Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Ma è davvero un lavoro?

Io nella mia vita non ho mai avuto bisogno di soldi fino a cinquant’anni. Non mi sono proprio mai posta il problema di spendere o non spendere. Sono andata via da Roma e poi dall’Italia e poi sono arrivati i figli e ho semplicemente fatto. La madre, la moglie, la figlia e tutti i mestieri di mezzo. Appena avevo un buco leggevo o scrivevo. A cinquant’anni mi sono ritrovata sola in una città che non era la mia, con due figli, una madre anziana, il conto in banca a zero, sette romanzi pubblicati e socia Icwa.

Incomprensibilmente non avevo mai trovato il tempo per pensare a una mia reale indipendenza economica, assorbita com’ero dalle mie infantili certezze di felicità. Vai a fare la commessa, mi è stato detto. Io un lavoro ce l’ho, ho risposto. Oggi quel lavoro, la scrittrice di romanzi per ragazzi e ragazze, mi aiuta a sopravvivere, ma mi fa arrabbiare, anzi incazzare, il fatto che non sia riconosciuto come lavoro (come tutti i mestieri creativi). Perché da questo fatto partono i guai per chi di scrittura vuole vivere.

Gli autori fiamminghi hanno un sostegno statale per preservare la qualità del loro lavoro, i francesi le royalty per i prestiti bibliotecari dei loro romanzi, molti Paesi traducono per l’estero per esportare la propria cultura. Ma questo lo sappiamo già. E noi? Quanti provano a vivere di scrittura? Le librerie indipendenti chiudono. I pochi lettori sono contesi. Le scuole sono un bacino unico appetibilissimo e subissato di proposte.

Però scrivere resta il sogno di tanti. Perché è così affascinante essere letti? I corsi di scrittura creativa si moltiplicano e quindi la richiesta di una professionalità in questo campo esiste. Ma leggere, non leggono in tanti. Colui o colei che va in libreria o in biblioteca per trovare qualcosa da leggere non è quantizzabile in Italia. O meglio, forse, non è giustificata la mole di libri che esce per quanti leggono.

Un mondo editoriale che continua a sfornare libri ma non forma lettori è destinato al collasso. E collasso è già, se un grande marchio editoriale ricorre al romanzetto sgrammaticato per far cassa. E l’asticella di quello che fa bene ai lettori, e li conserva nel tempo, si abbassa.

Per fare un lettore ci vuole un buon romanzo e una politica di educazione alla lettura promossa a livello istituzionale.

Sento parlare di letteratura che deve coinvolgere il lettore, trascinarlo altrove, e denigrare ogni tentativo commerciale o parascolastico. Ma che senso ha? Prima di sdegnarsi bisogna avere un quadro chiaro di cosa sia il mondo del lavoro in Italia e il lavoro creativo vive della clandestinità e della professionalità castrata al pari di chi finisce per raccogliere pomodori. Lo so, appare irrispettoso scriverlo, mi scuso, ma è una frase che deve fare male.

Per come la vedo io l’unica speranza sono i circoli letterari e i gdl, una lucina in fondo al tunnel. Quelli che leggono per scelta, l’unico bacino che conta, che dobbiamo alimentare, da cui partire.

Per carità ci sarebbero le scuole, ma lì la lettura è arma a doppio taglio, si può far molto bene e si può far male. Dipende dalle competenze e dall’impegno. Dipende da come e quanto ci si crede.

Come molte di quelle che fanno il mio mestiere ricevo inviti per incontri e presentazioni. Negli ultimi mesi ho ricevuto in particolare tre mail di professori che mi chiedevano di andare nelle loro scuole. Entusiasti dei miei romanzi.  Non un accenno alle spese di viaggio. Io rispondo sempre che se l’acquisto delle copie è importante si rivolgano alla mia casa editrice o a una libreria che organizzano loro, diversamente chiedo un compenso (ovviamente vado gratuitamente dove opportuno, non sono una snob, indosso scarpe basse e faccio passi ben distesi). Avendo una partita Iva posso emettere fattura elettronica e lavorare con le scuole. Ho più del 30% di oneri e le spese di viaggio, quello che mi resta è il giusto per progettualità, impegno e fatica per un incontro ben strutturato con studenti e studentesse (il famoso esperto esterno). Il 20% della ritenuta d’acconto usato per la prestazione occasionale, che ridurrebbe i costi, non è applicabile perché ha un tetto massimo e per alcuni progetti bisogna emettere per obbligo fattura elettronica.

 Da nessuna di quelle tre particolari mail ho avuto replica, neanche un no grazie. Dall’entusiasmo a un silenzio maleducato e si può immaginare scandalizzato.

Noi le facciamo il favore di acquistare una copia e di leggere!

È ignoranza, non è cattiveria, nel senso che non sanno cosa sia il mondo editoriale. Come per chi varca la scoglia di un supermercato e non immagina chi lo abbia costruito e come. Ed entrerebbero in campo le regole e le leggi.

È, invece, tutto scandalosamente al ribasso.

In quelle scuole andrà chi non ha chiesto compenso e per venti copie vendute (forse) e quindi 20 euro di diritti (forse). Chi è costui o costei? È ricco di famiglia o ha un altro lavoro (non accenno neanche al sottobosco di improvvisatori). Quindi cosa privilegiamo? Non certo una professione che deve essere riconosciuta come tale. Non che chi faccia un altro lavoro con cui campa non sia un bravo scrittore o scrittrice, ci mancherebbe e ce ne sono di bravissimi e bravissime.

Ma potersi dedicare totalmente alla scrittura ha dei vantaggi come il tempo, le energie, la concentrazione e ovviamente dignità da offrire alla professione. Dovrebbe essere un diritto per tutti poter fare il proprio mestiere, soprattutto se lo si sa fare bene.

Ma cosa significa esattamente vivere di scrittura? E come si possono cambiare le cose per avvicinarci agli standard europei? Alla prossima.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Un buon romanzo è sempre politico

Ieri sera Gramellini (In altre parole, La7) ha detto qualcosa che aspettavo da tempo.

Gramellini, con la dovuta educazione, ha preso la distanza dagli sdraiati, giovani inetti, spesso additati come tali per consuetudine, perché fa audience e anche un po’ per tradizione.

Gli sdraiati di M. Serra è un romanzo che non ho apprezzato e di cui non ho apprezzato neanche la ri-presentazione nel programma La torre di Babele, La7, di Augias (per cui ho grande stima) facendo comunque virare il senso della trama perché non si focalizzasse sul titolo. Ma quel libro è il suo titolo! Ho apprezzato poco anche quanto detto nella puntata Augias-Serra e in quella Augias-Galimberti sul nichilismo giovanile. Soprattutto mi ha tanto irritato il passaggio velocissimo sui movimenti ecologisti, lodati ma definiti irrisori, che non fanno la differenza. Mi sorprende come nessuno abbia considerato la velocità dei cambiamenti odierni. Oggi tutto cambia molto più velocemente che in passato e vale anche se parliamo di ragazzi e di ragazze.

Dalla manifestazione Cecchettin i movimenti giovanili, sono mutati. Quel terribile episodio è stato drammaticamente determinante. A Pisa sono scesi in tantissimi in piazza contro la violenza gratuita dispensata agli studenti e alle studentesse. Dal libro di Galimberti sul nichilismo a oggi le cose sono già cambiate. E mi dispiace che due grandi intellettuali non si siamo fermati proprio su quella scintilla che sono i movimenti ambientalisti per parlare dei giovani e non si siano schierati dalla loro parte per dar loro forza, come padrini. Ho apprezzato il discorso sulle donne in piazza per i loro diritti, ma c’erano anche i loro amici maschi in piazza. I giovani appunto, senza badare al genere. E anche i meno giovani, scusate, eh.

Più la maestra dice che non sa fare e più il bambino non fa. Più lei vede (anche poco) fatto bene e più il bambino farà bene. Questo è un principio che vale sempre.
Gramellini a mio pare ha saputo leggere i nostri tempi, o almeno la sua lettura è la mia.

E chi scrive, anche romanzi per ragazzi e ragazze, fa politica.

Un buon romanzo (come diceva Michela Murgia) fa sempre politica. E aggiungo, è pratica, non teoria, proprio per questo.

A volte finisco di leggere un romanzo e ci penso o solo capisco che qualcosa in me si è mosso. Ogni piccolo cambiamento ci muove verso il pensiero libero e autonomo.

Un buon romanzo esprime un giudizio sui tempi e lo caldeggia, non dando risposte facili, ma condividendo un amore. Io scrivo di ragazzi e ragazze perché vedo in loro delle promesse, mi fido, mi appassiono e per me gli sdraiati sono rimasti sepolti tra le pagine di un libro brutto.

Invece, quanto può far male un libro che diventa best seller seguendo l’onda di quello che più piace perché più comodo e confortevole? È politica. È irresponsabilità. Molto più faticoso essere dalla parte dei giovani, molto più faticoso spiegare cosa sia l’amore tossico.

Tornando alla romanziera che sono, nel mio piccolissimo ho scritto Borders che è un grido ambientalista, dove la vecchia Olmo mette nelle mani di una ragazza e tre ragazzi il destino della biodiversità, e No Borders dove a insorgere per una rivoluzione di idee sono i giovani.

Attraverso il romanzo condivido speranza nel futuro e questa passa per i giovani e questa è politica e attualità. Una distopia (i miei sono romanzi distopici) parla del futuro ma racconta il presente.

Io mi fido dei giovani, questo sto dicendo pur solo scrivendo una storia. E se vengono presi a manganellate dei ragazzini a volto scoperto è perché fa paura quello che potrebbero diventare. Fa paura il rinnovamento che logora il sistema politico vecchio e corrotto. È il germe di qualcosa. Certo, per me è facile scriverlo in un romanzo, la vita è altro, ma è una visione. La mia sicuramente.

Ed è una possibilità. Che da adulti responsabili dobbiamo darci e dare ai giovani.

Io non sono nessuno, per carità, ma credo in quello che faccio e nel come lo faccio. Immagino che non basti, ma la strada è quella giusta e di questo sono sicura.

Non è tutto guadagno economico e successo, non si può sempre tacere perché non faremo mai la differenza.

Quale scopo abbiamo nella vita se non quello nobile di seminare qualcosa che non vedremo mai crescere?

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Bar Einstein, come nascono le mie storie

Come nascono le mie storie?

Ero in una cittadina tedesca, nel nord della Germania; ero stanca e coloro che erano in vacanza con me non si staccavano dalle vetrine di un grosso negozio di apparecchi fotografici.

Vidi un bar al di là della strada, la scritta gialla recitava: Bar Einstein e io mi avviai verso la porta, anche quella gialla. Gli altri mi avrebbero raggiunto più tardi.

Entrai e mi accolse un locale pieno di foto e locandine sui muri, persino il soffitto era decorato con delle stampe. Mi sedetti a uno dei tavoli, che era stato quello di una vecchia macchina da cucire, ne conservava la pedaliera in ferro lavorato. Le sedie erano spaiate ma accostate con armonia. Una donna mi dava le spalle, aveva i pantaloni aderenti verde acceso e le scarpe rosse con il tacco, i capelli lunghi, biondi. Aveva il corpo di un’adolescente, ma quando si voltò il viso era quello sciupato di una sessantenne, con gli occhi e la bocca truccati. Non era equivoca o volgare. Era senza alcun dubbio la padrona. Lo sguardo sfrontato e indifferente allo stesso tempo non si posò neanche su di me, pensava ai fatti suoi. Mi servì una ragazza in jeans e maglietta con i capelli castani, semplice, accogliente, gentile.

Questo romanzo è nato in quel momento. Quel locale e quella donna, il mio Bar Einstein e la mia Dalia si erano impressi nell’immaginazione. Un attimo riscrivere il luogo e la donna, il loro passato mi era già chiaro.

Dalia parlava d’amore vissuto e il bar era denso di ricordi. Quindi la storia avrebbe narrato l’amore e la vita che da come la guardi, da un lato, dal basso, dall’alto, è sempre diversa.

Un’amore forte tra un ragazzo e una ragazza, una passione che sfida la logica, che divora e che se anche fa soffrire, resta l’esercizio primario per imparalo a vivere sul serio, l’amore.

Se non hai mai sbandato, se non sei mai stato o stata travolta, non saprai mai amare del tutto. Non è l’amore della tua vita, difficilmente lo è, ma i compagni che incontrerai dopo dovranno tutto a quel lui o quella lei. E così anche tu.

Questo è Bar Einstein, una storia d’amore a tinte noir che vive di luoghi alternativi come una Comune, un bar dove: Se i muri di una qualsiasi stanza o casa hanno memoria e parlano, quelli urlano canzoni intonate e risate roche che si trasformano in singhiozzi sommessi e il fiume. Il fiume torna spesso nelle mie storie, rassicurante. La natura e la vita scorrono insieme, il temporale passa e si asciuga, la paura del buio non fa paura se svelata, non ci sono luoghi brutti o belli, ma solo sconosciuti. Amore e morte, criminalità e pura bellezza, si confondono; a vincere non è nessuno, ma si salvano solo i più giovani se fuggono nella direzione giusta. Quello che resta è cruda nostalgia.

Così è come è andata fino qui. Forse fino al 19 maggio 2023 in cui Bar Einstein arriverà in libreria. Da lì in poi, per come la vedo io, questa storia diventerà dei lettori e nulla di quanto ho scritto sopra varrà più.

Spero che saprà parlare ai lettori e alle lettrici, spero che li trascinerà tra le pieghe di una narrazione oscura, onesta, donata. Spero. Non so se sarà così. Ogni romanzo ha una vita propria, prescinde dall’autrice. Una volta che l’ha lasciata andare non può più fare nulla per lei, se non stare a guardare e ascoltare.

Questo romanzo viene pubblicato nella collana che avevo sempre desiderato per lui, con un editore che stimo. È importante per me potermi fidare del mio editore. Ringrazio Luisella Arzani che ha mantenuto la promessa fatta tempo fa di leggere questa storia per poi scegliere (insieme alla redazione di EDT/Giralangolo) di pubblicarla; Francesca Fimiani che l’ha curata con un editing attento sul piano stilistico ed emozionale e Miriam Pedata per la passione e la provocazione che mette nel suo lavoro redazionale. Mi viene da pensare che la bella copertina di Marco Viale sia il frutto di tutto questo, della professionalità e dell’umanità che le storie scatenano e che gli addetti ai lavori finiscono per vivere come vita vera, in una gioco di ruoli, dentro e fuori, lasciandovi infine un sentimento magico che imprime la carta, le parole, gli spazi bianchi.

E questo è Bar Einstein, quello che vi narrano il titolo, la copertina e i suoi colori, la quarta, la dedica e infine frasi e spazi bianchi, virgole e punti.

Queste mie parole di oggi e quel pomeriggio in una cittadina tedesca sono Bar Einstein.

Scrittorincittà2023
Scrittorincittà2023
Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

…incontrare l’autrice, incontrare l’autore

L’incontro con l’autrice, l’incontro con l’autore è un momento importante per i giovani lettori. O almeno dovrebbe. Una festa, un tripudio, un confronto, una lezione, ognuno di noi che scrive di ragazzi e ragazze (oppure per la narrativa ragazzi/e) ha la sua modalità. Ogni scuola, festival, libreria o biblioteca ha la sua modalità.

Mi sono domandata cosa sia per me.

Nel 2008 ho messo piede a scuola per la prima volta come autrice con un libro della Raffaello (ancora a catalogo, grazie) e me lo ricordo benissimo. Da allora sono cambiate tante cose in me, come persona e come romanziera; un percorso pieno di domande, tentativi, delusioni, ricostruzioni; nulla è immobile, tutto deve diventare altro, è ovvio.

In 15 anni non sono certo diventata famosa, né sono diventata abbastanza brava e questo basterebbe a far desistere chiunque, ma non me, testarda e idealista, convinta creativa in eterno cammino. Folle e sciocca, insomma.

In quest’ottica mi sono messa in testa che ogni incontro deve avere un suo respiro, che se incontro lettrici e lettori lo faccio aprendo ogni volta una paretesi nuova, guardando chi ho davanti, mettendomi in relazione. Un gioco, una missione, una sperimentazione, uno sparigliare le carte una volta ancora per cercare e capire, perché nulla diventi routine, ma ogni parola abbia senso.

Non sono neanche un professionista, no. Dagli incontri esco sfinita, spesso molto soddisfatta perché ho dato e ricevuto, ha funzionato. A volte sono contrariata. Mi arrabbio per quel dominio dell’economia e della mercificazione del libro, il disinteresse puro, il tempo sprecato, l’inutilità. Scrivere è un mestiere, sì, ma creativo e andare nelle scuole non è come fare la presentazione di un libro per adulti, è altro. Di sicuro un privilegio, in un certo senso un lavoro a parte. Ma sei sempre tu. E libri e incontri vanno a braccetto. Dice, ma se se sei scrittrice non devi mica essere capace anche di parlare in pubblico, vero, ma le pagine non mentano sul proprio autore o autrice, a ben guardare, a voler vedere.

Questo per me è un anno fortunato, o forse sono io a essere cambiata, ancora. Ieri un altro incontro bello; dirigente, professoresse (di lettere e matematica insieme!)e ragazzi che mi avevano chiesto di orientare l’incontro nella direzione in cui lavoravano loro e io l’ho fatto. Grande scambio, due ore piene che mettono insieme i tasselli dell’educazione alla lettura, del diritto alla lettura, della bellezza dello stare insieme nelle storie e in una scritta da me in particolare.

Una cosa ben fatta.

