi e padroni di noi stessi. C’è qualcuno che ce li vuole spiegare e se non li abbiamo capiti come dice, finiamo per sentirci in colpa. Che brutto tunnel per questa forma d’arte meravigliosa che è la letteratura.

Per formare lettori bisogna restituire ai romanzi la loro libertà.

Ti è piaciuto? Sì!
Perché? Non lo so…
La prossima volta lo saprai, chissà!
A far pratica nelle storie si scoprono un sacco di cose di se stessi e degli altri, senza fretta, con i nostri tempi. Rispettabilissimi, sempre.

Se smettiamo di utilizzare la nostra capacità di immaginare restiamo schiavi dei romance, dei finali chiusi, dei personaggi descritti nei minimi particolari. Ci devono dire tutto, altrimenti non ci piace, ci affatica immaginare se non siamo abituati. Siamo lettori schiavi e addomesticati.

Ma se a un buon romanzo gli rubi la libertà, questo accade.

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Meteo e perfezioni

Il Salone di Torino mi affascina da sempre, quest’anno il progetto Adotta è stato esplosivo nella mia testa.

Testa, appunto.

Dimensioni, spazi di vita particolari che si creano inaspettatamente e per caso. Mi sono rimasti dentro un sacco di pensieri, vivo di empatia e mi ci ammalo al bisogno.

Dunque, mi sono preparara con cura per Torino; ho scelto cosa avrei indossato, il sabato mi sono fatta la messa in piega (fa anni Sessanta, fa ridere) e ho preparato bene lo zaino. In treno ho iniziato un audiolibro potentissimo Non lasciarmi di Ishiguro.

Tutto perfetto.

No, la perfezione non esiste.

Infatti ho dimenticato l’ombrello.

Ma non pioveva.

Però era prevista pioggia.

E io ho sfiduciato le previsioni meteo perché quando tutto è perfetto non puoi avere intuizioni sbagliate.

Eppure dentro resto una campeggiatrice, con il DNA ben organizzato, una che pesca nella borsa la forcina per capelli e risolve.

Capelli, appunto.

Prima di lasciare l’albergo ho ripassato mentamente se avessi almeno qualcosa per riparare la benedetta messa in piega anni Sessanta in caso di pioggia. Ma non avrebbe piovuto e comprare l’ennesimo ombrello era impensabile.

Non avevo nulla con me di impermeabile, allora ho perquisito la stanza d’albergo in cerca di qualcosa e infine qualcosa ho trovato e soddisfatta sono uscita per prendere la metro. L’aria era incerta, ma non mi sarei lasciata ingannare dall’accorto ambulante che vedeva ombrelli clandestini.

Alle 19:00 la pioggia picchiava sul tetto del Salone.

Avrebbe smesso, ne ero certa.

Alle 20: 00 l’altoparlante annunciava che il Salone stava per chiudere, di avviarsi all’uscita. Gli espositori coprivano i libri, io ancora esitavo dando alla perfezione un’ultima possibilità di esistere.

Quando davanti avevo solo il piazzale di via Nizza, annegato di gocce, da coprire fino al tunnel della metro, ho immaginato le foto del giorno dopo all’evento finale di Adotta l’autrice con la capigliatura arricciata alla pecorella. Quindi ho fatto un bel respiro, scartato e indossato la cuffia da doccia presa in albergo solo a scopo precauzionale e guadagnato con passo sicuro la stazione della metropolitana.

Ricordo indelebile del Salone 2024.

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Come con i denti del giudizio che non servono più?

Fino a ora, nel 2024, ho fatto incontri letterari con studenti e studentesse intensi, belli, centrati. L’ultimo con cinque classi di terza media in due gruppi, il mio intervento era pagato e programmato da tempo.
In 6 tra tutti avevano letto il mio libro.
Non posso dire che non sia stato bello: ragazzi e ragazze attenti, la parte femminile accanita lettrice di romance. Abbiamo parlato di tutto, raccontato la storia del mio romanzo con chi aveva letto a beneficio di chi non lo aveva fatto, ho spiegato la mia passione per la lettura, promosso, risposto ad alcune curiosità. Una ragazza voleva intraprendere la carriera di scrittrice e passo per passo abbiamo provato a capire come fare, in mancanza di un percorso nelle università pubbliche. Insomma tre ore in due turni dense e vissute davvero bene tutti insieme usando le storie come collante.
Le professoresse sono state in fondo e ci hanno ascoltati dialogare.
E allora io mi domando: perché non hanno fatto leggere il mio romanzo? Erano ottime classi, disciplinate e con buona proprietà di relazione e linguaggio. Se le docenti non volevano far comperare un libro, potevano caldeggiare la biblioteca visto che da lì è partito il progetto. Potevano leggersi 150 pagine e raccontarle, dedicare al libro solo trenta minuti da sottrarre al programma. Perché perdere questa opportunità? Perché ignorarla in modo quasi offensivo per chi come me ha comunque lavorato con le classi? È stato bello perché io ci ho creduto, ma poteva essere ancora meglio.
Non mi hanno detto una parola e io non ho chiesto. Non impongo nulla, figuriamoci, io faccio un mestiere creativo, mi propongo non inseguo, provo a condividere.
Non hanno colto l’opportunità semplicemente perché a loro non interessava. Punto.
E perché questo episodio, vissuto peraltro benissimo con i ragazzi e le ragazze, interessa me?
Perché si innesta in un discorso più ampio, quello sul futuro della lettura e dei libri e quindi anche un po’ il mio. Leggere non è una pratica istituzionalizzata perché non importa che sia tale. Temo.
Tutti si riempiono la bocca del valore della lettura, ma questo è per lo più sconosciuto.
Quelle come me faticano a rendersene conto perché frequentano realtà virtuose come alcune scuole e i festival. Quelle come me finiscono per vivere tra persone che pensano e vivono con i libri, ma non sono la maggioranza, anzi sono una minoranza nel Paese. Siamo troppo pochi e non tiro in ballo i territori difficili. Io ero a quindici chilometri da casa.
E dunque i dati della lettura diventano realistici. Si pubblica troppo e non si legge perché nella maggior parte dei casi non interessa neanche nelle sedi legate ai saperi, come le scuole. Non abbiamo una laurea magistrale in scrittura creativa perché scrivere e leggere, con parole grossolane, possono essere definiti un hobby. Ho anche dei dubbi sui numeri dei libri venduti, soprattutto nelle scuole e nell’editoria per ragazzi e ragazze, dove ormai tutti gli scrittori e le scrittrici si affacciano. Entri in una scuola e partono centinaia di copie, quindi si vende.
Ma vendere significa davvero: un libro uguale un lettore?
Perché l’editoria si salva solo con i lettori e non con quelli presunti tali. E io temo che non tutti i libri venduti siano finiti in mano a giovani lettrici e lettori, anche se hanno letto.
L’educazione alla lettura è questione seria e portante. Ma se nessuno rinnegherà mai l’importanza del ruolo di un insegnante, non è affatto così per uno scrittore o una scrittrice.
Faticano tutti a vivere di libri: librai, scrittori e scrittrici, case editrici, i margini economici sono faticosamente bassi.
Che la scrittura e la lettura siano in via d’estinzione?
Come capita con i denti del giudizio che li tolgono perché non servono più?
Sono solo domande, sia chiaro, io continuo a fare quello che faccio, a scrive e a leggere, a incontrare felicemente romanzi bellissimi. Vivo l’oggi, faccio quel poco che è in mio potere per il domani in cui credo, ma nonostante tutto il bello che vedo nel mio piccolo mondo ho un sacco di dubbi sul futuro dei romanzi.
Tutto evolve, magari sono io a non saper vedere. Poca cosa, quindi.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Un buon romanzo è sempre politico

Ieri sera Gramellini (In altre parole, La7) ha detto qualcosa che aspettavo da tempo.

Gramellini, con la dovuta educazione, ha preso la distanza dagli sdraiati, giovani inetti, spesso additati come tali per consuetudine, perché fa audience e anche un po’ per tradizione.

Gli sdraiati di M. Serra è un romanzo che non ho apprezzato e di cui non ho apprezzato neanche la ri-presentazione nel programma La torre di Babele, La7, di Augias (per cui ho grande stima) facendo comunque virare il senso della trama perché non si focalizzasse sul titolo. Ma quel libro è il suo titolo! Ho apprezzato poco anche quanto detto nella puntata Augias-Serra e in quella Augias-Galimberti sul nichilismo giovanile. Soprattutto mi ha tanto irritato il passaggio velocissimo sui movimenti ecologisti, lodati ma definiti irrisori, che non fanno la differenza. Mi sorprende come nessuno abbia considerato la velocità dei cambiamenti odierni. Oggi tutto cambia molto più velocemente che in passato e vale anche se parliamo di ragazzi e di ragazze.

Dalla manifestazione Cecchettin i movimenti giovanili, sono mutati. Quel terribile episodio è stato drammaticamente determinante. A Pisa sono scesi in tantissimi in piazza contro la violenza gratuita dispensata agli studenti e alle studentesse. Dal libro di Galimberti sul nichilismo a oggi le cose sono già cambiate. E mi dispiace che due grandi intellettuali non si siamo fermati proprio su quella scintilla che sono i movimenti ambientalisti per parlare dei giovani e non si siano schierati dalla loro parte per dar loro forza, come padrini. Ho apprezzato il discorso sulle donne in piazza per i loro diritti, ma c’erano anche i loro amici maschi in piazza. I giovani appunto, senza badare al genere. E anche i meno giovani, scusate, eh.

Più la maestra dice che non sa fare e più il bambino non fa. Più lei vede (anche poco) fatto bene e più il bambino farà bene. Questo è un principio che vale sempre.
Gramellini a mio pare ha saputo leggere i nostri tempi, o almeno la sua lettura è la mia.

E chi scrive, anche romanzi per ragazzi e ragazze, fa politica.

Un buon romanzo (come diceva Michela Murgia) fa sempre politica. E aggiungo, è pratica, non teoria, proprio per questo.

A volte finisco di leggere un romanzo e ci penso o solo capisco che qualcosa in me si è mosso. Ogni piccolo cambiamento ci muove verso il pensiero libero e autonomo.

Un buon romanzo esprime un giudizio sui tempi e lo caldeggia, non dando risposte facili, ma condividendo un amore. Io scrivo di ragazzi e ragazze perché vedo in loro delle promesse, mi fido, mi appassiono e per me gli sdraiati sono rimasti sepolti tra le pagine di un libro brutto.

Invece, quanto può far male un libro che diventa best seller seguendo l’onda di quello che più piace perché più comodo e confortevole? È politica. È irresponsabilità. Molto più faticoso essere dalla parte dei giovani, molto più faticoso spiegare cosa sia l’amore tossico.

Tornando alla romanziera che sono, nel mio piccolissimo ho scritto Borders che è un grido ambientalista, dove la vecchia Olmo mette nelle mani di una ragazza e tre ragazzi il destino della biodiversità, e No Borders dove a insorgere per una rivoluzione di idee sono i giovani.

Attraverso il romanzo condivido speranza nel futuro e questa passa per i giovani e questa è politica e attualità. Una distopia (i miei sono romanzi distopici) parla del futuro ma racconta il presente.

Io mi fido dei giovani, questo sto dicendo pur solo scrivendo una storia. E se vengono presi a manganellate dei ragazzini a volto scoperto è perché fa paura quello che potrebbero diventare. Fa paura il rinnovamento che logora il sistema politico vecchio e corrotto. È il germe di qualcosa. Certo, per me è facile scriverlo in un romanzo, la vita è altro, ma è una visione. La mia sicuramente.

Ed è una possibilità. Che da adulti responsabili dobbiamo darci e dare ai giovani.

Io non sono nessuno, per carità, ma credo in quello che faccio e nel come lo faccio. Immagino che non basti, ma la strada è quella giusta e di questo sono sicura.

Non è tutto guadagno economico e successo, non si può sempre tacere perché non faremo mai la differenza.

Quale scopo abbiamo nella vita se non quello nobile di seminare qualcosa che non vedremo mai crescere?

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

No Borders, come nascono le mie storie

Esisteranno sempre ragazzi rivoluzionari e ragazze rivoluzionarie perché solo loro sanno mostrarci il domani migliore.

No Borders è il secondo capitolo di una storia iniziata con Borders.

Fin da subito sapevo che sarebbe stato un romanzo lungo, anche se non sono una che inizialmente pensa troppo alla struttura. Era più un sentire, un bisogno lungo di raccontare, pieno di domande senza risposte, di questioni da aprire, di timori da condividere e di speranze da tenere vive insieme ai lettori e alle lettrici.

Prima di iniziare a scrivere Borders sapevo già tutto, qualcosa più consapevolmente di qualcos’altro. Sapevo quanto doveva accadere, ma non come. Non ho mai scritto una storia a caso, ma neanche troppo precostruita, non è il mio di mestiere quello. Non sono capace, invece per me sta tutto nell’equilibrio.

Scrivere è sfida e scommessa nell’originalità dell’idea. Fatica e divertimento nella stesura. Essere dentro ed essere fuori per quello che c’è di me nella storia.

Certo, il primo volume era soprattutto un grido ambientalista, quello che volevo era un romanzo avvincente d’avventura che parlasse di biodiversità, pianeta, estinzione. L’avventura è solo il come e può bastarci benissimo, la lettura è libertà, ma se ci si vuole fermare sulle pagine di Borders, si può. (È capitato di farlo con i lettori e le lettrici.)

Stesso discorso per No Borders, in cui se pur non abbandonando nulla della prima storia, sono andata oltre: un uomo che si aggira intorno al villaggio viene catturato, cosa se ne deve fare di lui? È estraneo, ruba, non è sano di mente e il cibo costa fatica, la vita è dura, e allora? Bisogna riprodursi per sopravvivere e sono le donne a rischiare la vita per generarne di nuova, quindi? Ma quando la paura non esiste, il cibo non manca, non ci sono armi o criminali, i bambini e le bambine nascono sempre sani, i passi non si sentono sul pavimento fonoassorbente, le foglie secche non frusciano sotto i piedi, né alcun insetto infastidisce la luce dei lampioni? Quando tutto per te è già stato scritto e tu non conosci storie per immaginare la tua vita, cosa accade? Dunque, i semi li hanno, ma come si fa una rivoluzione?

Il mondo fuori Magnolia e quello dentro entrano in collisione e sono una ragazza e tre ragazzi a farlo accadere. Con l’aiuto di una civetta e di un cane. E con Ash che non sa chi è, Lara che lo sa benissimo e Juliet che arriva dritta da un romanzo scritto nel mondo di prima. E nel mezzo lo sconfinato deserto di cemento che ti uccide con il caldo soffocante o con il freddo irrespirabile.

«Forse era solo il momento giusto, forse c’entra la loro fuga e Olmo lo sapeva, forse terra fertile e buone storie sono davvero bisogni primari come cibo e acqua.»

Le distopie e i romanzi post apocalittici parlano del futuro ma sottintendono il presente e quindi le mie idee sono quelle dell’oggi che vanno a sistemarsi nel domani. E diventano altro.

Ho messo insieme la fiducia che io ho (e ho sempre avuto) in Lindgren, Alcott, Dickens e Verne e nei giovani e nelle giovani di oggi, il potere delle storie che alimenta da sempre l’umanità, infiniti dubbi e questioni opposte. Quello che è venuto fuori è una possibilità tra tantissime. Ma è anche la fiducia che questa possibilità esista, che possiamo trovarla solo se la cerchiamo.

Queste idee si potevano raccontare in tanti modi diversi, ho scelto di provare a non dare nulla per scontato, a non lusingare nessuno, a non inseguire i bisogni del momento, ma a far parlare solo la narrazione. Il modo più difficile.

Le storie sono pratica non teoria. Se sono riuscita a scrivere una buona storia vi si potrà sperimentare che un domani migliore è sempre possibile, anche se per costruirlo ci vuole pazienza. Il come sarà avventuroso, si deve essere pronti.

E soprattutto i romanzi sono dei lettori non di chi li scrive, quindi posso solo sperare che tutto quello che per me è stato scintilla diventi fuoco nell’immaginazione dei lettori e delle lettrici e li porti altrove, non importa dove.

Non siamo liberi in nessun luogo come in un buon romanzo.

Io ci ho provato ancora, dopo Borders, a scrivere un buon romanzo, ora tocca a voi, ma fatemi sapere!

Per vedere l’intervista Achab Rai2
Per vedere l’intervista Achab Rai2

Ma il futuro si può decidere?

BORDERS ha ricevuto il Premio Rodari 2022, il Premio LibroAperto 2023 ed è stato finalista al Premio Orbil 2023.

COPERTINE MERAVIGLIOSE DI MARA BECCHETTI

Grazie a Giovanni della libreria Terra di mezzo di Bussolengo per le chiacchiere distopico-formative e agli amici marconisti che mi hanno spigato quel poco che so delle radiofrequenze.

