Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Ladra di jeans, come nascono le mie storie

Ladra di jeans è una storia che sono felice abbia subito accolto Sinnos perché non è il seguito de La figlia dell’assassina ma sento tra i due romanzi una sorta di continuità. Se Rachele e Daria sono due rette parallele, amiche e nemiche e mai s’incontrano. Tra Gemma e Padma l’odio veste i panni dell’amicizia. Loro s’incontrano in un romanzo duro e tagliente.

Vi è mai capitato di ferirvi il polpastrello con la carta? Questo è l’effetto che mi fa Ladra di jeans.

Le storie a volte nascono da un incontro o da un’immagine. Questa è nata vedendo camminare due donne, presumibilmente madre e figlia, che portavano un grosso sacchetto di carta pieno di vestiti. Erano originarie della Repubblica dell’India. La figlia minore, la protagonista della mia storia, non c’era. Non potevo neanche sapere se esisteva davvero un’altra figlia, ma era la mia Padma.

Mi sono documentata parecchio per rendere realistico il personaggio, ho visto ore di cinema indiano e letto della società e delle tradizioni indiane, ma una volta finito il romanzo ho cercato qualcuno per avere delle conferme.

Coordinavo un gruppo di lettura per adolescenti presso la biblioteca Vez Junior di Mestre e un pomeriggio, a causa di un’epidemia di influenza, non erano ancora iniziati i tempi del covid, ci ritrovammo solo io e Dristi M., una ragazza di origine indiana dell’età di Padma e grande lettrice. Così ho conosciuto chi ha confermato, suggerito o corretto parte di quanto scritto nel mio romanzo a proposito delle abitudini e delle tradizioni della Repubblica dell’India.

A lei va il mio grazie sentito e affettuoso. Non potevo incontrare consulente migliore.

Perché Padma è nata e vissuta per undici anni della sua vita in India? Sarebbe stato più facile farla essere nata altrove? Come scrittrice ho questo potere, ma come romanziera ho il dovere di lasciare ai miei personaggio il diritto di essere quello che sono. Molte delle intuizioni riguardo al modo di essere e di comportarsi di Padma si sono dimostrate esatte, anche se non sono una studiosa dell’India contemporanea nè ho amiche indiane.

Credo che si debba scrive di quello che si conosce bene, ma credo che non sappiamo tutto quello che sappiamo. Esiste anche l’intuizione e l’empatia verso il prossimo che può regalare un patrimonio di conoscenza dal carattere recessivo pronta a trovare strade diverse per venire allo scoperto. È il patrimonio dell’artista che la romanziera può e deve saper sfruttare. E io scrivendo mi fido dell’intuizione e dell’empatia.

Gemma e Padma sono in classe insieme, ma non potrebbero essere più diverse. Gemma è sfacciata, calcolatrice, cinica. Padma invece è timida, grande lettrice, buona. Ma quando, per un caso fortuito, un paio di jeans passa dall’una all’altra, si innesca tra le due una strana amicizia. Un’amicizia sul filo del rasoio, dove la sincerità, il calcolo e l’intelligenza assumono contorni sfumati e pericolosi.

Ci sono due ragazze: un sembra tonta l’altra furba, ma non è detto; una sembra buona e l’altra cattiva, ma non è specificato; una potrebbe piacervi di più l’altra per niente, ma probabilmente non è così.

Sembra un thriller psicologico!?  Può essere. Anche.

E intorno a loro c’è il nostro mondo contemporaneo saturo di immagini che vendono felicità. Immagini di belle ragazze e bei ragazzi, immagini accattivanti di cibo, immagini di oggetti desiderabili. Compri un po’ di felicità per pochi spiccioli e poi te ne arrivano vagonate che non sai di pagare.

Non so chi sceglierete di amare, se Padma o Gemma, ognuno di noi è un po’ l’una e un po’ l’altra. Il romanzo resta dei lettori, loro devono scegliere da che parte stare, oppure non scegliere affatto. Alcuni ci provano.

Insomma questo romanzo è un solo un piccolo sasso nello stagno, che spero produca tante onde sul pelo dell’acqua, smuova delicatamente i microrganismi e porti a riva qualche dubbio o riflessione.

Credo che i romanzi siano il prodotto delle creatività artistica della scrittrice o dello scrittore, questa mia storia avrebbe potuto essere illustrazione, poesia, musica, scultura; ho usato la parola.

Perché possiamo considerare come un artista un illustratore e non un romanziere? L’artista sa scavare dentro di sé in cerca dell’essenziale che ci unisce agli altri in una sola umanità e che fa nascere domande cui solo il lettore sceglierà di rispondere, subito o tra molto tempo.

E quindi in Ladra di jeans c’è una parte di me, quello che resta mentre tento di starne fuori, di non mettere i miei pensieri nella testa dei personaggi, di far tacere la mia voce tra le pagine, di dare in mano al lettore la storia, perché sia solo sua. Nei romanzi c’è la parte bella di chi scrive. In qualunque direzione sia orientato, quel meglio di sé, la romanziera o il romanziere lo mette nel suo romanzo e di persona, lei o lui, può essere altro.

“Bisogna ricordare che scrivere non equivale a pubblicare, che il futuro di ciò che si scrive è sempre insicuro e incerto, che non sappiamo mai quello che ne sarà di ciò che scriviamo, e che per uno scrittore questa incertezza è necessaria.” Per una letteratura senza aggettivi, Maria Teresa Andruetto.

Un salto nel buio, per me. Questo romanzo lo è.

« “Ogni santo ha un passato. Ogni peccatore ha un futuro” E anche tu te la sei cavata da sola. Guardati. Niente più note. Niente più ore perse dopo la scuola. Voti migliori. Modi migliori. Hai tradito Tulip e ti sei salvata.» Quella strega di Tulip, Anne Fine.

Ma forse è un salto nel buio anche per il lettore, perché in fondo tutti scegliamo da che parte stare.

Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

Un border da divano con il cuore di un lupo

 

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Ferma al capitolo sedici del nuovo romanzo, in montagna, da sola con Brik, decido di fare un giro nel bosco, così per chiarirmi le idee. Camminando si pensa. Non c’è nessuno, proseguiamo tra gli alberi e le rocce ricoperte di muschio. Prendiamo un sentiero impervio, in discesa, e libero Brik che mi precede, aspetta, mi precede, aspetta, mi precede e sparisce.

Lo chiamo, vedo la punta bianca che spazzola l’aria tra erba alta, rami e rocce in un anfratto scosceso. Si muove lì attorno, ma non ritorna; lo chiamo con voce dura, di solito non mi ignora e quindi mi preoccupo. Impossibile raggiungerlo per me. Il terzo richiamo suona stridulo. Poi lo vedo spuntare più avanti sul sentiero e porta in bocca una costola di dinosauro, d’accordo di capriolo. C’è ancora del grasso biancastro che penzola. Brik si avvicina orgoglioso e io lo metto al guinzaglio e gli tolgo la costola dalla bocca. Lui lascia fare (posso toccare il suo cibo nella ciotola mentre mangia, non ringhia mai né si arrabbia), però mi guarda sconcertato.

E la mia mente è già lontana: vaga tra racconti di bocconi piazzati nel bosco per avvelenare i predatori e quidi poter cacciare liberamente gli ungulati e sul come allertare il più vicino veterinario; avrà una macchina medico-veterinaria? Chi mi verrà a prendere quando il cane comincerà a schiumare dalla bocca e si accascerà a terra?

Nel frattempo Brik trotterella sereno e si ferma ad annusare degli escrementi. Di solito annusa quella degli altri cani con indifferenza, al massimo ci piscia sopra e prosegue, qui se fosse Sherlock l’esaminerebbe con la lente di ingrandimento. Lo guardo e lo tiro via appena in tempo prima che ci si rotoli sopra e immagino, a quel punto, che sia cacca di lupo.

Che dopo un lauto pasto a base di ungulato, un lupo si sia fermato poco più avanti per liberarsi l’intestino? Nessun boccone avvelenato solo un banchetto lupesco di cui il bricchetto ha spolverato i resti?

Intanto affrontiamo la salita; il tempo passa, il cane non schiuma, ma mi guarda di traverso mentre lappa da un torrente l’acqua che scorre. È un po’ offeso per il mio furto del suo furto di costola. Glielo leggo negli occhi quello che mi direbbe se potesse parlare: certo che hanno proprio ragione i miei fratelli umani, come sei ansiosa, due soldi di fiducia in me, no?

L’immaginazione è tutto per una scrittrice e l’ansia in fondo è un derivato dell’amore. Sono sempre ferma al capitolo sedici, in compenso c’è un nuovo articolo sul blog. Desolata per non aver fotografato la costola, meritava. 

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Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri… sgranocchiando avventure!

I figli del re di Sonya Hartnett mi ha coinvolto come pochi romanzi. Se l’inizio sembra un po’ scontato, poi tutto è diventa affascinante: personaggi, paesaggi, situazioni. La storia è convincente, ricca di spunti e mai banale, anche raccontando di bambini e adulti come tanti, ma dalla psicologia sfumata e vivi tra le pagine. Me ne sono chiesta il perché.

Forse, romanzieri si nasce non si diventa.

Se mentre leggi scatta lo stupore, la voglia di andare avanti, la soddisfazione del finale, ti rendi anche conto che non è sempre così quando leggi. C’è una decisa differenza. Si pubblicano tanti libri e gli editori non sempre selezionano in modo adeguato per offrire buoni romanzi e non solo storie scritte.

Ultimamente, almeno nella narrativa destinata ai ragazzi e agli adolescenti, mi pare che sia troppo sfruttata la scrittura in prima persona. Forse dà allo scrittore l’impressione che si riesca meglio a stabilire empatia con il lettore. Probabile, ma è un’arma a doppio taglio. Difficile tenere se stessi lontano del personaggio. Difficile non banalizzare. Pericoloso confondere/mescolare le emozioni, le sensazioni, le percezioni dell’adulto che scrive con quelle dell’adolescente che vive tra le pagine. Altissimo il rischio di parlare solo a se stessi cercando di farsi ascoltare da tutti.

Più complicato è essere narratrici o narratori esterni. Emozionare anche con luoghi, profumi, ombre, urli o grida di un mondo in tre dimensioni che non solo il cinema sa generare. Gli scrittori bravi lo sanno creare da sempre. (E anche i bravi attori sul palcoscenico). Tecnicamente una sfida. Saper narrare una storia è prerogativa di pochi, scriverla bene è un dono creativo ancora diverso. E poi il finale. Forse la discriminante maggiore è proprio il finale: aperto o chiuso deve sorreggere l’intero romanzo. Spaventa? Deve. Non smettiamo di leggere.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Un attimo, tutta la vita… come nascono le storie

Certe storie nascono davvero in modo curioso!

Eravamo qui…

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Fulvia ed io. C’eravamo incontrate per pranzo. Chiacchieravamo del più e del meno; lei arrivava dalla palestra io da una passeggiata per Milano con la mia amica Anna.

Con Fulvia non eravamo amiche come lo siamo ora, ci conoscevamo, era stata la mia editor per un libro della collana che lei dirige per le edizioni Paoline.

Era almeno un anno che mi arrovellavo il cervello con l’idea di una storia che non riuscivo a scrivere. Ero certa che non l’avrei mai scritta eppure non volevo rinunciarvi, ci credevo, pensavo potesse diventare un buon romanzo.

Stavamo prendendo una caffè quando le chiesi se quella storia voleva scriverla con me. Lo feci d’istinto senza pensarci troppo. Certe strade bisogna percorrere insieme se da soli non ce la fai. E io da sola non ce l’avrei fatta. L’argomento era troppo forte e io troppo emotiva, mi avrebbe preso la mano e mi avrebbe trascinata lontano dalla stesura di un qualsiasi buon romanzo verso una terra di emozioni incolte.

Fulvia non mi rispose subito, mi telefonò qualche giorno dopo dicendo che sì, l’idea le piaceva, che ci stava.

Fulvia: Ero arrivata al Crazy CatCafè con il cuore in subbuglio. Avevo appena avuto una crisi di pianto e autocommiserazione, capita nelle fatiche della vita di mamma di due adolescenti. Ma avevo messo da parte il mio turbamento per godermi l’incontro in quel luogo così singolare, in cui i gatti scorrazzano liberi e si struscino alle gambe dei clienti e balzano sui loro tavoli. Giuliana era già una gattara, io non ancora, ma lo sono adesso dopo la convivenza di oltre un anno con la mia Grace. Da anni sognavo di scrivere una storia a quattro mani: una sfida stimolante per una scrittrice, che mi mancava e a me piace cimentarmi in nuove imprese. Così quando Giuliana ha buttato lì quel tema,
il dramma degli incidenti stradali in scooter, ho sentito subito quel frizzicorino nel cervello, che si accende quando sono di fronte a una buona idea. Dovevo solo trovare la chiave giusta, che fosse originale e che affrontasse un tema così tragico in modo non melodrammatico e scontato. Non avevo dubbi che mi sarebbe venuto in mente qualcosa.

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Al Crazy CatCafè avevo detto a Fulvia quale era l’idea della quale volevo scrivere e quello che assolutamente non volevo che diventasse. Avevo ben chiaro solo il capitolo centrale. Quale sarebbe stato il finale non lo sapevo e quello che avrebbe potuto essere la potenziale conclusione non mi piaceva affatto. Senza aver neppure iniziato a imbastire adeguatamente la trama, mi disse lei il finale. A me non era proprio venuto in mente. Era quello giusto. Pensai che quella storia sarebbe diventa un buon romanzo: avevamo il capitolo centrale e anche il finale. Era un buon inizio!

Fulvia: Gli argomenti drammatici sono la mia passione. Tutti i miei romanzi per adolescenti toccano tematiche scottanti, estreme. Far vibrare le corde dell’emozione, senza pateticismi, ma scandagliando l’animo umano, questo amo fare. Sì, sarebbe stata una buona storia. 