Ho perso tanto tempo nella mia vita e mi dispiace, quello che mi rimane (spero tanto, poco non mi basta) voglio che sia ben vissuto, che regali e guadagni, voglio toccarlo, maneggiarlo con cura e saperlo ricordare. Ho bisogno di bellezza (in tanti ne abbiamo bisogno) e mi ci impegno.

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Leggere contemporaneo, leggere a scuola

La prossima settimana parte uno dei club Leggere contemporaneo grazie a una prof che ci ha sempre creduto da due anni a questa parte. Oltre al mio (piccolo) compenso la scuola che aderisce al progetto deve comperare i romanzi che indico in tre bibliografie di dieci libri ciascuna (un tesoretto, garantisco).
Io non sono una formatrice e non voglio esserlo, ma dopo vent’anni di letture, incontri e festival qualche idea sul perché i ragazzi e le ragazze non leggano me la sono fatta.

Questo club di lettura a scuola non cambia la situazione generale, ne sono certa, ma è una buona pratica.
In questa scuola superiore, nella biblioteca d’istituto, ci sono ormai 60 romanzi di grandi autori viventi ya. Romanzi belli per tutti. Romanzi che hanno gli strumenti per spianare la strada a un non lettore. Quelli di cui (non sempre senza ragione) le scuole (superiori soprattutto) sono piene.
Il danno è stato fatto, la non lettura imperversa, non cambio la rotta io in una scuola, ma continuo a spacciare buone pratiche. Il perché è il tipico male di chi legge e scrive per ragazze e ragazzi da vent’anni e vede bellezza e potenzialità e non ce la fa a stare con i libri in tasca.
Da Borders in poi la questioni semi è sdoganata, ma se è il tuo mondo e lo ami non puoi non cercare di piantare semi per farlo sopravvivere.

Saranno in 45 di cui 30 di terza superiore, che vengono per i crediti, certo, ma poi io e i romanzi belli facciamo squadra: io li racconto bene, loro si fanno scegliere e quando i ragazzi e le ragazze arrivano all’incontro successivo qualche sguardo adolescente catturato c’è e il dubbio che si possa anche leggere per piacere è instillato.

Essere parte del mondo dell’editoria per ragazzi e ragazze come romanziera ha un po’ questo effetto collaterale. Scrivi spesso di loro perché sono i personaggi in cui credi di più (e qui qualsiasi analista avrebbe da lavorare) e per loro, in carne e ossa, salvi romanzi perché abbiano la possibilità di incontrare storie scritte pensando ai lettori come persona di genere vario e non infante cresciuto (e non parlo delle mie che non metto mai in bibliografia, per una sorta di strana controproducente onestà intellettuale).

Detto ciò e continuando a ringraziare chi ha fiducia in me (e in loro, inutile ripetere chi siano) condivido le locandine di due eventi in cui ci sono a parlare di buone pratiche libresche, dei perché e dei per come. Non sono una formatrice e vi indico pure chi dovete seguire se volete approfondire la questione libri&lettori, ma vi passo la mia esperienza. Che poi non è una cosa così diversa, lo so, ma io ci tengo a restare romanziera un po’ per indole e un po’ per giustezza che non mi sento i titoli per educare nessuno.

Resto un’artigiana che non ha nulla di speciale, solo qualcosa da dire a modo suo e vi invita a bottega (e che bottega: una libreria e una biblioteca!).

*A chi interessa il progetto Leggere contemporaneo può richiedere informazioni via mail a giulianafacchini.autrice@gmail.com

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Campo e controcampo nell’editoria per ragazze e ragazzi

Ma i ragazzi e le ragazze possono tutto?

Succede che tante iniziative vedano giovani e giovanissimi al centro dell’editoria per ragazzi e ragazze. Molte iniziative cercano di agganciare il lettore che scandisce il ritmo dell’editoria nel settore che è cresciuto di più negli ultimi anni, forse l’unico che è cresciuto.

In Italia, si sa, si pubblicano moltissimi libri, ma i lettori sono pochi, pochissimi, le lettrici qualcuna in più (ed è un meccanismo strano per qualsiasi mercato).

Tutte le iniziative di cui parlavo, a volte invasive della sfera di competenza dell’autrice o dell’autore, creano davvero lettori? Perché il grande obbiettivo culturale, educativo e sociale resta, a mio parere, quello di creare lettori. Se cresci lettore lo rimani a vita e, in qualità di fruitore di libri, alimenti una filiera importante.

Non mi dilungo a spiegare quanto io creda nel valore dei buoni romanzi, buona musica, pittura, scultura, poesia, arte in generale; quanto io creda nel valore di quei mestieri creativi che sono fonte vitale e primaria per la nostra umanità in quanto persone.

Comunque, è interesse di noi adulti, che siamo parte della filiera del libro, crescere nuovi lettori.

E allora, come si diventa lettori consapevoli e autonomi?

Con i buoni romanzi classici e contemporanei. E la comunità adulta può farsi mediatrice con i ragazzi, educare il loro gusto alla lettura. E non è solo compito dell’insegnate di lettere, ma materia a parte, trasversale. Poco fanno le istituzioni, si sa, spesso è tutto affidato alla scuola e sulle spalle dei e delle docenti di lettere. Eppure portare i libri a scuola, dove si srotola una parte importante della vita dei ragazzi e delle ragazze, non sempre crea lettori autonomi, soprattutto se la lettura arriva come parte dello studio scolastico e non come libera e rivoluzionaria passione individuale.

Per i ragazzi e le ragazze prendere un libro in mano dovrebbe essere come infilarsi le cuffiette nelle orecchie per ascoltare musica. Non accade quasi mai.

Esistono però grandi progetti che con competenza avvalorano i veri presupposti per avviare i ragazzi e le ragazze alla lettura e formano lettori. Sono pochi sul piano nazionale ed esistono. Ma ultimamente si è scatenata una scarica adrenalinica negli adulti che vogliono creare giovani lettori, alcuni improvvisano altri no e per fortuna fioriscono i corsi di formazione. Resto dubbiosa al riguardo. Coordino un gruppo di lettura dal 2018 e so cosa significa acchiappare l’attenzione di un adolescente (tredici-diciasettenne) su un buon libro, impresa ardua se il contesto è quello di lasciarli liberi di scelta: esserci o non esserci, leggere o non leggere. Se è quello di aspettare pazientemente e senza scoraggiarsi che il libro rivelazione inneschi l’amore per la lettura in lei o in lui.

Diversamente la lettura non è una scelta, ma un’imposizione e difficilmente nascerà un lettore autonomo e consapevole.

E non vi dico quanto snervante sia aspettare un messaggio di risposta a una domanda banale ma indispensabile alla gestione collettiva del gdl. Non è una passeggiata stare ai tempi degli adolescenti, soprattutto se lo fai come volontaria (e accade quasi sempre, ma questa è un’altra storia).

So che è impresa che sfinisce, quindi mi stupisco che tanti anelino a questo ruolo di educatore e promotore della lettura. L’adulto in questo caso non è (e non deve essere) protagonista, ma servo della passione letteraria.

Puntata l’attenzione del mondo editoriale su quello per ragazze e ragazzi e complice il pregiudizio che sia un terreno più facilmente praticabile rispetto a quello colto della scrittura per adulti, i ragazzi e le ragazze ne sono diventati il centro. Coinvolgerli sembra l’unica cosa da fare. Se non leggono, li facciamo scrivere oppure giudicare e indirizzare gli scrittori adulti e i loro romanzi. Tante iniziative per metterli al centro, forse troppe, non tutte ben costruite.

E, tra parentesi, una perplessità: perché fare agli alunni/e un corso di scrittura creativa se non hanno una biblioteca scolastica aggiornata? Non è un controsenso o una falsa illusione? Si sostiene forse una possibilità: si può diventare scrittori anche senza essere lettori. Mi spaventa un po’.

Se da una parte la società contemporanea vede moltissimi bambini e bambine fin da piccoli con un’agenda di impegni tra sport, musica, teatro, scuola e tutto organizzato e supervisionato dagli adulti con pochissimi spazi di autonomia; il mondo dell’editoria sembra voler consegnare loro le proprie sorti.

«… alcuni sostengono che dovrebbero essere gli stessi bambini o ragazzi a scrivere per i loro coetanei. Questa a però a mio avviso non è un’ipotesi realistica. (…) Si tratta di una vecchia disputa che prima della scrittura ha coinvolto le arti figurative e di conseguenza il campo delle illustrazioni. (…) Allo stesso modo tutti i tentativi di pubblicare e diffondere tra i bambini i testi scritti dai loro coetanei ha suscitato solo l’interesse dei pedagogisti adulti. Credo che il pubblico dei lettori più giovani si aspetti che lo scrittore interpreti sì “il suo mondo” ma con strumenti letterari più “perfezionati” di quelli a sua disposizione.» Storia delle mie storie, Bianca Pitzorno.

E io autrice o autore? Non esiste una formazione universitaria in Italia (a differenza di quanto avviene negli altri Paesi) per diventare scrittori o scrittrici. Esistono corsi di scrittura creativa o autoformazione. Tutti possono essere scrittori e se un compositore deve farsi i suoi anni di strumento e poi studiare armonia per comporre musica (certo esistono talenti straordinari, ma questo è un discorso diverso) a scrivere un romanzo sono buoni tutti (per ragazzi e ragazze poi!). L’editoria pagamento lo sa e ci sopravvive, l’autocompiacimento autoriale paga (ovvio, anche in questo caso ci sono le dovute eccezioni). E il sudore, la fatica, lo studio per arrivare a essere pubblicato da un editore nazionale? Non conta nulla, siamo tutti scrittori e scrittrici.

Veniamo ai ragazzi e alle ragazze. Una sedicenne mi diede da leggere il suo romanzo, corretto dalla professoressa d’Italiano e stampato in tipografia dal padre con tanto di foto e biografia in quarta di copertina. Sapeva scrivere correttamente, ma nel romanzo non esistevano struttura e dialoghi, i personaggi erano stereotipati. Il mio commento gentile e correlato di bibliografia esaustiva di grandi romanzi contemporanei d’amore (perché d’amore parlava la sua storia) è stato bollato come le parole di un’adulta troppo vecchia, incapace di capirla. Soprattutto, se il mio intervento fosse arrivato prima della “pubblicazione” del suo romanzo, lei non avrebbe mai continuato a scrivere. E sarebbe stato un gran danno.

Tengo da parte quella mail piccata, è stata illuminante. Con una quindicina di romanzi (allora) all’attivo pubblicati davvero con editori nazionali, io potevo essere trattata alla pari, non ero degna di autorevolezza, né per professionalità né per anzianità.

All’inizio della mia carriera mi capitò di ricevere, a quarant’anni passati, mentre leggevo, studiavo e scrivevo per ragazze e ragazzi una grossa stroncatura da una editor autorevole. Per fortuna, pur essendo un commento negativo era ben motivato e io ci piansi. Sì, una donna a quarant’anni suonati ha pianto di rabbia e avvilimento. Me lo ricordo bene, ero seduta sulle scale di casa mia, da sola. Ma il giorno dopo ho asciugato le lacrime e inviato una risposta di ringraziamento. Ho imparato più da quella stroncatura che con un intero manuale di scrittura.

Come spiegare a una scrittrice o a uno scrittore in erba che l’umiltà è una delle doti essenziali per un qualunque creativo se è su un piedistallo da quando è bambina o bambino?

È giusto che io adulta venga giudicata, amata, scartata o ignorata dai lettori quando il mio romanzo è in libreria. I libri sono dei lettori, non di chi li ha scritti, questo è insindacabile per me. Ma sul prima ho seri dubbi riguardo alle contaminazioni non professionali (sperimentazioni e mondo della scrittura sulle piattaforme online a parte).

E bisogna anche distinguere tra lettori. Un lettore consapevole e autonomo mi sa valutare, un ragazzo o una ragazza costretto e leggere o che non legge mai, no. La lettura è un’abilità. Un giocatore in un videogioco ha un’abilità che gli o le permette di giocare, se non l’acquisisce non riesce a giocare. Perché questo non è assimilabile alla lettura?

Quindi, invitare alla lettura dove? Come? Perché? E fino a che punto è gusto coinvolgere i ragazzi e le ragazze nel mondo editoriale? Non è che con tutta questa attenzione puntata addosso “loro”, diventati così importanti per “noi”, finiscono per scappare (che forse sarebbe pure lecito)? Gli adolescenti non vanno inseguiti, ne sono certa. Oltre a essere umiliante è inutile.

Ecco, per dire che c’è tanta confusione, che forse non sono ben chiari e comuni gli obiettivi in questo mondo strambo e meraviglioso dell’editoria. Che forse alcuni punti fermi vanno messi, a costo di essere antipatica. E non sempre mettere al centro i giovani lettori e lettrici è la soluzione. A volte ho addirittura la sensazione che siano “usati” dagli adulti, perché il nostro è un mondo di adulti, anche se sembra diventata una cosa di poco conto quando invece non lo è.

Come romanziera rivendico la mia professionalità di donna adulta che ha studiato e, dopo anni di lavoro e anche di sperimentazione, fa il mestiere di scrittrice.

A un amico caro a cui piace scrivere e che ha del talento (secondo me) ho consigliato un buon corso di scrittura; già dopo alcune lezioni mi ha ringraziato, ha ammesso che non sapeva cosa fosse la struttura di un romanzo o il punto di vista, pur essendo un grande lettore. A uno scrittore o a una scrittrice serve il talento e servono gli strumenti per svilupparlo. Come al musicista, che pur sapendo improvvisare, attraverso lo studio acquisisce la capacità di esprime a pieno e al meglio il proprio talento.

Sfatiamo il mito del tutto e subito, dell’illuminazione che è capolavoro (come il grande calciatore, l’illuminazione geniale è ago nel pagliaio). Credo sia giusto avvalorare il fatto che la costanza e il tempo debbano essere gli attori principali dei nostri sogni perché questi diventino realtà.

Credo che l’umiltà sia un principio fondante per qualsiasi creativo, ma che il rispetto per se stessi e il proprio lavoro non vadano mai messi da parte.

È questione di equilibrio, come sempre, e di una ambigua deriva giovanilistica che forse inquina la nostra società seppur a fronte di moltissime iniziative valide, consapevoli e intelligenti che vedono coinvolti libri, ragazze e ragazzi.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Borders, come nascono le mie storie

Che dire?

Sono senza parole. Lo sono da un po’.

Anche perché Mara Becchetti in ogni copertina che mi disegna si fonde sempre di più con le mie storie tirandone fuori tanta bellezza per me inaspettata.

Di questo romanzo parlavo con un’amica nel febbraio 2020, qualche giorno prima del famoso scioccante lockdown, mangiando una piadina, ma era già nella mia testa dopo la pubblicazione di Arambì al quale ho contribuito.

L’ho mandato come proposta editoriale a Sinnos più che altro per coerenza e amicizia e invece se ne sono innamorati e non me lo aspettavo. Non potevo chiedere di meglio ed è stato subito loro e da allora non smette di stupirmi. Mi lascia sempre a corto di fiato e di parole.

Fino a oggi abbiamo vissuto una pandemia e ora a pochi stati di distanza da noi le persone muoiono in una guerra fatta di bombe e sangue, mentre i potenti si misurano tra loro. Tutto è arrivato inaspettato.

Questo è un romanzo post-apocalittico in cui la terra si è ammalata a causa di una Grande Malattia e pochi sono sopravvissuti, ma i ricordi del mondo di prima si fermano al 2020 e quindi mi sono detta che forse un romanzo così, ora, non serve più. Eppure come scrive Neil Gaiman nella prefazione di Fahrenheit 451 di R. Bradbury, nelle distopie si racconta il futuro, ma si osserva sempre il presente. La mia Grande Malattia è quindi un monito. E forse una metafora.

E Borders è il mio modo di essere ambientalista, ora più di prima.

La vecchia Olmo è una sopravvissuta ed è centenaria; ha adottato tredici anni prima una ragazza e tre ragazzi cui ha dato i nomi propri di Lindgren, Verne, Dickens e Alcott, nomi strani che nessuno ha mai sentito a Magnolia. E poi li ha cresciuti con i racconti del mondo di prima: romanzi, storia e geografia di allora. Ma quelle conoscenze a Magnolia sono pura sovversione e Olmo è sicura che, lontano da lì, la vita brulichi di nuovo tra foresta, roccia e mare. Fuga, esplorazione, nuove scoperte; quei quattro ragazzi devono superare molti ostacoli, ma c’è anche un viaggio di consapevolezza dentro loro stessi da fare, mentre sono alla ricerca di una vita che valga la pena di essere vissuta, di nuovi semi da piantare, di un mondo da ricostruire.

Borders racconta che scienza e arte servono entrambe l’umanità.

E allora forse serve anche un romanzo avventuroso post-apocalittico se non è fine a se stesso. Infatti si possono costruire mille storie come mille burattini, ma se non ci soffi dentro la tua anima saranno solo bei burattini da vedere, storie facili da leggere.

Io qui la mia anima ce l’ho messa tutta, poi non so se basta a far prendere vita a questo romanzo e a farlo non essere fine a se stesso. So per certo che è ancora molto lungo e spero di avere abbastanza anima e voce per poterne scriverne ancora.

Insieme a tutti noi.

Intanto, ecco Borders, perché i confini non esistono e se ci sono muri bisogna scavalcarli.

Per l’intervista e l’articolo cliccare: RAI CULTURA

leggi anche: PREMIO RODARI 2022

Clicca e guarda: L’intervista che mi ha fatto Carola Carulli per Achab Libri, Rai2, su Borders, minuto 3:20

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il brigantino sommerso, come nascono le mie storie

Ho un quaderno degli appunti, ma non sempre scrivo lì le idee per i nuovi romanzi. Ho molti file archiviati sul computer con dei soggetti, trame, piccoli racconti che devono crescere.