Grazie a tutti quelli e quelle di Sinnos Editrice, perché questa mia lunga storia non poteva incontrare mani migliori (leggete il loro articolo: La rivoluzione dei ragazzi e delle ragazze). Grazie a Della, amica cara ed editrice coraggiosa; a Federico che sa guardare quello che io non vedo, e per chi scrive romanzi non c’è nulla di più prezioso; a Emanuela che è insostituibile e bella come poche; a chi non cito, ma c’è.

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Bar Einstein, come nascono le mie storie

Come nascono le mie storie?

Ero in una cittadina tedesca, nel nord della Germania; ero stanca e coloro che erano in vacanza con me non si staccavano dalle vetrine di un grosso negozio di apparecchi fotografici.

Vidi un bar al di là della strada, la scritta gialla recitava: Bar Einstein e io mi avviai verso la porta, anche quella gialla. Gli altri mi avrebbero raggiunto più tardi.

Entrai e mi accolse un locale pieno di foto e locandine sui muri, persino il soffitto era decorato con delle stampe. Mi sedetti a uno dei tavoli, che era stato quello di una vecchia macchina da cucire, ne conservava la pedaliera in ferro lavorato. Le sedie erano spaiate ma accostate con armonia. Una donna mi dava le spalle, aveva i pantaloni aderenti verde acceso e le scarpe rosse con il tacco, i capelli lunghi, biondi. Aveva il corpo di un’adolescente, ma quando si voltò il viso era quello sciupato di una sessantenne, con gli occhi e la bocca truccati. Non era equivoca o volgare. Era senza alcun dubbio la padrona. Lo sguardo sfrontato e indifferente allo stesso tempo non si posò neanche su di me, pensava ai fatti suoi. Mi servì una ragazza in jeans e maglietta con i capelli castani, semplice, accogliente, gentile.

Questo romanzo è nato in quel momento. Quel locale e quella donna, il mio Bar Einstein e la mia Dalia si erano impressi nell’immaginazione. Un attimo riscrivere il luogo e la donna, il loro passato mi era già chiaro.

Dalia parlava d’amore vissuto e il bar era denso di ricordi. Quindi la storia avrebbe narrato l’amore e la vita che da come la guardi, da un lato, dal basso, dall’alto, è sempre diversa.

Un’amore forte tra un ragazzo e una ragazza, una passione che sfida la logica, che divora e che se anche fa soffrire, resta l’esercizio primario per imparalo a vivere sul serio, l’amore.

Se non hai mai sbandato, se non sei mai stato o stata travolta, non saprai mai amare del tutto. Non è l’amore della tua vita, difficilmente lo è, ma i compagni che incontrerai dopo dovranno tutto a quel lui o quella lei. E così anche tu.

Questo è Bar Einstein, una storia d’amore a tinte noir che vive di luoghi alternativi come una Comune, un bar dove: Se i muri di una qualsiasi stanza o casa hanno memoria e parlano, quelli urlano canzoni intonate e risate roche che si trasformano in singhiozzi sommessi e il fiume. Il fiume torna spesso nelle mie storie, rassicurante. La natura e la vita scorrono insieme, il temporale passa e si asciuga, la paura del buio non fa paura se svelata, non ci sono luoghi brutti o belli, ma solo sconosciuti. Amore e morte, criminalità e pura bellezza, si confondono; a vincere non è nessuno, ma si salvano solo i più giovani se fuggono nella direzione giusta. Quello che resta è cruda nostalgia.

Così è come è andata fino qui. Forse fino al 19 maggio 2023 in cui Bar Einstein arriverà in libreria. Da lì in poi, per come la vedo io, questa storia diventerà dei lettori e nulla di quanto ho scritto sopra varrà più.

Spero che saprà parlare ai lettori e alle lettrici, spero che li trascinerà tra le pieghe di una narrazione oscura, onesta, donata. Spero. Non so se sarà così. Ogni romanzo ha una vita propria, prescinde dall’autrice. Una volta che l’ha lasciata andare non può più fare nulla per lei, se non stare a guardare e ascoltare.

Questo romanzo viene pubblicato nella collana che avevo sempre desiderato per lui, con un editore che stimo. È importante per me potermi fidare del mio editore. Ringrazio Luisella Arzani che ha mantenuto la promessa fatta tempo fa di leggere questa storia per poi scegliere (insieme alla redazione di EDT/Giralangolo) di pubblicarla; Francesca Fimiani che l’ha curata con un editing attento sul piano stilistico ed emozionale e Miriam Pedata per la passione e la provocazione che mette nel suo lavoro redazionale. Mi viene da pensare che la bella copertina di Marco Viale sia il frutto di tutto questo, della professionalità e dell’umanità che le storie scatenano e che gli addetti ai lavori finiscono per vivere come vita vera, in una gioco di ruoli, dentro e fuori, lasciandovi infine un sentimento magico che imprime la carta, le parole, gli spazi bianchi.

E questo è Bar Einstein, quello che vi narrano il titolo, la copertina e i suoi colori, la quarta, la dedica e infine frasi e spazi bianchi, virgole e punti.

Queste mie parole di oggi e quel pomeriggio in una cittadina tedesca sono Bar Einstein.

Scrittorincittà2023
Scrittorincittà2023
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…incontrare l’autrice, incontrare l’autore

L’incontro con l’autrice, l’incontro con l’autore è un momento importante per i giovani lettori. O almeno dovrebbe. Una festa, un tripudio, un confronto, una lezione, ognuno di noi che scrive di ragazzi e ragazze (oppure per la narrativa ragazzi/e) ha la sua modalità. Ogni scuola, festival, libreria o biblioteca ha la sua modalità.

Mi sono domandata cosa sia per me.

Nel 2008 ho messo piede a scuola per la prima volta come autrice con un libro della Raffaello (ancora a catalogo, grazie) e me lo ricordo benissimo. Da allora sono cambiate tante cose in me, come persona e come romanziera; un percorso pieno di domande, tentativi, delusioni, ricostruzioni; nulla è immobile, tutto deve diventare altro, è ovvio.

In 15 anni non sono certo diventata famosa, né sono diventata abbastanza brava e questo basterebbe a far desistere chiunque, ma non me, testarda e idealista, convinta creativa in eterno cammino. Folle e sciocca, insomma.

In quest’ottica mi sono messa in testa che ogni incontro deve avere un suo respiro, che se incontro lettrici e lettori lo faccio aprendo ogni volta una paretesi nuova, guardando chi ho davanti, mettendomi in relazione. Un gioco, una missione, una sperimentazione, uno sparigliare le carte una volta ancora per cercare e capire, perché nulla diventi routine, ma ogni parola abbia senso.

Non sono neanche un professionista, no. Dagli incontri esco sfinita, spesso molto soddisfatta perché ho dato e ricevuto, ha funzionato. A volte sono contrariata. Mi arrabbio per quel dominio dell’economia e della mercificazione del libro, il disinteresse puro, il tempo sprecato, l’inutilità. Scrivere è un mestiere, sì, ma creativo e andare nelle scuole non è come fare la presentazione di un libro per adulti, è altro. Di sicuro un privilegio, in un certo senso un lavoro a parte. Ma sei sempre tu. E libri e incontri vanno a braccetto. Dice, ma se se sei scrittrice non devi mica essere capace anche di parlare in pubblico, vero, ma le pagine non mentano sul proprio autore o autrice, a ben guardare, a voler vedere.

Questo per me è un anno fortunato, o forse sono io a essere cambiata, ancora. Ieri un altro incontro bello; dirigente, professoresse (di lettere e matematica insieme!)e ragazzi che mi avevano chiesto di orientare l’incontro nella direzione in cui lavoravano loro e io l’ho fatto. Grande scambio, due ore piene che mettono insieme i tasselli dell’educazione alla lettura, del diritto alla lettura, della bellezza dello stare insieme nelle storie e in una scritta da me in particolare.

Una cosa ben fatta.

Ho perso tanto tempo nella mia vita e mi dispiace, quello che mi rimane (spero tanto, poco non mi basta) voglio che sia ben vissuto, che regali e guadagni, voglio toccarlo, maneggiarlo con cura e saperlo ricordare. Ho bisogno di bellezza (in tanti ne abbiamo bisogno) e mi ci impegno.

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Leggere contemporaneo, leggere a scuola

La prossima settimana parte uno dei club Leggere contemporaneo grazie a una prof che ci ha sempre creduto da due anni a questa parte. Oltre al mio (piccolo) compenso la scuola che aderisce al progetto deve comperare i romanzi che indico in tre bibliografie di dieci libri ciascuna (un tesoretto, garantisco).
Io non sono una formatrice e non voglio esserlo, ma dopo vent’anni di letture, incontri e festival qualche idea sul perché i ragazzi e le ragazze non leggano me la sono fatta.

Questo club di lettura a scuola non cambia la situazione generale, ne sono certa, ma è una buona pratica.
In questa scuola superiore, nella biblioteca d’istituto, ci sono ormai 60 romanzi di grandi autori viventi ya. Romanzi belli per tutti. Romanzi che hanno gli strumenti per spianare la strada a un non lettore. Quelli di cui (non sempre senza ragione) le scuole (superiori soprattutto) sono piene.
Il danno è stato fatto, la non lettura imperversa, non cambio la rotta io in una scuola, ma continuo a spacciare buone pratiche. Il perché è il tipico male di chi legge e scrive per ragazze e ragazzi da vent’anni e vede bellezza e potenzialità e non ce la fa a stare con i libri in tasca.
Da Borders in poi la questioni semi è sdoganata, ma se è il tuo mondo e lo ami non puoi non cercare di piantare semi per farlo sopravvivere.

Saranno in 45 di cui 30 di terza superiore, che vengono per i crediti, certo, ma poi io e i romanzi belli facciamo squadra: io li racconto bene, loro si fanno scegliere e quando i ragazzi e le ragazze arrivano all’incontro successivo qualche sguardo adolescente catturato c’è e il dubbio che si possa anche leggere per piacere è instillato.

Essere parte del mondo dell’editoria per ragazzi e ragazze come romanziera ha un po’ questo effetto collaterale. Scrivi spesso di loro perché sono i personaggi in cui credi di più (e qui qualsiasi analista avrebbe da lavorare) e per loro, in carne e ossa, salvi romanzi perché abbiano la possibilità di incontrare storie scritte pensando ai lettori come persona di genere vario e non infante cresciuto (e non parlo delle mie che non metto mai in bibliografia, per una sorta di strana controproducente onestà intellettuale).

Detto ciò e continuando a ringraziare chi ha fiducia in me (e in loro, inutile ripetere chi siano) condivido le locandine di due eventi in cui ci sono a parlare di buone pratiche libresche, dei perché e dei per come. Non sono una formatrice e vi indico pure chi dovete seguire se volete approfondire la questione libri&lettori, ma vi passo la mia esperienza. Che poi non è una cosa così diversa, lo so, ma io ci tengo a restare romanziera un po’ per indole e un po’ per giustezza che non mi sento i titoli per educare nessuno.

Resto un’artigiana che non ha nulla di speciale, solo qualcosa da dire a modo suo e vi invita a bottega (e che bottega: una libreria e una biblioteca!).

*A chi interessa il progetto Leggere contemporaneo può richiedere informazioni via mail a giulianafacchini.autrice@gmail.com

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La teoria dei gusci vuoti nei libri

Dei gusci pieni sento la mancanza, se trovo quelli vuoti.

Cosa cerco nelle storie scritte? L’anima.

In quelle orali c’è quella di chi gli dà voce. Gliela presta, per così dire; le parole si investono e il buon narratore fa breccia nei cuori degli astanti.

Ma in quelle che ti leggi da solo stampate sulla carta? Lì la questione si complica, perché è un luogo dove l’anima di chi legge e di chi ha scritto si incontrano quando capita e se qualcuna manca all’appello non funziona più.

Non c’è genere o categoria che tenga, un libro senza anima è un guscio vuoto.

Se la parola anima è troppo romantica o al contrario complessa, usiamo voce. È riduttiva ma forse è più chiara perché ne è individuabile l’appartenenza. (L’anima potrebbe essere collettiva? Affascinante!)

Se la voce è competente lo si capisce subito: se sai, chi sa lo capisce e il lettore esperto è scaltro. Ma non ci si può fermare alla competenza, a scuola di nozioni di scrittura si può andare e si può imparare anche tutto su un argomento. A fare il romanzo non è la voce che ripete a pappagallo, ma la propria dell’autrice o dell’autore. Propria significa che ti appartiene e che la condividi con generosità. Che non sia mai sovrabbondante altrimenti è terapia, deve essere giusta, strappata da sé quanto basta. La voce ha un equilibrio.

C’è un percorso per raccontare bene e una per farlo meglio, e chi scrive non si accontenta mai, non può essere nella sua natura.

La letteratura ha anima millenaria, sentiamo voci antichissime e sentiamo la vita di allora, anche se parlano d’altro raccontano sempre il proprio. Anche se parlano di passato o di futuro, perché la voce va oltre i significati, ha un vocabolario parallelo tutto suo. Se quelle voci arrivano fino a noi vuol dire che possiedono una contemporaneità assoluta che trafigge le epoche ed è capace di incontrare il lettore sempre.

Nei romanzi ci si incontra.

Se non ci si incontra è perché sono gusci vuoti.

Ma bisogna essere onesti: chi scrive e chi legge.

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Gruppi di lettura per adolescenti, come non educarli

Da ragazzina volevo fare l’attrice, i miei genitori una sera mi portarono a teatro e lì decisi. In capo a quattro settimane ero in una compagnia amatoriale. Poi la vita si è messa di mezzo e io sono diventata una romanziera. Scrivo storie, quello faccio (bene o male, questo non lo so). Però, leggo anche tanti romanzi che parlano di ragazze e di ragazzi e quindi un giorno mi è venuto in mente di fondare un gruppo di lettura per adolescenti in collaborazione con una bibliotecaria e un’educatrice. Quel gruppo si chiama Leggere Ribelle e quest’anno ho fatto di tutto per farmi buttare fuori ma non ci sono riuscita. Io le azioni/cose che faccio, le capisco sempre dopo, come anche le storie che scrivo (esattamente come Floyd in Mike, di Norriss, Uovonero Ed.).

L’educatrice (che fa l’educatrice mica per niente) e la bibliotecaria non me lo hanno permesso. Si sono proprio sdraiate sui binari delle mie intenzioni.

Ovviamente sono delusa di me stessa e orgogliosa di loro, perché la sfida che mi aspetta è grande e io volevo mettermi da parte per non affrontarla. Io sono una romanziera che ci faccio a capeggiare un gdl?

Ripeto sono una romanziera, credo di avere gli strumenti per scrivere storie e non quelli per educare alla lettura dei ragazzi e delle ragazze, come magari sanno fare altri navigati conduttori di gdl per adolescenti.

Scrivendo storie per ragazzi e ragazze, pubblico con case editrici specializzate nella loro letteratura, ma i lettori e le lettrici sono pochi e le strategie per crearne di nuovi non funzionano o funzionano poco a livello nazionale. Anche perché non vengono adottate davvero. I progetti per la lettura pullulano, ma pochi vanno oltre il nome che portano, non passano mai veramente all’azione. Altrimenti il nostro sarebbe un Paese che legge e non è così.

Ma il mondo variegato dell”editoria per ragazzi non può (e non deve) morire e cerca il modo di restare in vita; da un lato abbassa sempre di più il livello letterario delle proposte o propone libri in quanto oggetti fisici che non veicolano i contenuti. Compriamo spinti dalla pulsione del momento (o dalla necessità del momento) ma il romanzo resta senza un vero lettore e soprattutto non innesta la spirale del buon romanzo: quante emozioni ho privato! Che vita ho vissuto! Ne voglio ancora!

Dall’altro punta sui pochi veri lettori che sono come un animale in via di estinzione e li sovraccarica di attenzione con il rischio che fuggano a rifugiarsi sul divano di casa per essere lasciata o lasciato in pace a leggere.

Come coordinatrice di un gruppo di lettura ho avuto fortuna. L’articolo su questo blog che riguarda i gdl è il più letto, con buona pace della pagina dove ci sono le copertine dei miei romanzi pubblicati.

Non credo che questo accada perché sono più brava come conduttrice che come romanziera. Infatti è l’educatrice a occuparsi di educare, io racconto solo storie degne di essere raccontate e non perché le scelgo io, ma proprio perché ormai sono grandi classici contemporanei internazionali sconosciuti alle e ai più italiani.

Se nel gruppo l’obiettivo è quello di guardare solo ai romanzi e mai alle autrici o agli autori (quelli semmai vengono dopo) e a proporre storie che sfuggano il più possibile alle logiche editoriali di mercato, che abbiano una propria anima e rispettino i criteri del romanziere o della romanziera come artista creatore (non solo storico, giornalista, educatore, etc).