Una sera ci sentimmo al telefono e sebbene sulle prime eravamo un po’ intimidite ci volle un attimo per scioglierci e lasciar correre libera la fantasia. Lei scelse i nomi dei due personaggi protagonisti e io li adorai subito. Io scrissi il capitolo centrale (chi ha detto che si deve sempre partire dall’inizio?) che avrebbe fatto da chiave di violino per accordarci e scrivere insieme.

Fulvia: Non è inconsueto per me iniziare a scrivere un romanzo non rispettando il naturale ordine dei capitoli. L’importante in una storia è coglierne il nucleo centrale, la cosiddetta ispirazione, poi il resto di intreccia, usando anche un po’ di mestiere. E se nella scrittura individuale si può anche procedere per tentativi, e improvvisazione, quando a scrivere si è in due occorre che la trama sia molto chiara sin dall’inizio, con una precisa scansione dei capitoli, in modo da tenere sotto controllo le tappe della stesura. E in questo caso era semplice, perché i protagonisti erano due, un ragazzo e una ragazza, e ognuna di noi se ne è scelto uno per narrare la storia dal suo punto di vista che così si alternava con quello dell’altro personaggio.

Stabilimmo i capitoli e il numero di battute da rispettare e poi partimmo: io scrivevo un capitolo e glielo inviavo, lei lo correggeva e mi inviava il successivo scritto da lei, che io a mia volta correggevo. Io valutavo le sue osservazioni sulla mia scrittura, lei le mie. E procedemmo così. Senza che nessuna delle due si offendesse mai e con un’empatia che mai potevo immaginare quel giorno al Crazy Cat. Tutto filò liscio fino alla fine. Umiltà e rispetto non ci sono mai mancati, forse per questo è venuto fuori un buon romanzo. Almeno secondo noi. Ognuna ha dato il meglio di sé e il superfluo abbiamo saputo buttarlo via.

Fulvia: Scrivere in coppia ti costringe a rispettare i tempi, evita le distrazioni, è come percorrere un binario in cui è difficile deragliare. Per cui scrivere questo romanzo è stato per me più facile che in altre occasioni più solitarie. E permette di fare in corsa un buon editing, perché l’occhio esterno sulla propria scrittura lima le sbavature, migliora la forma e la coerenza. E pur essendoci ritrovate in questa avventura per caso, ed essendo due perone caratterialmente molto diverse, la nostra scrittura si è amalgamata fino quasi a fondersi tanto da non risultare distinguibile per chi legge.

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Sono felice che questo romanzo abbia trovato la sua voce e sono felice di aver trovato un’amica.

Fulvia: A me personalmente è rimasta la voglia di farlo ancora, tutto sta a ritrovare quell’alchimia. Merito del Crazy CatCafè?

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UN ATTIMO, TUTTA LA VITA

di Fulvia Degl’Innocenti e Giuliana Facchini

Raffaello Ragazzi, collana Insieme

Orlando ha 16 anni e adora spostarsi in scooter, per lui è più di un mezzo di trasporto, è quasi una parte di sé. A una festa conosce Angelica e, dopo qualche schermaglia, i due ragazzi si innamorano. Tutto sembra andare bene fino a quando arrivano i primi litigi. Dopo uno di questi, Orlando parte con lo scooter: ha il cuore in subbuglio e presta meno attenzione alla guida.
Eppure sa che per rischiare tutto, persino la vita stessa, basta un attimo. E Orlando vivrà sulla sua pelle proprio ciò che in quell’attimo accade.

E siamo certe che il luogo dove tutto è nato,

porterà fortuna a questo romanzo!

Buona lettura

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Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Mother’s day, ma solo nei miei romanzi

Una volta, un’amica cara mi disse che nelle mie storie c’erano svariate figure di madri ed era una costante nella mia narrazione. Da allora ho cominciato a farci caso, sempre dopo: prima faccio e poi ragiono, ed è vero, ci sono molte donne madri diverse, spesso sole, a volte coraggiose o tristi o estreme o presenti con la loro assenza.
Si dice che ogni scrittore scriva sempre la stessa storia, la propria, in modi diversi o che raccontiamo quello che vorremmo essere. Io sto ancora cercando di capirmi, d’altronde prima scrivo e poi mi leggo. Che poi non è importante, perché i libri sono di chi li legge e non di chi li scrive, mentre l’umanità resta l’unico mezzo indispensabile per raccontare storie.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io non lo odio… come nascono le storie!

Ringraziamenti in chiusura del libro IO NON LO ODIO di Giuliana Facchini, edito da Matilda Edizioni.

Ecco come nascono le storie: camminando. Succede che scrivi il plot per un romanzo e diventa un racconto che poi torna a essere un romanzo. E nel mezzo? Nel mezzo un cammino. Tu che cresci. Tu che cadi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che ti rialzi come chiunque percorra chilometri di vita. Tu che scrivi. E capisci che percorrere chilometri di vita è un privilegio.

I libri raccontano una storia ma hanno anche una loro storia.

Quando Donatella Caione mi chiese di scrivere la versione lunga del mio racconto Perché odi Davide?, le risposi di no. Pensavo che quella storia avesse già detto quello che aveva da dire.

Ma leggendo un vecchio libro che intrecciava passato e presente ho capito che non era così. Usare uno schema narrativo non lineare e adoperarlo perché fosse funzionale alla storia non era facile ma per me era una piccola idea rivoluzionaria. Ha molto da raccontare una ragazza che è riuscita a uscire da una qualsiasi forma di violenza e io potevo darle voce.

Così otto romanzi dopo Perché odi Davide? è nato Io non lo odio.

Durante un incontro in una scuola dove accompagnavo Chiamarlo amore non si può, una lettrice mi di chiese perché nel racconto tutti avessero un nome ma non la protagonista. Rispose lei. Non io. Disse che forse non aveva nome perché solo chi non ce la fa e finisce sui giornali ha un nome, nessuno conosce tutte coloro che ce l’hanno fatta e a testa alta sono diventate ragazze e donne consapevoli di sé.

Aveva ragione. Quindi alla protagonista ho dato un nome, Clare, e una vita serena. La sua non è una famiglia del mulino bianco, ma lei conosce il potere dell’amicizia, della fratellanza, della musica e vive bene il suo domani.

Nel raccontarci quello che le è successo, fa uno sforzo. Ha bisogno della sua chitarra per farlo. Ma sa raccontare, gestire il suo passato e impugnarlo coraggiosa per affermare non senza sofferenza: Io auguro a qualunque ragazza che come me si sia trovata a precipitare nel vuoto, una chitarra cui afferrarsi per potersi salvare. Anzi: a lei la offro. Io. Adesso.

Non è questo che ci auguriamo per un’amica, una figlia, una nipote o per noi stesse e per tutte?

Noi che scriviamo per ragazzi e ragazze (non è vero che scriviamo per ragazzi e ragazze, è solo un’etichetta per collocarci in libreria, noi tutti scriviamo solo pensando a un lettore ideale) ci troviamo spesso nelle scuole a “ricordare/celebrare” questo o quello e a volte rischiamo di diventare solo il modo per saltare un’ora di lezione.

Quando? Quando gli adulti fanno cadere a pioggia dall’alto i loro insegnamenti. Quando non si fa in modo che la parola l’abbiano loro: gli studenti.

Perché? Perché ci mettiamo la coscienza a posto che l’opportunità l’abbiamo data. A volte non è previsto il diritto alla replica. Non ce lo aspettiamo proprio un pensiero critico dai ragazzi.

Bisogna sporcarsi le mani se crediamo nei nostri interlocutori.

Un romanziere questo lo capisce bene perché crede nelle storie e le storie non insegnano ma lasciano emozioni sotto la pelle dei lettori.

Io lascio la parola a Clare.
Io non lo odio è dei lettori.
Contano i romanzi, non gli autori. Il romanzo è la loro voce, non c’è altro da aggiungere.
Racconto un periodo difficile della vita di alcuni ragazzi e ragazze ma questo è un romanzo solidale.
Spero che lo leggerete, forse ci troverete almeno una piccola parte di voi come è accaduto a me.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

#lafigliadellassassina, come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

È sempre una domanda difficile cui rispondere.

A volte (almeno questa volta è andata così) capita che ci sia un’urgenza cui dare sfogo. Un bisogno che forse potrebbe non essere solo mio e per questo scelgo di scriverne. Siccome un buon romanzo non dà mai risposte, questa piccola storia insieme alla sua autrice si pone solo giganteschi quesiti: qual è la verità? La verità, quella vera, quella che: è così e basta!, esiste? Sì? No?
Forse corrisponde al vero l’ormai famosa frase dello scrittore statunitense Jim Harrison: «La verità non esiste: esistono solo le storie».

Insomma leggere e ascoltare in un mondo rumoroso e cacofonico che parla e scrive e continua a parlare e scrivere di tutto e su tutto; dove l’umore batte l’oggettività e l’oggettività serve l’umore; quando prestare idee è un mestiere e noleggiarle è un risparmio di pensieri e di tempo, orientarsi tra le mille sfaccettature di una verità è difficile. A tratti angosciante. Meglio lasciar perdere. Meglio non farne una battaglia? Fate voi.

Tutto questo è solo la carica di adrenalina che ha mosso l’idea del romanzo.

(Non la chiamo ispirazione, l’ispirazione è una cosa troppo complicata. È il nome di una barca a vela, la mia).

Spesso nelle mie storie i fili che s’intrecciano sono sottili come se ricorrere a una trama semplice (seppur affilata e tagliante) sia sempre sufficiente a guidarci. Come se i dialoghi adolescenziali, senza parole troppo belle, volessero condurci nel quotidiano e mai nell’assoluto. Quello viene dopo, fuori dalle storie. È dentro di noi.

Rachele e Daria sono diverse e non saranno mai amiche. Sono una vittima e una carnefice nel gioco della verità che sta attorno alla vicenda di una donna, Eva Contini, che uccide un’altra donna con ferocia. Eva Contini, la madre di Rachele, la moglie di Gerald, l’amica di Leone e Magda, l’assassina, #lassassina.

E intorno a loro: Joshua, la madre di Daria, Matteo, Andrea, Martina, Anna, Antonio Loforte. Gli altri. Tanti altri che parlano tra loro, condividono, indagano, scrivono. Vivono nel microcosmo di una storia camminando per le strade, sedendo in giardino, togliendo i panni da uno stendibiancheria, ascoltando nell’ufficio di una caserma.

Passano le ore e la storia va avanti; passano velocemente le ore se t’immergi nella lettura di un romanzo dove trovi le sicurezze che la vita non ti dà ma, la vita, Rachele deve affrontarla e con lei, noi, cercheremo di capire qual è la verità. E poi, anche noi come Rachele, andremo avanti a leggere fino all’ultima pagina.

Un romanzo, una storia che tanto mi coinvolge e appartiene, che Sinnos Editrice ha scelto di custodire nel suo catalogo, che spero vi lasci qualcosa: un’emozione, un pensiero, la voglia di leggere ancora. Anche non me, ma leggere.

LA FIGLIA DELL’ASSASSINA

SINNOS Editrice

Collana Zona Franca – dal 22 novembre 2018 in libreria

Gerald, Rachele e Joshua non hanno più nulla. La loro triste vicenda familiare ha avuto un forte clamore mediatico e Gerald e i figli sono stati al centro dell’attenzione di articoli giornalistici e scandalistici. I genitori di Gerald dall’Inghilterra non si fanno vedere, ma l’uomo sistema la loro roulotte nel grande giardino dell’amico Leone Batista e vi si trasferisce con Rachele e Joshua lasciando definitivamente Roma. Leone, sua moglie e i figli, li accolgono, ma la convivenza non è facile, anzi la loro presenza in paese desta la curiosità degli amici dei ragazzi. 

Rachele attira l’attenzione di Daria che la fotografa e sul web la foto diventa virale in poche ore con l’hashtag #lafigliadellassassina. Rachele, esasperata, s’intrufola nella scuola del quartiere. Sale fino sulla terrazza, sul tetto, e rimane nascosta. Ha con sé un libro e comincia a leggere. 

L’unica a scoprire dov’è nascosta Rachele e a raggiungerla è Daria. Le due restano da sole per dieci ore, mentre in paese tutti le cercano e gli appelli si moltiplicano di ora in ora.

Una storia che riguarda adulti e ragazzi: nessuna morale, nessuna punizione per nessuno e forse nessuna salvezza, perché il finale nella vita resta comunque aperto, fino all’ultimo.

Buona lettura!

 Rai Letteratura a Più libri Più liberi

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Narrazioni necessarie e il mestiere dello scrittore

Sabato scorso ero alla premiazione del Premio Salgari nella bellissima villa Rizzardi di Negrar a Verona. Durante gli ultimi mesi i tre finalisti hanno realizzato parecchi incontri con i lettori, gli studenti nelle scuole e i detenuti del carcere circondariale. È stata letta una lettera che un detenuto ha scritto a uno degli autori, il suo vincitore del Premio. Mi sono commossa, perfino l’autore chiamato in causa, Matteo Strukul, non trovava le parole per replicare, e non è persona cui mancano le parole. Mio figlio, che ha accompagnato gli scrittori nel carcere, mi ha raccontato che le discussioni sono state sempre molto interessate e ricche di contenuti. A parte il riferimento alla lettura come evasione, il carico emotivo della lettera era importante. Mi ha fatto riflettere quell’uomo e in generale l’incontro con l’autore tra le mura di un carcere.

Io credo nella forza del libri ben scritti, meno alle performance degli autori che li accompagnano.  A differenza di quello con i detenuti e nelle scuole, agli incontri con lo scrittore spesso partecipano poche persone, non tutte così interessate, se non quando sono coinvolti autori famosissimi.

Quando si diventa scrittori? mi viene da chiedermi. Aidan Chambers nelle Confessioni del giovane Tidman fa dire al protagonista (ma potrebbe essere lui a dirlo) che fino a quando non pubblichi un libro non sei uno scrittore. Vero. Come un attore ha bisogno di un pubblico per recitare, così lo scrittore ha bisogno dei lettori. Oggi si ha tutto e subito e pubblicare è semplice. Auto-pubblicazioni e piccole case editrici a pagamento imperversano ma non garantiscono lettori. Quindi direi che per diventare scrittore, checché se ne dica, bisogna anche essere testardi e tenaci e arrivare a essere selezionati da una casa editrice molto seria che abbia una buona distribuzione e creda nell’autore tanto da investire in lui fatica e denaro propri.