Il brigantino sommerso era sul quaderno degli appunti. Frasi spezzate, luoghi, foto attaccate con la colla. Parecchi anni fa andai in Bretagna e ci tornai altre due volte. Quella terra mi è rimasta nel cuore più di ogni altra. In uno di quei viaggi visitai la cittadina di Tréguier, l’avevo trovata descritta in un romanzo e quindi avevo deciso di andarci. Nel porticciolo erano ormeggiate molte imbarcazioni da diporto e con i miei figli, allora ragazzini, scendemmo lungo la passerella per leggerne i nomi, immaginarne la navigazione e i volti dei marinai che ne erano i proprietari.

La sera in campeggio (mi piace viaggiare con la roulotte o con la tenda) buttai giù degli appunti. L’inizio della storia era chiaro, l’incipit era già pronto.

Poi Luisanna ha fatto tutto da sola, anche se era compito mio scrivere i romanzi di J. Lago.

Corro troppo?

Luisanna sfrutta una vacanza in Bretagna per cercare di conoscere il suo scrittore preferito. Si troverà coinvolta in una strana faccenda riguardante il recupero del relitto di un brigantino del XVII secolo, ma soprattutto scoprirà qualcosa del passato della sua famiglia.

Non è stato così difficile scrivere i romanzi di J. Lago perché in effetti esistevano già e ne sono protagonisti il pirata Rico, la sua compagna Fiorenza e il loro fidato amico Alleluia. Tre storie lunghissime (mai pubblicate) di ispirazione salgariana, scritte di getto molti anni fa per i miei figli. Un capitolo a sera, avventure buttate giù al mattino sul foglio digitale del programma di scrittura del pc e lette a loro prima di andare a dormire. Un divertimento, un gioco tra noi che resta ancora come un piccolo patrimonio della nostra famiglia.

L’amore per quelle terre francesi e per la navigazione a vela; il fascino di personaggi misteriosi in cerca del loro autore; una ragazzina saputella i cui genitori fanno gli attori cinematografici e sono sempre in giro per il mondo; due buffe zie, Marga e Rita, l’ambiguo capitano Trou e la bellissima Catelle sono i protagonisti di questa storia avventurosa, scritta anni dopo quei viaggi in Bretagna, i cui profumi, paesaggi e venti mi sono ancora chiarissimi in mente e molto cari.

Il brigantino sommerso risalente al XVII secolo, con cui avevamo navigato Rico, Fiorenza e Alleluia, si chiamava Il Giglio, ma la nave dove vive John Lago si chiama…

… e per quale motivo si chiama così?

“Lui prese coraggio e alzò la mano destra stendendola
verso di lei:

«È stato un piacere navigare con te, Duch».
Luisanna la strinse con calore:
«Per me è stato un onore, Lago».
I due si fissarono cercando entrambi di ricacciare indietro le lacrime.”

Se avete voglia di salire a bordo, basta che andiate in libreria… ! Ogni romanzo è un viaggio, questo è fatto di brughiere battute dal vento e di rocce a strapiombo sul mare. Non dobbiamo per forza essere bambini o bambine per leggere questa storia, possiamo tornare indietro nel tempo e immedesimarci in Luisanna, oppure no e restarla solo a guardare con un pizzico di nostalgia.

“Se lei poteva entrare in una storia leggendo, forse
i personaggi di un romanzo scritto benissimo potevano
uscirne. E John Lago era bravissimo.”

Luisanna sa che può capitare, perché leggere accende il gioco potente dell’immaginazione, ed è come per i sogni che se li perseguiamo con cura, pazienza e costanza possono avverarsi.

Tutto può cominciare anche solo con un buon libro e Luisanna parte proprio da un romanzo per cercare qualcuno che è molto importante per lei.

Basta un buon libro. E se non basta, può essere l’inizio.

Buon vento!

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Fiutando Libri!

Leggere liberi, liberi di leggere

Riflessioni con un capo e una coda, ma senza pretese.

Ci insegano a leggere e poi, almeno in Italia e in linea generale, finita la secondaria di primo grado dimentichiamo come si fa. Perdiamo il piacere della lettura, leggiamo solo per necessità. Forse è normale che sia così, l’evasione e la riflessione passano attraverso mille altre forme, più o meno idonee, rispetto a quando la letteratura la faceva da padrona. E anche molti romanzi, oggi, viaggiano pensando già alla serie tv che da loro, quasi certamente, si svilupperà. È una scommessa soprattutto economica, per altro più che giustificata.  

Restano i valori privilegiati legati alla lettura, come la capacità del lettore forte di vedere dietro le righe, di sperimentare sulla propria pelle storie di personaggi immaginari o reali, di portarsi dentro riflessioni maturate e durature o solo pronte a esplodere al momento giusto, di imparare a esercitare un pensiero e delle scelte proprie. Un sacco di belle cose insomma.

E ci sono poi gli irriducibili lettori che voglio esportare la loro passione e così nascono i gruppi di lettura, anche giovanili. In questo ultimo caso un’azione a metà tra missione e necessità oggettiva.

Incosciente come sempre, mi sono gettata nella costituzione di un gruppo di lettura, o meglio di un movimento di giovani lettori, Leggere Ribelle, che coordino insieme a due bibliotecarie e un’educatrice. Ne rivendico la direzione artistica (se così si può dire) e sono convinta dell’importanza della rete tra gruppi di lettura, soprattutto per adolescenti. Quindi ecco il pensiero fondante del confronto, ma anche quello dell’osservazione e della riflessone da parte mia. Perché resta mia la responsabilità del terreno letterario su cui cresce LR. E la sento tutta.

Vivo una vita professionale divisa tra il ruolo di lettrice e quello di romanziera. E questo dà al gdl un’impronta precisa. Nonostante qualsivoglia buona intenzione. Questo capita anche se a condurre un gdl è un insegnante e il gruppo vive una vita diversa se si incontra a scuola, oppure in biblioteca o in una libreria. Non sto dando giudizi in merito, sia chiaro. Io posso condurre il gruppo solo essendo me stessa e vale anche per gli altri. Nessuno sfugge al destino di essere quello che è, o di credere in quello che fa.

La domanda è: come facciamo a creare lettori davvero liberi? È davvero possibile? Forse no. Per tante ragioni.

Per esempio, ci sono almeno due modi di guardare un opera in un museo: con una guida che la spiega o da soli, ascoltando le emozioni che suscita in noi.

Se la prima opzione ci sembra troppo didascalica, bisogna ammettere che la conoscenza del contesto artistico dell’opera può aprire emozioni nuove e il saper utilizzare gli strumenti che ci permettono di leggere razionalmente l’opera sono porte che si aprono. Altrimenti il passaggio della conoscenza da un individuo a un altro non avrebbe senso e non sarebbe un patrimonio.

Però la libertà di lettura viene comunque condizionata. Arrivare all’ideale passaggio successivo di liberarsi degli insegnamenti dopo averli interiorizzati, per dare un giudizio personale ma non privo di competenze, è un processo complesso e lungo.

Nel gruppo che conduco presento romanzi nuovi a ogni incontro, ma sono io a sceglierli, sebbene mi impegni ad andare a scovare quelli belli che arrivano alle ragazze e i ragazzi con meno facilità e sebbene accolga anche quelli che portano in bibliografia i giovani lettori. Il gruppo d’altronde è nato per questo, per portare alle ragazze e ai ragazzi autrici e autori di levatura internazionale che il giovane lettore italiano difficilmente incontra. La lettura non è patrocinata, a scuola in maggior parte arrivano libri di divulgazione culturale e pochi romanzi veri e propri slegati dal programma di studio; non tutti i bibliotecari del territorio e i librai sono formati in questioni di letteratura giovanile. Mi ricordo che le ragazze e i ragazzi, quattro anni fa, arrivarono a costituire LR non avendo mai sentito nominare M.A. Murail o Aidan Chambers (e poi li hanno conosciuti e amati).

Anche se la situazione è in evoluzione, per fortuna, bisogna dirlo.

Io per esempio non apprezzo i romanzi di Alessandro D’Avenia e li ho sempre tenuti fuori dal nostro scaffale, ma (e di questo sono molto orgogliosa) due lettrici hanno voluto inserirli e non sono riuscita a far loro cambiare opinione. Istigare alla ribellione letteraria è sicuramente uno degli scopi non dichiarati del gruppo che coordino, ma di certo mi fa sorridere che la ribellione istighi al conformismo invece che il contrario. La libertà porta anche questo peso.

Dunque, ogni gruppo di lettura ha la propria impronta.

Per esempio, quando nella mia biblioteca di riferimento mi chiesero come avrei organizzato un gdl per adulti, io ho scartato la scelta del conduttore, educato lettore, che suggerisce un romanzo e poi avvia il confronto. Credo che il gdl tra adulti appartenga ai lettori che democraticamente alternano le loro scelte in totale libertà. Nel salotto di lettura ognuno porta la propria proposta e la motiva, questo allarga gli orizzonti di ogni partecipante e modula gli interessi di quel gruppo preciso di persone. Che siano a livello dei classici russi o de polizieschi italiani non ha nessuna importanza, ogni gruppo ha la propria personalità, si cresce insieme comunque.

Quindi, tornando agli adolescenti, il coordinatore dà la propria impronta al gruppo.

Come detto, lo scopo per cui volevo formare Leggere Ribelle principalmente era ed è: promuovere autori contemporanei di qualità, spesso famosi altrove e sconosciuti in Italia. D’altronde quando i ragazzi arrivano e si presentano al gruppo, i libri che presentano come loro romanzi preferiti dimostrano quanto spesso manchi nel loro panorama letterario la grande narrativa giovanile nazionale e internazionale contemporanea. Noi di LR ci siamo per questo!

A quattro anni e più dall’inizio, grazie agli incontri con festival e altri gruppi, il movimento LR ha ampliato enormemente la propria bibliografia di riferimento. Il mio apporto è sempre meno importante e le proposte dei lettori sono sempre più ricche, interessanti, contemporanee. I più esperti raccontano ai più giovani, i suggerimenti passano, lo scambio è attivo.

Il mio sogno sarebbe un gruppo di lettori adolescenti che si alimenta da solo.

Il tipo di conduzione di un gdl ha, quindi e nonostante tutto, il proprio peso a sfavore della libertà di lettura.

Vero è, d’altronde, che leggiamo con la nostra testa e noi siamo il prodotto della società in cui viviamo, ne subiamo indiscutibilmente i condizionamenti, anche quelli letterari.

Sono lettrice, ma resto narratrice e dietro ogni mio romanzo c’è un percorso di consapevolezza oltre che di creatività.

In Ladra di jeans ho lavorato sul contrario. Cioè pur volendo trattare, raccontare, interrogarmi sul ruolo dei nostri corpi nei rapporti con gli altri, ho voluto consapevolmente percorrere una strada che rompesse ogni consuetudine. L’ho fatto con precisione. Lo so bene perché alla fine della prima stesura nacque una lunga discussione con uno dei miei figli che l’aveva letta. Quello che era sfuggito a me, non lo era a lui e dibattemmo a lungo sul pericolo per questo libro di refusi di logica materiale. Nonostante questo, nonostante io sia stata attenta a non scrivere nulla che inducesse il lettore a credere amiche coloro che non lo erano, a volte sono state lette come tali.

Come mai? Mi sono domandata.

Non potrebbe essere perché fatichiamo a essere lettori liberi?

Leggiamo già sapendo come andrà a finire perché il terreno che la letteratura solitamente ci fornisce è fatto di elementi indiscutibili. Che il diverso verrà accettato deve essere un dato di fatto. Ma io ho giocato sul contrario. Ho provato a scucire la trama di una storia “convenzionale” per vedere cosa poteva accadere se conducevo il lettore per altre vie, se raccontavo di personaggi convinti del contrario. Perché non c’è sempre un lieto fine.

Non so se ci sono riuscita. Ovvio, nessun autore può essere sicuro delle intenzioni della propria opera, a meno che questo non sia un prodotto smaccatamente commerciale.

Comunque vada o andrà, ho ricavato due grandi lezioni per me stessa.

Non devo smettere di provare a scardinare con delicatezza le certezze del lettore in modo che, sia lui che io, possiamo farcene di nostre. Ricordo un romanzo famoso che finiva con la disfatta della protagonista, una ragazza stuprata dal branco e convinta di essersela cercata. Mi arrabbiai per quel finale, ma capii che era una leva fortissima per incitare al contrario.

Vorrei continuare a cercare buoni romanzi di bravi autori contemporanei da mettere nella bibliografia di Leggere Ribelle, che raccontino narrazioni alternative a quelle più ricorrenti, socialmente accettate o comuni. Romanzi che raccontino l’altro e altro, anche in altro modo. E non sto parlando di argomenti forti o dissacranti a ogni costo. La violenza fine a se stessa è sempre bandita per quel che mi riguarda. L’ironia è un’arma potentissima e così la delicatezza che accompagna. Ma lì ogni narratore, ogni buon narratore, è diverso, abile e affascinante a suo modo.

L’originalità in un romanzo è anche questo ed è utile per disabituarci a immaginare quello che succederà senza leggerlo veramente.

Uno dei grandi valori della lettura che dobbiamo provare a passare ai ragazzi (e non solo a loro), è la ricerca inarrestabile del pensiero libero per saper uscire dalle maglie della consuetudine. Per quanto è possibile. L’accettazione profonda e naturale della diversità (reale o immaginaria) passa attraverso il pensiero autonomo, se la letteratura “per ragazzi e adolescenti” non lavora per emanciparsi dalla zona confort delle nostre vite, forse (meglio: senza forse), non è letteratura. E solo un buon romanzo è capace di far nascere nuovi e indispensabili giovani lettori.

Pubblicato in: Colpi di coda

Un libro dedicato a un cane…

Io e te, te e io.

Sei un cane da lavoro, fai il cane di famiglia.

Ti adatti a ogni cambiamento e mi saluti sempre al mattino saltando sul letto pieno di allegria. Non conosci il domani e vivi il presente sempre con la stessa gioia.

Non sei un cane facile. Ti ho dedicato Huck perché so che saresti potuto essere così e forse già lo sei e per questo non sei facile.

Sono solo cani, vero, ma posso educarci ad ascoltare, ci insegnano a decifrare quello che nessuno ci dice, sono una palestra per vivere con senso.

Gli animali ci rendono più umani.

A Bryce ho dedicato I segreti di Huck, Mimebù Edizioni, un romanzo che nasce con lui, ma che fatica a essere letto, a essere visto. Forse è colpa dell’autrice, non certo del cane.

Te e io, io e te.

Camminiamo insieme.

I segreti di Huck

I segreti di Huck – Come nascono le storie

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

#lafigliadellassassina, come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

È sempre una domanda difficile cui rispondere.

A volte (almeno questa volta è andata così) capita che ci sia un’urgenza cui dare sfogo. Un bisogno che forse potrebbe non essere solo mio e per questo scelgo di scriverne. Siccome un buon romanzo non dà mai risposte, questa piccola storia insieme alla sua autrice si pone solo giganteschi quesiti: qual è la verità? La verità, quella vera, quella che: è così e basta!, esiste? Sì? No?
Forse corrisponde al vero l’ormai famosa frase dello scrittore statunitense Jim Harrison: «La verità non esiste: esistono solo le storie».

Insomma leggere e ascoltare in un mondo rumoroso e cacofonico che parla e scrive e continua a parlare e scrivere di tutto e su tutto; dove l’umore batte l’oggettività e l’oggettività serve l’umore; quando prestare idee è un mestiere e noleggiarle è un risparmio di pensieri e di tempo, orientarsi tra le mille sfaccettature di una verità è difficile. A tratti angosciante. Meglio lasciar perdere. Meglio non farne una battaglia? Fate voi.

Tutto questo è solo la carica di adrenalina che ha mosso l’idea del romanzo.

(Non la chiamo ispirazione, l’ispirazione è una cosa troppo complicata. È il nome di una barca a vela, la mia).

Spesso nelle mie storie i fili che s’intrecciano sono sottili come se ricorrere a una trama semplice (seppur affilata e tagliante) sia sempre sufficiente a guidarci. Come se i dialoghi adolescenziali, senza parole troppo belle, volessero condurci nel quotidiano e mai nell’assoluto. Quello viene dopo, fuori dalle storie. È dentro di noi.

Rachele e Daria sono diverse e non saranno mai amiche. Sono una vittima e una carnefice nel gioco della verità che sta attorno alla vicenda di una donna, Eva Contini, che uccide un’altra donna con ferocia. Eva Contini, la madre di Rachele, la moglie di Gerald, l’amica di Leone e Magda, l’assassina, #lassassina.

E intorno a loro: Joshua, la madre di Daria, Matteo, Andrea, Martina, Anna, Antonio Loforte. Gli altri. Tanti altri che parlano tra loro, condividono, indagano, scrivono. Vivono nel microcosmo di una storia camminando per le strade, sedendo in giardino, togliendo i panni da uno stendibiancheria, ascoltando nell’ufficio di una caserma.

Passano le ore e la storia va avanti; passano velocemente le ore se t’immergi nella lettura di un romanzo dove trovi le sicurezze che la vita non ti dà ma, la vita, Rachele deve affrontarla e con lei, noi, cercheremo di capire qual è la verità. E poi, anche noi come Rachele, andremo avanti a leggere fino all’ultima pagina.

Un romanzo, una storia che tanto mi coinvolge e appartiene, che Sinnos Editrice ha scelto di custodire nel suo catalogo, che spero vi lasci qualcosa: un’emozione, un pensiero, la voglia di leggere ancora. Anche non me, ma leggere.