La vera sfida è girare loro proposte alte, proteggerli dalle richieste pressanti delle nuove uscite, ma non escluderli e veicolarli verso una buona rete di lettrici e lettori per confrontarsi e scomparire come conduttrice.

Le lettrici e i lettori posso essere una comunità come chi gioca ai videogiochi, metterli in contatto tra loro gratifica i romanzi e li mostra per quello che sono: roba viva, vivissima, capace di far parlare di sé.

Mi turba molto l’io adulto che vuole educare a tutti i costi attraverso i romanzi, che si sente sempre depositario di qualcosa in più rispetto ai giovani lettori.

Se vogliamo creare un gdl fuori dalla mura scolastiche il lavoro sporco (educare tutti noi) dobbiamo lasciarlo fare ai buoni romanzi, senza interpretarli ma lasciandoli leggere e basta, non ci sarà una lettura sbagliata ma solo la propria. Ognuno ha il proprio livello che sia alto o più alto non mi interessa. E soprattutto chi legge si sentirà rispettato per quello che è; non bisogna essere bravi a scuola per essere un lettore o una lettrice, esattamente come non bisogna essere bravi a scuola per ascoltare musica.

Come conduttrice propongo solo, invito alla lettura amando io per prima le storie che racconto e quando intuisco quali sono i ragazzi e le ragazze che ho davanti, la sfida sta anche nel proporre loro i libri giusti, quelli con cui possono entrare in empatia più velocemente creando un primo approccio facilitato. Il primo passo.

Se ho davanti giovani con tanti pregiudizi nei confronti dei romanzi (come mi è accaduto spesso), persi in una terra di nessuno dove il libri per i più piccoli sono da piccoli e quelli destinati agli adulti difficili da prendere in mano, propongo una narrativa young adult che parla contemporaneo, offre quesiti ed emozioni contemporanee, porta fuori dalle zone confort di oggi (che son anche quelle di sempre). Leggere può essere un’abilità che le ragazze e i ragazzi non hanno e i romanzi giusti sanno facilitarne l’acquisizione, fanno sembrare meno dura la corsa tra le prime pagine.

In conclusione vorrei cercare di lasciare ragazze e ragazzi e buoni romanzi insieme e vedere se si abbinano. Tutto qui. Tanto non siamo noi di LR a risolvere il problema della mancanza di lettori nel nostro Paese, par quello forse ci vuole una legge (e le persone giuste ci stanno lavorando).

Se volevo fare l’attrice e poi sono diventata romanziera è forse perché voglio vivere altre vite lasciando in pace la mia e lasciando in pace quella delle lettrici e dei lettori che se c’è qualcosa da imparare se la vedono direttamente con i romanzi, non con me.

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Borders, come nascono le mie storie

Che dire?

Sono senza parole. Lo sono da un po’.

Anche perché Mara Becchetti in ogni copertina che mi disegna si fonde sempre di più con le mie storie tirandone fuori tanta bellezza per me inaspettata.

Di questo romanzo parlavo con un’amica nel febbraio 2020, qualche giorno prima del famoso scioccante lockdown, mangiando una piadina, ma era già nella mia testa dopo la pubblicazione di Arambì al quale ho contribuito.

L’ho mandato come proposta editoriale a Sinnos più che altro per coerenza e amicizia e invece se ne sono innamorati e non me lo aspettavo. Non potevo chiedere di meglio ed è stato subito loro e da allora non smette di stupirmi. Mi lascia sempre a corto di fiato e di parole.

Fino a oggi abbiamo vissuto una pandemia e ora a pochi stati di distanza da noi le persone muoiono in una guerra fatta di bombe e sangue, mentre i potenti si misurano tra loro. Tutto è arrivato inaspettato.

Questo è un romanzo post-apocalittico in cui la terra si è ammalata a causa di una Grande Malattia e pochi sono sopravvissuti, ma i ricordi del mondo di prima si fermano al 2020 e quindi mi sono detta che forse un romanzo così, ora, non serve più. Eppure come scrive Neil Gaiman nella prefazione di Fahrenheit 451 di R. Bradbury, nelle distopie si racconta il futuro, ma si osserva sempre il presente. La mia Grande Malattia è quindi un monito. E forse una metafora.

E Borders è il mio modo di essere ambientalista, ora più di prima.

La vecchia Olmo è una sopravvissuta ed è centenaria; ha adottato tredici anni prima una ragazza e tre ragazzi cui ha dato i nomi propri di Lindgren, Verne, Dickens e Alcott, nomi strani che nessuno ha mai sentito a Magnolia. E poi li ha cresciuti con i racconti del mondo di prima: romanzi, storia e geografia di allora. Ma quelle conoscenze a Magnolia sono pura sovversione e Olmo è sicura che, lontano da lì, la vita brulichi di nuovo tra foresta, roccia e mare. Fuga, esplorazione, nuove scoperte; quei quattro ragazzi devono superare molti ostacoli, ma c’è anche un viaggio di consapevolezza dentro loro stessi da fare, mentre sono alla ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, di nuovi semi da piantare, di un mondo da ricostruire.

Borders racconta che scienza e arte servono entrambe l’umanità.

E allora forse serve anche un romanzo avventuroso post-apocalittico se non è fine a se stesso. Infatti si possono costruire mille storie come mille burattini, ma se non ci soffi dentro la tua anima saranno solo bei burattini da vedere, storie facili da leggere.

Io qui la mia anima ce l’ho messa tutta, poi non so se basta a far prendere vita a questo romanzo e a farlo non essere fine a se stesso. So per certo che è ancora molto lungo e spero di avere abbastanza anima e voce per poterne scriverne ancora.

Insieme a tutti noi.

Intanto, ecco Borders, perché i confini non esistono e se ci sono muri bisogna scavalcarli.

Per l’intervista e l’articolo cliccare: RAI CULTURA

leggi anche: PREMIO RODARI 2022

Clicca e guarda: L’intervista che mi ha fatto Carola Carulli per Achab Libri, Rai2, su Borders, minuto 3:20

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Leggere liberi, liberi di leggere

Riflessioni con un capo e una coda, ma senza pretese.

Ci insegano a leggere e poi, almeno in Italia e in linea generale, finita la secondaria di primo grado dimentichiamo come si fa. Perdiamo il piacere della lettura, leggiamo solo per necessità. Forse è normale che sia così, l’evasione e la riflessione passano attraverso mille altre forme, più o meno idonee, rispetto a quando la letteratura la faceva da padrona. E anche molti romanzi, oggi, viaggiano pensando già alla serie tv che da loro, quasi certamente, si svilupperà. È una scommessa soprattutto economica, per altro più che giustificata.  

Restano i valori privilegiati legati alla lettura, come la capacità del lettore forte di vedere dietro le righe, di sperimentare sulla propria pelle storie di personaggi immaginari o reali, di portarsi dentro riflessioni maturate e durature o solo pronte a esplodere al momento giusto, di imparare a esercitare un pensiero e delle scelte proprie. Un sacco di belle cose insomma.

E ci sono poi gli irriducibili lettori che voglio esportare la loro passione e così nascono i gruppi di lettura, anche giovanili. In questo ultimo caso un’azione a metà tra missione e necessità oggettiva.

Incosciente come sempre, mi sono gettata nella costituzione di un gruppo di lettura, o meglio di un movimento di giovani lettori, Leggere Ribelle, che coordino insieme a due bibliotecarie e un’educatrice. Ne rivendico la direzione artistica (se così si può dire) e sono convinta dell’importanza della rete tra gruppi di lettura, soprattutto per adolescenti. Quindi ecco il pensiero fondante del confronto, ma anche quello dell’osservazione e della riflessone da parte mia. Perché resta mia la responsabilità del terreno letterario su cui cresce LR. E la sento tutta.

Vivo una vita professionale divisa tra il ruolo di lettrice e quello di romanziera. E questo dà al gdl un’impronta precisa. Nonostante qualsivoglia buona intenzione. Questo capita anche se a condurre un gdl è un insegnante e il gruppo vive una vita diversa se si incontra a scuola, oppure in biblioteca o in una libreria. Non sto dando giudizi in merito, sia chiaro. Io posso condurre il gruppo solo essendo me stessa e vale anche per gli altri. Nessuno sfugge al destino di essere quello che è, o di credere in quello che fa.

La domanda è: come facciamo a creare lettori davvero liberi? È davvero possibile? Forse no. Per tante ragioni.

Per esempio, ci sono almeno due modi di guardare un opera in un museo: con una guida che la spiega o da soli, ascoltando le emozioni che suscita in noi.

Se la prima opzione ci sembra troppo didascalica, bisogna ammettere che la conoscenza del contesto artistico dell’opera può aprire emozioni nuove e il saper utilizzare gli strumenti che ci permettono di leggere razionalmente l’opera sono porte che si aprono. Altrimenti il passaggio della conoscenza da un individuo a un altro non avrebbe senso e non sarebbe un patrimonio.

Però la libertà di lettura viene comunque condizionata. Arrivare all’ideale passaggio successivo di liberarsi degli insegnamenti dopo averli interiorizzati, per dare un giudizio personale ma non privo di competenze, è un processo complesso e lungo.

Nel gruppo che conduco presento romanzi nuovi a ogni incontro, ma sono io a sceglierli, sebbene mi impegni ad andare a scovare quelli belli che arrivano alle ragazze e i ragazzi con meno facilità e sebbene accolga anche quelli che portano in bibliografia i giovani lettori. Il gruppo d’altronde è nato per questo, per portare alle ragazze e ai ragazzi autrici e autori di levatura internazionale che il giovane lettore italiano difficilmente incontra. La lettura non è patrocinata, a scuola in maggior parte arrivano libri di divulgazione culturale e pochi romanzi veri e propri slegati dal programma di studio; non tutti i bibliotecari del territorio e i librai sono formati in questioni di letteratura giovanile. Mi ricordo che le ragazze e i ragazzi, quattro anni fa, arrivarono a costituire LR non avendo mai sentito nominare M.A. Murail o Aidan Chambers (e poi li hanno conosciuti e amati).

Anche se la situazione è in evoluzione, per fortuna, bisogna dirlo.

Io per esempio non apprezzo i romanzi di Alessandro D’Avenia e li ho sempre tenuti fuori dal nostro scaffale, ma (e di questo sono molto orgogliosa) due lettrici hanno voluto inserirli e non sono riuscita a far loro cambiare opinione. Istigare alla ribellione letteraria è sicuramente uno degli scopi non dichiarati del gruppo che coordino, ma di certo mi fa sorridere che la ribellione istighi al conformismo invece che il contrario. La libertà porta anche questo peso.

Dunque, ogni gruppo di lettura ha la propria impronta.

Per esempio, quando nella mia biblioteca di riferimento mi chiesero come avrei organizzato un gdl per adulti, io ho scartato la scelta del conduttore, educato lettore, che suggerisce un romanzo e poi avvia il confronto. Credo che il gdl tra adulti appartenga ai lettori che democraticamente alternano le loro scelte in totale libertà. Nel salotto di lettura ognuno porta la propria proposta e la motiva, questo allarga gli orizzonti di ogni partecipante e modula gli interessi di quel gruppo preciso di persone. Che siano a livello dei classici russi o de polizieschi italiani non ha nessuna importanza, ogni gruppo ha la propria personalità, si cresce insieme comunque.

Quindi, tornando agli adolescenti, il coordinatore dà la propria impronta al gruppo.

Come detto, lo scopo per cui volevo formare Leggere Ribelle principalmente era ed è: promuovere autori contemporanei di qualità, spesso famosi altrove e sconosciuti in Italia. D’altronde quando i ragazzi arrivano e si presentano al gruppo, i libri che presentano come loro romanzi preferiti dimostrano quanto spesso manchi nel loro panorama letterario la grande narrativa giovanile nazionale e internazionale contemporanea. Noi di LR ci siamo per questo!

A quattro anni e più dall’inizio, grazie agli incontri con festival e altri gruppi, il movimento LR ha ampliato enormemente la propria bibliografia di riferimento. Il mio apporto è sempre meno importante e le proposte dei lettori sono sempre più ricche, interessanti, contemporanee. I più esperti raccontano ai più giovani, i suggerimenti passano, lo scambio è attivo.

Il mio sogno sarebbe un gruppo di lettori adolescenti che si alimenta da solo.

Il tipo di conduzione di un gdl ha, quindi e nonostante tutto, il proprio peso a sfavore della libertà di lettura.

Vero è, d’altronde, che leggiamo con la nostra testa e noi siamo il prodotto della società in cui viviamo, ne subiamo indiscutibilmente i condizionamenti, anche quelli letterari.

Sono lettrice, ma resto narratrice e dietro ogni mio romanzo c’è un percorso di consapevolezza oltre che di creatività.

In Ladra di jeans ho lavorato sul contrario. Cioè pur volendo trattare, raccontare, interrogarmi sul ruolo dei nostri corpi nei rapporti con gli altri, ho voluto consapevolmente percorrere una strada che rompesse ogni consuetudine. L’ho fatto con precisione. Lo so bene perché alla fine della prima stesura nacque una lunga discussione con uno dei miei figli che l’aveva letta. Quello che era sfuggito a me, non lo era a lui e dibattemmo a lungo sul pericolo per questo libro di refusi di logica materiale. Nonostante questo, nonostante io sia stata attenta a non scrivere nulla che inducesse il lettore a credere amiche coloro che non lo erano, a volte sono state lette come tali.

Come mai? Mi sono domandata.

Non potrebbe essere perché fatichiamo a essere lettori liberi?

Leggiamo già sapendo come andrà a finire perché il terreno che la letteratura solitamente ci fornisce è fatto di elementi indiscutibili. Che il diverso verrà accettato deve essere un dato di fatto. Ma io ho giocato sul contrario. Ho provato a scucire la trama di una storia “convenzionale” per vedere cosa poteva accadere se conducevo il lettore per altre vie, se raccontavo di personaggi convinti del contrario. Perché non c’è sempre un lieto fine.

Non so se ci sono riuscita. Ovvio, nessun autore può essere sicuro delle intenzioni della propria opera, a meno che questo non sia un prodotto smaccatamente commerciale.

Comunque vada o andrà, ho ricavato due grandi lezioni per me stessa.

Non devo smettere di provare a scardinare con delicatezza le certezze del lettore in modo che, sia lui che io, possiamo farcene di nostre. Ricordo un romanzo famoso che finiva con la disfatta della protagonista, una ragazza stuprata dal branco e convinta di essersela cercata. Mi arrabbiai per quel finale, ma capii che era una leva fortissima per incitare al contrario.

Vorrei continuare a cercare buoni romanzi di bravi autori contemporanei da mettere nella bibliografia di Leggere Ribelle, che raccontino narrazioni alternative a quelle più ricorrenti, socialmente accettate o comuni. Romanzi che raccontino l’altro e altro, anche in altro modo. E non sto parlando di argomenti forti o dissacranti a ogni costo. La violenza fine a se stessa è sempre bandita per quel che mi riguarda. L’ironia è un’arma potentissima e così la delicatezza che accompagna. Ma lì ogni narratore, ogni buon narratore, è diverso, abile e affascinante a suo modo.

L’originalità in un romanzo è anche questo ed è utile per disabituarci a immaginare quello che succederà senza leggerlo veramente.

Uno dei grandi valori della lettura che dobbiamo provare a passare ai ragazzi (e non solo a loro), è la ricerca inarrestabile del pensiero libero per saper uscire dalle maglie della consuetudine. Per quanto è possibile. L’accettazione profonda e naturale della diversità (reale o immaginaria) passa attraverso il pensiero autonomo, se la letteratura “per ragazzi e adolescenti” non lavora per emanciparsi dalla zona confort delle nostre vite, forse (meglio: senza forse), non è letteratura. E solo un buon romanzo è capace di far nascere nuovi e indispensabili giovani lettori.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Libri come Polli

Ci penso da un po’

Ci penso da quando ho letto la richiesta in un gruppo social di un libro che sviluppasse un tematica specifica. I libri a tema sono comuni nell’editoria per ragazzi. Vogliamo parlare di bullismo/integrazione/ambiente? Partiamo da un libro. Nulla di male se il libro non fosse scritto appositamente. Troppo spesso un libro furbo, scritto a tavolino, che non emoziona con una buona scrittura o una buona storia.

Non cerchiamo i libri a tema ma i temi nei libri. Questo non lo dico solo io, molti lo affermano con forza e determinazione. Un buon romanzo contiene naturalmente in sé svariate tematiche. Ognuno può scegliere quale approfondire, se ne ha voglia.

In quel gruppo social che parla di libri per ragazzi, guidato da amministratrici appassionate, c’è stata una bella discussione sull’argomento che alla fine ha reso scontenti molti: non criticateci perché cerchiamo libri a tema, dateci solo bei titoli!