C’è una responsabilità nell’essere scrittori e nell’essere editori. Scrivere romanzi non è un hobby o un lavoro inutile. Le storie possono avere un grande potere, hanno un loro ruolo quando il lettore non è finto o pseudo-colto, ma ha davvero bisogno di una narrazione.  Quella lettera rendeva evidente quanto è potente un buon romanzo e come la parola scritta entri affilata nella vita di una persona bisognosa. Ma tutti possiamo aver bisogno di una storia. E forse inizialmente abbiamo più bisogno di buone storie semplici e avventurose, avventure reali o dell’anima, perché spesso leggiamo solo in situazioni di emergenza. Lì riscopriamo il valore di un libro. E non credo che unicamente le mura di un carcere circondariale creino situazioni d’emergenza e di bisogno.

Essere scrittore o scrittrice vuol dire fare un mestiere che ha un valore. Non è cosa così scontata da non doverla  ripetere. Come non lo è ribadire che lo stesso discorso vale per chiunque faccia un mestiere creativo.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri e facendo un tuffo… tra i miei autori del cuore

Passare dalla Murail a Ness è stato uno shock. Un tuffo in un lago con l’acqua gelata. Due autori tanto diversi ma entrambi grandi.

Eppure, una cara amica libraia mi ha detto di un libro di Ness che le pareva costruito. Non ero d’accordo ma quella parola ha continuato ha ronzarmi in testa. Quel libro era forse costruito a meraviglia, Mentre noi restiamo qui un po’ meno. Ho grande stima di Ness, ma questo libro mi ha dato ha qualcosa meno degli altri. (A parte la nota finale dell’autore che trovo strepitosa).

Sarà che sono fissata con la questione età e che una collega scrittrice mi dice sempre: per quanto potremo continuare a scrivere per ragazzi o peggio per giovani adulti? Domandona piena di significati che divampano in mille direzioni diverse. Sarà che trovare la propria e la giusta dimensione di scrittrice è una solo una ricerca continua.

Comunque, ho la sensazione di poter contestualizzare questo libro e a me non piace farlo. È scritto per ragazzi? Un buon romanzo non ha età di lettura.

Mi sono asciugata e ho bevuto un tè caldo dopo quel tuffo in acqua gelata. Non mi sono scaldata del tutto, ma a Patrick vorrò per sempre bene. Chaos, rimane Chaos. Sette minuti dopo la mezzanotte, resta Sette minuti dopo la mezzanotte

Se con Ness ho fatto un tuffo in un lago dall’acqua gelata, con Confessioni del giovane Tidman sono affondata in una comodissima poltrona imbottita calda  e accogliente. Aidan Chambers ormai non si discute, si legge. La narrazione, sapientemente articolata, sembra uscire dalla bocca dell’autore. I suoi interventi verbali sono sempre precisi e ben calibrati. Questo libro non lascia nulla al caso e io come sempre ho ascoltato volentieri narrare la storia di Tidman. Ciò che mi ha colpito è il senso di autenticità che  pervade il romanzo. Una quasi biografia, forse, che rivela l’onestà profonda dello scrittore nei confronti del lettore.

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri e raccontando: Invisibile

“Nina aveva fatto tante volte quel sogno, ma ogni volta le salivano le lacrime agli occhi, specialmente quella notte che era sola perché Elias non era tornato. Era invisibile.”

(da Invisibile, San Paolo ragazzi, 2012)

 

Scrivere per ragazzi non significa educarli, per carità io non me la cavo per nulla bene come educatrice. E come scrittrice come me la cavo? Non lo so!

Scrivere per ragazzi vuol dire semplicemente scrivere. E non è detto che le storie non abbiano a che fare con la realtà. Oggi sentivo un servizio sul caporalato e il lavoro dei clandestini nelle coltivazioni di pomodori: gli invisibili, quelle persone che sono senza documenti e non esistono.

Nel 2012  è uscito il mio Invisibile per San Paolo Ragazzi e i libri non scadono. O almeno i bei libri non scadono. (E spero che questo lo sia…).  Come in tutte le storie parto sempre da me, da un pozzo, un polo, un punto dentro di me dove la creatività si nutre di quello che mi affascina o sconvolge della realtà. Le mie storie sono reali. Non posso e non voglio parlare di tutto, ma Invisibile utilizzava quando emerso proprio da un’inchiesta giornalistica sul caporalato per  raccontare Elias  (un uomo scappato dal suo paese per motivi politici) e il suo lavoro clandestino nei campi. Lui viene arrestato e la sua bambina di cinque anni, Nina, anche lei fuggita dalla guerra (non una guerra in particolare) resta da sola in una grotta in un bosco. (“Quella Grass da dove viene Nina potrebbe essere ovunque e le guerre più o meno conosciute sono tante. È un nome che non dice nulla… o forse tutto, fate voi.”). Nina se la cava.

I miei figli a cinque anni non sapevano allacciare le stringhe delle scarpe, ma alcuni bambini a cinque anni sopravvivono da soli per le strade o come in questo caso in una grotta nel bosco. Eppure questa non è una storia triste o pedante, ma solo una vera avventura sui sentieri di montagna con protagonisti Silvia e Fabio e una banda di altri ragazzi molto bulli. C’è anche un cane, Pirata, un border collie (..ma va? Ebbene sì!).

Un romanzo a cui sono particolarmente affezionata. Vincitore del Premio Arpino, formato da una giuria di ragazzi.

Strave è un paese di montagna con i propri riti e abitudini, e come ogni anno in estate al paese tornano i fedelissimi turisti sicuri di trovare il paesaggio incantato che solo boschi e campi sanno regalare. Il bar di Rocco è il punto di incontro dei ragazzi dove nascono dispute e amori, ma anche il luogo dove Silvia, Bruno e Fabio cercano di svelare la trama del mistero che si presenta ai loro occhi: chi è la bambina abbandonata nella grotta? Che significato hanno gli indizi rinvenuti accanto a lei? Nina ha cinque anni e sta spettando il suo papà, Elias la cui vita da fuggiasco è segnata da sofferenze e fatica. Lui fa parte del popolo degli invisibili e in quanto tale è come se non esistesse, privo di diritti e giustizia. Silvia, Bruno e Fabio, guidati dal fedele Pirata, sapranno svelare il mistero che circonda Nina, e anche lo strafottente Mich dovrà aprire gli occhi e lasciare il suo atteggiamento da bullo per collaborare a risolvere una situazione più grande di lui. Giuliana Facchini scrive Invisibile per le edizioni San Paolo, accompagnando il giovane lettore per i sentieri di un bosco amico che nasconde anche realtà crudeli; il racconto porta alla ribalta una tematica forte come lo sfruttamento dei clandestini. L’importanza dell’amicizia, il rapporto speciale fra il cane Pirata e la sua padrona Silvia, il sentimento di empatia che gli abitanti di Strave hanno con la loro montagna, sono le basi sulle quali si costruisce la storia. Come faranno i ragazzi a scoprire cosa lega Nina, Elias ed Eva al vecchio Adelmo? Fidiamoci del fiuto di Pirata e armati di scarponi da montagna iniziamo l’avventuroso sentiero della lettura! (Recensione tratta da Zazie news: L’almanacco dei libri per ragazzi. A cura di Chiara Serra.)

 

Info e booktrailer su : LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

 

 

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Due ciotole di emozioni forti: niente paura è solo letteratura!

Non so come mi possa essere sfuggito; l’ho avuto in fiera a Bologna, ma l’ho letto solo ora e mi è piaciuto. Un libro particolare, forte, originale. Inquietante ed efficace parlare così d’identità.

Accidenti che onore essere in una collana come la Feltrinelli UP con il mio “Se la tua colpa è di essere bella”! Me ne sento addosso tutta la responsabilità. (Sì, un’altra!).

Interessante leggere che i costi della traduzione sono stati sostenuti dal Swedish Arts Council, un’agenzia governativa svedese che si occupa di promuovere la cultura e gli autori svedesi. (Cose da alieni… o forse gli alieni siamo noi?). Mi ha incuriosito il fatto che i protagonisti non adoperino i telefoni cellulari, anzi si menziona il telefono fisso. Il libro è del 2015, potrebbe essere stato scritto prima, oppure in Svezia i ragazzi non usano abitualmente i cellulari, oppure per scrivere una buona storia si può prescindere dai particolari realistici e concentrare l’attenzione del lettore su dinamiche di relazione diverse.

La stessa cosa mi è capitata con Campi di fragole di Jordi Sierra i Fabra, un autore spagnolo conosciuto quest’anno grazie a Mare di Libri. Libro uscito nel 2005 che mi è piaciuto molto, attualissimo, dove la mancanza di “attualizzazione” legata alla vita social degli adolescenti non toglie nulla al romanzo. Dimostrazione ovvia che un buon libro non ha data di scadenza. Immagino di essere banale, ma questo dettaglio come scrittrice mi interessa moltissimo. Come trovo terribilmente affascinante il Swedish Arts Council. È affascinante il fatto di poter scrive un romanzo sapendo di avere alle spalle un’agenzia amministrativa che, se il mio è un buon libro, lo propone con orgoglio fuori dei confini del mio Paese.

Non l’ho mai fatto prima, quest’anno ho scritto una storia partendo da un mio racconto e l’ho fatto su richiesta dell’editrice che aveva pubblicato il racconto. Uscirà a novembre o a dicembre. Ci ho pensato molto poi ho trovato la chiave di scrittura giusta per narrare quella storia. Ecco, la tranquillità di scrivere sapendo che il tuo romanzo (salvo imprevisti, ovvio) verrà comunque pubblicato rilascia una libertà e una serenità pazzesche. È appagante avere la totale fiducia di un editore.

In generale non amo questa modalità, però. Mi piace adrenalina del tuffo nel vuoto che è un nuovo romanzo per un narratore. La considero funzionale ed essenziale per la creatività dell’autore.

Quindi accetto la sofferenza (!) come parte del mio mestiere… però una passeggiata nel bosco, ogni tanto, invece di scalare sempre montagne, non è male!

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Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere – recensione di Livia Rocchi

Volto l’ultima pagina e penso “Sigh” perché “Se la tua colpa è di essere bella” di Giuliana Facchini mi ha portato indietro: per qualche ora l’ho letto e sono tornata al liceo. I rappresentanti di classe, le prime ore saltate, le verifiche che sembravano chissà che spauracchio, i voti che sembravano chissà che conquista, le poesie lasciate o ritrovate nel diario, i confini tra amicizia e amore ancora tutti da imparare, il confine tra giusto e sbagliato così ingannevolmente facile da tracciare, la complicità e le baruffe a momenti alterni… c’è proprio tanto di me (va be’, della me di xxnt’ anni fa 😲 ) in questo romanzo, e c’è anche tanto di una bravissima scrittrice che ho l’onore e la fortuna di chiamare amica. Quindi non sarò obiettiva, ma ve lo consiglio: se siete giovanissimi farete la conoscenza di un gruppo di vostri coetanei davvero speciali. Se siete giovanissimi di xxnt’ anni fa potreste rivedervi in quei ragazzi e ragazze speciali e magari vi verrà anche voglia di scoprire dove sono andati a finire e di ritirarli fuori, chissà.

Qui finisce la parte emotiva della recensione. Quella tecnica non ho voglia di farla perché sarei tecnicamente in vacanza 😜 ma una cosa la voglio dire. Poco tempo fa ho letto “Te la sei cercata” di Louise O’Neil, romanzo del momento che ha il tema principale in comune con il romanzo di Giuliana: violenza sulle donne e sue conseguenze nella cosiddetta era di internet. Pur prendendo spunto dallo stesso tema principale sono due storie molto diverse; una delicata, scritta in punta di piedi ma piena di fiducia nel futuro; l’altra cruda, scritta affondando il coltello e con un finale che lascia l’amaro in bocca ma, purtroppo, onesto da far male. Qual è il migliore? Non lo so e forse non importa. Quel che (mi) importa è notare come lo stesso tema possa dare origine a storie opposte ma ugualmente vere e a chissà quante sfumature nel mezzo. Tutto è già stato scritto, eppure tutto è ancora da scrivere. E per fortuna ci sono, anche qui in Italia, tanti autori che scrivono davvero bene.

Livia Rocchi

Editor e autrice di libri per ragazzi dal 2005, ha lavorato a molti progetti tra cui la serie Geostilton per De Agostini/Piemme, la serie di romanzi per preadolescenti “The Talent Angels” per Camelozampa editore. Ha collaborato a opere di saggistica tra cui “La metafisica di Harry Potter”, “Potterologia – Dieci assaggi +1 dell’universo di J.K. Rowling”, “Hobbitologia”. Dal 2012 si occupa di promozione della lettura tra i più giovani anche attraverso workshop di scrittura creativa a loro dedicati.

 

Questo blog è un mio diario, anche se in realtà è intitolato al mio cane Brik. È un album dove mi piace raccogliere foto, appunti, ricordi e bei momenti della mia vita professionale e non.

Che dire a Livia dopo aver letto la sua recensione del mio Se la tua colpa è di essere bella?

Che le voglio bene lo sa, che mi vuole bene lo so. Dico che è tanto bello camminare insieme in questo mondo della scrittura “per ragazzi” dove tra la maggior parte di noi non esiste competizione, ma amicizia. Che non vuol dire risparmiarci critiche, ma farcene di costruttive, che aiutano, che ti cambiano, che ti fanno crescere come persona e poi, forse, anche come scrittrice.

Grazie!

 

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I ragazzi che leggono

Non è una novità quanto io tenga ai miei lettori. Ai ragazzi che leggono. Quanto vorrei che avessero più voce e non solo a scuola. Vorrei che la lettura diventasse motivo di aggregazione come lo sono lo sport, il teatro per alcuni o magari il cinema. Eppure ci sono intoppi e vuoti e non sempre i libri giusti arrivano tra le mani dei ragazzi. Il gruppo di lettura per adolescenti, Leggere ribelle, a cui ho il piacere di partecipare  mi sta svelando un sacco di meraviglie e il mio cervello si è messo in moto per capire e migliorare la mia collaborazione.