LA FIGLIA DELL’ASSASSINA

SINNOS Editrice

Collana Zona Franca – dal 22 novembre 2018 in libreria

Gerald, Rachele e Joshua non hanno più nulla. La loro triste vicenda familiare ha avuto un forte clamore mediatico e Gerald e i figli sono stati al centro dell’attenzione di articoli giornalistici e scandalistici. I genitori di Gerald dall’Inghilterra non si fanno vedere, ma l’uomo sistema la loro roulotte nel grande giardino dell’amico Leone Batista e vi si trasferisce con Rachele e Joshua lasciando definitivamente Roma. Leone, sua moglie e i figli, li accolgono, ma la convivenza non è facile, anzi la loro presenza in paese desta la curiosità degli amici dei ragazzi. 

Rachele attira l’attenzione di Daria che la fotografa e sul web la foto diventa virale in poche ore con l’hashtag #lafigliadellassassina. Rachele, esasperata, s’intrufola nella scuola del quartiere. Sale fino sulla terrazza, sul tetto, e rimane nascosta. Ha con sé un libro e comincia a leggere. 

L’unica a scoprire dov’è nascosta Rachele e a raggiungerla è Daria. Le due restano da sole per dieci ore, mentre in paese tutti le cercano e gli appelli si moltiplicano di ora in ora.

Una storia che riguarda adulti e ragazzi: nessuna morale, nessuna punizione per nessuno e forse nessuna salvezza, perché il finale nella vita resta comunque aperto, fino all’ultimo.

Buona lettura!

 Rai Letteratura a Più libri Più liberi

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri e addentando un Croque monsieur!

Stamattina per colazione avrei voluto un delizioso Croque monsieur, ma mi sono dovuta accontentare di pane, burro e marmellata. Pazienza!

Christophe Léon mi tiene sul filo del rasoio e colpisce duro, Marie-Aude Murail mi strappa un sorriso pensieroso, di quelli che friccicano (come diremmo a Roma) sulle labbra e poi esplodono con un tuono nel cuore e nella testa.

“Tutti muoiono a questo mondo. Non vale neanche la pena di nascere. Su questa riflessione incoraggiante, Violaine spalancò gli occhi. Ecco, era mattina, lei era incinta per tutto il resto della giornata.” da La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

Letti e amati tutto d’un fiato: Champion (Camelozampa Ed.) e Spazio aperto(Sinnos Ed.) di C.Léon e La figlia del dottor Baudolin di M.A.Murail.

E mi viene spontanea una riflessione: perché quando la fantasia e le emozioni dei narratori possono essere infiniti, le pubblicazioni si copiano, rincorrono e si sfidano spesso sugli stessi format o temi? D’accordo il mercato è il mercato e ha le sue leggi che io non capisco, ma poi, a ben guardare, la buona letteratura da leggere c’è.

Le mie letture continuano, a presto!

P.S. Niente recensioni, ma solo i miei libri del cuore sul blog di Brik, è bene ricordarlo!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri e raccontando: Invisibile

“Nina aveva fatto tante volte quel sogno, ma ogni volta le salivano le lacrime agli occhi, specialmente quella notte che era sola perché Elias non era tornato. Era invisibile.”

(da Invisibile, San Paolo ragazzi, 2012)

 

Scrivere per ragazzi non significa educarli, per carità io non me la cavo per nulla bene come educatrice. E come scrittrice come me la cavo? Non lo so!

Scrivere per ragazzi vuol dire semplicemente scrivere. E non è detto che le storie non abbiano a che fare con la realtà. Oggi sentivo un servizio sul caporalato e il lavoro dei clandestini nelle coltivazioni di pomodori: gli invisibili, quelle persone che sono senza documenti e non esistono.

Nel 2012  è uscito il mio Invisibile per San Paolo Ragazzi e i libri non scadono. O almeno i bei libri non scadono. (E spero che questo lo sia…).  Come in tutte le storie parto sempre da me, da un pozzo, un polo, un punto dentro di me dove la creatività si nutre di quello che mi affascina o sconvolge della realtà. Le mie storie sono reali. Non posso e non voglio parlare di tutto, ma Invisibile utilizzava quando emerso proprio da un’inchiesta giornalistica sul caporalato per  raccontare Elias  (un uomo scappato dal suo paese per motivi politici) e il suo lavoro clandestino nei campi. Lui viene arrestato e la sua bambina di cinque anni, Nina, anche lei fuggita dalla guerra (non una guerra in particolare) resta da sola in una grotta in un bosco. (“Quella Grass da dove viene Nina potrebbe essere ovunque e le guerre più o meno conosciute sono tante. È un nome che non dice nulla… o forse tutto, fate voi.”). Nina se la cava.

I miei figli a cinque anni non sapevano allacciare le stringhe delle scarpe, ma alcuni bambini a cinque anni sopravvivono da soli per le strade o come in questo caso in una grotta nel bosco. Eppure questa non è una storia triste o pedante, ma solo una vera avventura sui sentieri di montagna con protagonisti Silvia e Fabio e una banda di altri ragazzi molto bulli. C’è anche un cane, Pirata, un border collie (..ma va? Ebbene sì!).

Un romanzo a cui sono particolarmente affezionata. Vincitore del Premio Arpino, formato da una giuria di ragazzi.

Strave è un paese di montagna con i propri riti e abitudini, e come ogni anno in estate al paese tornano i fedelissimi turisti sicuri di trovare il paesaggio incantato che solo boschi e campi sanno regalare. Il bar di Rocco è il punto di incontro dei ragazzi dove nascono dispute e amori, ma anche il luogo dove Silvia, Bruno e Fabio cercano di svelare la trama del mistero che si presenta ai loro occhi: chi è la bambina abbandonata nella grotta? Che significato hanno gli indizi rinvenuti accanto a lei? Nina ha cinque anni e sta spettando il suo papà, Elias la cui vita da fuggiasco è segnata da sofferenze e fatica. Lui fa parte del popolo degli invisibili e in quanto tale è come se non esistesse, privo di diritti e giustizia. Silvia, Bruno e Fabio, guidati dal fedele Pirata, sapranno svelare il mistero che circonda Nina, e anche lo strafottente Mich dovrà aprire gli occhi e lasciare il suo atteggiamento da bullo per collaborare a risolvere una situazione più grande di lui. Giuliana Facchini scrive Invisibile per le edizioni San Paolo, accompagnando il giovane lettore per i sentieri di un bosco amico che nasconde anche realtà crudeli; il racconto porta alla ribalta una tematica forte come lo sfruttamento dei clandestini. L’importanza dell’amicizia, il rapporto speciale fra il cane Pirata e la sua padrona Silvia, il sentimento di empatia che gli abitanti di Strave hanno con la loro montagna, sono le basi sulle quali si costruisce la storia. Come faranno i ragazzi a scoprire cosa lega Nina, Elias ed Eva al vecchio Adelmo? Fidiamoci del fiuto di Pirata e armati di scarponi da montagna iniziamo l’avventuroso sentiero della lettura! (Recensione tratta da Zazie news: L’almanacco dei libri per ragazzi. A cura di Chiara Serra.)

 

Info e booktrailer su : LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

 

 

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Due ciotole di emozioni forti: niente paura è solo letteratura!

Non so come mi possa essere sfuggito; l’ho avuto in fiera a Bologna, ma l’ho letto solo ora e mi è piaciuto. Un libro particolare, forte, originale. Inquietante ed efficace parlare così d’identità.

Accidenti che onore essere in una collana come la Feltrinelli UP con il mio “Se la tua colpa è di essere bella”! Me ne sento addosso tutta la responsabilità. (Sì, un’altra!).

Interessante leggere che i costi della traduzione sono stati sostenuti dal Swedish Arts Council, un’agenzia governativa svedese che si occupa di promuovere la cultura e gli autori svedesi. (Cose da alieni… o forse gli alieni siamo noi?). Mi ha incuriosito il fatto che i protagonisti non adoperino i telefoni cellulari, anzi si menziona il telefono fisso. Il libro è del 2015, potrebbe essere stato scritto prima, oppure in Svezia i ragazzi non usano abitualmente i cellulari, oppure per scrivere una buona storia si può prescindere dai particolari realistici e concentrare l’attenzione del lettore su dinamiche di relazione diverse.

La stessa cosa mi è capitata con Campi di fragole di Jordi Sierra i Fabra, un autore spagnolo conosciuto quest’anno grazie a Mare di Libri. Libro uscito nel 2005 che mi è piaciuto molto, attualissimo, dove la mancanza di “attualizzazione” legata alla vita social degli adolescenti non toglie nulla al romanzo. Dimostrazione ovvia che un buon libro non ha data di scadenza. Immagino di essere banale, ma questo dettaglio come scrittrice mi interessa moltissimo. Come trovo terribilmente affascinante il Swedish Arts Council. È affascinante il fatto di poter scrive un romanzo sapendo di avere alle spalle un’agenzia amministrativa che, se il mio è un buon libro, lo propone con orgoglio fuori dei confini del mio Paese.

Non l’ho mai fatto prima, quest’anno ho scritto una storia partendo da un mio racconto e l’ho fatto su richiesta dell’editrice che aveva pubblicato il racconto. Uscirà a novembre o a dicembre. Ci ho pensato molto poi ho trovato la chiave di scrittura giusta per narrare quella storia. Ecco, la tranquillità di scrivere sapendo che il tuo romanzo (salvo imprevisti, ovvio) verrà comunque pubblicato rilascia una libertà e una serenità pazzesche. È appagante avere la totale fiducia di un editore.

In generale non amo questa modalità, però. Mi piace adrenalina del tuffo nel vuoto che è un nuovo romanzo per un narratore. La considero funzionale ed essenziale per la creatività dell’autore.

Quindi accetto la sofferenza (!) come parte del mio mestiere… però una passeggiata nel bosco, ogni tanto, invece di scalare sempre montagne, non è male!

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Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere – recensione di Livia Rocchi

Volto l’ultima pagina e penso “Sigh” perché “Se la tua colpa è di essere bella” di Giuliana Facchini mi ha portato indietro: per qualche ora l’ho letto e sono tornata al liceo. I rappresentanti di classe, le prime ore saltate, le verifiche che sembravano chissà che spauracchio, i voti che sembravano chissà che conquista, le poesie lasciate o ritrovate nel diario, i confini tra amicizia e amore ancora tutti da imparare, il confine tra giusto e sbagliato così ingannevolmente facile da tracciare, la complicità e le baruffe a momenti alterni… c’è proprio tanto di me (va be’, della me di xxnt’ anni fa 😲 ) in questo romanzo, e c’è anche tanto di una bravissima scrittrice che ho l’onore e la fortuna di chiamare amica. Quindi non sarò obiettiva, ma ve lo consiglio: se siete giovanissimi farete la conoscenza di un gruppo di vostri coetanei davvero speciali. Se siete giovanissimi di xxnt’ anni fa potreste rivedervi in quei ragazzi e ragazze speciali e magari vi verrà anche voglia di scoprire dove sono andati a finire e di ritirarli fuori, chissà.

Qui finisce la parte emotiva della recensione. Quella tecnica non ho voglia di farla perché sarei tecnicamente in vacanza 😜 ma una cosa la voglio dire. Poco tempo fa ho letto “Te la sei cercata” di Louise O’Neil, romanzo del momento che ha il tema principale in comune con il romanzo di Giuliana: violenza sulle donne e sue conseguenze nella cosiddetta era di internet. Pur prendendo spunto dallo stesso tema principale sono due storie molto diverse; una delicata, scritta in punta di piedi ma piena di fiducia nel futuro; l’altra cruda, scritta affondando il coltello e con un finale che lascia l’amaro in bocca ma, purtroppo, onesto da far male. Qual è il migliore? Non lo so e forse non importa. Quel che (mi) importa è notare come lo stesso tema possa dare origine a storie opposte ma ugualmente vere e a chissà quante sfumature nel mezzo. Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere. E per fortuna ci sono, anche qui in Italia, tanti autori che scrivono davvero bene.

Livia Rocchi

Editor e autrice di libri per ragazzi dal 2005, ha lavorato a molti progetti tra cui la serie Geostilton per De Agostini/Piemme, la serie di romanzi per preadolescenti “The Talent Angels” per Camelozampa editore. Ha collaborato a opere di saggistica tra cui “La metafisica di Harry Potter”, “Potterologia – Dieci assaggi +1 dell’universo di J.K. Rowling”, “Hobbitologia”. Dal 2012 si occupa di promozione della lettura tra i più giovani anche attraverso workshop di scrittura creativa a loro dedicati.

 

Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non.

Che dire a Livia dopo aver letto la sua recensione del mio Se la tua colpa è di essere bella?

Che le voglio bene lo sa, che mi vuole bene lo so. Dico che è tanto bello camminare insieme in questo mondo della scrittura “per ragazzi” dove tra la maggior parte di noi non esiste competizione, ma amicizia. Che non vuol dire risparmiarci critiche, ma farcene di costruttive, che aiutano, che ti cambiano, che ti fanno crescere come persona e poi, forse, anche come scrittrice.

Grazie!

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Seguendo il filo di un pensiero

Seguendo il filo di un pensiero o di una perdita mentale di tempo, chissà: letto “Graffiti moon” di Cath Crowley giorni fa con piacere (…ascolterò l’autrice a MdL per “Io e te come un romanzo”). Uno dei protagonisti scrive poesie (così anche nel mio Se la tua colpa è di essere bella), l’altro lascia la scuola perché è in difficoltà ma si esprime con l’arte dei graffiti. (“Muoio dalla voglia di conoscerti” di A.Chambers – il protagonista ha le stesse difficoltà nello scrivere e si dedicherà all’arte). In generale si parla anche di aspettative genitoriali e di ragazzi che vogliono vivere della loro arte (così nel mio Un’estate da cani il protagonista scappa di casa per vivere della sua musica per strada). Sono tutti maschi, tutti ragazzi questi artisti e poeti. Sono i ragazzi a sognare questo di cui scriviamo? Oppure siamo noi scrittori a volerli invitare a non vivere di solo pane, ma anche d’arte? Eppure si arranca se si vuole fare del proprio lavoro creativo un vero lavoro (insomma pagarci le bollette). Senza buone poesie e storie e illustrazioni e buoni film e musica sparata nelle orecchie come potremmo vivere? Nessuno potrebbe farlo (chi lo fa non vive bene sicuro), eppure pochi sono disposti a pagarla la creatività per farsi di musica, storie, film, immagini dipinte, stampate e o graffitate. Roba buona che ci aiuta a rileggere noi stessi e il mondo. Perché questo libro, che non è un capolavoro, mi è piaciuto più di altri? Perché sono esterofila? (Come dice una mia amica). Perché è comunque una buona storia filtrata tra tante e ben tradotta? (Come dice il figlio). Perché è solo un romanzo YA che ci permette di sognare che si può di vivere d’Arte?

Non sono un’intellettuale, non mi rispondo, non mollo solo per vizio. Finirà come finirà.

Muro di Berlino – graffiti

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Se la tua colpa è di essere bella

Leggo i tuoi romanzi e ti dirò chi sei. No, non è così. Almeno non sempre. Per me sì, però, è vero.

Foto artistica dell’autrice, di Ste. (Mancano solo il cappello per le offerte e il cane perché sia fedele all’originale 😉 )

La voce di un autore è il suo libro. Non tutti gli autori riescono ad avere dei bei momenti d’incontro con i lettori. Sono scrittori, mica oratori. Per me l’Incontro con l’autore  nelle scuole, librerie o biblioteche è un momento importante di dialogo con i giovani lettori. Eppure a volte non sono riuscita a regalare agli studenti la parte migliore di me . Però so di averlo fatto nei miei libri sempre e onestamente.

Se non è solo mestiere parlare con i ragazzi, ma anche passione per i libri e per le storie, non può andare sempre alla stessa maniera.

Strano? Le emozioni non sono una scienza esatta!

E ancora: una storia nasce spontaneamente e certamente fissa nel tempo un pezzo di me. Scrittura e vita si mescolano, eppure non c’è nulla di autobiografico.

Ancora più strano?

Mi ritrovo ad ascoltare, emozionata, io per prima quella storia che arriva chissà da dove e che mi racconto da sola. Scriverla, per me, significa prenderne le distanze per provare a regalarla al lettore. Più facile a farsi che a dirsi. Infatti il difficile non è scrivere ma disciplinare quello che ho scritto. Trovare un senso, una direzione, un perché vale la pena condividerlo con i lettori. Insomma capire se è davvero una buona storia quella che ho scritto.

Il protagonista di Se la tua colpa è di essere bella è Valerio, un ragazzo di 16 anni. Pensa in prima persona, nel presente e scrive poesie d’amore (il titolo del libro è il titolo di una sua poesia). Nessuno potrebbe essere più diverso da me.

Parte di questa storia nasce dopo molti Incontri con l’autore per un libro: Chiamarlo amore non si può, una raccolta di racconti di cui uno mio. L’argomento è: la violenza sulle donne. Gli studenti quando sono invitata in una scuola si aspettano che faccia loro il predicozzo preparato per l’occasione a corredo del libro e cercano di non farsi coinvolgere in diretta. Lavorano a lungo dietro le quinte sul tema, con campagne pubblicitarie, video, cartelloni, ma in quel momento spesso tacciono. E taccio anch’io che i predicozzi non li faccio, preferisco leggere ad alta voce i racconti.

Eppure le mezze domande, i silenzi, le risatine, i cellulari smanettati di nascosto parlano. Gli occhi attenti parlano e io so ascoltare. In questo libro ci sono anche quei pensieri captati e a volte espressi timidamente a metà. Quegli accenni sinceri di discussione che escono dalle righe, che fanno la spia.

Sanno pensare i nostri ragazzi e assorbono la potenza costruttiva delle buone storie. Niente prediche ma romanzi, storie narrate in cui trovare spazio per poter pensare. Leggere lascia il tempo per pensare e immaginare. Quasi lo impone.