Nonostante tutto è arrivata una nuova richiesta: libri che insegnassero ai ragazzini il senso della responsabilità. Ecco, spesso i libri per ragazzi hanno per protagonisti ragazzi che vivono un’avventura, si aiutano, sbrogliano misteri magici o realistici. Si prendono la briga di fare qualcosa di speciale per loro o per gli altri. Non vogliono coinvolgere gli adulti. Vogliono essere responsabili di se stessi magari sbagliando. È uno degli scenari più comuni.

Allora mi è venuto in mente il pollo (povero pollo) nudo e schiacciato nella vaschetta del banco macelleria del supermercato e quel bambino di città che pensando al pollo lo immagina così e non che razzola nell’aia becchettando vermetti.

Il pollo è stato un pennuto grassottello e prima ancora un pulcino, come possiamo averlo dimenticato?

Il libro è stato una storia viva e vibrante, come possiamo considerarlo solo un pezzo di carta stampato?

Forse potremmo ricominciare dalle parole giuste.

Vorrei che mi suggeriste un libro nel quale vi ha tanto emozionato e stupito quello che il protagonista fa nel prendersi cura di qualcuno o qualcosa.”

È come quando diciamo a un bambino che è una femminuccia se piange. C’è dietro quelle parole una demonizzazione del pianto perché emozione femminile e sinonimo di debolezza. Meglio non dirlo, quindi. Non lo diciamo.

Forse dobbiamo tutti ricominciare con l’educarci a dire le parole giuste per formulare così richieste giuste.

Chi chiede i libri a tema, non conosce ancora il piacere della lettura, non lo fa in malafede. È come quel bambino di città per il quale un pollo in piume e ossa non non è un’immagine familiare.

Quindi è bello scambiarsi condigli letterari, ma facciamolo condividendo anche quel parlar bene che accompagna la giustezza dei concetti. Forse aiuterebbe, aiuterebbe tutti: chi legge e chi scrive.

Ecco è questo che avevo in mente da un po’.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io non lo odio… come nascono le storie!

Ringraziamenti in chiusura del libro IO NON LO ODIO di Giuliana Facchini, edito da Matilda Edizioni.

Ecco come nascono le storie: camminando. Succede che scrivi il plot per un romanzo e diventa un racconto che poi torna a essere un romanzo. E nel mezzo? Nel mezzo un cammino. Tu che cresci. Tu che cadi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che ti rialzi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che scrivi. E capisci che percorrere chilometri di vita è un privilegio.

I libri raccontano una storia ma hanno anche una loro storia.

Quando Donatella Caione mi chiese di scrivere la versione lunga del mio racconto Perché odi Davide?, le risposi di no. Pensavo che quella storia avesse già detto quello che aveva da dire.

Ma leggendo un vecchio libro che intrecciava passato e presente ho capito che non era così. Usare uno schema narrativo non lineare e adoperarlo perché fosse funzionale alla storia non era facile ma per me era una piccola idea rivoluzionaria. Ha molto da raccontare una ragazza che è riuscita a uscire da una qualsiasi forma di violenza e io potevo darle voce.

Così otto romanzi dopo Perché odi Davide? è nato Io non lo odio.

Durante un incontro in una scuola dove accompagnavo Chiamarlo amore non si può, una lettrice mi di chiese perché nel racconto tutti avessero un nome ma non la protagonista. Rispose lei. Non io. Disse che forse non aveva nome perché solo chi non ce la fa e finisce sui giornali ha un nome, nessuno conosce tutte coloro che ce l’hanno fatta e a testa alta sono diventate ragazze e donne consapevoli di sé.

Aveva ragione. Quindi alla protagonista ho dato un nome, Clare, e una vita serena. La sua non è una famiglia del mulino bianco, ma lei conosce il potere dell’amicizia, della fratellanza, della musica e vive bene il suo domani.

Nel raccontarci quello che le è successo, fa uno sforzo. Ha bisogno della sua chitarra per farlo. Ma sa raccontare, gestire il suo passato e impugnarlo coraggiosa per affermare non senza sofferenza: Io auguro a qualunque ragazza che come me si sia trovata a precipitare nel vuoto, una chitarra cui afferrarsi per potersi salvare. Anzi: a lei la offro. Io. Adesso.

Non è questo che ci auguriamo per un’amica, una figlia, una nipote o per noi stesse e per tutte?

Noi che scriviamo per ragazzi e ragazze (non è vero che scriviamo per ragazzi e ragazze, è solo un’etichetta per collocarci in libreria, noi tutti scriviamo solo pensando a un lettore ideale) ci troviamo spesso nelle scuole a “ricordare/celebrare” questo o quello e a volte rischiamo di diventare solo il modo per saltare un’ora di lezione.

Quando? Quando gli adulti fanno cadere a pioggia dall’alto i loro insegnamenti. Quando non si fa in modo che la parola l’abbiano loro: gli studenti.

Perché? Perché ci mettiamo la coscienza a posto che l’opportunità l’abbiamo data. A volte non è previsto il diritto alla replica. Non ce lo aspettiamo proprio un pensiero critico dai ragazzi.

Bisogna sporcarsi le mani se crediamo nei nostri interlocutori.

Un romanziere questo lo capisce bene perché crede nelle storie e le storie non insegnano ma lasciano emozioni sotto la pelle dei lettori.

Io lascio la parola a Clare.
Io non lo odio è dei lettori.
Contano i romanzi, non gli autori. Il romanzo è la loro voce, non c’è altro da aggiungere.
Racconto un periodo difficile della vita di alcuni ragazzi e ragazze ma questo è un romanzo solidale.
Spero che lo leggerete, forse ci troverete almeno una piccola parte di voi come è accaduto a me.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Narrazioni necessarie e il mestiere dello scrittore

Sabato scorso ero alla premiazione del Premio Salgari nella bellissima villa Rizzardi di Negrar a Verona. Durante gli ultimi mesi i tre finalisti hanno realizzato parecchi incontri con i lettori, gli studenti nelle scuole e i detenuti del carcere circondariale. È stata letta una lettera che un detenuto ha scritto a uno degli autori, il suo vincitore del Premio. Mi sono commossa, perfino l’autore chiamato in causa, Matteo Strukul, non trovava le parole per replicare, e non è persona cui mancano le parole. Mio figlio, che ha accompagnato gli scrittori nel carcere, mi ha raccontato che le discussioni sono state sempre molto interessate e ricche di contenuti. A parte il riferimento alla lettura come evasione, il carico emotivo della lettera era importante. Mi ha fatto riflettere quell’uomo e in generale l’incontro con l’autore tra le mura di un carcere.

Io credo nella forza del libri ben scritti, meno alle performance degli autori che li accompagnano.  A differenza di quello con i detenuti e nelle scuole, agli incontri con lo scrittore spesso partecipano poche persone, non tutte così interessate, se non quando sono coinvolti autori famosissimi.

Quando si diventa scrittori? mi viene da chiedermi. Aidan Chambers nelle Confessioni del giovane Tidman fa dire al protagonista (ma potrebbe essere lui a dirlo) che fino a quando non pubblichi un libro non sei uno scrittore. Vero. Come un attore ha bisogno di un pubblico per recitare, così lo scrittore ha bisogno dei lettori. Oggi si ha tutto e subito e pubblicare è semplice. Auto-pubblicazioni e piccole case editrici a pagamento imperversano ma non garantiscono lettori. Quindi direi che per diventare scrittore, checché se ne dica, bisogna anche essere testardi e tenaci e arrivare a essere selezionati da una casa editrice molto seria che abbia una buona distribuzione e creda nell’autore tanto da investire in lui fatica e denaro propri.

C’è una responsabilità nell’essere scrittori e nell’essere editori. Scrivere romanzi non è un hobby o un lavoro inutile. Le storie possono avere un grande potere, hanno un loro ruolo quando il lettore non è finto o pseudo-colto, ma ha davvero bisogno di una narrazione.  Quella lettera rendeva evidente quanto è potente un buon romanzo e come la parola scritta entri affilata nella vita di una persona bisognosa. Ma tutti possiamo aver bisogno di una storia. E forse inizialmente abbiamo più bisogno di buone storie semplici e avventurose, avventure reali o dell’anima, perché spesso leggiamo solo in situazioni di emergenza. Lì riscopriamo il valore di un libro. E non credo che unicamente le mura di un carcere circondariale creino situazioni d’emergenza e di bisogno.

Essere scrittore o scrittrice vuol dire fare un mestiere che ha un valore. Non è cosa così scontata da non doverla  ripetere. Come non lo è ribadire che lo stesso discorso vale per chiunque faccia un mestiere creativo.

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Fiutando libri e facendo un tuffo… tra i miei autori del cuore

Passare dalla Murail a Ness è stato uno shock. Un tuffo in un lago con l’acqua gelata. Due autori tanto diversi ma entrambi grandi.

Eppure, una cara amica libraia mi ha detto di un libro di Ness che le pareva costruito. Non ero d’accordo ma quella parola ha continuato ha ronzarmi in testa. Quel libro era forse costruito a meraviglia, Mentre noi restiamo qui un po’ meno. Ho grande stima di Ness, ma questo libro mi ha dato ha qualcosa meno degli altri. (A parte la nota finale dell’autore che trovo strepitosa).

Sarà che sono fissata con la questione età e che una collega scrittrice mi dice sempre: per quanto potremo continuare a scrivere per ragazzi o peggio per giovani adulti? Domandona piena di significati che divampano in mille direzioni diverse. Sarà che trovare la propria e la giusta dimensione di scrittrice è una solo una ricerca continua.

Comunque, ho la sensazione di poter contestualizzare questo libro e a me non piace farlo. È scritto per ragazzi? Un buon romanzo non ha età di lettura.

Mi sono asciugata e ho bevuto un tè caldo dopo quel tuffo in acqua gelata. Non mi sono scaldata del tutto, ma a Patrick vorrò per sempre bene. Chaos, rimane Chaos. Sette minuti dopo la mezzanotte, resta Sette minuti dopo la mezzanotte

Se con Ness ho fatto un tuffo in un lago dall’acqua gelata, con Confessioni del giovane Tidman sono affondata in una comodissima poltrona imbottita calda  e accogliente. Aidan Chambers ormai non si discute, si legge. La narrazione, sapientemente articolata, sembra uscire dalla bocca dell’autore. I suoi interventi verbali sono sempre precisi e ben calibrati. Questo libro non lascia nulla al caso e io come sempre ho ascoltato volentieri narrare la storia di Tidman. Ciò che mi ha colpito è il senso di autenticità che  pervade il romanzo. Una quasi biografia, forse, che rivela l’onestà profonda dello scrittore nei confronti del lettore.

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Fiutando libri e addentando un Croque monsieur!

Stamattina per colazione avrei voluto un delizioso Croque monsieur, ma mi sono dovuta accontentare di pane, burro e marmellata. Pazienza!

Christophe Léon mi tiene sul filo del rasoio e colpisce duro, Marie-Aude Murail mi strappa un sorriso pensieroso, di quelli che friccicano (come diremmo a Roma) sulle labbra e poi esplodono con un tuono nel cuore e nella testa.

“Tutti muoiono a questo mondo. Non vale neanche la pena di nascere. Su questa riflessione incoraggiante, Violaine spalancò gli occhi. Ecco, era mattina, lei era incinta per tutto il resto della giornata.” da La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

Letti e amati tutto d’un fiato: Champion (Camelozampa Ed.) e Spazio aperto(Sinnos Ed.) di C.Léon e La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

E mi viene spontanea una riflessione: perché quando la fantasia e le emozioni dei narratori possono essere infiniti, le pubblicazioni si copiano, rincorrono e si sfidano spesso sugli stessi format o temi? D’accordo il mercato è il mercato e ha le sue leggi che io non capisco, ma poi, a ben guardare, la buona letteratura da leggere c’è.

Le mie letture continuano, a presto!

P.S. Niente recensioni, ma solo i miei libri del cuore sul blog di Brik, è bene ricordarlo!

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Fiutando libri e raccontando: Invisibile

“Nina aveva fatto tante volte quel sogno, ma ogni volta le salivano le lacrime agli occhi, specialmente quella notte che era sola perché Elias non era tornato. Era invisibile.”

(da Invisibile, San Paolo ragazzi, 2012)

Scrivere per ragazzi non significa educarli, per carità io non me la cavo per nulla bene come educatrice. E come scrittrice come me la cavo? Non lo so!

Scrivere per ragazzi vuol dire semplicemente scrivere. E non è detto che le storie non abbiano a che fare con la realtà. Oggi sentivo un servizio sul caporalato e il lavoro dei clandestini nelle coltivazioni di pomodori: gli invisibili, quelle persone che sono senza documenti e non esistono.

Nel 2012  è uscito il mio Invisibile per San Paolo Ragazzi e i libri non scadono. O almeno i bei libri non scadono. (E spero che questo lo sia…).  Come in tutte le storie parto sempre da me, da un pozzo, un polo, un punto dentro di me dove la creatività si nutre di quello che mi affascina o sconvolge della realtà. Le mie storie sono reali. Non posso e non voglio parlare di tutto, ma Invisibile utilizzava quando emerso proprio da un’inchiesta giornalistica sul caporalato per  raccontare Elias  (un uomo scappato dal suo paese per motivi politici) e il suo lavoro clandestino nei campi. Lui viene arrestato e la sua bambina di cinque anni, Nina, anche lei fuggita dalla guerra (non una guerra in particolare) resta da sola in una grotta in un bosco. (“Quella Grass da dove viene Nina potrebbe essere ovunque e le guerre più o meno conosciute sono tante. È un nome che non dice nulla… o forse tutto, fate voi.”). Nina se la cava.

I miei figli a cinque anni non sapevano allacciare le stringhe delle scarpe, ma alcuni bambini a cinque anni sopravvivono da soli per le strade o come in questo caso in una grotta nel bosco. Eppure questa non è una storia triste o pedante, ma solo una vera avventura sui sentieri di montagna con protagonisti Silvia e Fabio e una banda di altri ragazzi molto bulli. C’è anche un cane, Pirata, un border collie (..ma va? Ebbene sì!).

Un romanzo a cui sono particolarmente affezionata. Vincitore del Premio Arpino, formato da una giuria di ragazzi.

Strave è un paese di montagna con i propri riti e abitudini, e come ogni anno in estate al paese tornano i fedelissimi turisti sicuri di trovare il paesaggio incantato che solo boschi e campi sanno regalare. Il bar di Rocco è il punto di incontro dei ragazzi dove nascono dispute e amori, ma anche il luogo dove Silvia, Bruno e Fabio cercano di svelare la trama del mistero che si presenta ai loro occhi: chi è la bambina abbandonata nella grotta? Che significato hanno gli indizi rinvenuti accanto a lei? Nina ha cinque anni e sta spettando il suo papà, Elias la cui vita da fuggiasco è segnata da sofferenze e fatica. Lui fa parte del popolo degli invisibili e in quanto tale è come se non esistesse, privo di diritti e giustizia. Silvia, Bruno e Fabio, guidati dal fedele Pirata, sapranno svelare il mistero che circonda Nina, e anche lo strafottente Mich dovrà aprire gli occhi e lasciare il suo atteggiamento da bullo per collaborare a risolvere una situazione più grande di lui. Giuliana Facchini scrive Invisibile per le edizioni San Paolo, accompagnando il giovane lettore per i sentieri di un bosco amico che nasconde anche realtà crudeli; il racconto porta alla ribalta una tematica forte come lo sfruttamento dei clandestini. L’importanza dell’amicizia, il rapporto speciale fra il cane Pirata e la sua padrona Silvia, il sentimento di empatia che gli abitanti di Strave hanno con la loro montagna, sono le basi sulle quali si costruisce la storia. Come faranno i ragazzi a scoprire cosa lega Nina, Elias ed Eva al vecchio Adelmo? Fidiamoci del fiuto di Pirata e armati di scarponi da montagna iniziamo l’avventuroso sentiero della lettura! (Recensione tratta da Zazie news: L’almanacco dei libri per ragazzi. A cura di Chiara Serra.)

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I ragazzi che leggono

Non è una novità quanto io tenga ai miei lettori. Ai ragazzi che leggono. Quanto vorrei che avessero più voce e non solo a scuola. Vorrei che la lettura diventasse motivo di aggregazione come lo sono lo sport, il teatro per alcuni o magari il cinema. Eppure ci sono intoppi e vuoti e non sempre i libri giusti arrivano tra le mani dei ragazzi. Il gruppo di lettura per adolescenti, Leggere ribelle, a cui ho il piacere di partecipare  mi sta svelando un sacco di meraviglie e il mio cervello si è messo in moto per capire e migliorare la mia collaborazione.

Da un lato voglio proporre agli adolescenti bibliografie che non conoscono, ma che sono state apprezzate da tanti lettori della loro stessa età, e dall’altra voglio dare spazio alla loro voce in merito ai libri. Mi piacerebbe essere un tramite e un buttafuori-adulti insomma. I ragazzi al centro, dice questo libro che s’intitola Ci piace leggere!. Sì, ci voglio lavorare. Sto toccando con mano la bellezza di cui i lettori adolescenti sono capaci e non si può descrivere, né si può negare.