Da un lato voglio proporre agli adolescenti bibliografie che non conoscono, ma che sono state apprezzate da tanti lettori della loro stessa età, e dall’altra voglio dare spazio alla loro voce in merito ai libri. Mi piacerebbe essere un tramite e un buttafuori-adulti insomma. I ragazzi al centro, dice questo libro che s’intitola Ci piace leggere!. Sì, ci voglio lavorare. Sto toccando con mano la bellezza di cui i lettori adolescenti sono capaci e non si può descrivere, né si può negare.

Noi adulti che scriviamo (o consigliamo libri) per ragazzi crediamo a volte di sapere cosa sia meglio per loro. Davvero lo sappiamo?

Ci piace leggere! risponde con semplicità. Questo libro scritto da ragazzi lettori è prezioso. È la testimonianza di un numerosissimo gruppo di lettori che sorregge un intero e unico festival letterario: Mare di Libri. Sono voci di ragazzi e si sente, come si vedono i ragazzi dietro al festival. Dei ragazzi bravi, organizzati, intelligenti come tanti ma uniti dalla passione per la lettura.

Ecco una frase del libro che vorrei fosse gridata a gran voce, che per me è un capolavoro.

“Cari scrittori non abbiate paura a raccontare il mondo così com’è, perché noi quel mondo lo abiteremo. Scrivete libri onesti, scrivete storie intense. E combattete perché vengano pubblicate.”

Direi che va stampata a lettere cubitali e ci va tappezzato il mondo dell’editoria in generale. Se fosse facile essere un romanziere saremmo tutti scrittori, ma non lo siamo. Chi scrive qui, sul blog di un cane, se lo domanda spesso se è una buona narratrice di storie; umile e onesta sì, ma buona? Una risposta non riesce a darsela.

Teniamo in grande considerazione la voce dei ragazzi, credo sia fondamentale. Ascoltarli è fondamentale se vogliamo scrivere non per loro: solo se vogliamo scrivere, a volte, anche di loro.

Se i libri non devono dare risposte ma suscitare dubbi e domande, anche scrivere è un percorso faticoso in cui le risposte sono sempre un passo avanti e non si riesce mai ad afferrarle.

Ci piace leggere! è da leggere!

Pieno, straripante, di spunti di riflessione intelligenti, poco comodi o davvero scomodi.

Insomma da non perdere per chi vuole ascoltare.

Un’ultima brevissima citazione che per me è l’ennesima sottolineatura (a matita); una necessità per scavalcare una naturale barriera generazionale che non va demonizzata ma solamente compresa “…vorremmo che le nuove tecnologie fossero descritte come parte integrate della vita di noi adolescenti, come sono ormai nella realtà”.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Se la tua colpa è di essere bella

Leggo i tuoi romanzi e ti dirò chi sei. No, non è così. Almeno non sempre. Per me sì, però, è vero.

Foto artistica dell’autrice, di Ste. (Mancano solo il cappello per le offerte e il cane perché sia fedele all’originale 😉 )

La voce di un autore è il suo libro. Non tutti gli autori riescono ad avere dei bei momenti d’incontro con i lettori. Sono scrittori, mica oratori. Per me l’Incontro con l’autore  nelle scuole, librerie o biblioteche è un momento importante di dialogo con i giovani lettori. Eppure a volte non sono riuscita a regalare agli studenti la parte migliore di me . Però so di averlo fatto nei miei libri sempre e onestamente.

Se non è solo mestiere parlare con i ragazzi, ma anche passione per i libri e per le storie, non può andare sempre alla stessa maniera.

Strano? Le emozioni non sono una scienza esatta!

E ancora: una storia nasce spontaneamente e certamente fissa nel tempo un pezzo di me. Scrittura e vita si mescolano, eppure non c’è nulla di autobiografico.

Ancora più strano?

Mi ritrovo ad ascoltare, emozionata, io per prima quella storia che arriva chissà da dove e che mi racconto da sola. Scriverla, per me, significa prenderne le distanze per provare a regalarla al lettore. Più facile a farsi che a dirsi. Infatti il difficile non è scrivere ma disciplinare quello che ho scritto. Trovare un senso, una direzione, un perché vale la pena condividerlo con i lettori. Insomma capire se è davvero una buona storia quella che ho scritto.

Il protagonista di Se la tua colpa è di essere bella è Valerio, un ragazzo di 16 anni. Pensa in prima persona, nel presente e scrive poesie d’amore (il titolo del libro è il titolo di una sua poesia). Nessuno potrebbe essere più diverso da me.

Parte di questa storia nasce dopo molti Incontri con l’autore per un libro: Chiamarlo amore non si può, una raccolta di racconti di cui uno mio. L’argomento è: la violenza sulle donne. Gli studenti quando sono invitata in una scuola si aspettano che faccia loro il predicozzo preparato per l’occasione a corredo del libro e cercano di non farsi coinvolgere in diretta. Lavorano a lungo dietro le quinte sul tema, con campagne pubblicitarie, video, cartelloni, ma in quel momento spesso tacciono. E taccio anch’io che i predicozzi non li faccio, preferisco leggere ad alta voce i racconti.

Eppure le mezze domande, i silenzi, le risatine, i cellulari smanettati di nascosto parlano. Gli occhi attenti parlano e io so ascoltare. In questo libro ci sono anche quei pensieri captati e a volte espressi timidamente a metà. Quegli accenni sinceri di discussione che escono dalle righe, che fanno la spia.

Sanno pensare i nostri ragazzi e assorbono la potenza costruttiva delle buone storie. Niente prediche ma romanzi, storie narrate in cui trovare spazio per poter pensare. Leggere lascia il tempo per pensare e immaginare. Quasi lo impone.

La mia necessità era far parlare Valerio. Pur essendo io lontanissima da Valerio, lo conosco bene. Perché è diverso da me posso raccontarlo onestamente, senza confondermi con lui. Anche Lavinia, se sono riuscita a farla vivere tra le pagine di questo mio romanzo, ha una bella voce, chiara, importante. Ne ho incontrate di Lavinia! E infine Carlos, forse quello più difficile, dall’animo complicato perché sono quasi certa incarni un bisogno segreto e innato e spesso negato di ogni adolescente: quello di avere degli ideali. Molto difficile.

«Lavinia è alta quasi quanto me. Ha i capelli lunghi, tra i quali spunta sempre qualche fiore vistoso».

Come sempre nei miei libri non c’è un tema solo, se per forza, per necessità editoriali, dobbiamo trovarlo il tema del romanzo. In realtà la storia di questo poetic guy  ruota attorno alla parola ingenuità riportata dalla curatrice anche in quarta di copertina (e di cui tacceranno sicuramente l’autrice). Ingenuità = Quello che fanno di buono i ragazzi lo fanno perché non ancora provati dalla durezza della vita. E noi adulti spesso ce ne stiamo arroccati dietro la paura che la loro ingenuità valga più delle nostre tremolanti convinzioni. La loro ingenuità può costruire un mondo migliore di quello che hanno trovato. È una legge di natura. Questo è il pensiero di fondo attorno al quale è nato il libro.  Un pensiero sempre fuori moda. I giovani d’oggi, quelli che si citano con tono critico e scuotendo il capo, ci sono sempre stati anche se a ogni generazione piace credere il contrario. #nonsolobulli #giovanimpegnati #braviragazzi #ragazzicheleggono

Questa mio romanzo è un’avventura lieve e impalpabile che si srotola tra le pagine come l’imprevedibilità della vita, tra durezza e dolcezza imperfette, fresca e delicata perché racconta la vita di tre adolescenti. Anime e corpi giovani, pronti ad affrontare il futuro con coraggio, arrogandosi il diritto di esserci e di avere una voce. Per fortuna.

Le poesie di Valerio sono scritte da Roberta Lipparini, alla quale va la mia affettuosa amicizia, la mia eterna gratitudine e la mia grande ammirazione. Grazie Roby.

Bugi e Roberta (Roberta è quella a destra nella foto 🙂 )

Se la tua colpa è di essere bella (cliccate sul titolo per leggere le specifiche del libro sul sito dell’Editore Feltrinelli) lo trovate dal 10 maggio 2018 nelle vostre librerie di fiducia, a La Feltrinelli o negli store online, in cartaceo o in e-book.

(Ricordate che sostenere con gli acquisti una Libreria Indipendente è come sostenere una preziosa specie in via d’estinzione. Evviva il World WildBook Found!)

Grazie per essere arrivati fin qui!

Buona lettura e fatemi sapere… per voi lettori ci sono sempre!

Sono qui 😉

Per saperne di più: Lettura di A. Starace

 Lettura di Carla Colussi

 Lettura di Livia Rocchi

Dal blog del Professor Pino Boero  

                                Segnalazione in TV minuto 6

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Contro l’inutilità delle storie

Ancora oggi una storia come quella dei Tre moschettieri conquista lettori e spettatori. La nuova serie tv e le recenti traduzioni del libro lo confermano. Mia madre ottantatreenne ricorda che da piccola la nonna le raccontava il romanzo di Dumas immedesimandosi e arrabbiandosi con quella maledetta di  Milady! Ai primi del secolo scorso gli spettatori si spaventavano nelle prime proiezioni del cinematografo e negli anni ’40 le radio erano a galena. Oggi I tre moschettieri è un libro che si trova ancora in libreria, spesso definito per ragazzi. Questo e altri classici rimangono i veri best seller, oggi che l’apparecchio radio non esiste quasi più e alla playstation si gioca in definizione 4K.

Giorni fa mi trovavo a cena con quattro adolescenti e una bambina. Due figli e tre nipoti. Unici adulti io e un’altra zia. Sono intervenuta nella conversazione un paio di volte e poi ho cominciato a fare quello che faccio di solito e cioè ascoltarli. È un mondo che mi affascina il loro, li seguo dai tempi ormai superati di facebook, li osservo e mi meraviglio e diverto. Sono brillanti e cambiano con una velocità impressionante. Io scrivo e il mio lettore ideale è un adolescente. Per il mio lettore ideale ho un grandissimo rispetto. Una volta ho sentito dire dai ragazzi: Basta fotografarci narrativamente nei libri! I vostri personaggi non saranno mai davvero come noi. Già, una grande verità e un colpo da ammortizzare per chi come me vorrebbe scrivere di e per loro. Dialogare con loro attraverso le storie. Non insegnare ma dialogare ed emozionarli.

Tra i responsabili dei fatto che i ragazzi leggono poco ci siamo noi scrittori e le nostre storie, ne sono convinta. Alcuni di noi sono ancora persuasi che i libri servano ad educarli e che i ragazzi non meritino la lettura dei romanzi in quanto tali. A volte è un educare subdolo, travestito, non facile da riconoscere per gli adulti, ma che i ragazzi fiutano subito. Non ce lo dicono lasciandoci l’illusione di aver scritto un bel libro, ma loro sanno. I ragazzi non si sprecano a parlare con gli adulti che non vogliono ascoltare, consapevoli che sia fatica inutile. E loro non faticano senza motivo.

Tra i ringraziamenti dei libro “Da quando ho incontrato Jessica” l’autore Andrew Norriss  scrive: “Al mondo ci sono due tipi di scrittori: quelli che si siedono e iniziano a scrivere senza avere in mente un’idea precisa di dove possa portare la loro storia e quelli a cui piace pianificare tutto prima d’iniziare. (…) Io faccio parte dei pianificatori ma nutro una segreta ammirazione per quelli che riescono a buttarsi in una storia, scrivere migliaia e migliaia di parole confidando solo nel fatto che il loro intuito artistico riuscirà a tenere le fila del discorso e a produrre un risultato finale soddisfacente. È una tecnica, lo so, in grado di tirare fuori il meglio o il peggio della scrittura, ma io l’ho provato soltanto una volta in vita mia – e questo libro ne è il risultato.” E che libro, aggiungo io. Mi ritrovo tra i primi, i non pianificatori, e mi ritrovo perfettamente nelle parole di Norriss. Questo libro non cerca personaggi adolescenti da fotografare, anche perché gli adolescenti cambiano e si adattano così velocemente ai cambiamenti che ogni fotografia narrativa sarebbe già vecchia all’uscita del libro che la contiene. No, questo libro parla di problemi attualissimi con un linguaggio contemporaneo. È un romanzo. L’empatia c’è con il lettore non perché lo scrittore cerchi di immedesimarsi nei protagonisti adolescenti, ma perché guarda quello che guardano loro. I protagonisti e lo scrittore osservano lo stesso problema sociale, lo affrontano insieme, come persone distinte che possono anche arrivare a conclusioni diverse. Non risposte, ma domande. Non soluzioni statiche, ma fluidità. Non cercare di addomesticare/educare il lettore lo considero una forma di rispetto e una buona possibilità di scrivere romanzi che restino nel tempo e sappiano dialogare con il lettore, emozionarlo.

Alcuni scrittori non leggono (sembra strano ma è così), io leggo e i bei libri mi aiutano a capire me stessa e le mie storie. Le vie da esplorare per narrare in un romanzo e quello che non devo e non voglio proprio fare.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

Chi ha paura di Babbo Natale?

Archivio e faccio bilanci. Sempre. È un vizio. E quest’anno, per l’articolo natalizio, vado sul personale.

Da ragazzina volevo fare l’attrice, sì sono stata un’undicenne folgorata su una poltrona del teatro Brancaccio di Roma; all’università scoprii il cinema, il dietro le quinte del cinema e il montaggio cinematografico: se le immagini sono la voce di un film il montaggio ne è il timbro; poi scoprii l’amore, che non ha nulla a che fare con il banale colpo di fulmine, l’amore gratuito che t’insegna a dare senza ritegno e i viaggi che però mi hanno accompagnato per tutta la vita, fino a tre anni fa. Quindi le storie prima raccontate e poi scritte.