La mia necessità era far parlare Valerio. Pur essendo io lontanissima da Valerio, lo conosco bene. Perché è diverso da me posso raccontarlo onestamente, senza confondermi con lui. Anche Lavinia, se sono riuscita a farla vivere tra le pagine di questo mio romanzo, ha una bella voce, chiara, importante. Ne ho incontrate di Lavinia! E infine Carlos, forse quello più difficile, dall’animo complicato perché sono quasi certa incarni un bisogno segreto e innato e spesso negato di ogni adolescente: quello di avere degli ideali. Molto difficile.

«Lavinia è alta quasi quanto me. Ha i capelli lunghi, tra i quali spunta sempre qualche fiore vistoso».

Come sempre nei miei libri non c’è un tema solo, se per forza, per necessità editoriali, dobbiamo trovarlo il tema del romanzo. In realtà la storia di questo poetic guy  ruota attorno alla parola ingenuità riportata dalla curatrice anche in quarta di copertina (e di cui tacceranno sicuramente l’autrice). Ingenuità = Quello che fanno di buono i ragazzi lo fanno perché non ancora provati dalla durezza della vita. E noi adulti spesso ce ne stiamo arroccati dietro la paura che la loro ingenuità valga più delle nostre tremolanti convinzioni. La loro ingenuità può costruire un mondo migliore di quello che hanno trovato. È una legge di natura. Questo è il pensiero di fondo attorno al quale è nato il libro.  Un pensiero sempre fuori moda. I giovani d’oggi, quelli che si citano con tono critico e scuotendo il capo, ci sono sempre stati anche se a ogni generazione piace credere il contrario. #nonsolobulli #giovanimpegnati #braviragazzi #ragazzicheleggono

Questa mio romanzo è un’avventura lieve e impalpabile che si srotola tra le pagine come l’imprevedibilità della vita, tra durezza e dolcezza imperfette, fresca e delicata perché racconta la vita di tre adolescenti. Anime e corpi giovani, pronti ad affrontare il futuro con coraggio, arrogandosi il diritto di esserci e di avere una voce. Per fortuna.

Le poesie di Valerio sono scritte da Roberta Lipparini, alla quale va la mia affettuosa amicizia, la mia eterna gratitudine e la mia grande ammirazione. Grazie Roby.

Bugi e Roberta (Roberta è quella a destra nella foto 🙂 )

Se la tua colpa è di essere bella (cliccate sul titolo per leggere le specifiche del libro sul sito dell’Editore Feltrinelli) lo trovate dal 10 maggio 2018 nelle vostre librerie di fiducia, a La Feltrinelli o negli store online, in cartaceo o in e-book.

(Ricordate che sostenere con gli acquisti una Libreria Indipendente è come sostenere una preziosa specie in via d’estinzione. Evviva il World WildBook Found!)

Grazie per essere arrivati fin qui!

Buona lettura e fatemi sapere… per voi lettori ci sono sempre!

Sono qui 😉

Per saperne di più: Lettura di A. Starace

 Lettura di Carla Colussi

 Lettura di Livia Rocchi

Dal blog del Professor Pino Boero  

                                Segnalazione in TV minuto 6

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Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.

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Per fare uno scrittore ci vuole un mare…

Sono le 5:53 e apro gli occhi. Sono tornata ieri sera dal festival Mare di Libri e questa non sarà una cronaca, ma un viaggio di pensieri. Non la farò breve. Perché un’autrice di narrativa per ragazzi (o presunta tale) dovrebbe essere spettatrice a un festival come MdL? Da bambina cercavo spesso a scuola o alle feste un posticino per osservare  quello che accadeva intorno a me. A MdL chi scrive per ragazzi può trovare un posticino (magari in penultima fila) per osservare autori e ragazzi dialogare. Un privilegio.

E’ un festival fatto dai ragazzi, questo è importante e si sente. I ragazzi sono loro stessi a MdL, è come quando le maestre lasciano esprimere liberamente i loro alunni e vengono fuori disegni sghembi e imperfetti ma veri.

Ho seguito una serie di eventi, ovviamente non tutti, e per primo Aidan Chambers, uno scrittore inglese ottantatreenne pluripremiato e consacrato da critica e lettori. Mrs Chambers, che sui jeans indossa la magliettina del festival, tiene una lezione serissima e densa di concetti importanti con leggerezza e umiltà disarmanti. Lui è al servizio delle storie e dei lettori. I ragazzi lo applaudono con affetto come fosse una star della musica pop (ragazzi adolescenti che urlano “bravo” a un 83enne? Stupitevi, è successo). Lui ha ha scritto libri di ineguagliabile originalità e forza narrativa, è un formatore e potrebbe divertirsi e gigioneggiare, ma non lo fa. Tiene una lezione in piena regola. Non spreca l’opportunità di essere davanti a dei ragazzi che rappresentano il futuro di tutti noi e non li sottovaluta.

Ecco la prima rigorosa lezione del festival.

Poi arrivo in sala, dove a parlare ai ragazzi è Bruno Tognolini e il registro cambia, ascolto il ritmo  originale del poeta, il poeta che è l’essenza delle cose e della natura.

“Ascolta, ascolta, il vento sta parlando” disse Giovannino chinando la testa da un lato “dici davvero che non saremo più in grado di udirlo quando saremo grandi, Mary Poppins? “Lo udirete benissimo” disse Mary Poppins “ma non lo comprenderete.”

Questo scriveva Pamela Lyndon Travers e Tognolini va oltre: Tu sei tutti e tu sei tu. Sono le rime che ci rimangono in testa ne Il giardino dei musi eterni e raccontano che facciamo parte di un tutto sebbene siamo individui. Il poeta Tognolini con quel suo modo speciale di raccontare parla di quelle donne e quegli uomini che si dichiarano madri e padri dei propri cagnolini. Non li deride, né si scandalizza. Con l’umiltà dell’uomo che si guarda attorno e si sente una piccola parte della natura e del tutto,  accetta quella paternità o maternità differita. Già, perché: Tu sei tutti e tu sei tu.

Il mio festival continua con Cristopher Vick che ho apprezzato quasi più del suo romanzo. I ragazzi non leggono storie d’amore a differenza delle ragazze e lui invece ne scrive. Bella la sua capacità come uomo di svelarsi davanti ai suoi lettori. Le scrittrici lo fanno con facilità, gli scrittori no. Pongono dei filtri, non si raccontano sempre sinceramente nei libri attraverso i loro protagonisti maschi per essere letti da lettori maschi. Vick lo fa e come lui pochi scrittori lo hanno fatto. Vick l’ho visto ascoltare gli incontri dei colleghi, attento e interessato. Anche questo non è da tutti.

Arrivo finalmente da J. Teller, l’autrice di Niente e ho la conferma che dietro un grande libro c’è una gran bella persona. Lei si pone e si è posta delle domande, che tutti dobbiamo saperci porre, partendo da: Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena di far niente, lo vedo solo adesso. (dalla prima pagina del libro). La Teller è una donna disponibile eppure ferma, dalla grazia nordica. Mette subito in tavola un pensiero che ritiene scontato (ma io credo non lo sia): I ragazzi devono avere i loro segreti (un pensiero a doppia lama che terrorizza molti di noi adulti). E’ fondamentale per diventare individui e non restare cuccioli a vita. Racconta che ha scritto il libro in due settimane, ma ci è voluta una vita intera per prepararsi a farlo. E parla di onestà. Uno scrittore deve essere, tutti noi dobbiamo essere onesti. E’ facile e comodo chiudere gli occhi e rimanere aggrappati alle nostre convinzioni senza mettersi in discussione.  Ecco il suo romanzo e la sua storia di persona. Anche Jennifer Donnely e Kenneth Oppel nei libri mettono loro stessi. La novelist newyokese Donnely (che adoro) con tocco squisitamente statunitense racconta che si mette in ascolto dei personaggi delle sue storie. Personaggi che arrivano dal passato per aiutarci/la a capire il presente. Con ironia parla di una sorta di seduta spiritica e poi Oppel dice di se stesso e di quanto di lui ci sia nel protagonista del suo libro.

J.Donnnelly

Ecco l’onestà dello scrittore che scava in se stesso e attraverso le pagine dei suoi libri si dona al lettore. (Lo so, suona un po’ alla Grotowsky! Sarà l’amore per il teatro che non esaurisce mai!) Tutti possono scrivere ma non è scrivendo che si crea un romanzo. Pagine di emozioni che attivano sentimenti e ci  lasciano inevitabilmente diversi quando finiamo di leggere, non possono essere facili e scontate da scrivere. Sono un percorso che scorre parallelo alla nostra vita.  E forse come Tognolini ha sottolineato… ognuno di noi scrive di quello che gli manca, di quello che sogna di essere o creare.

Una cosa buffa del Festival è stato veder firmare il programma di MdL da alcuni autori su richiesta di ragazzini o genitori. Non avevano il libro, immagino. Insomma una bella copia del fogliettino strappato dal quaderno che nelle scuole spesso gli alunni fanno firmare agli autori (sì, anche a me) quando non hanno comprato il libro.

Ce la facciamo a capire che il valore sta nel libro con o senza firma dell’autore, ma la firma dell’autore senza il suo libro è ben poca cosa?

MdL per me è stato anche la colazione piena di dolci fatti in casa dalla proprietaria dell’albergo dove alloggiavo, la piadineria del borgo e il mare dove lascio sempre scivolare i pensieri sul pelo dell’acqua come fossero le tavole da surf di Vick; sono state le lacrime alla fine della proiezione di Una vita da Zucchina; è stato la lettura di alcuni brani di libri scelti dai ragazzi fatta da Lella Costa con grande bravura o il cortile della biblioteca dove ho ascoltato Silvia Vecchini e l’attrice Alessia Canducci, alle undici di sera,  raccontare una fiaba della buona notte. Era una fiaba dei fratelli Grimm, una Cenerentola che non lasciava dormire sonni tranquilli.

Ma vogliamo davvero dormire sonni tranquilli?

 

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Un’estate da cani… come nascono le storie!

Questa storia è un racconto scritto in prima persona da Ginevra. Lei non è una scrittrice e non si tratta di un diario. No. Questa storia nasce per raccontare che scrivere può essere utile. Enigmatica?

Chi ha letto Io e te sull’isola che non c’è, sa che Lucia scrive una storia dove succedono cose terribili alla sua odiata nemica. Su un foglio bianco tutto può accadere e così Lucia sfoga la sua rabbia e il suo odio. Ginevra scrive per un altro motivo. Un motivo ben preciso. Trovo affascinante poter fermare sulla carta le emozioni senza dover necessariamente essere scrittori. E’ una fotografia del nostro stato d’animo. Rileggere quelle righe anni dopo, come guardare una foto, ci racconterà chi eravamo.

Un ragazzo una volta mi chiese se la sua vita sarebbe diventata come quelle dai suoi genitori: andare a lavorare, fare figli e pagare le bollette. Io gli parlai di sogni.

In questa storia si parla di sogni. Sì, quelli che ognuno di noi ha; non esistono uomini o donne senza sogni. Alcuni credono che i loro sogni siano andati distrutti, altri pensano di non averne perché li hanno dimenticati. Quello che ci piacerebbe realizzare della nostra vita è il motore che ci anima, certi motori borbottano, altri ronfano e alcuni di noi sono sordi, ma il motore batte e pulsa volendo o non volendo.

I sogni sono la linfa vitale di cui si nutrono i ragazzi, ma alle volte gli adulti ce la mettono tutta per disilluderli, di questo racconta Un’estate da cani, di chi non vuole rinunciare al proprio sogno.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso” diceva Nelson Mandela.

“Cosa vuoi diventare da grande? Felice” Risponde Thomas ne Il libro di tutte le cose di G. Kuijer

Ecco, chissà, forse vincere vuol dire trovare la propria felicità.

Orchidea è una bellissima Levriera che Loredana e la sua famiglia hanno adottato raccontandomi poi la sua storia.

Si parla anche di cani, sì ancora. Degli ultimi, quelli di cui proprio non importa a nessuno. Ci sono persone che si occupano di loro e mi pare bellissimo. Certo ci sono ingiustizie ben peggiori, ma sono convinta che di amore ce ne sia per tutti. Anche per gli animali e l’ambiente e senza far torto a nessuno. Io sono per includere e non escludere.

Infine, in questa storia, c’è un’omaggio a mia madre da sempre incallita giallista. Dei suoi racconti mi nutro io, che i gialli non li amo. Mi accompagnano da sempre nomi come Christie, Stout, Queen, Grisham, Camilleri, Patterson, Cornowell… serial killer e patologhe mi inseguono da sempre e non poteva tutto non confluire in un mitica Cena con delitto!

Ultima nota: Marisol esiste davvero. Non so se si chiami così, ma l’ho vista in ospedale mentre aspettavo di fare una banale visita specialistica. Lei era qualche metro più avanti e per rilassarsi faceva degli esercizi di respirazione in piedi, tra il muro grigio e la finestra. Era molto discreta, forse la notai davvero solo io e m’incantai a guardarla. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei e dalla sua figura luminosa. Cominciai a respirare come lei.

Le storie siamo noi.

Buona lettura e fatemi sapere!

Trama e dettagli su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

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La mia – Children’s book fair 2017 – festa del Libro per ragazzi!

La mia settima fiera del libro per ragazzi è stata un po’ una festa. Non è mancato nulla: i libri belli, gli autori speciali, gli eventi importanti e la stanchezza di fine giornata. La comunità dei libri per ragazzi è ben assortita e alla fine ci si conosce e ci si apprezza un po’ tutti, famosi e non famosi. Librai, bibliotecari, blogger, insegnanti, autori, illustratori e editori che amano i libri si annusano tra loro e si riconoscono, ne nasce una bella confusione di abbracci. Quest’anno non sono mancate le emozioni;  vedere commosse delle giovani editrici che dopo anni sono riuscite a portare in Italia un capolavoro degli albi illustrati internazionali, dice tanto. Perché tanti credono in questo lavoro strano che sta in precario equilibrio tra il raccontare e il formare, che non vuole educare i ragazzi ma che manda inevitabilmente tanti messaggi. Bello perdersi tra contest, premi e illustrazioni, ma bello guardarsi in faccia tra noi che per i ragazzi scriviamo, leggiamo,  a volte lottiamo per le storie. Promuovere la buona letteratura contemporanea per ragazzi e adolescenti non è facile, stereotipi e marketing stanno loro con il fiato sul collo e noi che raccontiamo storie non abbiamo altre armi se non il coraggio della fantasia e della buona scrittura.

In fiera quest’anno ho firmato un contratto per un libro che amo e che uscirà a maggio. Un altro mio sguardo sugli adolescenti, ancora la mia voglia di raccontarli senza mettermi al loro posto, anche se un po’ vorrei starci nonostante tutto. E avrò una nuova fantastica copertina d’autore perché un libro racconta una storia, ma ha anche una sua storia.

Mi piace molto scrivere pensando ai ragazzi e mi piacciono le persone, gli altri, quelli che incontro. Amo le relazioni e i lunghi discorsi o i lunghi silenzi amici.

Nella mia scatola di ricordi della Book Fair 2017, a guardar bene, tra l’altro, TROVO un’ amica con la quale ci eravamo ripromesse di vederci in fiera e con la quale ci siamo rincorse per una giornata. Io non sento il cellulare, richiamo e non sente lei e poi ognuna ha il suo da fare e alla fine ci parliamo per telefono: lei dal divanetto della sala stampa, io dal bar degli editori stranieri; TROVO una conversazione preziosa, avvenuta in piedi, nel corridoio tra gli stand, che quasi mi spuntavano le lacrime per l’emozione. Non sentivo la confusione attorno ma solo quelle parole personali e intime regalate per costruire amicizia o, chissà, forse solo per generosità; TROVO l’incontro con un’amica di coda&penna (i conigli hanno la coda corta) verso la quale sono andata a braccia aperte, scioccandola poichè una veneta è sempre più sobria di una romana; TROVO la pausa dal lavoro di un’altra amica, rubata solo per poterci guardare in viso e scoprirci proprio come ci eravamo immaginate di essere; TROVO le parole di una persona che mi ha letto dentro e trovo due occhi azzurri che mi hanno lasciata senza respiro, sapevo che gli occhi di quell’amica erano azzurri ma non credevo fossero chiari e luminosi come le sue parole. E poi c’è molto altro, come i contatti di lavoro a cui sono sinceramente affezionata.

Insomma si è forse capito che la mia umanità si costruisce con gli incontri e con la polvere di grafite magica che ne ricavo scrivo pagine di vita che non producono reddito ma emozioni. Sono quelle a scrivere le storie al posto mio.

E così vado verso la book fair 2018…

Matilda Editrice – tavolino e sedia illustrati

City by Federico Penco finalista silent book contest 2017

Astrid Lindgren Memorial Award

Nicky Singer ospite ICWA alla book fair 2017

Libri animati – mostra

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Non crediamo più nelle storie?

foto-specchioQuest’anno il post natalizio è un po’ così. In realtà si tratta di una mia riflessione.

Le storie ci hanno tenuto compagnia dai tempi più antichi, hanno affascinato generazioni di bambini, ragazzi e adulti. Le ultime storie sono state quelle dei nonni o quelle raccontate mentre la sera nelle stalle ci si scaldava facendo filò. La narrazione orale ha trovato l’immortalità nella scrittura, i libri fissano le storie come il cinematografo ha fermato sulla pellicola il volto senza età degli attori. Oggi le storie non le racconta quasi più nessuno e pochi leggono i libri, ma riconoscendone il valore, le storie sono finite a scuola tra i banchi, prima o dopo la ricreazione.