Noi adulti che scriviamo (o consigliamo libri) per ragazzi crediamo a volte di sapere cosa sia meglio per loro. Davvero lo sappiamo?

Ci piace leggere! risponde con semplicità. Questo libro scritto da ragazzi lettori è prezioso. È la testimonianza di un numerosissimo gruppo di lettori che sorregge un intero e unico festival letterario: Mare di Libri. Sono voci di ragazzi e si sente, come si vedono i ragazzi dietro al festival. Dei ragazzi bravi, organizzati, intelligenti come tanti ma uniti dalla passione per la lettura.

Ecco una frase del libro che vorrei fosse gridata a gran voce, che per me è un capolavoro.

“Cari scrittori non abbiate paura a raccontare il mondo così com’è, perché noi quel mondo lo abiteremo. Scrivete libri onesti, scrivete storie intense. E combattete perché vengano pubblicate.”

Direi che va stampata a lettere cubitali e ci va tappezzato il mondo dell’editoria in generale. Se fosse facile essere un romanziere saremmo tutti scrittori, ma non lo siamo. Chi scrive qui, sul blog di un cane, se lo domanda spesso se è una buona narratrice di storie; umile e onesta sì, ma buona? Una risposta non riesce a darsela.

Teniamo in grande considerazione la voce dei ragazzi, credo sia fondamentale. Ascoltarli è fondamentale se vogliamo scrivere non per loro: solo se vogliamo scrivere, a volte, anche di loro.

Se i libri non devono dare risposte ma suscitare dubbi e domande, anche scrivere è un percorso faticoso in cui le risposte sono sempre un passo avanti e non si riesce mai ad afferrarle.

Ci piace leggere! è da leggere!

Pieno, straripante, di spunti di riflessione intelligenti, poco comodi o davvero scomodi.

Insomma da non perdere per chi vuole ascoltare.

Un’ultima brevissima citazione che per me è l’ennesima sottolineatura (a matita); una necessità per scavalcare una naturale barriera generazionale che non va demonizzata ma solamente compresa “…vorremmo che le nuove tecnologie fossero descritte come parte integrate della vita di noi adolescenti, come sono ormai nella realtà”.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Seguendo il filo di un pensiero

Seguendo il filo di un pensiero o di una perdita mentale di tempo, chissà: letto “Graffiti moon” di Cath Crowley giorni fa con piacere (…ascolterò l’autrice a MdL per “Io e te come un romanzo”). Uno dei protagonisti scrive poesie (così anche nel mio Se la tua colpa è di essere bella), l’altro lascia la scuola perché è in difficoltà ma si esprime con l’arte dei graffiti. (“Muoio dalla voglia di conoscerti” di A.Chambers – il protagonista ha le stesse difficoltà nello scrivere e si dedicherà all’arte). In generale si parla anche di aspettative genitoriali e di ragazzi che vogliono vivere della loro arte (così nel mio Un’estate da cani il protagonista scappa di casa per vivere della sua musica per strada). Sono tutti maschi, tutti ragazzi questi artisti e poeti. Sono i ragazzi a sognare questo di cui scriviamo? Oppure siamo noi scrittori a volerli invitare a non vivere di solo pane, ma anche d’arte? Eppure si arranca se si vuole fare del proprio lavoro creativo un vero lavoro (insomma pagarci le bollette). Senza buone poesie e storie e illustrazioni e buoni film e musica sparata nelle orecchie come potremmo vivere? Nessuno potrebbe farlo (chi lo fa non vive bene sicuro), eppure pochi sono disposti a pagarla la creatività per farsi di musica, storie, film, immagini dipinte, stampate e o graffitate. Roba buona che ci aiuta a rileggere noi stessi e il mondo. Perché questo libro, che non è un capolavoro, mi è piaciuto più di altri? Perché sono esterofila? (Come dice una mia amica). Perché è comunque una buona storia filtrata tra tante e ben tradotta? (Come dice il figlio). Perché è solo un romanzo YA che ci permette di sognare che si può di vivere d’Arte?

Non sono un’intellettuale, non mi rispondo, non mollo solo per vizio. Finirà come finirà.

Muro di Berlino – graffiti

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Se la tua colpa è di essere bella

Leggo i tuoi romanzi e ti dirò chi sei. No, non è così. Almeno non sempre. Per me sì, però, è vero.

Foto artistica dell’autrice, di Ste. (Mancano solo il cappello per le offerte e il cane perché sia fedele all’originale 😉 )

La voce di un autore è il suo libro. Non tutti gli autori riescono ad avere dei bei momenti d’incontro con i lettori. Sono scrittori, mica oratori. Per me l’Incontro con l’autore  nelle scuole, librerie o biblioteche è un momento importante di dialogo con i giovani lettori. Eppure a volte non sono riuscita a regalare agli studenti la parte migliore di me . Però so di averlo fatto nei miei libri sempre e onestamente.

Se non è solo mestiere parlare con i ragazzi, ma anche passione per i libri e per le storie, non può andare sempre alla stessa maniera.

Strano? Le emozioni non sono una scienza esatta!

E ancora: una storia nasce spontaneamente e certamente fissa nel tempo un pezzo di me. Scrittura e vita si mescolano, eppure non c’è nulla di autobiografico.

Ancora più strano?

Mi ritrovo ad ascoltare, emozionata, io per prima quella storia che arriva chissà da dove e che mi racconto da sola. Scriverla, per me, significa prenderne le distanze per provare a regalarla al lettore. Più facile a farsi che a dirsi. Infatti il difficile non è scrivere ma disciplinare quello che ho scritto. Trovare un senso, una direzione, un perché vale la pena condividerlo con i lettori. Insomma capire se è davvero una buona storia quella che ho scritto.

Il protagonista di Se la tua colpa è di essere bella è Valerio, un ragazzo di 16 anni. Pensa in prima persona, nel presente e scrive poesie d’amore (il titolo del libro è il titolo di una sua poesia). Nessuno potrebbe essere più diverso da me.

Parte di questa storia nasce dopo molti Incontri con l’autore per un libro: Chiamarlo amore non si può, una raccolta di racconti di cui uno mio. L’argomento è: la violenza sulle donne. Gli studenti quando sono invitata in una scuola si aspettano che faccia loro il predicozzo preparato per l’occasione a corredo del libro e cercano di non farsi coinvolgere in diretta. Lavorano a lungo dietro le quinte sul tema, con campagne pubblicitarie, video, cartelloni, ma in quel momento spesso tacciono. E taccio anch’io che i predicozzi non li faccio, preferisco leggere ad alta voce i racconti.

Eppure le mezze domande, i silenzi, le risatine, i cellulari smanettati di nascosto parlano. Gli occhi attenti parlano e io so ascoltare. In questo libro ci sono anche quei pensieri captati e a volte espressi timidamente a metà. Quegli accenni sinceri di discussione che escono dalle righe, che fanno la spia.

Sanno pensare i nostri ragazzi e assorbono la potenza costruttiva delle buone storie. Niente prediche ma romanzi, storie narrate in cui trovare spazio per poter pensare. Leggere lascia il tempo per pensare e immaginare. Quasi lo impone.

La mia necessità era far parlare Valerio. Pur essendo io lontanissima da Valerio, lo conosco bene. Perché è diverso da me posso raccontarlo onestamente, senza confondermi con lui. Anche Lavinia, se sono riuscita a farla vivere tra le pagine di questo mio romanzo, ha una bella voce, chiara, importante. Ne ho incontrate di Lavinia! E infine Carlos, forse quello più difficile, dall’animo complicato perché sono quasi certa incarni un bisogno segreto e innato e spesso negato di ogni adolescente: quello di avere degli ideali. Molto difficile.

«Lavinia è alta quasi quanto me. Ha i capelli lunghi, tra i quali spunta sempre qualche fiore vistoso».

Come sempre nei miei libri non c’è un tema solo, se per forza, per necessità editoriali, dobbiamo trovarlo il tema del romanzo. In realtà la storia di questo poetic guy  ruota attorno alla parola ingenuità riportata dalla curatrice anche in quarta di copertina (e di cui tacceranno sicuramente l’autrice). Ingenuità = Quello che fanno di buono i ragazzi lo fanno perché non ancora provati dalla durezza della vita. E noi adulti spesso ce ne stiamo arroccati dietro la paura che la loro ingenuità valga più delle nostre tremolanti convinzioni. La loro ingenuità può costruire un mondo migliore di quello che hanno trovato. È una legge di natura. Questo è il pensiero di fondo attorno al quale è nato il libro.  Un pensiero sempre fuori moda. I giovani d’oggi, quelli che si citano con tono critico e scuotendo il capo, ci sono sempre stati anche se a ogni generazione piace credere il contrario. #nonsolobulli #giovanimpegnati #braviragazzi #ragazzicheleggono

Questa mio romanzo è un’avventura lieve e impalpabile che si srotola tra le pagine come l’imprevedibilità della vita, tra durezza e dolcezza imperfette, fresca e delicata perché racconta la vita di tre adolescenti. Anime e corpi giovani, pronti ad affrontare il futuro con coraggio, arrogandosi il diritto di esserci e di avere una voce. Per fortuna.

Le poesie di Valerio sono scritte da Roberta Lipparini, alla quale va la mia affettuosa amicizia, la mia eterna gratitudine e la mia grande ammirazione. Grazie Roby.

Bugi e Roberta (Roberta è quella a destra nella foto 🙂 )

Se la tua colpa è di essere bella (cliccate sul titolo per leggere le specifiche del libro sul sito dell’Editore Feltrinelli) lo trovate dal 10 maggio 2018 nelle vostre librerie di fiducia, a La Feltrinelli o negli store online, in cartaceo o in e-book.

(Ricordate che sostenere con gli acquisti una Libreria Indipendente è come sostenere una preziosa specie in via d’estinzione. Evviva il World WildBook Found!)

Grazie per essere arrivati fin qui!

Buona lettura e fatemi sapere… per voi lettori ci sono sempre!

Sono qui 😉

Per saperne di più: Lettura di A. Starace

 Lettura di Carla Colussi

 Lettura di Livia Rocchi

Dal blog del Professor Pino Boero  

                                Segnalazione in TV minuto 6

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Una ciotola di emozioni forti… è solo Letteratura!

La potenza narrativa di un buon romanzo, a mio parere, non può essere rinchiusa in nessun clichè, affonda la sua radice creativa nell’autore stesso e si rivolge a chiunque sappia o voglia ascoltare una storia.

Aggiungo tre romanzi ai miei libri del cuore….

The stone – di Guido Sgardoli! Bellissimo, non si discute! Per carità, ambientazione e storia sono nelle mie corde ma nella narrativa ragazzi italiana un libro così, è inconsueto. Rompe gli schemi e appassiona senza limiti o timori bigotti. Questa è la strada giusta per dare valore alla nostra narrativa contemporanea. Bravi quelli di Piemme! …E in più: è lungo, che sembra che gli scrittori per ragazzi italiani fatichino a scrivere a differenza dei colleghi inglesi o americani che accumulano pagine su pagine.

Gli scrittori per ragazzi italiani sono bravi, a volte più bravi dei loro colleghi considerati di serie A per adulti!

Dello stesso autore ho apprezzato The frozen boy per vari motivi, non ultimo quello di saper vedere oltre la convinzione che i libri per ragazzi prevedano protagonisti ragazzi e imprigionino in un mondo a dimensione di ragazzo la forza narrativa di una storia.

 

 

L’isola delle balene – di M. Morpurgo (Ed. Il Castoro) è un’altra avventura fatta di mare e di vento. Una storia magica e affascinate che mescola le antiche leggende con un pizzico di spirito ecologista contemporaneo.

Infine Da quando ho incontrato Jessica – di Andrew Norriss (Ed. Il Castoro) per affrontare un tema molto forte con una dimensione alternativa, con il coraggio della narrazione originale e di stampo visivo e coinvolgente. 

 

 

 

 

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Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.

Pubblicato in: Pensieri canini

Zuffa di sera, bel tempo si spera

Grosso meticcio a ore nove, Rottweiler a dritta e alle spalle un Labrador. Ad agosto stare in campeggio per noi cani non è uno scherzo. Gli umani non capiscono niente, ci mancano di rispetto. Il nostro naso è tormentato da infiniti messaggi odorosi diversi, il nostro istinto vorrebbe mettere ordine: stabilire gerarchie, allontanare i provocatori, identificare i reietti ma non è possibile. Infiniti guinzagli ci inchiodano in un quadrato di terra, senza neanche una recinzione a dare un senso alle nostre frustrazioni. Mi domando se sia questa la domesticazione…

Giorni fa, in val di Fiemme, abbiamo incontrato tre simil-border liberi nei campi lungo la strada. Mi hanno individuato da lontano e mi sono venuti incontro. Erano tipi montanari, tutto muscoli e lotta per la sopravvivenza. Zuffa di sera bel tempo si spera, mi sono detto. Poi mi sono ricordato di essere al guinzaglio e che dall’altro capo mi trascinavo la Umi* che è una che raccoglie le deiezioni e sfila orgogliosa davanti ai forestali nel bosco con me al piede. Niente zuffa, mi sono detto, buttarla a terra con uno strattone mi dispiaceva. Allora ho sentito la Umi dire: Richiamate i cani, per favore.

Lei chiede sempre per favore. Come se qualcuno facesse mai un favore a qualcun’altro che non sia se stesso. Lei è così. La trattano male e si avvilisce: non riesce a capire le cattiverie. Non ci arriva. E’ scema.

I cani da pastore mi hanno guardato e io ho bloccato la coda ritta in alto, ferma come una mezzaluna dal pennacchio bianco:  sarò pure al guinzaglio ma non ho la museruola ragazzi, intendevo dire a chiara coda. Il contadino, il capo di quei tre rozzi, era grosso, indossava una giacca vecchia e un cappello calato fin sugli occhi. Quello che della sua pelle si vedeva era del colore della corteccia degli alberi, scuro e rugoso. Ha fatto un sibilo che la Umi non ha sentito, ma che mi ha trapassato il cervello. Io non muovevo un muscolo tenendo d’occhio quei tre, ma loro si sono ritirati e hanno riparato accanto al loro grosso umano. Si capiva che si sarebbero divertiti a farmi a pezzi, ma avevano rinunciato. Lui era la mano che li sfamava dopo ore di guardia o di lavoro tra le pecore o le mucche, chissà. I tre gli scodinzolavano attorno, c’era un patto tra loro: tu mi sfami, io ti obbedisco, ‘fanculo la libertà!

Un classico, ma lo ammetto, un patto è più bello di un guinzaglio.

Io sono rimasto immobile, con un’orecchia e mezza dritte e lo sguardo attento. La linea del mio corpo elegante non aveva nulla a che fare con quei tre, la mia intelligenza da blogger, la mia convivenza con una scrittrice facevano di me un animale diverso. Sono sempre un cane, ma vuoi mettere?

Alcuni di noi cani lavorano nelle fattorie, altri praticano sport e parecchi fanno da badanti nella case degli umani. Poi ci sono io che sto con la Umi e penso che patto o guinzaglio la vita sia sempre un compromesso e, ‘fanculo la libertà, io proteggo la Umi che degli umani non ci si può mai fidare.

Concludo con un consiglio letterario non occulto né disinteressato (se lei vende io mangio): l’ultimo libro della Umi: UN’ ESTATE DA CANI che purtroppo non è la mia autobiografia, ma è strepitoso ugualmente. Abbaio mio!

 

 

 

(Umi= Umana di Riferimento, in questo caso Giuliana Facchini, leggi anche Spieghiamoci… per capire meglio! nda)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Per fare uno scrittore ci vuole un mare…

Sono le 5:53 e apro gli occhi. Sono tornata ieri sera dal festival Mare di Libri e questa non sarà una cronaca, ma un viaggio di pensieri. Non la farò breve. Perché un’autrice di narrativa per ragazzi (o presunta tale) dovrebbe essere spettatrice a un festival come MdL? Da bambina cercavo spesso a scuola o alle feste un posticino per osservare  quello che accadeva intorno a me. A MdL chi scrive per ragazzi può trovare un posticino (magari in penultima fila) per osservare autori e ragazzi dialogare. Un privilegio.

E’ un festival fatto dai ragazzi, questo è importante e si sente. I ragazzi sono loro stessi a MdL, è come quando le maestre lasciano esprimere liberamente i loro alunni e vengono fuori disegni sghembi e imperfetti ma veri.