C’è un filo conduttore nella mia vita che è il pozzo creativo e la ricerca di un’espressione che sia mia, che mi si adegui. Ho paura a definirmi scrittrice, non ho il dono di saper scrivere, ho solo imparato. Non so cantare, dipingere, scolpire. Mi piaceva scrivere sceneggiature, perchè sono un mezzo, non il prodotto artistico. Sono sempre stata creatività dirompente intrappolata in un corpo e un intelletto incapaci di assecondarla.

Dunque, infine (dai 40 ai 50 si può dire), ho vissuto tra le storie e nel mondo che le circonda con editori e scrittori, quelli bravi che conosci sui libri e a volte anche di persona. E i dubbi, la ricerca di una strada, la solitudine e gli abbandoni che ti scuotono e destabilizzano ma indiscutibilmente ti rendono viva e reattiva.

Quindi mi sono data le MIE regole, che come tutte le regole possono essere ignorate o svalutate ma restano.

Cara mia, mi sono detta, vedi di non dimenticare che…

sei una scrittrice solo quando un lettore (ragazzo o adulto che sia) ha scelto il tuo libro dopo essere entrato in una Libreria (virtuale o meno). Tra altre ha scelto la tua storia. Senza scuse, senza false illusioni o compromessi: questo è un dato di fatto.

Scrivere è durissimo e ci vuole coraggio e forza per lottare per le proprie storie; ci vuole umiltà e capacità di ricominciare, di cadere e di rialzarsi. Una scrittrice è una combattente, altrimenti è scrittura redazionale, non creativa. Scrivere per te è: non-aver-potuto-far-a-meno-di-immaginare quella storia e cercare di adoperare le parole giuste per raccontarla.

Scrivere significa mettersi a nudo, senza pudore, anche se sei brutta.

Scrivere è non riuscire a capire da dove arrivano le tue storie.

Non si costruisce un autore-personaggio ma un libro che non ti appartiene, che diventa del lettore perché è la sua immaginazione a far esistere la tua storia. Altrimenti rimane morta, sulla carta. Nei libri c’è totale libertà e questo deve far paura allo scrittore. Ti deve far paura.

Se negli anni a venire continuerò a rispettare queste regole con frutti economicamente dignitosi come quest’anno, avrò trovato il nome per il mestiere che faccio. Quel mestiere bellissimo che spaccia sogni per far sedimentare esperienze non vissute ma vive, che dona libertà e spirito critico e che migliora con il tempo come il vino buono.

Tutti abbiamo bisogno di alimentarci di emozioni: possiamo farlo con i pochi minuti di una canzone, con un paio di ore di film e con il tempo a lievitazione lunga dei libri, muri portanti sempre, in epoca digitale o analogica che sia. Essere il creatore di un piccolo sassolino di quei muri è uno sporco lavoro. Non è lavoro per chi è vanitoso, belloccio, ordinato e coordinato. Ci s’imbratta, ti manca  spesso il respiro, i muscoli dolgono e si passa per troppe vite per uscirne indenni. Eppure un buon libro è come un lavoro ben fatto e dà soddisfazione vederlo in giro. Ti avvicini orgoglioso agli scaffali in libreria, lo guardi con fare indifferente come se non fossi tu ad averlo scritto. Sei in incognito anche quando ascolti le critiche o gli elogi o le letture che tu non hai mai neanche immaginato.

Chi ha paura di Babbo Natale? Chi è Babbo Natale? E’ qualcuno invisibile.

Solo se non hai paura di essere invisibile puoi essere uno scrittore o una scrittrice. Me lo ripeto spesso.

Auguri!

Le mie storie (fino ad oggi!)

Una storia che parla d’amore

Una storia che parla di sogni

Una storia che parla di sfide

Una storia che parla di misteri

Una storia che parla di poesia

Una storia che parla di confini

Una storia che parla di avventura

Una storia che parla di coraggio

Una storia che  parla di difficoltà

Una storia che parla di amicizia

Una storia che parla di dolore

…e se sei arrivato fin qui: Buon Natale e Felice Anno Nuovo!

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

Ho incontrato un poeta

Caro Roberto Piumini,

voglio ringraziarti. Non l’ho fatto subito perché sono lenta e alle consapevolezze arrivo sempre un po’ “dopo”.

Sono venuta al laboratorio ICWA di sabato scorso senza aspettarmi nulla e quindi rilassata.

So, perché lo hai detto tu, che questo genere di laboratori li tieni anche nelle realtà disagiate del Paese, con bambini e adulti. Loro producono dei materiali che provengono dal loro territorio o da loro stessi e tu li fai diventare poesia. Questo, perché possano guardarsi come in uno specchio con i tuoi versi. Insomma è un modo per aiutare le anime a salvarsi.

Nel tuo laboratorio ci hai chiesto di creare su un foglio delle immagini, di non raccontare, di non usare parole, di gettare sulla carta emozioni legate a un tema (per me Folla). Immagini che tu poi avresti tradotto in poesia. Lo abbiamo fatto con un gruppo di lavoro, ma in fondo anche singolarmente. In uno spazietto io ho ritagliato un grosso cruciverba da una Settimana enigmistica e l’ho sminuzzato, ho stropicciato i pezzettini di carta, li ho ben bene maltrattati e poi li ho incollati vicini, sovrapposti, scomposti. Mi sono sporcata le mani di colla mentre disponevo brandelli di carta non a caso, seguendo dei comandi precisi che arrivavano da me, ma che non ordinavo io.

Da quella parte del cartellone/immagine tu hai tratto due versi:

“la gente cruciverba,

(non fu, anche il Primo, in croce?)”

Versi importanti e bellissimi.

Durante le successive fasi del laboratorio nelle quali ci siamo confrontati e spiegati hai detto che attraverso l’immagine della gente cruciverba, funzionale al testo poetico, volevi arrivare all’immagine di Cristo e non viceversa.

Da anni mi metto in discussione. Mi sono capita e ritrovata nel percorso del tuo laboratorio di poesia. La scrittura nei suoi contenuti, per me, rimane un percorso creativo. Quando scrivo, racconto una storia verso la quale ho solo un ruolo servile, pur essendo io stessa a crearla non so né da dove e né come nasca (esattamente come la disposizione dei pezzettini di carta di cruciverba). Eppure dalle mie storie i ragazzi sono arrivati a concetti importanti (forse non come Cristo) e me li hanno svelati.

Si può essere diseducati nei contenuti dello scrivere, forse la creatività non è educata e se in qualche modo educo con un romanzo non lo faccio apposta. Forse non sono abbastanza brava, forse è un’idea deviata della scrittura la mia, ma mi sono riconosciuta ed è un buon punto di partenza o almeno un sollievo per me. Grazie.

Scrivo per ringraziarti, ma scrivo anche per non dimenticare. Dopo averla inviata a te e dopo il secondo laboratorio ICWA per non spoilerare, metterò questa lettera sul mio blog (dove di solito è un cane a parlare) perché lì ci sono io.

Con gratitudine,

Giuliana

(domenica, 15 ottobre 2017)

 

Pubblicato in: Pensieri canini

Zuffa di sera, bel tempo si spera

Grosso meticcio a ore nove, Rottweiler a dritta e alle spalle un Labrador. Ad agosto stare in campeggio per noi cani non è uno scherzo. Gli umani non capiscono niente, ci mancano di rispetto. Il nostro naso è tormentato da infiniti messaggi odorosi diversi, il nostro istinto vorrebbe mettere ordine: stabilire gerarchie, allontanare i provocatori, identificare i reietti ma non è possibile. Infiniti guinzagli ci inchiodano in un quadrato di terra, senza neanche una recinzione a dare un senso alle nostre frustrazioni. Mi domando se sia questa la domesticazione…

Giorni fa, in val di Fiemme, abbiamo incontrato tre simil-border liberi nei campi lungo la strada. Mi hanno individuato da lontano e mi sono venuti incontro. Erano tipi montanari, tutto muscoli e lotta per la sopravvivenza. Zuffa di sera bel tempo si spera, mi sono detto. Poi mi sono ricordato di essere al guinzaglio e che dall’altro capo mi trascinavo la Umi* che è una che raccoglie le deiezioni e sfila orgogliosa davanti ai forestali nel bosco con me al piede. Niente zuffa, mi sono detto, buttarla a terra con uno strattone mi dispiaceva. Allora ho sentito la Umi dire: Richiamate i cani, per favore.

Lei chiede sempre per favore. Come se qualcuno facesse mai un favore a qualcun’altro che non sia se stesso. Lei è così. La trattano male e si avvilisce: non riesce a capire le cattiverie. Non ci arriva. E’ scema.

I cani da pastore mi hanno guardato e io ho bloccato la coda ritta in alto, ferma come una mezzaluna dal pennacchio bianco:  sarò pure al guinzaglio ma non ho la museruola ragazzi, intendevo dire a chiara coda. Il contadino, il capo di quei tre rozzi, era grosso, indossava una giacca vecchia e un cappello calato fin sugli occhi. Quello che della sua pelle si vedeva era del colore della corteccia degli alberi, scuro e rugoso. Ha fatto un sibilo che la Umi non ha sentito, ma che mi ha trapassato il cervello. Io non muovevo un muscolo tenendo d’occhio quei tre, ma loro si sono ritirati e hanno riparato accanto al loro grosso umano. Si capiva che si sarebbero divertiti a farmi a pezzi, ma avevano rinunciato. Lui era la mano che li sfamava dopo ore di guardia o di lavoro tra le pecore o le mucche, chissà. I tre gli scodinzolavano attorno, c’era un patto tra loro: tu mi sfami, io ti obbedisco, ‘fanculo la libertà!

Un classico, ma lo ammetto, un patto è più bello di un guinzaglio.

Io sono rimasto immobile, con un’orecchia e mezza dritte e lo sguardo attento. La linea del mio corpo elegante non aveva nulla a che fare con quei tre, la mia intelligenza da blogger, la mia convivenza con una scrittrice facevano di me un animale diverso. Sono sempre un cane, ma vuoi mettere?

Alcuni di noi cani lavorano nelle fattorie, altri praticano sport e parecchi fanno da badanti nella case degli umani. Poi ci sono io che sto con la Umi e penso che patto o guinzaglio la vita sia sempre un compromesso e, ‘fanculo la libertà, io proteggo la Umi che degli umani non ci si può mai fidare.

Concludo con un consiglio letterario non occulto né disinteressato (se lei vende io mangio): l’ultimo libro della Umi: UN’ ESTATE DA CANI che purtroppo non è la mia autobiografia, ma è strepitoso ugualmente. Abbaio mio!

 

 

 

(Umi= Umana di Riferimento, in questo caso Giuliana Facchini, leggi anche Spieghiamoci… per capire meglio! nda)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Per fare uno scrittore ci vuole un mare…

Sono le 5:53 e apro gli occhi. Sono tornata ieri sera dal festival Mare di Libri e questa non sarà una cronaca, ma un viaggio di pensieri. Non la farò breve. Perché un’autrice di narrativa per ragazzi (o presunta tale) dovrebbe essere spettatrice a un festival come MdL? Da bambina cercavo spesso a scuola o alle feste un posticino per osservare  quello che accadeva intorno a me. A MdL chi scrive per ragazzi può trovare un posticino (magari in penultima fila) per osservare autori e ragazzi dialogare. Un privilegio.

E’ un festival fatto dai ragazzi, questo è importante e si sente. I ragazzi sono loro stessi a MdL, è come quando le maestre lasciano esprimere liberamente i loro alunni e vengono fuori disegni sghembi e imperfetti ma veri.

Ho seguito una serie di eventi, ovviamente non tutti, e per primo Aidan Chambers, uno scrittore inglese ottantatreenne pluripremiato e consacrato da critica e lettori. Mrs Chambers, che sui jeans indossa la magliettina del festival, tiene una lezione serissima e densa di concetti importanti con leggerezza e umiltà disarmanti. Lui è al servizio delle storie e dei lettori. I ragazzi lo applaudono con affetto come fosse una star della musica pop (ragazzi adolescenti che urlano “bravo” a un 83enne? Stupitevi, è successo). Lui ha ha scritto libri di ineguagliabile originalità e forza narrativa, è un formatore e potrebbe divertirsi e gigioneggiare, ma non lo fa. Tiene una lezione in piena regola. Non spreca l’opportunità di essere davanti a dei ragazzi che rappresentano il futuro di tutti noi e non li sottovaluta.

Ecco la prima rigorosa lezione del festival.

Poi arrivo in sala, dove a parlare ai ragazzi è Bruno Tognolini e il registro cambia, ascolto il ritmo  originale del poeta, il poeta che è l’essenza delle cose e della natura.

“Ascolta, ascolta, il vento sta parlando” disse Giovannino chinando la testa da un lato “dici davvero che non saremo più in grado di udirlo quando saremo grandi, Mary Poppins? “Lo udirete benissimo” disse Mary Poppins “ma non lo comprenderete.”

Questo scriveva Pamela Lyndon Travers e Tognolini va oltre: Tu sei tutti e tu sei tu. Sono le rime che ci rimangono in testa ne Il giardino dei musi eterni e raccontano che facciamo parte di un tutto sebbene siamo individui. Il poeta Tognolini con quel suo modo speciale di raccontare parla di quelle donne e quegli uomini che si dichiarano madri e padri dei propri cagnolini. Non li deride, né si scandalizza. Con l’umiltà dell’uomo che si guarda attorno e si sente una piccola parte della natura e del tutto,  accetta quella paternità o maternità differita. Già, perché: Tu sei tutti e tu sei tu.

Il mio festival continua con Cristopher Vick che ho apprezzato quasi più del suo romanzo. I ragazzi non leggono storie d’amore a differenza delle ragazze e lui invece ne scrive. Bella la sua capacità come uomo di svelarsi davanti ai suoi lettori. Le scrittrici lo fanno con facilità, gli scrittori no. Pongono dei filtri, non si raccontano sempre sinceramente nei libri attraverso i loro protagonisti maschi per essere letti da lettori maschi. Vick lo fa e come lui pochi scrittori lo hanno fatto. Vick l’ho visto ascoltare gli incontri dei colleghi, attento e interessato. Anche questo non è da tutti.