Che bello!

Insomma.

Ci sono ancora i narratori? Sì, i narratori per bambini ci sono e la bellezza delle loro storie arriva in albi meravigliosi e in splendidi libri illustrati. Eppure non sempre raggiungono i bambini. Tranne il nobile lavoro di alcuni lettori volontari, a scuola quando arriva un autore si fa un “laboratorio”.

Che vuol dire? Che non si ha fiducia nella “storia”. Se si teme che questa non possa catturare i bambini la si imbriglia in altre attività: disegno, fumetto, teatrino, canzone.

Vuol dire che non è una buona storia allora, oppure che non si crede in essa. Oppure che non si credono i bambini capaci di ascoltare. Ma l’ascolto come la scrittura sono abilità e vanno esercitate. Se non crediamo nelle nostre storie e non crediamo nei bambini,  dovremmo cambiare mestiere.

Quando i bambini crescono, a scuola i libri diventano sempre più spesso un ausilio per lo studio, per l’educazione civica e quella sociale. Raramente per l’educazione ai sentimenti. Sono, a volte, il prolungamento di personalità autoriali affascinanti che diventano fulcro al posto delle storie. Giornalisti, storici, naturalisti non devono mancare tra i ragazzi e gli adolescenti, ma loro raccontano la Società, la Storia, la Natura, non “storie” (salvo eccezioni).

Non dobbiamo dimenticare che un buon libro ha il potere di istruirci empaticamente alla vita, perché allora proprio ai ragazzi e agli adolescenti arrivano più manuali che storie? Perché ostinarsi a spiegare concetti invece di lasciar vivere e sperimentare nelle storie?

Un buon libro che conquisti, emozioni e lasci ragazzi e adolescenti realmente affamati di altri libri, non arriva così facilmente tra le loro mani, nonostante gli eventi di promozione della lettura, i buoni librai e bibliotecari. Questo non perché manchino buoni narratori, ma perché non si crede più nelle storie, nel loro potere assoluto.

Un autore di libri o un illustratore tra i ragazzi e gli adolescenti dovrebbe essere sempre al servizio della sua storia, non viceversa, e sarebbe bello portare nelle scuole solo la passione per le buone storie, null’altro.

Se spacciamo buoni libri, questi creeranno dipendenza.

Capisco che vendere è il primo obbiettivo di una casa editrice e di un autore, ma come dimostrato fuori dal nostro Paese, se abbiamo fiducia nei nostri ragazzi e scriviamo buone storie facilmente arriverà anche la tranquillità economica.

Si cercano, invece, secondo me, delle scappatoie; è faticoso scalare una montagna, meglio girarci attorno, ma così facendo non sapremo mai cosa si prova quando si è in cima. L’aria fredda e tersa, il cielo di un colore indescrivibile, il grido dei rapaci, i mughi piegati, lo sguardo incerto di un camoscio, il nostro respiro che entra in sintonia con il silenzio.

Torniamo ad avere fiducia nelle storie e nei ragazzi, daremo vigore ai libri e creeremo lettori forti che sapranno costruire il loro domani con coraggio. Le storie non sono salvifiche più di qualsiasi altra forma d’arte, ma aiutano tutti noi a scegliere chi vogliamo essere in una società che ha conquistato la globalizzazione e la capacità di ignorare la sofferenza degli uomini, degli animali e della propria terra.

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AUGURI!

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

I dolori di una non più giovane narratrice di storie

E’ accaduto, accade. Succede che un’idea ti ronzi per la testa e non ti dia tregua. Una nuova storia sta nascendo e cominci  a scrivere.

L’entusiasmo che mi pervade quando ho tra le mani quella materia grezza che è la mia immaginazione, è indescrivibile. Scrivere fa bene, mette di ottimo umore. Ogni storia nuova sembra debba aprire una nuova era, diventare quel libro perfetto che inseguo e non raggiungerò mai. Non lo scriverò mai, ovviamente, perché non esiste un delitto o un libro perfetto. La mia vita non è perfetta, chi ha una vita perfetta? La mia vita ha sempre trattato la scrittura come fosse un incantesimo di Harry Potter o come se i libri esistessero già nella borsa di Mary Poppins. I libri si scrivono, ci vuole tempo, pazienza, energia. Per fare un lavoro ben fatto, una legnaia ben impilata di parole come si vede fuori della baite trentine, ci vogliono ore vuote di pensieri e ore dense di frasi che sfuggono o arrivano in massa. Imprigionare la creatività nella disciplina è uno sforzo che stroncherebbe anche una secchiona come Hermione.

Isabel Allende, ha dichiarato che c’è un casotto nel giardino della sua villa dove si ritira a scrivere, un’altra famosa scrittrice va in Umbria nel silenzio della sua cascina ristrutturata a meditare sulle pagine del best seller di turno (dal quale il marito farà di sicuro un film). E io? Non sono un’autrice da best seller, sono una venditrice di storie che passa di classe in classe, di scuola in scuola; faccio parte di quegli scrittori di serie D che in Italia nessuno si fila e prima di me, nella categoria “narrativa ragazzi”, ci sono quelli molto bravi, quindi?

Quindi io sono magica, io le storie le tiro fuori già scritte dalla famosa borsa, gentilmente offerta in prestito dalla cara signora Poppins. Rubare ore di silenzio è realmente il mio mestiere; incontrare di nascosto i personaggi è il mio mestiere; leggere e rileggere bruciando parte della cena, lo faccio per lavoro; amare a tal punto quella storia da ripeterla tra me e me (chi mi vede pensa che io sia al telefono) mentre in auto vado di qua e di là a sbrigar commissioni, a dar passaggi, a pagar multe. Se non servissero mani e tastiera avrei fatto fuori col pensiero fiumi d’inchiostro. I miei romanzi li sudo dalla prima all’ultima riga tra le code al supermercato, gli incontri con i ragazzi delle scuole, le camminate sull’argine del fiume per far correre il cane, le fiere per sentire gli autori chiacchierare, le litigate inter-familiari, i dialoghi surreali con mia madre e le occasionali fughe dal veterinario con lo sfigato quadrupede di turno.

Non sono una professionista, non mi sento una professionista, sono più un’artista della narrazione: nel casotto? in Umbria? no! In un angolo della casa, su una scrivania piena di peli di gatto, libri, tessere sconto, seconde chiavi della macchina, un termometro, due agende, una tavoletta di cioccolata, la tazza del raccogliticcio, concentrata a ignorare chi mi chiama, chi blatera di imminenti catastrofi, chi avverte uno strano odore di bruciato in cucina. Le mie sono le storie di una funambola che nella vita continua a camminare su di un filo teso tra realtà e finzione. Non si sa fino quanto reggerà.

Tutto questo può portare a un incommensurabile successo o alla catastrofe più nera, oppure può relegarti nella mediocrità. Altre opzioni non ce ne sono. Già, perché ormai tutti ti conoscono e l’ennesimo inedito sparirà inghiottito dalle lunghe file d’attesa nelle case editrici, non saprai mai se sei brava e sfortunata oppure se in te stessa, alla fine, ci credi solo tu.

E’ un guaio, non sei una professoressa, non sei impegnata nel sociale, vendi spiccioli d’avventura ai tuoi lettori ideali, quei ragazzi dei quali vorresti avere ancora l’età. Sogni come dovrebbero fare loro e non vuoi che loro abbandonino i loro sogni, è per questo che scrivi. Una missione imbottita di cuscini tra i quali far cadere i sognatori di vite diverse, la missione un po’ folle della scrittrice senza casa, che abita il mondo e non va da nessuna parte. La sua meta è il viaggio nelle storie che costruiscono gradini su cui accompagnare i lettori. Tu, li porti per mano e poi li lasci andare quando tra le storie sanno muoversi da soli.

Fai un lavoro fine a se stesso, ma non molli, sei tenace. Non devi arrivare da nessuna parte, non hai fretta.

Ma ti lasceranno sopravvivere?

Pubblicato in: Colpi di coda

Ordine, ordine, ordine…

Una domanda che mi fanno spesso: “Ha mai avuto il blocco dello scrittore?”

Ho una nuova storia in testa, pulsa, sbatte, si arricchisce. Non riesco a metterla quieta. Una vecchia storia mi attende: so su cosa devo lavorare, mi è cara, mi piace tanto. Un breve testo che mi ha bocciato un’amica lettrice va ritoccato forse, mi serve, ci devo pensare. Ho bisogno di fare ordine, ordine, ordine e intanto mi metto a leggere perché non so da dove cominciare.

Una domanda che mi hanno fatto nell’incontro di San Giovanni Lupatoto a Verona: “Lei vive per scrivere o scrive per vivere?”

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura!

Con Luna Park di Livia Rocchi (edito da Camelozampa) mi sono emozionata e commossa. Una storia che arriva semplicemente dritta al cuore. Da leggere!

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A mio parere, questo romanzo ha il grande pregio di parlare a tutti, davvero a tutti. Non dobbiamo avere paura di proporre ai ragazzi libri che affrontano argomenti forti, ma esiste anche un modo di narrare storie importanti con un linguaggio che rasenta quello poetico e che nessuno avrà mai timore o scrupolo di proporre ai ragazzini.

Il “racconto” Luna Park esce nel 2013 nella raccolta “Chiamarlo amore non si può”, che racconta ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne, antologia della quale sono coautrice (vedi i dettagli tra i miei libri). Da quel racconto nasce il romanzo Luna Park una storia completa ed efficace.

Evviva i libri che hanno voce propria, basta carta stampata impersonale, pubblichiamo di meno ma pubblichiamo libri sinceri, onesti, veri!

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io e te sull’isola che non c’è. Come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

Cattura.JPG cvCerte in un modo, alcune in un altro! Questo romanzo ha per me qualcosa di speciale perché racconta tante storie, ci sono tanti personaggi e ognuno con la propria vita, una sensibilità e un destino. Il romanzo è nato parlando di cani… e ti pareva! esclamerete subito, già ogni autore ha i suoi nervi sensibili, quella sua anima inquieta e sorniona che torna sempre nella storie. Quando presi con me Bryce conobbi un tipo di cinofila bella e un rapporto con gli animali, con i cani in particolare, straordinario. Si può, credetemi, addestrare un cane alle discipline più nobili in modo mostruoso, ma si può, per fortuna, anche lavorare sull’intesa e l’amore reciproco. Questa modalità a mio parere addestra cani sereni abili al soccorso, al sostegno delle disabilità umane e anche alla semplice compagnia. Con questi giovani cinofili allegri e espertissimi ho conosciuto cani speciali e, se me lo consentite, di grande personalità ed è nata la voglia di raccontarli. In “Io e te sull’isola che non c’è” si parla del rapporto con i cani come mezzo per allenare gli umani al linguaggio dell’empatia e della sensibilità. Il rapporto con gli animali ci insegna a non comunicare solo con la parola ma anche con il linguaggio del corpo e a essere più recettivi verso gli altri.

“Gli animali ci rendono tutti più umani”

Ma non si parla solo di cani, anzi, in questo romanzo torna una fiaba di Andersen “I cigni selvatici” che mi impressionò da bambina. Si parla di fiaba e di realtà e di quanto di magico (tra virgolette) ci sia nella vita. Credere a tutti i costi in qualcosa che solo noi abbiamo intravisto, avere fiducia nei fili da seguire che la vita ci mette tra le mani, raccontano che vivere non è solo quello che sperimentiamo con i cinque sensi. Empatie, sogni, emozioni non si toccano, annusano, vedono, sentono o assaporano ma ne percepiamo gli effetti se sappiamo metterci in posizione di ascolto.

Scrivere è un mestiere strano e la fantasia un’entità astratta. Bello aver fantasia, ma la fantasia non si tocca, non si trova ovunque e a cosa serve? Si sbarca il lunario con la fantasia? Forse no, quando si sale quella scala a pioli che porta su una nuvoletta fantastica tutto può accadere e solo lì, a mio parere, nasce davvero una buon romanzo.

Mi dicono spesso che nelle mie storie ci sono troppi personaggi e vie da seguire, eppure io credo che siamo tutti, ragazzi (soprattutto loro sono abilissimi) e non, in grado di seguire l’affresco variopinto e ricco di un romanzo, in grado di innamorarci di un protagonista oppure di personaggio antipatico, di scegliere i tramonti da dipingere con la mente e quali sguardi seguire. Vi lascio la mia storia… fatemi sapere!

…. Ah, dimenticavo: un grazie speciale a mio figlio grande (perché le mie storie sono sempre un affare di famiglia, leggere per credere Cortometraggio di famiglia) che ha ideato un bel titolo per questo romanzo!

Galleria fotografica dei protagonisti a quattro-zampe del romanzo! 

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Eko con Tabatha e Sancho – “…aveva pubblicato la foto di Eko con un mestolo da cucina in bocca. Aveva un’aria seria, solo un po’ scocciata, mentre la didascalia diceva: Stasera cucino io! “

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Eko (lo zio di Bry)- “…con una fetta biscottata in bilico sulla testa. Il cane aveva uno sguardo buffo perché lei lo fotografava sempre nelle pose più assurde, invece lui voleva solo papparsi la fetta fragrante!”

 

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Nana – “…l’aveva fotografata accucciata su un grosso vocabolario con gli occhiali da lettura sul naso e forse era davvero l’unico modo per descrivere Nana! “

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Emily – “Emily era sempre disponibile al gioco, ma non era invadente! “

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Emily – ” I suoi occhi cercavano Lucia e la invitavano a lasciare da parte i problemi quotidiani per perdersi con lei in un mondo di palline, salti, corse e coccole. “

 

 

 

 

 

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Cica (la nonna di Bry) – ” …due splendidi cani occupavano rispettivamente due poltrone e non si mossero. Erano le due femmine dell’allevamento: Cica e Queen. “

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Queenbee – “Queen e Cica, chiuse nella camera di Meggy, se ne stavano sulla terrazza attigua, fisse e immobili come statue, a osservare dall’alto cosa stesse accadendo nel loro regno”

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Jazz (Nel romanzo interpreta la parte dell’amico del cuore di Nico ed essendo una vera primadonna lo fa in modo esemplare!) “Jazz lo fissò scavando, con i suoi piccoli occhi scuri di cane fortunato, nel dolore del ragazzo…”

 

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Orma Rossa – … cui Lucia ha scippato il nome per il suo nickname!

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Bryce – “Si chiama Bry, sarà il tuo cane e insieme vi divertirete un mondo”

*I Border collie fotografati appartengono tutti alla famiglia (ops all’allevamento) Gingerbell.

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Sgranocchiando avventure…

 Pacunaimba di Michele D’Ignazio è un’avventura scritta con delicatezza quasi surreale che mi fa pensare per ritmo, leggerezza e colori al bellissimo corto d’animazione I fantastici libri volanti di Morris Lessmore. Un libro coraggioso, oggi, nel panorama della narrativa per ragazzi.

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Ho conosciuto Michele a Scampia Storytelling, aveva con sé una valigia piena di storie, la storia di una matita nel taschino e dei modi gentili.

Sono felice di poter leggere autori come lui, sono proprio felice e sono commossa… grazie per la bellissima dedica!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Sgranocchiando avventure…

Come con Cuori di carta, così anche con L’equazione impossibile del destino Elisa Puricelli Guerra mi ha conquistato per la sua scrittura fluida e convincente e per la sua capacità di creare una trama affascinante e intelligente.

L’autrice racconta storie avventurose, coraggiose e attualissime senza mai dimenticare che un romanzo deve catturare l’attenzione del lettore giovane o meno giovane. Scrivere per emozionare e coinvolgere. Stereotipi, argomenti gettonati, messaggio moraleggiante o politico sono un inutile di più… almeno secondo Brik  😉  equazione

Aggiungo un libro della stessa autrice che ho appena scoperto…. Consigliatissimo!

(Shakespeare, Romeo, amore per il teatro e molto di più)

Il caso Romeo

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Pubblicato in: Fiutando Libri!, Human English Version!

Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna – Children’s Book Fair

pegDopo tre giorni alla Children’s Book Fair di Bologna mi rimane l’emozione di una fiera del cuore.

After three days at the Children’s Book Fair in Bologna the feeling it wasn’t simply a book fair but a real “heart fair” is still in me.

Sono appena rientrata dalla passeggiata mattutina con Bryce e lui, che è rimasto a casa per tre giorni a annoiarsi, è finalmente rilassato e felice di tornare alle nostre abitudini quotidiane. Bryce è sotto la mia scrivania, la casa è silenziosa, il tempo è uggioso.

I’m just come back from the morning walk with Bryce and he, who stayed three days at home annoying himself, is finally relaxed and happy to have our daily routine back. Bryce lies under my desk, the house is quite and the weather is gloomy.

Scrivere per ragazzi è per me un mestiere speciale, nei miei libri ci sono io e sempre io ci sono nelle relazioni umane che intreccio. Quella rete strana, fragile o d’acciaio che sono le amicizie. L’amicizia è uno dei temi che ricorre sempre nelle mie storie, l’amicizia è un valore che coltivo da sempre.

To write children stories is a very special job: I’m always in my books and I’m in all the human relationships I weave too, that peculiar, fragile or strong net forming friendship. And friendship is one of the main subjects of all my stories, it’s one of the values I’m always cultivating.

In questi tre giorni di fiera ho incontrato tante persone, ho capito che alcune amicizie sono salde e forti. Alle volte l’ho capito in un abbraccio o in un continuare a cercarsi: Sei al padiglione 29? Sto scappando a una presentazione! Andiamo ad ascoltare quell’autore, a sfogliare quel libro, a mangiare un panino…? Altre volte l’ho capito in quindici minuti di conversazione fitta fitta, condensata, piena di parole importanti.