Ho seguito una serie di eventi, ovviamente non tutti, e per primo Aidan Chambers, uno scrittore inglese ottantatreenne pluripremiato e consacrato da critica e lettori. Mrs Chambers, che sui jeans indossa la magliettina del festival, tiene una lezione serissima e densa di concetti importanti con leggerezza e umiltà disarmanti. Lui è al servizio delle storie e dei lettori. I ragazzi lo applaudono con affetto come fosse una star della musica pop (ragazzi adolescenti che urlano “bravo” a un 83enne? Stupitevi, è successo). Lui ha ha scritto libri di ineguagliabile originalità e forza narrativa, è un formatore e potrebbe divertirsi e gigioneggiare, ma non lo fa. Tiene una lezione in piena regola. Non spreca l’opportunità di essere davanti a dei ragazzi che rappresentano il futuro di tutti noi e non li sottovaluta.

Ecco la prima rigorosa lezione del festival.

Poi arrivo in sala, dove a parlare ai ragazzi è Bruno Tognolini e il registro cambia, ascolto il ritmo  originale del poeta, il poeta che è l’essenza delle cose e della natura.

“Ascolta, ascolta, il vento sta parlando” disse Giovannino chinando la testa da un lato “dici davvero che non saremo più in grado di udirlo quando saremo grandi, Mary Poppins? “Lo udirete benissimo” disse Mary Poppins “ma non lo comprenderete.”

Questo scriveva Pamela Lyndon Travers e Tognolini va oltre: Tu sei tutti e tu sei tu. Sono le rime che ci rimangono in testa ne Il giardino dei musi eterni e raccontano che facciamo parte di un tutto sebbene siamo individui. Il poeta Tognolini con quel suo modo speciale di raccontare parla di quelle donne e quegli uomini che si dichiarano madri e padri dei propri cagnolini. Non li deride, né si scandalizza. Con l’umiltà dell’uomo che si guarda attorno e si sente una piccola parte della natura e del tutto,  accetta quella paternità o maternità differita. Già, perché: Tu sei tutti e tu sei tu.

Il mio festival continua con Cristopher Vick che ho apprezzato quasi più del suo romanzo. I ragazzi non leggono storie d’amore a differenza delle ragazze e lui invece ne scrive. Bella la sua capacità come uomo di svelarsi davanti ai suoi lettori. Le scrittrici lo fanno con facilità, gli scrittori no. Pongono dei filtri, non si raccontano sempre sinceramente nei libri attraverso i loro protagonisti maschi per essere letti da lettori maschi. Vick lo fa e come lui pochi scrittori lo hanno fatto. Vick l’ho visto ascoltare gli incontri dei colleghi, attento e interessato. Anche questo non è da tutti.

Arrivo finalmente da J. Teller, l’autrice di Niente e ho la conferma che dietro un grande libro c’è una gran bella persona. Lei si pone e si è posta delle domande, che tutti dobbiamo saperci porre, partendo da: Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena di far niente, lo vedo solo adesso. (dalla prima pagina del libro). La Teller è una donna disponibile eppure ferma, dalla grazia nordica. Mette subito in tavola un pensiero che ritiene scontato (ma io credo non lo sia): I ragazzi devono avere i loro segreti (un pensiero a doppia lama che terrorizza molti di noi adulti). E’ fondamentale per diventare individui e non restare cuccioli a vita. Racconta che ha scritto il libro in due settimane, ma ci è voluta una vita intera per prepararsi a farlo. E parla di onestà. Uno scrittore deve essere, tutti noi dobbiamo essere onesti. E’ facile e comodo chiudere gli occhi e rimanere aggrappati alle nostre convinzioni senza mettersi in discussione.  Ecco il suo romanzo e la sua storia di persona. Anche Jennifer Donnely e Kenneth Oppel nei libri mettono loro stessi. La novelist newyokese Donnely (che adoro) con tocco squisitamente statunitense racconta che si mette in ascolto dei personaggi delle sue storie. Personaggi che arrivano dal passato per aiutarci/la a capire il presente. Con ironia parla di una sorta di seduta spiritica e poi Oppel dice di se stesso e di quanto di lui ci sia nel protagonista del suo libro.

J.Donnnelly

Ecco l’onestà dello scrittore che scava in se stesso e attraverso le pagine dei suoi libri si dona al lettore. (Lo so, suona un po’ alla Grotowsky! Sarà l’amore per il teatro che non esaurisce mai!) Tutti possono scrivere ma non è scrivendo che si crea un romanzo. Pagine di emozioni che attivano sentimenti e ci  lasciano inevitabilmente diversi quando finiamo di leggere, non possono essere facili e scontate da scrivere. Sono un percorso che scorre parallelo alla nostra vita.  E forse come Tognolini ha sottolineato… ognuno di noi scrive di quello che gli manca, di quello che sogna di essere o creare.

Una cosa buffa del Festival è stato veder firmare il programma di MdL da alcuni autori su richiesta di ragazzini o genitori. Non avevano il libro, immagino. Insomma una bella copia del fogliettino strappato dal quaderno che nelle scuole spesso gli alunni fanno firmare agli autori (sì, anche a me) quando non hanno comprato il libro.

Ce la facciamo a capire che il valore sta nel libro con o senza firma dell’autore, ma la firma dell’autore senza il suo libro è ben poca cosa?

MdL per me è stato anche la colazione piena di dolci fatti in casa dalla proprietaria dell’albergo dove alloggiavo, la piadineria del borgo e il mare dove lascio sempre scivolare i pensieri sul pelo dell’acqua come fossero le tavole da surf di Vick; sono state le lacrime alla fine della proiezione di Una vita da Zucchina; è stato la lettura di alcuni brani di libri scelti dai ragazzi fatta da Lella Costa con grande bravura o il cortile della biblioteca dove ho ascoltato Silvia Vecchini e l’attrice Alessia Canducci, alle undici di sera,  raccontare una fiaba della buona notte. Era una fiaba dei fratelli Grimm, una Cenerentola che non lasciava dormire sonni tranquilli.

Ma vogliamo davvero dormire sonni tranquilli?

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Una ciotola di emozioni forti… è solo Letteratura!

 

Considerazioni mie su Bunker diary di K. Brooks. (Attenzione spoiler!!!)

Avevo quasi paura di leggerlo per come ne avevo sentito parlare e invece l’ho trovato un libro equilibrato e ben scritto.

Racconta una situazione e una vicenda angosciose, ma non nuove, anzi direi un classico di certo genere di libri o film. Il finale è quello che fa discutere. Si parla spesso di eroi, o personaggi positivi, nella cosiddetta letteratura civile che vengono uccisi. (Pensiamo solo a Iqbal, un ragazzo che muore assassinato) La cosa non ci mette troppa ansia, l’accettiamo perché erano persone esistite veramente e purtroppo morte, ma non siamo noi. Non ci identifichiamo. In Bunker si va oltre, perché ci identifichiamo nel protagonista e soffriamo con lui. Una frase nel libro dice, più o meno, che chi non ha mai provato paura non ha mai vissuto davvero. Sono d’accordo, esistono tante paure. La letteratura non serve anche a questo? A farci sperimentare forti emozioni che non sono vita vera? Forse per formare giovani che potrebbero sentirsi eroi o eroine la paura serve. Quindi, secondo me, ben vengano libri che rompono gli schemi e scuotono, se ben scritti ed equilibrati, ovviamente.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Un’estate da cani… come nascono le storie!

Questa storia è un racconto scritto in prima persona da Ginevra. Lei non è una scrittrice e non si tratta di un diario. No. Questa storia nasce per raccontare che scrivere può essere utile. Enigmatica?

Chi ha letto Io e te sull’isola che non c’è, sa che Lucia scrive una storia dove succedono cose terribili alla sua odiata nemica. Su un foglio bianco tutto può accadere e così Lucia sfoga la sua rabbia e il suo odio. Ginevra scrive per un altro motivo. Un motivo ben preciso. Trovo affascinante poter fermare sulla carta le emozioni senza dover necessariamente essere scrittori. E’ una fotografia del nostro stato d’animo. Rileggere quelle righe anni dopo, come guardare una foto, ci racconterà chi eravamo.

Un ragazzo una volta mi chiese se la sua vita sarebbe diventata come quelle dai suoi genitori: andare a lavorare, fare figli e pagare le bollette. Io gli parlai di sogni.

In questa storia si parla di sogni. Sì, quelli che ognuno di noi ha; non esistono uomini o donne senza sogni. Alcuni credono che i loro sogni siano andati distrutti, altri pensano di non averne perché li hanno dimenticati. Quello che ci piacerebbe realizzare della nostra vita è il motore che ci anima, certi motori borbottano, altri ronfano e alcuni di noi sono sordi, ma il motore batte e pulsa volendo o non volendo.

I sogni sono la linfa vitale di cui si nutrono i ragazzi, ma alle volte gli adulti ce la mettono tutta per disilluderli, di questo racconta Un’estate da cani, di chi non vuole rinunciare al proprio sogno.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso” diceva Nelson Mandela.

“Cosa vuoi diventare da grande? Felice” Risponde Thomas ne Il libro di tutte le cose di G. Kuijer

Ecco, chissà, forse vincere vuol dire trovare la propria felicità.

Orchidea è una bellissima Levriera che Loredana e la sua famiglia hanno adottato raccontandomi poi la sua storia.

Si parla anche di cani, sì ancora. Degli ultimi, quelli di cui proprio non importa a nessuno. Ci sono persone che si occupano di loro e mi pare bellissimo. Certo ci sono ingiustizie ben peggiori, ma sono convinta che di amore ce ne sia per tutti. Anche per gli animali e l’ambiente e senza far torto a nessuno. Io sono per includere e non escludere.

Infine, in questa storia, c’è un’omaggio a mia madre da sempre incallita giallista. Dei suoi racconti mi nutro io, che i gialli non li amo. Mi accompagnano da sempre nomi come Christie, Stout, Queen, Grisham, Camilleri, Patterson, Cornowell… serial killer e patologhe mi inseguono da sempre e non poteva tutto non confluire in un mitica Cena con delitto!

Ultima nota: Marisol esiste davvero. Non so se si chiami così, ma l’ho vista in ospedale mentre aspettavo di fare una banale visita specialistica. Lei era qualche metro più avanti e per rilassarsi faceva degli esercizi di respirazione in piedi, tra il muro grigio e la finestra. Era molto discreta, forse la notai davvero solo io e m’incantai a guardarla. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei e dalla sua figura luminosa. Cominciai a respirare come lei.

Le storie siamo noi.

Buona lettura e fatemi sapere!

Trama e dettagli su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della lettura!

L’albero delle bugie di Frances Hardinge è un libro avventuroso e intelligente. Ambientato nell’Inghilterra vittoriana racconta l’appassionante storia dell’anticonformista Faith e dell’albero delle bugie. L’ho divorato!

(Cliccare sul titolo per trama e dettagli!)

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

My beta readers!

16002852_1492041067487634_717025586844957025_nOggi mi è successa una cosa fantastica, una di quelle cose che mi fanno amare alla follia il mio mestiere. Ho appena terminato di scrivere un romanzo young adult. Ecco, di solito quando termino una storia la mando in lettura ad alcune beta-reader di cui mi fido. Ne ho beccate due libere e una di queste ha una figlia diciassettenne. Il romanzo gira in pdf sul tablet e la ragazza lo ha trovato. Lo ha letto (d’istinto, di sua iniziativa) e poi mi ha scritto su whatsApp …dal cellulare della madre?!
Dice che “non è delusa dalla mia storia”, anzi si complimenta; che ha fatto lo screenshot di qualche pagina e ha segnato delle note per me sul suo cellulare. Dice che, però, i suoi le hanno sequestrato il cell e hanno cambiato la password del wifi, quindi mi girerà tutto appena appena possibile. (…non è grandioso? I ragazzi sono fantastici!)
Ovviamente il romanzo avrà il giudizio anche del diciannovenne e del ventiduenne di casa (uno farà il pelo e il contropelo anche alle virgole e l’altro salverà solo il salvabile – sono due editor crudeli).
Si può essere più fortunati di così? Si può chiedere di più quando si fa della scrittura il proprio mestiere?
Sappiate che lavoro sul campo, le mie storie sono in prima linea e mi piace da matti!

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Non crediamo più nelle storie?

foto-specchioQuest’anno il post natalizio è un po’ così. In realtà si tratta di una mia riflessione.

Le storie ci hanno tenuto compagnia dai tempi più antichi, hanno affascinato generazioni di bambini, ragazzi e adulti. Le ultime storie sono state quelle dei nonni o quelle raccontate mentre la sera nelle stalle ci si scaldava facendo filò. La narrazione orale ha trovato l’immortalità nella scrittura, i libri fissano le storie come il cinematografo ha fermato sulla pellicola il volto senza età degli attori. Oggi le storie non le racconta quasi più nessuno e pochi leggono i libri, ma riconoscendone il valore, le storie sono finite a scuola tra i banchi, prima o dopo la ricreazione.

Che bello!

Insomma.

Ci sono ancora i narratori? Sì, i narratori per bambini ci sono e la bellezza delle loro storie arriva in albi meravigliosi e in splendidi libri illustrati. Eppure non sempre raggiungono i bambini. Tranne il nobile lavoro di alcuni lettori volontari, a scuola quando arriva un autore si fa un “laboratorio”.

Che vuol dire? Che non si ha fiducia nella “storia”. Se si teme che questa non possa catturare i bambini la si imbriglia in altre attività: disegno, fumetto, teatrino, canzone.

Vuol dire che non è una buona storia allora, oppure che non si crede in essa. Oppure che non si credono i bambini capaci di ascoltare. Ma l’ascolto come la scrittura sono abilità e vanno esercitate. Se non crediamo nelle nostre storie e non crediamo nei bambini,  dovremmo cambiare mestiere.

Quando i bambini crescono, a scuola i libri diventano sempre più spesso un ausilio per lo studio, per l’educazione civica e quella sociale. Raramente per l’educazione ai sentimenti. Sono, a volte, il prolungamento di personalità autoriali affascinanti che diventano fulcro al posto delle storie. Giornalisti, storici, naturalisti non devono mancare tra i ragazzi e gli adolescenti, ma loro raccontano la Società, la Storia, la Natura, non “storie” (salvo eccezioni).

Non dobbiamo dimenticare che un buon libro ha il potere di istruirci empaticamente alla vita, perché allora proprio ai ragazzi e agli adolescenti arrivano più manuali che storie? Perché ostinarsi a spiegare concetti invece di lasciar vivere e sperimentare nelle storie?

Un buon libro che conquisti, emozioni e lasci ragazzi e adolescenti realmente affamati di altri libri, non arriva così facilmente tra le loro mani, nonostante gli eventi di promozione della lettura, i buoni librai e bibliotecari. Questo non perché manchino buoni narratori, ma perché non si crede più nelle storie, nel loro potere assoluto.

Un autore di libri o un illustratore tra i ragazzi e gli adolescenti dovrebbe essere sempre al servizio della sua storia, non viceversa, e sarebbe bello portare nelle scuole solo la passione per le buone storie, null’altro.

Se spacciamo buoni libri, questi creeranno dipendenza.

Capisco che vendere è il primo obbiettivo di una casa editrice e di un autore, ma come dimostrato fuori dal nostro Paese, se abbiamo fiducia nei nostri ragazzi e scriviamo buone storie facilmente arriverà anche la tranquillità economica.

Si cercano, invece, secondo me, delle scappatoie; è faticoso scalare una montagna, meglio girarci attorno, ma così facendo non sapremo mai cosa si prova quando si è in cima. L’aria fredda e tersa, il cielo di un colore indescrivibile, il grido dei rapaci, i mughi piegati, lo sguardo incerto di un camoscio, il nostro respiro che entra in sintonia con il silenzio.

Torniamo ad avere fiducia nelle storie e nei ragazzi, daremo vigore ai libri e creeremo lettori forti che sapranno costruire il loro domani con coraggio. Le storie non sono salvifiche più di qualsiasi altra forma d’arte, ma aiutano tutti noi a scegliere chi vogliamo essere in una società che ha conquistato la globalizzazione e la capacità di ignorare la sofferenza degli uomini, degli animali e della propria terra.

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AUGURI!

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

I dolori di una non più giovane narratrice di storie

E’ accaduto, accade. Succede che un’idea ti ronzi per la testa e non ti dia tregua. Una nuova storia sta nascendo e cominci  a scrivere.

L’entusiasmo che mi pervade quando ho tra le mani quella materia grezza che è la mia immaginazione, è indescrivibile. Scrivere fa bene, mette di ottimo umore. Ogni storia nuova sembra debba aprire una nuova era, diventare quel libro perfetto che inseguo e non raggiungerò mai. Non lo scriverò mai, ovviamente, perché non esiste un delitto o un libro perfetto. La mia vita non è perfetta, chi ha una vita perfetta? La mia vita ha sempre trattato la scrittura come fosse un incantesimo di Harry Potter o come se i libri esistessero già nella borsa di Mary Poppins. I libri si scrivono, ci vuole tempo, pazienza, energia. Per fare un lavoro ben fatto, una legnaia ben impilata di parole come si vede fuori della baite trentine, ci vogliono ore vuote di pensieri e ore dense di frasi che sfuggono o arrivano in massa. Imprigionare la creatività nella disciplina è uno sforzo che stroncherebbe anche una secchiona come Hermione.