Arrivo finalmente da J. Teller, l’autrice di Niente e ho la conferma che dietro un grande libro c’è una gran bella persona. Lei si pone e si è posta delle domande, che tutti dobbiamo saperci porre, partendo da: Non c’è niente che abbia senso, è tanto tempo che lo so. Perciò non vale la pena di far niente, lo vedo solo adesso. (dalla prima pagina del libro). La Teller è una donna disponibile eppure ferma, dalla grazia nordica. Mette subito in tavola un pensiero che ritiene scontato (ma io credo non lo sia): I ragazzi devono avere i loro segreti (un pensiero a doppia lama che terrorizza molti di noi adulti). E’ fondamentale per diventare individui e non restare cuccioli a vita. Racconta che ha scritto il libro in due settimane, ma ci è voluta una vita intera per prepararsi a farlo. E parla di onestà. Uno scrittore deve essere, tutti noi dobbiamo essere onesti. E’ facile e comodo chiudere gli occhi e rimanere aggrappati alle nostre convinzioni senza mettersi in discussione.  Ecco il suo romanzo e la sua storia di persona. Anche Jennifer Donnely e Kenneth Oppel nei libri mettono loro stessi. La novelist newyokese Donnely (che adoro) con tocco squisitamente statunitense racconta che si mette in ascolto dei personaggi delle sue storie. Personaggi che arrivano dal passato per aiutarci/la a capire il presente. Con ironia parla di una sorta di seduta spiritica e poi Oppel dice di se stesso e di quanto di lui ci sia nel protagonista del suo libro.

J.Donnnelly

Ecco l’onestà dello scrittore che scava in se stesso e attraverso le pagine dei suoi libri si dona al lettore. (Lo so, suona un po’ alla Grotowsky! Sarà l’amore per il teatro che non esaurisce mai!) Tutti possono scrivere ma non è scrivendo che si crea un romanzo. Pagine di emozioni che attivano sentimenti e ci  lasciano inevitabilmente diversi quando finiamo di leggere, non possono essere facili e scontate da scrivere. Sono un percorso che scorre parallelo alla nostra vita.  E forse come Tognolini ha sottolineato… ognuno di noi scrive di quello che gli manca, di quello che sogna di essere o creare.

Una cosa buffa del Festival è stato veder firmare il programma di MdL da alcuni autori su richiesta di ragazzini o genitori. Non avevano il libro, immagino. Insomma una bella copia del fogliettino strappato dal quaderno che nelle scuole spesso gli alunni fanno firmare agli autori (sì, anche a me) quando non hanno comprato il libro.

Ce la facciamo a capire che il valore sta nel libro con o senza firma dell’autore, ma la firma dell’autore senza il suo libro è ben poca cosa?

MdL per me è stato anche la colazione piena di dolci fatti in casa dalla proprietaria dell’albergo dove alloggiavo, la piadineria del borgo e il mare dove lascio sempre scivolare i pensieri sul pelo dell’acqua come fossero le tavole da surf di Vick; sono state le lacrime alla fine della proiezione di Una vita da Zucchina; è stato la lettura di alcuni brani di libri scelti dai ragazzi fatta da Lella Costa con grande bravura o il cortile della biblioteca dove ho ascoltato Silvia Vecchini e l’attrice Alessia Canducci, alle undici di sera,  raccontare una fiaba della buona notte. Era una fiaba dei fratelli Grimm, una Cenerentola che non lasciava dormire sonni tranquilli.

Ma vogliamo davvero dormire sonni tranquilli?

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Ragionando di un cane di nome Brik...

Come convivere con un cane stalker e con l’arte di non saper cucinare

I border collie sono cani dalla forte personalità e dall’appetito insaziabile. Brik oltre a essere insaziabile ha un gusto da chef 5 stelle. La mia vicina di casa è un’ottima cuoca, io no. I suoi profumini sono da sempre una condanna per la mia famiglia. Brik aveva accuratamente scalzato un tratto di rete di recinzione tra le nostre case e si presentava a pranzo e a cena dai vicini. I cani dei vicini avevano sempre nelle ciotoline piccoli assaggi di manicaretti: penne al tonno, polpette, salmone alla griglia, ma i border sono veri assaltatori e i poveretti non facevano a tempo a mettere il muso nelle ciotole che un ladro gentilcane già se ne stava tornado a casa leccandosi i baffi.

Di comune accordo, per mantenere saldi i rapporti di buon vicinato abbiamo sostituito la rete di recinzione con una ben ancorata al terreno e alta un metro e ottanta. Brik ha studiato la questione a fondo, ha misurato a lunghe falcate la nuova recinzione, si è alzato sulle zampe per verificarne l’altezza. Ha fatto i suoi calcoli: il tempo di scavalcamento superava di gran lunga la permanenza dei manicaretti nelle ciotoline. I  cani dei vicini sono lenti, non fessi.

Brik ha cambiato tattica. Si mette in posizione strategica in modo da fissare attraverso le maglie della rete il tavolo da pranzo dei vicini che con la porta finestra aperta è perfettamente visibile. Tenta la strada dell’ipnosi e funziona. La vicina cede e si alza a portagli un bocconcino. Lui sbava e la guarda riconoscente (che se lei non ci conoscesse potrebbe chiamare la protezione animali tanto sembra affamato). La vicina gli porta pezzettini di formaggio e lui ama il formaggio. Ogni pasto un po’ di formaggio. I border sono imperiosi nel governare le proprie pecore. Sulle prime con un mezzo abbaio richiamava l’attenzione dei commensali vicini di casa, adesso abbaia imperioso che si alzino a foraggiarlo di formaggio.

Prima ero imbarazzata che se ne andasse a suo piacimento dai vicini, adesso che usi ad arte la tecnica dello stalking.

Oggi il profumo che arrivava dalla casa accanto alla nostra era da alta cucina e la pasta al pomodoro nei piatti dei miei figli faceva una magra figura. Si sono guardati, i figli, e poi hanno guardato Brik. Credo desiderassero essere border collie.

 

English versione:  How to survive to a stalking dog and the art of being unable to cook

 

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Un’estate da cani… come nascono le storie!

Questa storia è un racconto scritto in prima persona da Ginevra. Lei non è una scrittrice e non si tratta di un diario. No. Questa storia nasce per raccontare che scrivere può essere utile. Enigmatica?

Chi ha letto Io e te sull’isola che non c’è, sa che Lucia scrive una storia dove succedono cose terribili alla sua odiata nemica. Su un foglio bianco tutto può accadere e così Lucia sfoga la sua rabbia e il suo odio. Ginevra scrive per un altro motivo. Un motivo ben preciso. Trovo affascinante poter fermare sulla carta le emozioni senza dover necessariamente essere scrittori. E’ una fotografia del nostro stato d’animo. Rileggere quelle righe anni dopo, come guardare una foto, ci racconterà chi eravamo.

Un ragazzo una volta mi chiese se la sua vita sarebbe diventata come quelle dai suoi genitori: andare a lavorare, fare figli e pagare le bollette. Io gli parlai di sogni.

In questa storia si parla di sogni. Sì, quelli che ognuno di noi ha; non esistono uomini o donne senza sogni. Alcuni credono che i loro sogni siano andati distrutti, altri pensano di non averne perché li hanno dimenticati. Quello che ci piacerebbe realizzare della nostra vita è il motore che ci anima, certi motori borbottano, altri ronfano e alcuni di noi sono sordi, ma il motore batte e pulsa volendo o non volendo.

I sogni sono la linfa vitale di cui si nutrono i ragazzi, ma alle volte gli adulti ce la mettono tutta per disilluderli, di questo racconta Un’estate da cani, di chi non vuole rinunciare al proprio sogno.

“Un vincitore è un sognatore che non si è mai arreso” diceva Nelson Mandela.

“Cosa vuoi diventare da grande? Felice” Risponde Thomas ne Il libro di tutte le cose di G. Kuijer

Ecco, chissà, forse vincere vuol dire trovare la propria felicità.

Orchidea è una bellissima Levriera che Loredana e la sua famiglia hanno adottato raccontandomi poi la sua storia.

Si parla anche di cani, sì ancora. Degli ultimi, quelli di cui proprio non importa a nessuno. Ci sono persone che si occupano di loro e mi pare bellissimo. Certo ci sono ingiustizie ben peggiori, ma sono convinta che di amore ce ne sia per tutti. Anche per gli animali e l’ambiente e senza far torto a nessuno. Io sono per includere e non escludere.

Infine, in questa storia, c’è un’omaggio a mia madre da sempre incallita giallista. Dei suoi racconti mi nutro io, che i gialli non li amo. Mi accompagnano da sempre nomi come Christie, Stout, Queen, Grisham, Camilleri, Patterson, Cornowell… serial killer e patologhe mi inseguono da sempre e non poteva tutto non confluire in un mitica Cena con delitto!

Ultima nota: Marisol esiste davvero. Non so se si chiami così, ma l’ho vista in ospedale mentre aspettavo di fare una banale visita specialistica. Lei era qualche metro più avanti e per rilassarsi faceva degli esercizi di respirazione in piedi, tra il muro grigio e la finestra. Era molto discreta, forse la notai davvero solo io e m’incantai a guardarla. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei e dalla sua figura luminosa. Cominciai a respirare come lei.

Le storie siamo noi.

Buona lettura e fatemi sapere!

Trama e dettagli su LIBRI DI GIULIANA FACCHINI

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

La mia – Children’s book fair 2017 – festa del Libro per ragazzi!

La mia settima fiera del libro per ragazzi è stata un po’ una festa. Non è mancato nulla: i libri belli, gli autori speciali, gli eventi importanti e la stanchezza di fine giornata. La comunità dei libri per ragazzi è ben assortita e alla fine ci si conosce e ci si apprezza un po’ tutti, famosi e non famosi. Librai, bibliotecari, blogger, insegnanti, autori, illustratori e editori che amano i libri si annusano tra loro e si riconoscono, ne nasce una bella confusione di abbracci. Quest’anno non sono mancate le emozioni;  vedere commosse delle giovani editrici che dopo anni sono riuscite a portare in Italia un capolavoro degli albi illustrati internazionali, dice tanto. Perché tanti credono in questo lavoro strano che sta in precario equilibrio tra il raccontare e il formare, che non vuole educare i ragazzi ma che manda inevitabilmente tanti messaggi. Bello perdersi tra contest, premi e illustrazioni, ma bello guardarsi in faccia tra noi che per i ragazzi scriviamo, leggiamo,  a volte lottiamo per le storie. Promuovere la buona letteratura contemporanea per ragazzi e adolescenti non è facile, stereotipi e marketing stanno loro con il fiato sul collo e noi che raccontiamo storie non abbiamo altre armi se non il coraggio della fantasia e della buona scrittura.

In fiera quest’anno ho firmato un contratto per un libro che amo e che uscirà a maggio. Un altro mio sguardo sugli adolescenti, ancora la mia voglia di raccontarli senza mettermi al loro posto, anche se un po’ vorrei starci nonostante tutto. E avrò una nuova fantastica copertina d’autore perché un libro racconta una storia, ma ha anche una sua storia.

Mi piace molto scrivere pensando ai ragazzi e mi piacciono le persone, gli altri, quelli che incontro. Amo le relazioni e i lunghi discorsi o i lunghi silenzi amici.

Nella mia scatola di ricordi della Book Fair 2017, a guardar bene, tra l’altro, TROVO un’ amica con la quale ci eravamo ripromesse di vederci in fiera e con la quale ci siamo rincorse per una giornata. Io non sento il cellulare, richiamo e non sente lei e poi ognuna ha il suo da fare e alla fine ci parliamo per telefono: lei dal divanetto della sala stampa, io dal bar degli editori stranieri; TROVO una conversazione preziosa, avvenuta in piedi, nel corridoio tra gli stand, che quasi mi spuntavano le lacrime per l’emozione. Non sentivo la confusione attorno ma solo quelle parole personali e intime regalate per costruire amicizia o, chissà, forse solo per generosità; TROVO l’incontro con un’amica di coda&penna (i conigli hanno la coda corta) verso la quale sono andata a braccia aperte, scioccandola poichè una veneta è sempre più sobria di una romana; TROVO la pausa dal lavoro di un’altra amica, rubata solo per poterci guardare in viso e scoprirci proprio come ci eravamo immaginate di essere; TROVO le parole di una persona che mi ha letto dentro e trovo due occhi azzurri che mi hanno lasciata senza respiro, sapevo che gli occhi di quell’amica erano azzurri ma non credevo fossero chiari e luminosi come le sue parole. E poi c’è molto altro, come i contatti di lavoro a cui sono sinceramente affezionata.

Insomma si è forse capito che la mia umanità si costruisce con gli incontri e con la polvere di grafite magica che ne ricavo scrivo pagine di vita che non producono reddito ma emozioni. Sono quelle a scrivere le storie al posto mio.

E così vado verso la book fair 2018…

Matilda Editrice – tavolino e sedia illustrati

City by Federico Penco finalista silent book contest 2017

Astrid Lindgren Memorial Award

Nicky Singer ospite ICWA alla book fair 2017

Libri animati – mostra

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo, Fiutando Libri!

My beta readers!

16002852_1492041067487634_717025586844957025_nOggi mi è successa una cosa fantastica, una di quelle cose che mi fanno amare alla follia il mio mestiere. Ho appena terminato di scrivere un romanzo young adult. Ecco, di solito quando termino una storia la mando in lettura ad alcune beta-reader di cui mi fido. Ne ho beccate due libere e una di queste ha una figlia diciassettenne. Il romanzo gira in pdf sul tablet e la ragazza lo ha trovato. Lo ha letto (d’istinto, di sua iniziativa) e poi mi ha scritto su whatsApp …dal cellulare della madre?!
Dice che “non è delusa dalla mia storia”, anzi si complimenta; che ha fatto lo screenshot di qualche pagina e ha segnato delle note per me sul suo cellulare. Dice che, però, i suoi le hanno sequestrato il cell e hanno cambiato la password del wifi, quindi mi girerà tutto appena appena possibile. (…non è grandioso? I ragazzi sono fantastici!)
Ovviamente il romanzo avrà il giudizio anche del diciannovenne e del ventiduenne di casa (uno farà il pelo e il contropelo anche alle virgole e l’altro salverà solo il salvabile – sono due editor crudeli).
Si può essere più fortunati di così? Si può chiedere di più quando si fa della scrittura il proprio mestiere?
Sappiate che lavoro sul campo, le mie storie sono in prima linea e mi piace da matti!