During these three days I met a lot of people, I realized some friendships are strong and steady; sometimes I could understand it through a hug or just because we were keeping on searching each other: Are you at stand 29? I’m going to a reading… let’s go listening to that author, to read that book or to eat a sandwich??? Other times I realized it in a 15 minutes intense conversation full of important words.

Poi in fiera ho incontrato persone che volevo conoscere e in pochi minuti ho capito che l’empatia funziona anche tramite la rete internet e abbracciarsi è stata solo una conferma. So che quelle persone rimarranno nella mia vita di scrittrice, lettrice, promotrice dell’amicizia leale e senza barriere per la quale abbiamo con spontaneità gettato le basi.

At the fair I met people I would like to know and in a few seconds I felt that empathy works also through internet and to embrace each other is a further proof of it. I know those people will stay forever in my life as a writer, reader and promoter of leal and no barrier friendship, for which we spontaneously lay the foundations.

Il mio ultimo libro era sul banco dell’editore. Gli occhi magnetici del gatto mi hanno incoraggiato, rassicurato, guidato e una filiera di bellezza e di positività nel mondo dei libri per ragazzi si è rivelata ai miei occhi. Autori, editori, lettori, bibliotecari e librai che credono nel potere dei libri onesti, quelli che regalano emozioni e aiutano tutti noi a crescere. Continuano a tornarmi in mente le parole di Roberto Piumini che, sintetizzate, esortano a non banalizzare. Non banalizziamo il potere della letteratura per ragazzi, alimentiamolo con passione sincera e semineremo bellezza.

My last novel was on the editor stand. The magnetic cat’s eyes encouraged, reassured, guided me and a beauty and positiveness die in the children books’ world revealed to my eyes. Authors, editors, readers, librarians and booksellers believing in honest books’ power, those giving emotions and helping us to grow. Since then Roberto Piumini’s words are still in my mind. Shortly they urged us not to trivialize. Don’t trivialize children literature’s power but instead let’s feed it with honest passion and we will spread beauty.

Nel mondo di oggi si può, forse, chissà… ci crediamo?

In today’s world it could be possible… we can, perhaps, maybe… do we believe in it?

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Sono tornata a casa da Bologna con tanti libri, alcuni con dediche meravigliose e dolcissime e con il libro del piccolo Sheepdog che tanto assomiglia a Brik. L’editore scozzese Floris Books non poteva vendermi quel libro che i miei occhi avevano individuato il primo giorno con un’attrazione fatale. Chi ha disegnato quel cane lo conosce bene e un legame invisibile che sfida la distanza e la velocità della luce si è creato immediatamente. L’editore ne ha messo da parte una copia e l’ultimo giorno me l’ha regalata. Io ho regalato in cambio una copia di Echino dove c’è l’articolo del Brik. Non è stato un contatto di lavoro, è stata una relazione umana tra persone, passata attraverso il mio inglese approssimativo e le pagine dei libri. Ho ricevuto in dono un libro che adoro e la gentilezza di un’editor scozzese.

I came home from Bologna with lots of books, some even with beautiful and very sweet dedications, and with a special book about a little Sheepdog who is so very like Brik. The Scottish editor Floris Books couldn’t sell to me that book, which fatally attracted my eyes from the very first day… who drow this dog, knows him very we’ll and an invisible relationship, challenging distance and the speed of light, created immediately. The editor kept one copy for me and last day she gave it to me. In exchange for it I gave her a copy of Echino, where there is an article of Brik.
It wasn’t a work contact but a real human relationship fed by my inaccurate English and some book’s pages. I have been given the book I adore and the kindness of a Scottish editor. (… and compliments to Sandra Klaassen!)

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Sandra Klassen di Floris Books: www.florisbooks.co.uk/blog/2015/05/13/florisdesign-illustrator-interview-sandra-klaassen-2/

12909432_1178408702184207_2991474774919569307_oEchino: www.echino.it 

brik manoscritto

Come nascono le storie… ilgiovanebrik.com/2016/03/07/come-nascono-le-storie-il-segreto-del-manoscritto

Notes Edizioni: www.notesedizioni.it/index.php?option=com_libreria&c=pubblicazioni&task=display&idpubblicazione=58&Itemid=61

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Il segreto del manoscritto, come nascono le mie storie

          IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO Notes Edizioni 2016/2023

NUOVA COPERTINA DI CINZIA GHIGLIANO

A fine marzo 2016 in libreria il libro che ha vinto il Premio Giovanna Righini Ricci con la splendida copertina di Cinzia Ghigliano.

Sono felice che la storia scelta dalla giuria ragazzi del Premio sia stata approvata da Carla C. Martino della Notes Edizioni. E’ bello che i giovani lettori vedano riconosciuta la loro valutazione di un manoscritto da parte di una casa editrice di qualità. Sono felice di dimostrare ai giovani giurati che non hanno letto e discusso invano, perchè a questo serve un Premio Letterario: a farci intendere che leggere, produrre libri e proporli in libreria non è inutile. Se quei ragazzi hanno saputo scegliere una storia da pubblicare a dodici anni, possono continuare a leggere e valutare libri per tutta la vita!

Leggere ci rende liberi, liberi di immaginare una storia oppure di chiudere un libro. Liberi di decidere. Con un libro tra le mani e la testa tra le pagine facciamo piccoli esercizi di autonomia e impariamo a vivere. Tutti!

Come nascono le storie?

Sono cresciuta con racconti di ogni tipo, ma adoravo sentir leggere mia madre che traduceva a braccio dal francese le avventure di Arsène Lupin di Maurice Leblanc.

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aiguille creuse

Figurarsi l’emozione quando, qualche anno fa, visitando  la cittadina di Etretat nell’alta Normandia vidi la casa appartenuta all’autore dei romanzi del famoso ladro gentiluomo. Proprio lì nacque l’idea di questa storia. Quel giorno piovigginava e l’aria era ferma e grigia. Non c’era nessuno per le strade di quella cittadina e anche la “guglia cava”, che ispirò la prima avventura di Arsène Lupin nel romanzo “L’Aigulle creuse” uscito prima a puntate e poi in libreria nel 1909,  aveva un aspetto misterioso.

Immaginai una casa antica divenuta museo e una ragazzina appassionata di misteri. Un Arsenio Lupin tutto italiano, un piccolo paese  su un’isola che vive solo di turismo e rocce a picco su un mare meraviglioso.

Voilà: Il segreto del manoscritto!

Indi tra i non ti scordar di me

D’accordo nella mia storia non poteva mancare un gatto un po’ magico, possibilmente bianco come il mio Indi.

Ancora una cosa volevo raccontare: “La vita era dura, alle volte era difficile andare avanti, ma c’era unione tra le famiglie. Gli uomini si aiutavano nella pesca, i bambini crescevano insieme e se si era in difficoltà, si ricorreva all’esperienza degli anziani. E le donne… le donne erano lavoratrici, educatrici e motore della vita dell’intero borgo.” Volevo raccontare del passato e di un gioiello antico che passa di mano in mano tra le donne di diverse generazioni per arrivare a una ragazzina che raccoglie anche la meravigliosa eredità di scrittrice del bisnonno.

IL SEGRETO DEL MANOSCRITTO di Giuliana Facchini – marzo 2016 –  Notes Edizioni – Collana: Schegge – In copertina disegno di Cinzia Ghigliano – Pagine: 144 – Età di lettura: 12 anni

Premio Inediti 2015 Giovanna Righini Ricci

COVER BUONA

In un piccolo paese sul mare. Su un’isola. Una vecchia casa trasformata in museo per turisti, ricca di mobili d’epoca, quadri, collezioni di libri antichi di un famoso scrittore di inizio Novecento, Ludovico Bardo. Una ragazza di dodici anni, Susi, che abita lì perché quella è la casa del bisnonno scrittore, unica eredità rimasta di fortune passate. L’amico di sempre di Susi, Antonio. La bellissima cugina tredicenne Cecilia, che arriva dalla città convinta che su quella piccola isola si annoierà a morte. Un misterioso gatto bianco che di notte guida Susi nei segreti delle stanze. Un manoscritto nascosto in cui si narra di gioielli rubati, di una misteriosa ballerina russa, di una villa a picco sul mare, di una grotta dissimulata sulla scogliera. Un antico medaglione.

Fatti risalenti alla seconda guerra mondiale dei quali le vecchie donne del paese bisbigliano ancora i segreti…

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Merry Christmas & Happy New Year!

WP_20151220_022Ecco i nostri auguri!

Auguro a tutti un sorriso e spero di regalarvelo con una poesia in dialetto romanesco di Trilussa poiché l’umanità pare non cambiare mai! Un pensiero caro soprattutto agli amici che in questo momento necessitano di cure mediche e a quelli che soffrono anche solo un pochino.
Un sorriso a tutti poiché, come il riso, fa “buon sangue”!

Buon Natale 2015 e 

Felice Anno Nuovo 2016!

Ma… a Natale regaliamo un libro!

Il vetrina con il mitico sorriso di Brik il mio “Come conchiglie sulla spiaggia” con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri per le Edizioni Paoline.

fiutconcUna storia delicata e avventurosa che racconta però di alcuni bambini costretti a lavorare per assemblare giocattoli di contrabbando. Poniamo l’attenzione su una realtà terribile come il lavoro minorile, attraverso gli occhi di Toni, una bambina pestifera!

Ecco il video di presentazione del libro!

Per gli altri miei libri vi rimando a I libri della Umi

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando Libri!

Vivere leggendo e scrivendo è un percorso pieno di idee, pensieri e amicizie. Il confronto con gli altri per me è fondamentale. Quando mi blocco in una storia, cerco qualcuno con cui parlare. Devo raccontargli i miei dubbi che, una volta espressi ad alta voce, si sciolgono. Le relazioni umane (quelle che poi spesso diventano amicizie) sono vitali. Ho portato un certo libro all’incontro LIA (Leggere Insieme Ancora) di Verona, il tema di confronto letterario era l’Ironia. Ogni volta che rileggo quel libro penso: “Beh io non sarò mai in grado di scrivere così, meglio smettere.” Eppure subito dopo mi viene voglia di scrivere, una voglia irrefrenabile di scrivere meglio di quanto io abbia mai saputo fare. Ecco l’essenza stravagante per me di questo strano mestiere di scrittore.
“Per sempre insieme. Amen” è un libro fortemente anticonformista e alcune perplessità delle partecipanti alla riunione LIA (persone che apprezzo molto) mi hanno fatto mettere i piedi per terra. La lettura rimane un piacere intimo e la relazione tra il lettore e il libro è quanto di più personale esita al mondo. Io, infatti, sono poco oggettiva con i miei grandi amori letterari. Non che oggi apprezzi meno quel libro, ma l’ho capito di più. Il mio è diventato un amore consapevole. “Come fai a sapere se sei religioso? Magari lo sono, ma ancora non lo so.” dice Polleke la protagonista, una bambina undicenne, olandese, che come animale domestico porta al guinzaglio una vitellina. La realtà della storia di Polleke è durissima ma la sua voce di narratrice è pulita, diretta, positiva. L’ironia nasce da questo contrasto: gli occhi dei bambini sanno vedere con obbiettiva “bellezza” anche il brutto. Mi viene da pensare che anche Pippi Calzelunghe era una Polleke dell’epoca e mi viene da pensare che un giorno anche Polleke sarà un personaggio caratteristico della letteratura per ragazzi. Ieri sera abbiamo commentato Canto di Natale e lo spettro del buon vecchio Charles Dickens era con noi. L’amicizia e le relazioni umane sono un dono grandioso, queste festeggiamo a Natale! Quindi, ancora… se volete un consiglio letterario per ragazzi anticonformisti….

Cliccate e curiosate: Per sempre insieme. Amen

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

I libri camminano da soli

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I bei libri hanno gambe proprie e non hanno data di scadenza.

Ho incontrato un libraio e abbiamo cominciato a parlare di un mio libro e di come lui lo avesse portato nelle scuole e avesse parlato ai ragazzi attraverso le pagine. Io ascolto affascinata e commossa ogni volta che qualcuno entra in un mio romanzo e me ne parla. Ho la certezza solo in quei momenti di aver lanciato un’emozione come fosse un sasso in uno stagno, di aver prodotto qualcosa di vitale che ha generato cerchi concentrici attorno a una storia.

Di questi tempi, spesso i libri sono accompagnati dall’autore e portati per mano. Alle volte non si capisce bene se sia per la vanità di esibirsi dello scrittore, per una forma d’intrattenimento sociale o per una vera necessità di marketing.

Quando si tratta di promozione alla lettura tra i ragazzi, gli autori possono avere un gran peso poiché è opinione comune che i giovani non leggano. Quando mi chiamano nelle scuole, VOLO a parlare di libri e della passione per la lettura, ma la soddisfazione più grande arriva quando capisco che una mia storia si è fatta largo da sola tra le emozioni del lettore. Perché un libro, se è un buon libro, vive da solo e a lungo.

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P.S. … vabbè può anche capitare che il Mostro Fuori Catalogo ci metta lo zampino e potremmo discute su quando dura “a lungo”, ma queste sono altre storie!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando Libri!

Non vorrei dire nulla. Di solito non dico nulla. Vorrei postare la foto della copertina di un libro e lanciare un messaggio come piace a me: un messaggio aperto.

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E invece spiego, perché ogni tanto bisogna.
Il libro, ieri, mi è stato donato (e già questo, per me, ha un significato); il libro è stato scritto da una (da-me-apprezzatissima) scrittrice francese che ha narrato storie diverse senza discriminazione alcuna; il libro è stato pubblicato da una piccola e coraggiosa (perché piccola) casa editrice con il benestare dell’autrice (indicazione importante).
Ieri, su un treno regionale stracarico di passeggeri, seduta sul seggiolino accanto alle porte, pigiata tra borse, odori, chiacchiere e avvolta dallo sferragliare dei vagoni e dalla luce giallognola, ho aperto questo libro e ho cominciato a leggerlo. Sono entrata in una bolla di serenità cullata dalle parole di Marie-Aude Murail che come in un romanzo raccontava con semplicità uno splendido personaggio e una storia. La pochade degli schieramenti non mi appartiene. La bellezza si può sporcare e la bruttezza esaltare. Tutto può accadere. Leggete quello che volete dietro questa foto, io ci leggo la convinzione che il bello e il bene sono dentro molte realtà diverse, ma esistono.

Leggi anche Miss Charity  oppure Gesù, come un romanzo.

…dalla voce di Livia Rocchi  Gesù, come un romanzo

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Fiutando libri!

“Sophie sui tetti di Parigi” di Katherine Rundell è un libro coinvolgente. Sarà perché Sophie e Charles sono personaggi bellissimi, sarà perché anche gli altri personaggi sono deliziosi. Sarà perché, per me, non è possibile non amare Parigi.

Un po’ di Dickens, una specie di corte dei miracoli sopraelevata, avventura… è un libro che, una volta iniziato, non riesci a smettere di leggere e rimani intrappolato, con il cuore in gola, sui tetti di Parigi.sophie

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Volontario a un festival letterario…

Ho una mia opinione ben precisa del perché gli adolescenti non leggano e penso che Mare di Libri sia il modo giusto di portare i libri tra i ragazzi, soprattutto perché questo festival crede negli adolescenti che leggono.

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Mi porto a casa da Rimini un volontario di Mare di Libri stanchissimo (perché i volontari lavorano sodo), ma ciò che richiede molta fatica in termini fisici e mentali poi ci lascia le più grandi soddisfazioni. Mi porto a casa un volontario con una lista di libri da leggere in testa, con un’esperienza ricca d’incontri con autori e storie nel cuore e con gli occhi accesi di quella luce che solo l’affetto degli amici ti lascia dentro.

Io non ho partecipato a molti eventi perché Brik dopo il morso ricevuto non è più tranquillo tra la gente, ma il figlio ventenne è salito su un regionale e mi è venuto in aiuto e io, ecco, beh, insomma, mi sono commossa! (Ha, comunque, precisato che in quanto a buone azioni è a posto per i prossimi dieci anni.) Anche lui è rimasto affascinato dall’aria di Mare di Libri e anche lui è interessato a un libro (…bisognerà approntare un piano strategico di acquisti e prestiti bibliotecari!)

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Io, seduta sui gradini del portico  con Brik, ho conversato con persone deliziose e so con certezza che l’amica scrittrice Annalisa è una donna fortunata. Poi ho incontrato una bibliotecaria con la quale avevo perso i contatti, ma che non avevo dimenticato, ho chiacchierato con amici di penna e di coda, mangiato piadine (il mio piatto preferito dopo la pizza- sì, sono una donna dai gusti semplici) e rubato con gli occhi tutto il mare che potevo. Insomma Brik ha abbaiato troppo ed è stato un po’ molesto, però la vita va presa come viene e alla fine ci regala sempre qualcosa di buono.

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando Libri!

Vivere fiutando libri in libreria o in biblioteca è bellissimo e ricorda l’ottavo diritto del lettore di Daniel Pennac: il gustosissimo diritto di spizzicare!

Trasmettere le emozioni che mi ha dato un libro e leggere ad alta voce sono per me un piacere, un modo di condividere qualcosa di bello. Non ho mai obbligato i figli a leggere, ho condiviso con loro molti libri e, sì, d’estate vigeva una regola: si poteva giocare alla playstation quanto si voleva, a patto che la stessa quantità di tempo fosse dedicata alla lettura. Vi assicuro che ne veniva fuori un equilibrio perfetto! Il tranello c’era, ed era quello di mettere nelle mani dei ragazzi libri tra le cui pagine il tempo volava. Ecco un  gioco che mi ha sempre appassionato: dare il libro giusto alla persona giusta.