Isabel Allende, ha dichiarato che c’è un casotto nel giardino della sua villa dove si ritira a scrivere, un’altra famosa scrittrice va in Umbria nel silenzio della sua cascina ristrutturata a meditare sulle pagine del best seller di turno (dal quale il marito farà di sicuro un film). E io? Non sono un’autrice da best seller, sono una venditrice di storie che passa di classe in classe, di scuola in scuola; faccio parte di quegli scrittori di serie D che in Italia nessuno si fila e prima di me, nella categoria “narrativa ragazzi”, ci sono quelli molto bravi, quindi?

Quindi io sono magica, io le storie le tiro fuori già scritte dalla famosa borsa, gentilmente offerta in prestito dalla cara signora Poppins. Rubare ore di silenzio è realmente il mio mestiere; incontrare di nascosto i personaggi è il mio mestiere; leggere e rileggere bruciando parte della cena, lo faccio per lavoro; amare a tal punto quella storia da ripeterla tra me e me (chi mi vede pensa che io sia al telefono) mentre in auto vado di qua e di là a sbrigar commissioni, a dar passaggi, a pagar multe. Se non servissero mani e tastiera avrei fatto fuori col pensiero fiumi d’inchiostro. I miei romanzi li sudo dalla prima all’ultima riga tra le code al supermercato, gli incontri con i ragazzi delle scuole, le camminate sull’argine del fiume per far correre il cane, le fiere per sentire gli autori chiacchierare, le litigate inter-familiari, i dialoghi surreali con mia madre e le occasionali fughe dal veterinario con lo sfigato quadrupede di turno.

Non sono una professionista, non mi sento una professionista, sono più un’artista della narrazione: nel casotto? in Umbria? no! In un angolo della casa, su una scrivania piena di peli di gatto, libri, tessere sconto, seconde chiavi della macchina, un termometro, due agende, una tavoletta di cioccolata, la tazza del raccogliticcio, concentrata a ignorare chi mi chiama, chi blatera di imminenti catastrofi, chi avverte uno strano odore di bruciato in cucina. Le mie sono le storie di una funambola che nella vita continua a camminare su di un filo teso tra realtà e finzione. Non si sa fino quanto reggerà.

Tutto questo può portare a un incommensurabile successo o alla catastrofe più nera, oppure può relegarti nella mediocrità. Altre opzioni non ce ne sono. Già, perché ormai tutti ti conoscono e l’ennesimo inedito sparirà inghiottito dalle lunghe file d’attesa nelle case editrici, non saprai mai se sei brava e sfortunata oppure se in te stessa, alla fine, ci credi solo tu.

E’ un guaio, non sei una professoressa, non sei impegnata nel sociale, vendi spiccioli d’avventura ai tuoi lettori ideali, quei ragazzi dei quali vorresti avere ancora l’età. Sogni come dovrebbero fare loro e non vuoi che loro abbandonino i loro sogni, è per questo che scrivi. Una missione imbottita di cuscini tra i quali far cadere i sognatori di vite diverse, la missione un po’ folle della scrittrice senza casa, che abita il mondo e non va da nessuna parte. La sua meta è il viaggio nelle storie che costruiscono gradini su cui accompagnare i lettori. Tu, li porti per mano e poi li lasci andare quando tra le storie sanno muoversi da soli.

Fai un lavoro fine a se stesso, ma non molli, sei tenace. Non devi arrivare da nessuna parte, non hai fretta.

Ma ti lasceranno sopravvivere?

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Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura!

Con Luna Park di Livia Rocchi (edito da Camelozampa) mi sono emozionata e commossa. Una storia che arriva semplicemente dritta al cuore. Da leggere!

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A mio parere, questo romanzo ha il grande pregio di parlare a tutti, davvero a tutti. Non dobbiamo avere paura di proporre ai ragazzi libri che affrontano argomenti forti, ma esiste anche un modo di narrare storie importanti con un linguaggio che rasenta quello poetico e che nessuno avrà mai timore o scrupolo di proporre ai ragazzini.

Il “racconto” Luna Park esce nel 2013 nella raccolta “Chiamarlo amore non si può”, che racconta ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne, antologia della quale sono coautrice (vedi i dettagli tra i miei libri). Da quel racconto nasce il romanzo Luna Park una storia completa ed efficace.

Evviva i libri che hanno voce propria, basta carta stampata impersonale, pubblichiamo di meno ma pubblichiamo libri sinceri, onesti, veri!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della lettura!

Maionese, ketchup o latte di soia di Gaia Guasti… consigliatissimo! Una storia breve, immediata e convincente che racconta il quotidiano, l’apparenza che non è realtà, il brutto e la bellezza che c’è in tutti noi. Lo fa con ironia e dinamismo e la voce di un ragazzino: Noah. In certi momenti ridevo da sola, in altri ero ammirata per come l’autrice riuscisse a scrivere di argomenti importanti con semplicità. Una collana Gli arcobaleni di Camelozampa Editrice da tenere sempre presente.

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura…

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Una voce dal lago di Jennifer Donnelly è un libro che mi ha conquistata. C’è molto in questa storia. E’ ambientata in un paesetto rurale americano, nei primi anni del 1900, e la protagonista è una ragazza che vorrebbe studiare all’Università. Come sempre non sto a raccontare la trama che potete trovare nella quarta di copertina ovunque, e poi, in questo caso, risulterebbe enormemente riduttivo. E’ una storia ambientata nel passato ma, per molti aspetti, attualissima. Tra l’altro mi ha colpito un brano, il cui senso io stessa avevo riassunto in una frase di un mio romanzo. La frase fu tagliata dalla redazione della casa editrice che avrebbe dovuto pubblicare il libro e che alla fine non lo pubblicò. Ci tenevo molto a quella frase e più o meno diceva: negli occhi degli adolescenti in certi momenti vedi già quello che loro saranno in futuro. Sono felice di sapere che qualcun’altro, oltre a me, conosce quello sguardo. 

Un assaggio del libro che mi piace moltissimo…

“Mi capitava di immaginare che i personaggi dei libri potessero cambiare il proprio destino, e fantasticavo su come sarebbe stato. A volte provavo compassione per loro, nel vedere che non potevano in alcun modo sfuggire alla propria sorte già tracciata. Poi però pensavo che se avessero potuto parlare con me, mi avrebbero sicuramente detto di risparmiarmi pietà e condiscendenza, visto che nemmeno io potevo sfuggire al mio destino.” da Una voce dal lago di J.Donnelly

Leggere per imparare a scrivere. La musicalità delle parole, l’uso delicato delle virgole, il significato che sprigionano le frasi e sul quale potresti riflettere per mesi. Un buon libro non può far altro che bene.

 

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io e te sull’isola che non c’è. Come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

cover_IO E TE_WEBCerte in un modo, alcune in un altro! Questo romanzo ha per me qualcosa di speciale perché racconta tante storie, ci sono tanti personaggi e ognuno con la propria vita, una sensibilità e un destino. Il romanzo è nato parlando di cani… e ti pareva! esclamerete subito, già ogni autore ha i suoi nervi sensibili, quella sua anima inquieta e sorniona che torna sempre nella storie. Quando presi con me Bryce conobbi un tipo di cinofila bella e un rapporto con gli animali, con i cani in particolare, straordinario. Si può, credetemi, addestrare un cane alle discipline più nobili in modo mostruoso, ma si può, per fortuna, anche lavorare sull’intesa e l’amore reciproco. Questa modalità a mio parere addestra cani sereni abili al soccorso, al sostegno delle disabilità umane e anche alla semplice compagnia. Con questi giovani cinofili allegri e espertissimi ho conosciuto cani speciali e, se me lo consentite, di grande personalità ed è nata la voglia di raccontarli. In “Io e te sull’isola che non c’è” si parla del rapporto con i cani come mezzo per allenare gli umani al linguaggio dell’empatia e della sensibilità. Il rapporto con gli animali ci insegna a non comunicare solo con la parola ma anche con il linguaggio del corpo e a essere più recettivi verso gli altri.

“Gli animali ci rendono tutti più umani”

Ma non si parla solo di cani, anzi, in questo romanzo torna una fiaba di Andersen “I cigni selvatici” che mi impressionò da bambina. Si parla di fiaba e di realtà e di quanto di magico (tra virgolette) ci sia nella vita. Credere a tutti i costi in qualcosa che solo noi abbiamo intravisto, avere fiducia nei fili da seguire che la vita ci mette tra le mani, raccontano che vivere non è solo quello che sperimentiamo con i cinque sensi. Empatie, sogni, emozioni non si toccano, annusano, vedono, sentono o assaporano ma ne percepiamo gli effetti se sappiamo metterci in posizione di ascolto.

Scrivere è un mestiere strano e la fantasia un’entità astratta. Bello aver fantasia, ma la fantasia non si tocca, non si trova ovunque e a cosa serve? Si sbarca il lunario con la fantasia? Forse no, quando si sale quella scala a pioli che porta su una nuvoletta fantastica tutto può accadere e solo lì, a mio parere, nasce davvero una buon romanzo.

Mi dicono spesso che nelle mie storie ci sono troppi personaggi e vie da seguire, eppure io credo che siamo tutti, ragazzi (soprattutto loro sono abilissimi) e non, in grado di seguire l’affresco variopinto e ricco di un romanzo, in grado di innamorarci di un protagonista oppure di personaggio antipatico, di scegliere i tramonti da dipingere con la mente e quali sguardi seguire. Vi lascio la mia storia… fatemi sapere!

…. Ah, dimenticavo: un grazie speciale a mio figlio grande (perché le mie storie sono sempre un affare di famiglia, leggere per credere Cortometraggio di famiglia) che ha ideato un bel titolo per questo romanzo!

P.S. La copertina creata per la nuova edizione 2024 del romanzo sostituisce in questo articolo quella vecchia.

Galleria fotografica dei protagonisti a quattro-zampe del romanzo! 

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Eko con Tabatha e Sancho – “…aveva pubblicato la foto di Eko con un mestolo da cucina in bocca. Aveva un’aria seria, solo un po’ scocciata, mentre la didascalia diceva: Stasera cucino io! “

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Eko (lo zio di Bry)- “…con una fetta biscottata in bilico sulla testa. Il cane aveva uno sguardo buffo perché lei lo fotografava sempre nelle pose più assurde, invece lui voleva solo papparsi la fetta fragrante!”

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Nana – “…l’aveva fotografata accucciata su un grosso vocabolario con gli occhiali da lettura sul naso e forse era davvero l’unico modo per descrivere Nana! “

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Emily – “Emily era sempre disponibile al gioco, ma non era invadente! “

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Emily – ” I suoi occhi cercavano Lucia e la invitavano a lasciare da parte i problemi quotidiani per perdersi con lei in un mondo di palline, salti, corse e coccole. “

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Cica (la nonna di Bry) – ” …due splendidi cani occupavano rispettivamente due poltrone e non si mossero. Erano le due femmine dell’allevamento: Cica e Queen. “

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Queenbee – “Queen e Cica, chiuse nella camera di Meggy, se ne stavano sulla terrazza attigua, fisse e immobili come statue, a osservare dall’alto cosa stesse accadendo nel loro regno”

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Jazz (Nel romanzo interpreta la parte dell’amico del cuore di Nico ed essendo una vera primadonna lo fa in modo esemplare!) “Jazz lo fissò scavando, con i suoi piccoli occhi scuri di cane fortunato, nel dolore del ragazzo…”

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Orma Rossa – … cui Lucia ha scippato il nome per il suo nickname!

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Bryce – “Si chiama Bry, sarà il tuo cane e insieme vi divertirete un mondo”

*I Border collie fotografati appartengono tutti alla famiglia (ops all’allevamento) Gingerbell.

Pubblicato in: Colpi di coda, Fiutando Libri!

Colpi di coda

Su Echino tanti begli articoli con Ecolo-Gino, zia Econo-Mina, l’intervista a Gianni Rodari e troverete in esclusiva un articolo di zampa di Bryce sulla transumanza e il governo delle pecore!echinoChi non compra Echino con il mio articolo… peste lo colga!
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Io sono pronto a fare gli zampografi!

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Sgranocchiando avventure…

 Pacunaimba di Michele D’Ignazio è un’avventura scritta con delicatezza quasi surreale che mi fa pensare per ritmo, leggerezza e colori al bellissimo corto d’animazione I fantastici libri volanti di Morris Lessmore. Un libro coraggioso, oggi, nel panorama della narrativa per ragazzi.

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Ho conosciuto Michele a Scampia Storytelling, aveva con sé una valigia piena di storie, la storia di una matita nel taschino e dei modi gentili.

Sono felice di poter leggere autori come lui, sono proprio felice e sono commossa… grazie per la bellissima dedica!

Pubblicato in: Fiutando Libri!, Human English Version!

Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna – Children’s Book Fair

pegDopo tre giorni alla Children’s Book Fair di Bologna mi rimane l’emozione di una fiera del cuore.

After three days at the Children’s Book Fair in Bologna the feeling it wasn’t simply a book fair but a real “heart fair” is still in me.

Sono appena rientrata dalla passeggiata mattutina con Bryce e lui, che è rimasto a casa per tre giorni a annoiarsi, è finalmente rilassato e felice di tornare alle nostre abitudini quotidiane. Bryce è sotto la mia scrivania, la casa è silenziosa, il tempo è uggioso.

I’m just come back from the morning walk with Bryce and he, who stayed three days at home annoying himself, is finally relaxed and happy to have our daily routine back. Bryce lies under my desk, the house is quite and the weather is gloomy.

Scrivere per ragazzi è per me un mestiere speciale, nei miei libri ci sono io e sempre io ci sono nelle relazioni umane che intreccio. Quella rete strana, fragile o d’acciaio che sono le amicizie. L’amicizia è uno dei temi che ricorre sempre nelle mie storie, l’amicizia è un valore che coltivo da sempre.

To write children stories is a very special job: I’m always in my books and I’m in all the human relationships I weave too, that peculiar, fragile or strong net forming friendship. And friendship is one of the main subjects of all my stories, it’s one of the values I’m always cultivating.

In questi tre giorni di fiera ho incontrato tante persone, ho capito che alcune amicizie sono salde e forti. Alle volte l’ho capito in un abbraccio o in un continuare a cercarsi: Sei al padiglione 29? Sto scappando a una presentazione! Andiamo ad ascoltare quell’autore, a sfogliare quel libro, a mangiare un panino…? Altre volte l’ho capito in quindici minuti di conversazione fitta fitta, condensata, piena di parole importanti.

During these three days I met a lot of people, I realized some friendships are strong and steady; sometimes I could understand it through a hug or just because we were keeping on searching each other: Are you at stand 29? I’m going to a reading… let’s go listening to that author, to read that book or to eat a sandwich??? Other times I realized it in a 15 minutes intense conversation full of important words.

Poi in fiera ho incontrato persone che volevo conoscere e in pochi minuti ho capito che l’empatia funziona anche tramite la rete internet e abbracciarsi è stata solo una conferma. So che quelle persone rimarranno nella mia vita di scrittrice, lettrice, promotrice dell’amicizia leale e senza barriere per la quale abbiamo con spontaneità gettato le basi.

At the fair I met people I would like to know and in a few seconds I felt that empathy works also through internet and to embrace each other is a further proof of it. I know those people will stay forever in my life as a writer, reader and promoter of leal and no barrier friendship, for which we spontaneously lay the foundations.

Il mio ultimo libro era sul banco dell’editore. Gli occhi magnetici del gatto mi hanno incoraggiato, rassicurato, guidato e una filiera di bellezza e di positività nel mondo dei libri per ragazzi si è rivelata ai miei occhi. Autori, editori, lettori, bibliotecari e librai che credono nel potere dei libri onesti, quelli che regalano emozioni e aiutano tutti noi a crescere. Continuano a tornarmi in mente le parole di Roberto Piumini che, sintetizzate, esortano a non banalizzare. Non banalizziamo il potere della letteratura per ragazzi, alimentiamolo con passione sincera e semineremo bellezza.

My last novel was on the editor stand. The magnetic cat’s eyes encouraged, reassured, guided me and a beauty and positiveness die in the children books’ world revealed to my eyes. Authors, editors, readers, librarians and booksellers believing in honest books’ power, those giving emotions and helping us to grow. Since then Roberto Piumini’s words are still in my mind. Shortly they urged us not to trivialize. Don’t trivialize children literature’s power but instead let’s feed it with honest passion and we will spread beauty.

Nel mondo di oggi si può, forse, chissà… ci crediamo?

In today’s world it could be possible… we can, perhaps, maybe… do we believe in it?