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Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali, Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Non crediamo più nelle storie?

foto-specchioQuest’anno il post natalizio è un po’ così. In realtà si tratta di una mia riflessione.

Le storie ci hanno tenuto compagnia dai tempi più antichi, hanno affascinato generazioni di bambini, ragazzi e adulti. Le ultime storie sono state quelle dei nonni o quelle raccontate mentre la sera nelle stalle ci si scaldava facendo filò. La narrazione orale ha trovato l’immortalità nella scrittura, i libri fissano le storie come il cinematografo ha fermato sulla pellicola il volto senza età degli attori. Oggi le storie non le racconta quasi più nessuno e pochi leggono i libri, ma riconoscendone il valore, le storie sono finite a scuola tra i banchi, prima o dopo la ricreazione.

Che bello!

Insomma.

Ci sono ancora i narratori? Sì, i narratori per bambini ci sono e la bellezza delle loro storie arriva in albi meravigliosi e in splendidi libri illustrati. Eppure non sempre raggiungono i bambini. Tranne il nobile lavoro di alcuni lettori volontari, a scuola quando arriva un autore si fa un “laboratorio”.

Che vuol dire? Che non si ha fiducia nella “storia”. Se si teme che questa non possa catturare i bambini la si imbriglia in altre attività: disegno, fumetto, teatrino, canzone.

Vuol dire che non è una buona storia allora, oppure che non si crede in essa. Oppure che non si credono i bambini capaci di ascoltare. Ma l’ascolto come la scrittura sono abilità e vanno esercitate. Se non crediamo nelle nostre storie e non crediamo nei bambini,  dovremmo cambiare mestiere.

Quando i bambini crescono, a scuola i libri diventano sempre più spesso un ausilio per lo studio, per l’educazione civica e quella sociale. Raramente per l’educazione ai sentimenti. Sono, a volte, il prolungamento di personalità autoriali affascinanti che diventano fulcro al posto delle storie. Giornalisti, storici, naturalisti non devono mancare tra i ragazzi e gli adolescenti, ma loro raccontano la Società, la Storia, la Natura, non “storie” (salvo eccezioni).

Non dobbiamo dimenticare che un buon libro ha il potere di istruirci empaticamente alla vita, perché allora proprio ai ragazzi e agli adolescenti arrivano più manuali che storie? Perché ostinarsi a spiegare concetti invece di lasciar vivere e sperimentare nelle storie?

Un buon libro che conquisti, emozioni e lasci ragazzi e adolescenti realmente affamati di altri libri, non arriva così facilmente tra le loro mani, nonostante gli eventi di promozione della lettura, i buoni librai e bibliotecari. Questo non perché manchino buoni narratori, ma perché non si crede più nelle storie, nel loro potere assoluto.

Un autore di libri o un illustratore tra i ragazzi e gli adolescenti dovrebbe essere sempre al servizio della sua storia, non viceversa, e sarebbe bello portare nelle scuole solo la passione per le buone storie, null’altro.

Se spacciamo buoni libri, questi creeranno dipendenza.

Capisco che vendere è il primo obbiettivo di una casa editrice e di un autore, ma come dimostrato fuori dal nostro Paese, se abbiamo fiducia nei nostri ragazzi e scriviamo buone storie facilmente arriverà anche la tranquillità economica.

Si cercano, invece, secondo me, delle scappatoie; è faticoso scalare una montagna, meglio girarci attorno, ma così facendo non sapremo mai cosa si prova quando si è in cima. L’aria fredda e tersa, il cielo di un colore indescrivibile, il grido dei rapaci, i mughi piegati, lo sguardo incerto di un camoscio, il nostro respiro che entra in sintonia con il silenzio.

Torniamo ad avere fiducia nelle storie e nei ragazzi, daremo vigore ai libri e creeremo lettori forti che sapranno costruire il loro domani con coraggio. Le storie non sono salvifiche più di qualsiasi altra forma d’arte, ma aiutano tutti noi a scegliere chi vogliamo essere in una società che ha conquistato la globalizzazione e la capacità di ignorare la sofferenza degli uomini, degli animali e della propria terra.

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AUGURI!

 

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

I dolori di una non più giovane narratrice di storie

E’ accaduto, accade. Succede che un’idea ti ronzi per la testa e non ti dia tregua. Una nuova storia sta nascendo e cominci  a scrivere.

L’entusiasmo che mi pervade quando ho tra le mani quella materia grezza che è la mia immaginazione, è indescrivibile. Scrivere fa bene, mette di ottimo umore. Ogni storia nuova sembra debba aprire una nuova era, diventare quel libro perfetto che inseguo e non raggiungerò mai. Non lo scriverò mai, ovviamente, perché non esiste un delitto o un libro perfetto. La mia vita non è perfetta, chi ha una vita perfetta? La mia vita ha sempre trattato la scrittura come fosse un incantesimo di Harry Potter o come se i libri esistessero già nella borsa di Mary Poppins. I libri si scrivono, ci vuole tempo, pazienza, energia. Per fare un lavoro ben fatto, una legnaia ben impilata di parole come si vede fuori della baite trentine, ci vogliono ore vuote di pensieri e ore dense di frasi che sfuggono o arrivano in massa. Imprigionare la creatività nella disciplina è uno sforzo che stroncherebbe anche una secchiona come Hermione.

Isabel Allende, ha dichiarato che c’è un casotto nel giardino della sua villa dove si ritira a scrivere, un’altra famosa scrittrice va in Umbria nel silenzio della sua cascina ristrutturata a meditare sulle pagine del best seller di turno (dal quale il marito farà di sicuro un film). E io? Non sono un’autrice da best seller, sono una venditrice di storie che passa di classe in classe, di scuola in scuola; faccio parte di quegli scrittori di serie D che in Italia nessuno si fila e prima di me, nella categoria “narrativa ragazzi”, ci sono quelli molto bravi, quindi?

Quindi io sono magica, io le storie le tiro fuori già scritte dalla famosa borsa, gentilmente offerta in prestito dalla cara signora Poppins. Rubare ore di silenzio è realmente il mio mestiere; incontrare di nascosto i personaggi è il mio mestiere; leggere e rileggere bruciando parte della cena, lo faccio per lavoro; amare a tal punto quella storia da ripeterla tra me e me (chi mi vede pensa che io sia al telefono) mentre in auto vado di qua e di là a sbrigar commissioni, a dar passaggi, a pagar multe. Se non servissero mani e tastiera avrei fatto fuori col pensiero fiumi d’inchiostro. I miei romanzi li sudo dalla prima all’ultima riga tra le code al supermercato, gli incontri con i ragazzi delle scuole, le camminate sull’argine del fiume per far correre il cane, le fiere per sentire gli autori chiacchierare, le litigate inter-familiari, i dialoghi surreali con mia madre e le occasionali fughe dal veterinario con lo sfigato quadrupede di turno.

Non sono una professionista, non mi sento una professionista, sono più un’artista della narrazione: nel casotto? in Umbria? no! In un angolo della casa, su una scrivania piena di peli di gatto, libri, tessere sconto, seconde chiavi della macchina, un termometro, due agende, una tavoletta di cioccolata, la tazza del raccogliticcio, concentrata a ignorare chi mi chiama, chi blatera di imminenti catastrofi, chi avverte uno strano odore di bruciato in cucina. Le mie sono le storie di una funambola che nella vita continua a camminare su di un filo teso tra realtà e finzione. Non si sa fino quanto reggerà.

Tutto questo può portare a un incommensurabile successo o alla catastrofe più nera, oppure può relegarti nella mediocrità. Altre opzioni non ce ne sono. Già, perché ormai tutti ti conoscono e l’ennesimo inedito sparirà inghiottito dalle lunghe file d’attesa nelle case editrici, non saprai mai se sei brava e sfortunata oppure se in te stessa, alla fine, ci credi solo tu.

E’ un guaio, non sei una professoressa, non sei impegnata nel sociale, vendi spiccioli d’avventura ai tuoi lettori ideali, quei ragazzi dei quali vorresti avere ancora l’età. Sogni come dovrebbero fare loro e non vuoi che loro abbandonino i loro sogni, è per questo che scrivi. Una missione imbottita di cuscini tra i quali far cadere i sognatori di vite diverse, la missione un po’ folle della scrittrice senza casa, che abita il mondo e non va da nessuna parte. La sua meta è il viaggio nelle storie che costruiscono gradini su cui accompagnare i lettori. Tu, li porti per mano e poi li lasci andare quando tra le storie sanno muoversi da soli.

Fai un lavoro fine a se stesso, ma non molli, sei tenace. Non devi arrivare da nessuna parte, non hai fretta.

Ma ti lasceranno sopravvivere?

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura!

Con Luna Park di Livia Rocchi (edito da Camelozampa) mi sono emozionata e commossa. Una storia che arriva semplicemente dritta al cuore. Da leggere!

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A mio parere, questo romanzo ha il grande pregio di parlare a tutti, davvero a tutti. Non dobbiamo avere paura di proporre ai ragazzi libri che affrontano argomenti forti, ma esiste anche un modo di narrare storie importanti con un linguaggio che rasenta quello poetico e che nessuno avrà mai timore o scrupolo di proporre ai ragazzini.

Il “racconto” Luna Park esce nel 2013 nella raccolta “Chiamarlo amore non si può”, che racconta ai ragazzi e alle ragazze la violenza contro le donne, antologia della quale sono coautrice (vedi i dettagli tra i miei libri). Da quel racconto nasce il romanzo Luna Park una storia completa ed efficace.

Evviva i libri che hanno voce propria, basta carta stampata impersonale, pubblichiamo di meno ma pubblichiamo libri sinceri, onesti, veri!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Naturalmente ricchi delle proteine della Lettura…

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Una voce dal lago di Jennifer Donnelly è un libro che mi ha conquistata. C’è molto in questa storia. E’ ambientata in un paesetto rurale americano, nei primi anni del 1900, e la protagonista è una ragazza che vorrebbe studiare all’Università. Come sempre non sto a raccontare la trama che potete trovare nella quarta di copertina ovunque, e poi, in questo caso, risulterebbe enormemente riduttivo. E’ una storia ambientata nel passato ma, per molti aspetti, attualissima. Tra l’altro mi ha colpito un brano, il cui senso io stessa avevo riassunto in una frase di un mio romanzo. La frase fu tagliata dalla redazione della casa editrice che avrebbe dovuto pubblicare il libro e che alla fine non lo pubblicò. Ci tenevo molto a quella frase e più o meno diceva: negli occhi degli adolescenti in certi momenti vedi già quello che loro saranno in futuro. Sono felice di sapere che qualcun’altro, oltre a me, conosce quello sguardo. 

Un assaggio del libro che mi piace moltissimo…

“Mi capitava di immaginare che i personaggi dei libri potessero cambiare il proprio destino, e fantasticavo su come sarebbe stato. A volte provavo compassione per loro, nel vedere che non potevano in alcun modo sfuggire alla propria sorte già tracciata. Poi però pensavo che se avessero potuto parlare con me, mi avrebbero sicuramente detto di risparmiarmi pietà e condiscendenza, visto che nemmeno io potevo sfuggire al mio destino.” da Una voce dal lago di J.Donnelly

Leggere per imparare a scrivere. La musicalità delle parole, l’uso delicato delle virgole, il significato che sprigionano le frasi e sul quale potresti riflettere per mesi. Un buon libro non può far altro che bene.

 

Pubblicato in: Come nascono le mie storie

Io e te sull’isola che non c’è. Come nascono le mie storie

Come nascono le storie?

Cattura.JPG cvCerte in un modo, alcune in un altro! Questo romanzo ha per me qualcosa di speciale perché racconta tante storie, ci sono tanti personaggi e ognuno con la propria vita, una sensibilità e un destino. Il romanzo è nato parlando di cani… e ti pareva! esclamerete subito, già ogni autore ha i suoi nervi sensibili, quella sua anima inquieta e sorniona che torna sempre nella storie. Quando presi con me Bryce conobbi un tipo di cinofila bella e un rapporto con gli animali, con i cani in particolare, straordinario. Si può, credetemi, addestrare un cane alle discipline più nobili in modo mostruoso, ma si può, per fortuna, anche lavorare sull’intesa e l’amore reciproco. Questa modalità a mio parere addestra cani sereni abili al soccorso, al sostegno delle disabilità umane e anche alla semplice compagnia. Con questi giovani cinofili allegri e espertissimi ho conosciuto cani speciali e, se me lo consentite, di grande personalità ed è nata la voglia di raccontarli. In “Io e te sull’isola che non c’è” si parla del rapporto con i cani come mezzo per allenare gli umani al linguaggio dell’empatia e della sensibilità. Il rapporto con gli animali ci insegna a non comunicare solo con la parola ma anche con il linguaggio del corpo e a essere più recettivi verso gli altri.

“Gli animali ci rendono tutti più umani”

Ma non si parla solo di cani, anzi, in questo romanzo torna una fiaba di Andersen “I cigni selvatici” che mi impressionò da bambina. Si parla di fiaba e di realtà e di quanto di magico (tra virgolette) ci sia nella vita. Credere a tutti i costi in qualcosa che solo noi abbiamo intravisto, avere fiducia nei fili da seguire che la vita ci mette tra le mani, raccontano che vivere non è solo quello che sperimentiamo con i cinque sensi. Empatie, sogni, emozioni non si toccano, annusano, vedono, sentono o assaporano ma ne percepiamo gli effetti se sappiamo metterci in posizione di ascolto.