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Nella foto ci sono i miei libri, due copie di ognuno, e in ogni mia storia c’è un po’ di me e della mia vita. Quindi, forse, non sono una scrittrice professionista perché scrivo solo quello di cui sento il bisogno di parlare, le mie urgenze e le mie passioni, per condividerle, ovvio. Due copie per i miei figli: una sottolineata, usata, piena di segnalibri, quella che porto negli incontri nelle scuole e nelle librerie; l’altra intonsa, uscita dalla scatola per prima insieme alla ormai usurata gemella. I miei figli potranno, un giorno, ricordare tra le pagine di una copia o cominciare un nuovo viaggio con l’altra, decideranno loro. Non so quanti lettori ho, ma io comincio sempre a contare da due.

Sto leggendo un libro bellissimo: “Per una letteratura senza aggettivi”… e insomma: perché leggere? Perché leggere ci cambia. Si può “conoscere, apprendere, sapere” anche attraverso un buon documentario, ma solo leggendo le emozioni lasciano dentro di noi una minuscola traccia per sempre e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto.

Buona lettura a tutti.

I miei libri non sono molti e non hanno data di scadenza, eccoli in sintesi:

Perduti fra le montagne (Raffaello 2008)

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Willi ed Edoardo, un ragazzo con un nome da cane e un cane con un nome da ragazzo.

La casa sul fiume (Loescher 2010)

cover

Una colonia di gatti, un soldato austriaco moribondo, un mulino sulle le rive dell’Adige dove la Storia è stata scritta.

I malmessi (Loescher 2012)

I malmessi

Sei ragazzi diversi tra loro che si tengono per mano, un’oca e un maiale.

Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012)

cover InvisibileUn storia ricca che parla di uomini e ragazzi, di montagna e di un cane.

Chiamarlo amore non si può 

con il racconto “Perché odi Davide” (Mammeonline 2013)

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 Vita vissuta.

Il mio domani arriva di corsa (EL 2012)

Cover Il mio domani arriva di corsa

 Frammenti della vita di una ragazza che ha saputo salvarsi da se stessa.

Come conchiglie sulla spiaggia (Paoline 2015)

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Storia profumata di poesie e disegni, crocevia d’incontro di mondi diversi.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Come conchiglie sulla spiaggia. Come nascono le storie

Come nascono le storie?

Quella poesia del Carducci mi ronzava in testa da sempre e quando capitava che con i miei bambini mi ritrovavo nella nebbia fitta del nord, cominciavo a declamarla. Loro frequentavano una scuola materna un po’ fuori del paese e per raggiungerla facevamo in macchina una stradina tra i campi avvolti spesso nella bruma del primo mattino. Niente mare, ma “la nebbia agli irti colli” nasceva in coro dalle nostre voci.

conchiglie bozza 2 - CopiaDa lì, il salto di quei versi in una storia era inevitabile e quando tantissimo tempo fa, in un paesetto toscano, mi ritrovai in un bar del porto a guardare il mare in burrasca e la pioggia e il grigio dell’aria, un’immagine s’aggiunse a quella poesia.

Come nascono le storie:

10574530_938416286169367_2866358887101394810_nAntonella era una ragazzina iperattiva: scarpe da ginnastica e capellino in testa e il mondo era ai suoi piedi! La vedevo scorrazzare in paese e sulla spiaggia, sempre in cerca di qualcosa e quando si arrampicò sul muro di quel vecchio capannone abbandonato, col rischio di cadere e farsi male, cercavo proprio d’immaginare cosa avrebbe potuto vedere. Attendevo quasi con ansia di capire cosa c’era all’interno e quando i suoi occhi si riempirono di dubbi davanti a quel posto stipato di bambini operosi e tristi, la storia era già tutta lì, pronta per essere scritta.

Tra le righe s’infilò a forza un gatto, grosso e battagliero, che voleva a tutti i costi una parte da coprotagonista e, si sa, i gatti ottengono sempre quello che cover (2)vogliono. Però, non accettai discussioni, avrebbe avuto accanto il maestro Oreste: canuto, grassoccio, curioso quanto basta per stare dietro a una come Toni.

Eppure la storia non era ancora completa, come quando sappiamo che stiamo dimenticando qualcosa ma non capiamo cosa. Per fortuna la soluzione era lì davanti a me. Ogni mattina quando aprivo facebook c’era una nuova poesia di Roberta ad attendermi. La mia Toni disse per caso che le poesie arrivano Come conchiglie sulla spiaggia e io capii CHI avrebbe lasciato cadere nel mare i versi delle sue poesie.

Come nascono le storie!

Come abbia fatto Erika a disegnare così bene quei personaggi che io mi vedo davanti in carne e ossa, quasi non me lo spiego, perché noi non ci siamo mai parlate, non ci conosciamo neanche. E forse quel gattaccio marinaio e furbissimo ha convinto Fulvia a far diventare la sua storia un libro vero, fatto di carta e inchiostro, s’è inventato sicuramente un qualche strano sortilegio per stregarla, ma è pur vero che quando nascono, le storie, poi vivono da sole.

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Come conchiglie sulla spiaggia di Giuliana Facchini, con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri. Edizioni Paoline – collana: Il parco delle storie.

Un romanzo per bambini dai nove anni in poi, ma da leggere ad alta voce a chiunque.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Donne in corriera e madri da tartufo. Impegni, intoppi e impasti

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Chiunque riceva un premio è felice e vorrebbe apparire al meglio di sé il giorno della premiazione. A me capita sempre d’inanellare una serie d’intoppi e impicci prima di un “momento importante” e arrivarci trafelata, scombinata e stressata. Il giorno prima della consegna ufficiale del premio “G.Righini Ricci” i figli erano riusciti abilmente a scomparire, per ricomparire solo con richieste di passaggi auto o per pranzo e spuntini vari. Invece, esattamente 24 ore prima della “mia” premiazione al Rosso è “scoppiato” un ascesso originato da un morso, lasciandogli sulla spalla un buco delle dimensioni di una moneta da due euro. Avevo pensato per praticità di somministrare solo antibiotico e riposo al Rosso, ma il felino se ne stava buono sulla sedia col suo buco da due euro e lo sguardo da “sono malato!” e così siamo andati dal veterinario. Il vet ha guardato me e io ho guardato lui e insieme abbiamo guardato il buco sulla spalla del Rosso. Ebbene sapevamo tutti e due che bisognava intervenire chirurgicamente. Quindi tra un impegno e un impasto di focaccia (ottima per nutrire figli vaganti) il giorno prima della premiazione c’era anche un gatto sedato con sette punti sulla spalla chiuso nel mio studio (come sempre trasformato in clinica veterinaria). Dopo aver sistemato il quadrupede, si è bloccato, per motivi chiari solo al dio internet, l’account dell’indirizzo elettronico della nonna (indispensabile per bollette e news fiscali). Già la sua fiducia nella posta virtuale era quasi nulla, questo duro colpo era un valido motivo per auspicare il ritorno alla carta e alla penna d’oca (per plichi da affidare a messaggeri a cavallo perché delle poste italiane non ti puoi certo fidare). Decisi d’iniziare la procedura (straziante) per il recupero della password e della fiducia nel XXI secolo della nonna con un gatto malato in braccio, un cane sui piedi e l’altro gatto che bussava a zampate alla porta chiusa dello studio. Mentre infornavo le focacce, pensavo a cosa indossare alla premiazione e se fosse il caso di utilizzare quel campioncino per un portentoso trattamento antirughe che mi avevano regalato in profumeria (quel dannato, lontano e unico giorno che c’ero entrata). Mentre le focacce cuocevano in forno, decisi di trasferire momentaneamente il Rosso ricucito nella mia stanza da letto per dedicarmi con tranquillità al ripristino della password dispersa, ma nella camera, da me creduta vuota, c’era Indiana (l’altro gatto) che solo a vederlo il Rosso s’irrita, figuriamoci a starci chiuso insieme in una stanza. Per fortuna nella camera (da me sempre creduta vuota) c’era pure il border che ha abbaiato l’allarme: “zuffa in corso”. Ci abbiamo rimesso un punto di sutura ma intanto avevo conquistato la nuova password e quindi sarebbe potuta andare peggio. Finalmente, la sera prima della consegna del premio, sono riuscita a partire per Conselice lasciando Bryce che mi guardava in cagnesco. Arrivata a destinazione, l’albergo era piccolino, tranquillo e finalmente mi rilassai. Mi dedicai a buttar giù un breve discorso di ringraziamento. Sapevo che mi sarei emozionata quindi volevo essere preparata. Ripetei a voce alta le mie dieci righe per imprimerle nella memoria ed ero abbastanza soddisfatta quando mi resi conto che le camere avevamo pareti molto sottili e sentivo distintamente le voci e i discordi degli altri ospiti. Sentii un accento del sud e capii, con un certo imbarazzo, che la delegazione dei giurati pugliesi era alloggiata nel mio stesso albergo: il mio discorso l’aveva probabilmente sentito in anteprima e per giunta ben cinque o sei volte.

Domani è un altro giorno, vero Rossella?

(Per vedere la pagina dedicata al premio cliccare qui!)

Che cosa vuol dire che vai a ritirare il Premio ma io non vengo?
Che cosa vuol dire che vai a ritirare il Premio ma io non vengo?

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Donne in corriera e madri da tartufo. Rimedi naturali

Sono lusingata per aver ricevuto il Premio “Giovanna Righini Ricci“. Il giudizio di una prestigiosa commissione e quello della giuria ragazzi mi emozionano. E’ il secondo premio a un mio romanzo inedito assegnato dai RAGAZZI.

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Non sono una scrittrice alle prime armi, ma neanche navigata e i miei inediti giacciono anni sulle scrivanie (per carità, intasatissime di manoscritti) delle case editrici prima di riuscire a guadagnare una pubblicazione. Alcuni editor li conosco personalmente e rispetto i loro giudizi severi o empatici. Oltretutto, pochi lo sanno, ma in Italia ci sono dei grandi scrittori per ragazzi, quindi io sono in coda. Non  sono una scrittrice “colta o raffinata” su questo non si discute, ma almeno non lo sono con coerenza. Sono una che dà voce a un cane su un blog, e a dir il vero a casa mia hanno sempre parlato tutti (democratici noi): Indiana, il gatto comunicava con me col pensiero perché io traducessi ai miei figli quando erano piccolissimi e, sì, anche il millepiedi e la lumaca che abitavano in giardino avevano idee molto chiare da esporre. Già, attraverso il racconto, dal vivo o stampato, ogni argomento si può affrontare.

Da sempre credo nelle storie, quelle narrate o scritte con passione, dove le emozioni superano la parola e affascinano il lettore. Saper scrivere o raccontare una storia non è cosa facile, io credo nel processo creativo scevro da qualunque imposizione o condizionamento. Una storia a mio parere deve nascere dal cuore, dalla pancia, dall’anima o anche dalla testa (insomma da dove vi pare) di uno scrittore ma attraverso un percorso vigoroso, coinvolgente e individuale. Quindi, starà all’editore innamorarsi anche lui di quella storia e poi il libro dovrà vivere da solo e con il TEMPO capiremo se sarà stato un buon libro. Scrivere così è una lotta contro i mulini a vento, è una continua ricerca in me stessa (stilistica e personale), mentre personaggi e storie assorbono le mie energie e mentre aspetto quella mail o quella telefonata che significano lavoro. Già perché è difficile ricevere una giusta (anche solo una misera) retribuzione per questo lavoro. E oltretutto c’è la vita privata e quotidiana, gli errori fatti e le mancanze. Nelle scuole gli studenti mi chiedono spesso quando e dove io scriva, ecco, forse li deludo sempre un po’ ma io alle sei del mattino  preparo la colazione per i miei figli e quindi la notte dormo, non scrivo.

La mia vita non ha nulla di romantico e la scrittura è disciplina. Mi chiudo nello studio almeno quattro/cinque ore al giorno e leggo o scrivo. Mi serve disciplina per evadere dalla realtà. Poi c’è la spesa da fare, i pranzi e le cene da mettere in tavola, i figli con cui litigare, la nonna da nutrire di libri e i libri da leggere (tanti), il brik da allenare, i gatti da portare dal veterinario per curare i graffi procurati nelle zuffe… insomma un mondo di distrazioni che nutrono le storie. E’ una vita sofferta, la mia, tra tanti amori forti e la rincorsa quotidiana per trovare il tempo di viverli tutti.

Eppure quando mi comunicano che hanno scelto proprio la mia storia, mi dico che forse un senso (quel senso che sempre cerco) l’ho anch’io. Temo non sia cambiato molto da quando tutto è cominciato nella cameretta dei miei figli piccolissimi, quando leggevo loro ad alta voce o inventavo storie. Dunque, infine, cosa sono? Intrattenitrice? Educatrice? Affabulatrice? Cantastorie? Non so proprio chi sono in questa nostra società. Però rimane un dono per me non riuscire a chiudere prima di due ore un incontro con i ragazzi di una scuola che hanno letto un mio libro: m’inondano di domande e poi dalle mie risposte arrivano altre domande e alla fine parliamo di tutto, ridiamo e ci ascoltiamo, perché dentro le storie non ci sono barriere ma energia pura. Insomma fin quando continueranno a leggermi o ad ascoltarmi, io continuerò a narrare con tutte le mie forze e poi? La vita è una strada piena di bivi, deviazioni e ostacoli, poi deciderò il da farsi e se non ci sarà nulla da fare non farò nulla.

giuie e bry

Pubblicato in: Pensieri canini

Il potere delle storie (un altro punto di vista)

Alle volte la Umi si ferma a riflettere e guarda dentro e fuori di sé…

e IO cosa vedo?

Vedo una donna strampalata che crede ancora alle storie e vive in una strana casa con svariati umani, un border-blogger (me) e due gatti. Quello bianco, Indiana, più o meno amico mio, non avendo né la cattiveria dei randagi, né l’indole dell’assassino ottiene quello che vuole per sfinimento dell’avversario. Il Rosso, felinamente parlando, i topolini li porta ai vicini di cui usa l’abitazione, ma se di notte si ritrova fuori al freddo o sotto la pioggia, s’infila nella gattaiola (parola magica) e raggiunge il letto. Nel caso vi trovi Indiana cheIMG_6958 - Copia dorme, sale di soppiatto, individua un’area libera e si asciuga o semplicemente si scalda. Deve essere abile, perché se si sveglia l’altro, si passa alle armi bianche. Io di solito me la squaglio. Alle due o alle tre del mattino, nel silenzio della notte, si accendono zuffe con spargimento di ciuffi di pelo, miagolii da casa degli orrori e nel peggiore dei casi anche gatti volanti.

 

La Umi istallò la gattaiola, la simpatica bascula che dà autonomia ai felini di casa, come inno alla libera circolazione, come esercizio di democrazia animalista, non immaginava il disturbo della quiete notturna e neanche l’aurea magica che essa possiede. Già, perché il mio giardino è diventato la stazione londinese King’s Cross per i gatti della zona. In molti hanno seguito Indiana fino alla sua porta di casa per poi vederlo passarci attraverso. La gattaiola è il binario 9 e ¾. L’ultimo a rimanere folgorato è stato un randagio con la coda mozza. Ci si è piazzato davanti, miagolava e gorgogliava senza comprendere dove fosse finito il gatto (Indiana) che aveva seguito. L’unica cosa che non capisco opsè come sia passato il Rosso (non Ron, il gatto), che, diciamocelo, è molto babbano e tanto poco aquila. C’è da giurarci che ci sia lo zampino della Umi, che in qualità di creatrice di storie, sa spiegare le cose ai gatti. E’ pur vero che l’Anello venne affidato a un piccolo Hobbit, ma il Rosso non è paragonabile neanche a Frodo, questo è sicuro. Comunque, in casa siamo al completo in quanto a bestiario, mi eleggo guardiano del Varco e mantengo segreto il passaggio.

Aiuto! Mi sto impantanando nelle storie! Necessito al più presto di giro di agility o abbaiata a naso a naso con cane adulto privo di fantasia.

 P.S. Nella foto in basso a destra Brik e Dalì (detto il Rosso) da cuccioli, quando il primo riusciva a passare nella gattaiola e il secondo imparava a farlo!

Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

Osservazioni quasi scientifiche per stomaci molto forti

Nel posto dove vivo è arrivata un’ondata di cani. Non so se sia una nuova moda o amore, comunque te ne rendi conto perché al parco, sul viale, sui marciapiedi, davanti ai cancelli, sono fiorite delle cacche grandi, sode, belle, quasi finte.

Da ciò si deduce che i proprietari sono poco preparati in educazione civica, ma sono commercialmente ben attenti.

Allora parliamo di marketing utile: pubblicitari diamoci una mossa con le idee per vendere sacchettini da raccolta deiezioni! Per una volta potete rendere un servizio all’umanità. (Potete anche copiare da altro tipo di sacchettini, in merito ai quali vi siete sbizzarriti) Non sarà mica difficile? Sacchetti colorati, profumati, small o extralarge, con il nome del cane sopra come la Coca Cola, a guanto per praticità, biodegradabili per i vegani, con scritta la parola CACCA per far ridere i bambini educandoli al rispetto degli altri, col dispenser musicale che applaude e scampanella ogni volta che stacchi un sacchetto e infine quelli tecnici con sottovuoto integrato per le massaie impenitenti o per l’analisi delle feci. Sono certa che il neo amico del migliore amico dell’uomo non disdegnerà un nuovo accessorio fashion.

Per concludere, non me ne vogliano i cinofili, a me queste cacche così finte più che schifo fanno un po’ impressione e mi viene la nostalgia di quando i cani mangiavano gli avanzi di cucina: c’è poco da fare neanche le cacche son più quelle di una volta.

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Vignetta della nonna gattofila di Brik