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Sono tornata a casa da Bologna con tanti libri, alcuni con dediche meravigliose e dolcissime e con il libro del piccolo Sheepdog che tanto assomiglia a Brik. L’editore scozzese Floris Books non poteva vendermi quel libro che i miei occhi avevano individuato il primo giorno con un’attrazione fatale. Chi ha disegnato quel cane lo conosce bene e un legame invisibile che sfida la distanza e la velocità della luce si è creato immediatamente. L’editore ne ha messo da parte una copia e l’ultimo giorno me l’ha regalata. Io ho regalato in cambio una copia di Echino dove c’è l’articolo del Brik. Non è stato un contatto di lavoro, è stata una relazione umana tra persone, passata attraverso il mio inglese approssimativo e le pagine dei libri. Ho ricevuto in dono un libro che adoro e la gentilezza di un’editor scozzese.

I came home from Bologna with lots of books, some even with beautiful and very sweet dedications, and with a special book about a little Sheepdog who is so very like Brik. The Scottish editor Floris Books couldn’t sell to me that book, which fatally attracted my eyes from the very first day… who drow this dog, knows him very we’ll and an invisible relationship, challenging distance and the speed of light, created immediately. The editor kept one copy for me and last day she gave it to me. In exchange for it I gave her a copy of Echino, where there is an article of Brik.
It wasn’t a work contact but a real human relationship fed by my inaccurate English and some book’s pages. I have been given the book I adore and the kindness of a Scottish editor. (… and compliments to Sandra Klaassen!)

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Sandra Klassen di Floris Books: www.florisbooks.co.uk/blog/2015/05/13/florisdesign-illustrator-interview-sandra-klaassen-2/

12909432_1178408702184207_2991474774919569307_oEchino: www.echino.it 

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Come nascono le storie… ilgiovanebrik.com/2016/03/07/come-nascono-le-storie-il-segreto-del-manoscritto

Notes Edizioni: www.notesedizioni.it/index.php?option=com_libreria&c=pubblicazioni&task=display&idpubblicazione=58&Itemid=61

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il segreto del manoscritto, come nascono le mie storie

          IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO Notes Edizioni 2016/2023

NUOVA COPERTINA DI CINZIA GHIGLIANO

A fine marzo 2016 in libreria il libro che ha vinto il Premio Giovanna Righini Ricci con la splendida copertina di Cinzia Ghigliano.

Sono felice che la storia scelta dalla giuria ragazzi del Premio sia stata approvata da Carla C. Martino della Notes Edizioni. E’ bello che i giovani lettori vedano riconosciuta la loro valutazione di un manoscritto da parte di una casa editrice di qualità. Sono felice di dimostrare ai giovani giurati che non hanno letto e discusso invano, perchè a questo serve un Premio Letterario: a farci intendere che leggere, produrre libri e proporli in libreria non è inutile. Se quei ragazzi hanno saputo scegliere una storia da pubblicare a dodici anni, possono continuare a leggere e valutare libri per tutta la vita!

Leggere ci rende liberi, liberi di immaginare una storia oppure di chiudere un libro. Liberi di decidere. Con un libro tra le mani e la testa tra le pagine facciamo piccoli esercizi di autonomia e impariamo a vivere. Tutti!

Come nascono le storie?

Sono cresciuta con racconti di ogni tipo, ma adoravo sentir leggere mia madre che traduceva a braccio dal francese le avventure di Arsène Lupin di Maurice Leblanc.

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aiguille creuse

Figurarsi l’emozione quando, qualche anno fa, visitando  la cittadina di Etretat nell’alta Normandia vidi la casa appartenuta all’autore dei romanzi del famoso ladro gentiluomo. Proprio lì nacque l’idea di questa storia. Quel giorno piovigginava e l’aria era ferma e grigia. Non c’era nessuno per le strade di quella cittadina e anche la “guglia cava”, che ispirò la prima avventura di Arsène Lupin nel romanzo “L’Aigulle creuse” uscito prima a puntate e poi in libreria nel 1909,  aveva un aspetto misterioso.

Immaginai una casa antica divenuta museo e una ragazzina appassionata di misteri. Un Arsenio Lupin tutto italiano, un piccolo paese  su un’isola che vive solo di turismo e rocce a picco su un mare meraviglioso.

Voilà: Il segreto del manoscritto!

Indi tra i non ti scordar di me

D’accordo nella mia storia non poteva mancare un gatto un po’ magico, possibilmente bianco come il mio Indi.

Ancora una cosa volevo raccontare: “La vita era dura, alle volte era difficile andare avanti, ma c’era unione tra le famiglie. Gli uomini si aiutavano nella pesca, i bambini crescevano insieme e se si era in difficoltà, si ricorreva all’esperienza degli anziani. E le donne… le donne erano lavoratrici, educatrici e motore della vita dell’intero borgo.” Volevo raccontare del passato e di un gioiello antico che passa di mano in mano tra le donne di diverse generazioni per arrivare a una ragazzina che raccoglie anche la meravigliosa eredità di scrittrice del bisnonno.

IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO di Giuliana Facchini – marzo 2016 –  Notes Edizioni – Collana: Schegge – In copertina disegno di Cinzia Ghigliano – Pagine: 144 – Età di lettura: 12 anni

Premio Inediti 2015 Giovanna Righini Ricci

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In un piccolo paese sul mare. Su un’isola. Una vecchia casa trasformata in museo per turisti, ricca di mobili d’epoca, quadri, collezioni di libri antichi di un famoso scrittore di inizio Novecento, Ludovico Bardo. Una ragazza di dodici anni, Susi, che abita lì perché quella è la casa del bisnonno scrittore, unica eredità rimasta di fortune passate. L’amico di sempre di Susi, Antonio. La bellissima cugina tredicenne Cecilia, che arriva dalla città convinta che su quella piccola isola si annoierà a morte. Un misterioso gatto bianco che di notte guida Susi nei segreti delle stanze. Un manoscritto nascosto in cui si narra di gioielli rubati, di una misteriosa ballerina russa, di una villa a picco sul mare, di una grotta dissimulata sulla scogliera. Un antico medaglione.

Fatti risalenti alla seconda guerra mondiale dei quali le vecchie donne del paese bisbigliano ancora i segreti…

Pubblicato in: Colpi di coda

Libri e… libri!

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Io e Bryce siano andati a prendere suo fratello umano in un quartiere di Verona dove non passavamo da tempo, un quartiere pieno di cani. Una volta scesi dalla macchina ci abbiamo messo quindici minuti buoni per fare cinquanta metri. Bryce ha annusato con attenzione ogni foglia di siepe, tronco, palo della luce, macchiolina sull’asfalto: se fosse passato alle sue spalle un elefante non lo avrebbe né visto né sentito. Avete presente quel tipo che cammina con un libro in mano e non vede quello che accade accanto a lui tanto è concentrato sulla lettura? Ecco ognuno ha il cane che si merita e io dovevo portami un libro.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Una ciotola di emozioni forti… è solo Letteratura! (Umi’s review)

Recensione di … 

41Yb72PWMIL._SX331_BO1,204,203,200_Raccontami un giorno perfetto di Jennifer Niven edito da De Agostini è una storia importante, un romanzo poderoso e potente. Racconta di Theodore Finch un ragazzo con pochi amici, che tutti chiamano Lo schizzato. Uno fuori di testa, uno con cui è meglio non farsi vedere in giro. Un tipo che sale sulla torre campanaria della scuola per provare a capire l’effetto che farebbe buttarsi di sotto. Proprio in bilico sul cornicione Theo conosce Violet una ragazza tormentata. Una brava ragazza che dopo la morte della sorella in un incidente stradale pare non sappia più cosa farsene della vita. Finch la dissuade da un maldestro tentativo di suicidio ma per l’intera scuola, che li guarda con il naso all’insù, accade il contrario: quella brava ragazza di Violet sta tentando di salvare quel matto di Finch. Tra i due nasce una relazione incerta, legata a un progetto di approfondimento scolastico del territorio dell’Indiana, lo stato americano dove i due vivono, ma poi diventa amore, vero e importante.

Il tema del romanzo sono gli adolescenti e il maledetto fascino del pericolo mortale che attrae e che diventa suicidio quando si associa al disturbo mentale. In una nota alla fine del libro la Niven svela che la storia le è stata ispirata da un fatto veramente accaduto durante la sua adolescenza e chiarisce con forza come nessuno debba mai sentirsi solo o abbandonato perché c’è sempre un aiuto per lui. L’autrice esamina un tema importante e difficile da affrontare e lascia intendere tra le righe, ma con determinazione, come tra gli adolescenti s’innesti spesso il desiderio di farla finita con la propria vita perché si sentono diversi, fragili, soli e succede anche a quelli che paiono più “solidi”.

Il romanzo si snoda nel quotidiano dei due adolescenti protagonisti, le loro storie private e le loro personalità si dipanano con maestria tra le pagine e ci coinvolgono. Finch saprà salvare Violet dai suoi tormenti: proprio lui con dolcezza, fantasia e coraggio riuscirà a farle trovare equilibrio e serenità. E Violet saprà aiutare Finch? Finch può o vuole essere aiutato? Un romanzo difficile che porta il lettore a confrontarsi con due personalità che mutano abilmente grazie alla penna dell’autrice e lasciano nel lettore mille domande.

Finch è sempre Finch per tutti, mai Theodore come se il nome di battesimo non si potesse usare. Sin dall’inizio capiamo che quel ragazzo bellissimo e prezioso non lo raggiungeremo mai. Anche i luoghi che i due visitano per l’iniziale lavoro scolastico prendono consistenza e finiscono per essere uno scenario così importante da accompagnarci fino all’ultima pagina.

Libri come questo non si lasciano finire tranquillamente e ci appassionano al punto da chiederci: Non si poteva fare qualcosa?

Mi torna in mente un libro di Anne Fine: Quella strega di Tulip, in cui la piccola protagonista si chiede perché gli adulti si accorgano sempre troppo tardi dell’imminenza di una tragedia e forse dovremmo chiedercelo anche noi. Noi adulti e loro, i giovani lettori, dovremmo chiederci: riusciamo a essere attenti all’altro al punto da capire quando ha veramente bisogno di aiuto? Anche i coprotagonisti di questo romanzo vivranno infine il nostro stesso dilemma: i genitori di Theo separati e presi dalle loro vite e quelli di Violet esemplari eppur fragili; le sorelle del ragazzo che di lui si fidano ciecamente; i professori e gli amici dei due adolescenti.

Eppure un piccolo nodo da sciogliere, infine, mi rimane leggendo questo romanzo e in generale romanzi come questo: se parliamo agli adolescenti di suicidio, dovremmo essere certissimi di far capire loro quanto sia prezioso il dono della vita. Non dovrebbe esserci nessun margine di dubbio su quello che è sbagliato e quello che è giusto quando si cammina sul filo del rasoio di una giovane esistenza e questo deve essere chiaro malgrado il fascino dannato e la bellezza catalizzante di un personaggio. Concludendo, le scelte dell’autrice, il come e il cosa voglia raccontare ai suoi lettori con la bravura, coraggio e grande capacità di coinvolgimento sfociano in un gran bel libro. Quando si legge un romanzo così ben costruito dove i personaggi sono tridimensionali non possiamo cedere ai timori o spaventarci, ma dobbiamo prendere coscienza che la letteratura aiuta spesso a capire, a diventare più sensibili ed essere consapevoli che quando si chiuderà il libro saremo immancabilmente cambiati.

                                                                                                                    G.F.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Merry Christmas & Happy New Year!

WP_20151220_022Ecco i nostri auguri!

Auguro a tutti un sorriso e spero di regalarvelo con una poesia in dialetto romanesco di Trilussa poiché l’umanità pare non cambiare mai! Un pensiero caro soprattutto agli amici che in questo momento necessitano di cure mediche e a quelli che soffrono anche solo un pochino.
Un sorriso a tutti poiché, come il riso, fa “buon sangue”!

Buon Natale 2015 e 

Felice Anno Nuovo 2016!

Ma… a Natale regaliamo un libro!

Il vetrina con il mitico sorriso di Brik il mio “Come conchiglie sulla spiaggia” con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri per le Edizioni Paoline.

fiutconcUna storia delicata e avventurosa che racconta però di alcuni bambini costretti a lavorare per assemblare giocattoli di contrabbando. Poniamo l’attenzione su una realtà terribile come il lavoro minorile, attraverso gli occhi di Toni, una bambina pestifera!

Ecco il video di presentazione del libro!

Per gli altri miei libri vi rimando a I libri della Umi

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando Libri!

Vivere leggendo e scrivendo è un percorso pieno di idee, pensieri e amicizie. Il confronto con gli altri per me è fondamentale. Quando mi blocco in una storia, cerco qualcuno con cui parlare. Devo raccontargli i miei dubbi che, una volta espressi ad alta voce, si sciolgono. Le relazioni umane (quelle che poi spesso diventano amicizie) sono vitali. Ho portato un certo libro all’incontro LIA (Leggere Insieme Ancora) di Verona, il tema di confronto letterario era l’Ironia. Ogni volta che rileggo quel libro penso: “Beh io non sarò mai in grado di scrivere così, meglio smettere.” Eppure subito dopo mi viene voglia di scrivere, una voglia irrefrenabile di scrivere meglio di quanto io abbia mai saputo fare. Ecco l’essenza stravagante per me di questo strano mestiere di scrittore.
“Per sempre insieme. Amen” è un libro fortemente anticonformista e alcune perplessità delle partecipanti alla riunione LIA (persone che apprezzo molto) mi hanno fatto mettere i piedi per terra. La lettura rimane un piacere intimo e la relazione tra il lettore e il libro è quanto di più personale esita al mondo. Io, infatti, sono poco oggettiva con i miei grandi amori letterari. Non che oggi apprezzi meno quel libro, ma l’ho capito di più. Il mio è diventato un amore consapevole. “Come fai a sapere se sei religioso? Magari lo sono, ma ancora non lo so.” dice Polleke la protagonista, una bambina undicenne, olandese, che come animale domestico porta al guinzaglio una vitellina. La realtà della storia di Polleke è durissima ma la sua voce di narratrice è pulita, diretta, positiva. L’ironia nasce da questo contrasto: gli occhi dei bambini sanno vedere con obbiettiva “bellezza” anche il brutto. Mi viene da pensare che anche Pippi Calzelunghe era una Polleke dell’epoca e mi viene da pensare che un giorno anche Polleke sarà un personaggio caratteristico della letteratura per ragazzi. Ieri sera abbiamo commentato Canto di Natale e lo spettro del buon vecchio Charles Dickens era con noi. L’amicizia e le relazioni umane sono un dono grandioso, queste festeggiamo a Natale! Quindi, ancora… se volete un consiglio letterario per ragazzi anticonformisti….

Cliccate e curiosate: Per sempre insieme. Amen

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Sgranocchiando avventure…

“Fai finta che io non ci sia” di Meg Rosoff (trad. Stefania Di Mella) è un libro che mi ha affascinato e coinvolto come pochi. Bella letteratura per ragazzi e non solo.

Leggete la mia recensione del libro su Libri e Marmellata!

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri in compagnia di sei care amiche

Del romanzo “Nemmeno un bacio” di Manuela Salvi avevo scritto in Fiutando Libri. Ora esce la versione e-book e quindi ripropongo il link.

nemmeno un baciohttps://ilgiovanebrik.wordpress.com/2014/12/04/una-ciotola-di-emozioni-forti-e-solo-letteratura-2/

E’ un libro forte ma mai volgare. Una storia che consiglierei a un adolescente. Apprendo che il libro cartaceo è andato fuori catalogo perché giudicato troppo forte per i ragazzi italiani, eppure anche Chambers o Green possono essere molto “forti” nei loro romanzi per giovani adulti -in realtà storie per tutti- eppure i loro libri non sono fuori catalogo.

Anche altri romanzi che considero molto belli sono di difficile reperibilità come: “Ho attraversato il mare a piedi” di Frescura-Tomatis e “Lasciami andare” di Fulvia Degl’Innocenti e sono sconcertata.

Pensavo, che al giorno d’oggi si fa fatica ad essere coerenti poiché, come diceva mio padre: “Non si aggiusta il mondo a testate”. Il paragone calza e viene un gran mal di testa prima o poi.

In un film in bianco e nero sul giornalismo americano degli anni 50 (ma che è pur sempre una deliziosa commedia) si dice, citando Kipling, che un buon cronista deve avere sei servi fedeli: Cosa, Perchè, Quando, Come, Dove, Chi.

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https://www.youtube.com/watch?v=56di_FyhRhM

Io posso dire che una buona scrittrice per ragazzi, oggi, deve avere sei care amiche: Coerenza, Pazienza e Perseveranza che rincorrono le più spregiudicate Immaginazione, Emozione e Affabulazione. Tutte insieme, scrittrice compresa, bevono tè nero sedute davanti a una tastiera e si scambiano opinioni oppure chiacchierano solo liberamente.