Scrivere è un mestiere strano e la fantasia un’entità astratta. Bello aver fantasia, ma la fantasia non si tocca, non si trova ovunque e a cosa serve? Si sbarca il lunario con la fantasia? Forse no, quando si sale quella scala a pioli che porta su una nuvoletta fantastica tutto può accadere e solo lì, a mio parere, nasce davvero una buon romanzo.

Mi dicono spesso che nelle mie storie ci sono troppi personaggi e vie da seguire, eppure io credo che siamo tutti, ragazzi (soprattutto loro sono abilissimi) e non, in grado di seguire l’affresco variopinto e ricco di un romanzo, in grado di innamorarci di un protagonista oppure di personaggio antipatico, di scegliere i tramonti da dipingere con la mente e quali sguardi seguire. Vi lascio la mia storia… fatemi sapere!

…. Ah, dimenticavo: un grazie speciale a mio figlio grande (perché le mie storie sono sempre un affare di famiglia, leggere per credere Cortometraggio di famiglia) che ha ideato un bel titolo per questo romanzo!

Galleria fotografica dei protagonisti a quattro-zampe del romanzo! 

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Eko con Tabatha e Sancho – “…aveva pubblicato la foto di Eko con un mestolo da cucina in bocca. Aveva un’aria seria, solo un po’ scocciata, mentre la didascalia diceva: Stasera cucino io! “

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Eko (lo zio di Bry)- “…con una fetta biscottata in bilico sulla testa. Il cane aveva uno sguardo buffo perché lei lo fotografava sempre nelle pose più assurde, invece lui voleva solo papparsi la fetta fragrante!”

 

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Nana – “…l’aveva fotografata accucciata su un grosso vocabolario con gli occhiali da lettura sul naso e forse era davvero l’unico modo per descrivere Nana! “

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Emily – “Emily era sempre disponibile al gioco, ma non era invadente! “

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Emily – ” I suoi occhi cercavano Lucia e la invitavano a lasciare da parte i problemi quotidiani per perdersi con lei in un mondo di palline, salti, corse e coccole. “

 

 

 

 

 

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Cica (la nonna di Bry) – ” …due splendidi cani occupavano rispettivamente due poltrone e non si mossero. Erano le due femmine dell’allevamento: Cica e Queen. “

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Queenbee – “Queen e Cica, chiuse nella camera di Meggy, se ne stavano sulla terrazza attigua, fisse e immobili come statue, a osservare dall’alto cosa stesse accadendo nel loro regno”

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Jazz (Nel romanzo interpreta la parte dell’amico del cuore di Nico ed essendo una vera primadonna lo fa in modo esemplare!) “Jazz lo fissò scavando, con i suoi piccoli occhi scuri di cane fortunato, nel dolore del ragazzo…”

 

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Orma Rossa – … cui Lucia ha scippato il nome per il suo nickname!

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Bryce – “Si chiama Bry, sarà il tuo cane e insieme vi divertirete un mondo”

*I Border collie fotografati appartengono tutti alla famiglia (ops all’allevamento) Gingerbell.

 

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Donne in corriera e madri da tartufo. Un bimbo da mordere

Io e Brik entriamo in banca e ci mettiamo in coda. Dopo di noi entra una giovanissima mamma con bimbo di circa tre anni. Il piccolo con calzoncino cadente  ed evidente pannolone preme il totem distributore automatico di numeri, ritira il talloncino, lo appallottola e lo va a gettare nel cestino. Il gioco lo diverte e continua. Alla ventesima attivazione di stampa del numero, avviso la madre, che lo ammonisce senza troppa convinzione e senza scomporsi.

Brik è sulla traiettoria della giostra e il piccoletto tra un ritiro e un canestro gli fa gli sberleffi da distanza di sicurezza. Brik rimane impassibile ma gli leggo negli occhi il fastidio e lo accarezzo.

Una signora all’unico sportello aperto ha messo radici in un’operazione senza fine. Un signore distinto, alla terza decina di numeretti strappati dal bimbetto, gli spiega che “non si fa” e ovviamente quello se ne frega e continua, mentre la madre in quel momento è al telefono (un classico).

Entrano due clienti premono il pulsante del totem, osservano il tabellone e il loro numero, poi si guardano attorno sconcertati, ma prima che se ne vadano il signore distinto, cortesemente, li avvisa che ci sono solo tre/quattro persone prima di loro e spiega cosa sia accaduto. La Madre, intanto, fruga nella borsa alla ricerca di qualche etto di buonsenso perché d’educazione non ce n’è. Anche il buonsenso scarseggia.

Brik abbaia e il bimbo fa un salto. Allora, io mi alzo e con il border mi piazzo accanto al totem. Il signore, Brik e io ci scambiamo un cenno d’intesa e un sorrisetto. Il bimbetto non s’avvicina, s’aggrappa alla gamba della Madre, frigna e pesta i piedi, ma quella non reagisce e lui piange. Finalmente tocca alla Madre che avanza alla cassa. Il bimbetto lancia un’ultimo sguardo disperato al totem protetto dal Brik e poi si piazza davanti allo stand delle brochure, butta a terra le Assicurazione per il Futuro, stropiccia un paio di Prestiti e finalmente la Madre finisce e se ne vanno.

Tiriamo tutti un sospiro di sollievo e Brik seduto composto accanto al totem distributore di numeri fa la sua bella figura, elegante ed equilibrato ha dimostrato grande capacità di controllo: un’addentata a quel pannolone l’avremmo volentieri data tutti.

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Donne in corriera e madri da tartufo. Mattinata movimentata

Mattinata movimentata.

Oggi c’è il cambio gestore sulla mia linea telefonica e nel lavandino della cucina l’acqua non scorre. (Coincidenze?) Sospetto l’intasamento del pozzetto biologico. Chiamo aiuto e arriva l’aeronautica. Si, quando siamo nella merda, a casa nostra, arriva l’aviazione in mimetica e occhiali a specchio. Scoperchiamo il pozzetto e rimaniamo a guardare. Si ferma un passante: tre umani e un cane che discutono fissando liquami incuriosiscono. Lo invito a unirsi alla discussione: una stronzata più o meno non fa differenza. Il nuovo gestore telefonico chiama per sapere come va. Nessun disservizio. Nelle prossime ventiquattro ore esploderà il telefono, impazzirà l’adsl e friggeranno i cavi sono sicura, ma per ora ringrazio. Poi chiama la nonna che uscita dal corso di ginnastica vorrebbe un passaggio. Pronti, io e il border eseguiamo, mentre l’aviazione si rimbocca le maniche per sturare i tubi. Recuperata la nonna, a casa mi accolgono parole di giubilo: il tappo è rimosso e vengo spedita al supermercato per comprare uno sgorga-tubi turbo e capsule di enzimi per il pozzetto. Mi giro alla ricerca del mio fido copilota e non lo trovo. Attivo il figlio grande, ma non trova Bryce da nessuna parte. L’aviazione, che ci ha sacrificato la pausa pranzo, reclama capsule e acido miracoloso. Il figlio dice che ci pensa lui al cane. Io sgommo davanti al supermarket neanche l’Opel fosse la GranTorino di Starsky&Hutch e chiamo il figlio. “Nulla, non si trova. Allargo il perimetro delle ricerche” – risponde quello e siamo ormai in completo regime militare. Afferro capsule e sgorga-tubi e vado in cassa: tutte occupate! Punto una donna di colore con turbante, assumo l’espressione di Bryce quando elemosina il cibo dalla tavola e chiedo se posso passare. Quella si fa da parte sorridendo: “Tu passa, passa!” Rispondo “Grazie” con un sorriso. A differenza di altre, lei sa riconoscere uno sguardo disperato e gliene sono grata. Telefono ancora, ma non ci sono novità: salto in auto e getto il bottino sciogli-cacca sul sedile, mentre un muso allarmato spunta dal nulla e pare chiedere: “Perché sei così agitata? Posso essere d’aiuto?”
“Cosa stai facendo in macchina?” grido e Bryce, sono certa, risponderebbe: “Schiacciavo un pisolino in tranquillità, perché?”
Telefono e faccio rientrare l’allarme “Bravo” . L’adsl funziona, l’acqua scorre limpida nel lavandino, il cane è stato ritrovato, posso smilitarizzare la casa e godermi il pomeriggio… non mi pare poco.

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Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Donne in corriera e madri da tartufo. Ci sei, ma non ti vedo

Brutto mestiere il mio che non mi lascia mai in pace…

Solita toccata e fuga al supermercato dove, con un barattolo di marmellata e un sacchetto d’insalata tra le mani, mi metto in coda alla cassa dietro una signora dal carrello straripante.

La donna, una tipa di quelle che si veste con cura anche quando va a fare la spesa (diversamente da me che indosso pastrano, scarponcini e cappello da puffo), carica tutto sul nastro trasportatore e aspetta che il cliente prima di lei paghi digitando il codice sull’apparecchio bancomat. In nome della riservatezza non lo può guardare, ma anche voltarsi indietro e fissare me sarebbe un problema: deve far finta di non vedermi poiché ho solo due miseri prodotti in mano.

La donna osserva le caramelle sullo stand accanto alla cassa con tale concentrazione che pare decifrare un antico codice egizio, poi si controlla le scarpe sperando che la transazione bancaria fili via senza intoppi. La osservo di sottecchi e lei scruta il soffitto con aria assorta come se fosse presa da pensieri e tormenti privati. Il suo viso è contratto.

Non è che non mi voglia far passare, è che non mi vede proprio, sia chiaro! E’ straordinaria: provate voi in un metro di corridoio tra le casse a non guardare né avanti e né dietro, bisogna inventarsi un mondo parallelo.

Il cliente che la precede imbusta, va via e la cassiera fa passare il codice a barre dei suoi prodotti iniziando a comporre il suo scontrino. E’ salva. Adesso si gira e mentre chiacchiera allegramente per esorcizzare lo scampato pericolo mi sorride. Anche volendo non potrebbe certo più farmi passare, quasi quasi si scuserebbe…

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando libri in compagnia di sei care amiche

Del romanzo “Nemmeno un bacio” di Manuela Salvi avevo scritto in Fiutando Libri. Ora esce la versione e-book e quindi ripropongo il link.

nemmeno un baciohttps://ilgiovanebrik.wordpress.com/2014/12/04/una-ciotola-di-emozioni-forti-e-solo-letteratura-2/

E’ un libro forte ma mai volgare. Una storia che consiglierei a un adolescente. Apprendo che il libro cartaceo è andato fuori catalogo perché giudicato troppo forte per i ragazzi italiani, eppure anche Chambers o Green possono essere molto “forti” nei loro romanzi per giovani adulti -in realtà storie per tutti- eppure i loro libri non sono fuori catalogo.

Anche altri romanzi che considero molto belli sono di difficile reperibilità come: “Ho attraversato il mare a piedi” di Frescura-Tomatis e “Lasciami andare” di Fulvia Degl’Innocenti e sono sconcertata.

Pensavo, che al giorno d’oggi si fa fatica ad essere coerenti poiché, come diceva mio padre: “Non si aggiusta il mondo a testate”. Il paragone calza e viene un gran mal di testa prima o poi.

In un film in bianco e nero sul giornalismo americano degli anni 50 (ma che è pur sempre una deliziosa commedia) si dice, citando Kipling, che un buon cronista deve avere sei servi fedeli: Cosa, Perchè, Quando, Come, Dove, Chi.

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https://www.youtube.com/watch?v=56di_FyhRhM

Io posso dire che una buona scrittrice per ragazzi, oggi, deve avere sei care amiche: Coerenza, Pazienza e Perseveranza che rincorrono le più spregiudicate Immaginazione, Emozione e Affabulazione. Tutte insieme, scrittrice compresa, bevono tè nero sedute davanti a una tastiera e si scambiano opinioni oppure chiacchierano solo liberamente.

Pubblicato in: Avvertenze ed effetti collaterali

I libri camminano da soli

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I bei libri hanno gambe proprie e non hanno data di scadenza.

Ho incontrato un libraio e abbiamo cominciato a parlare di un mio libro e di come lui lo avesse portato nelle scuole e avesse parlato ai ragazzi attraverso le pagine. Io ascolto affascinata e commossa ogni volta che qualcuno entra in un mio romanzo e me ne parla. Ho la certezza solo in quei momenti di aver lanciato un’emozione come fosse un sasso in uno stagno, di aver prodotto qualcosa di vitale che ha generato cerchi concentrici attorno a una storia.

Di questi tempi, spesso i libri sono accompagnati dall’autore e portati per mano. Alle volte non si capisce bene se sia per la vanità di esibirsi dello scrittore, per una forma d’intrattenimento sociale o per una vera necessità di marketing.

Quando si tratta di promozione alla lettura tra i ragazzi, gli autori possono avere un gran peso poiché è opinione comune che i giovani non leggano. Quando mi chiamano nelle scuole, VOLO a parlare di libri e della passione per la lettura, ma la soddisfazione più grande arriva quando capisco che una mia storia si è fatta largo da sola tra le emozioni del lettore. Perché un libro, se è un buon libro, vive da solo e a lungo.

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P.S. … vabbè può anche capitare che il Mostro Fuori Catalogo ci metta lo zampino e potremmo discute su quando dura “a lungo”, ma queste sono altre storie!

Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

è solo un cane … ?

E’ solo un cane. Già, non mi piace umanizzare gli animali, nonostante oggi venga naturale: cartoni animati, libri, giochi, è facile dimenticare la scienza che si chiama etologia e giocare con la fantasia. Lo faccio io stessa sul blog! Eppure, nonostante cerchi di tenere i piedi per terra e la testa sulle spalle, non riesco o non stupirmi di certi comportamenti di Bryce.

Metto a scWP_20151031_09_18_25_Proaldare una fetta di pizza sulla piastra e dico a mio figlio di servirsi. Passano dieci minuti e poi quindici e lui immerso nei suoi pensieri (compiti/musica/chat) si dimentica della pizza. Bryce, che aveva attentamente seguito la vicenda, si alza delicatamente sulle zampe posteriori, afferra il bordo della pizza e porta la fetta al fratello umano. La depone ai suoi piedi e lo guarda. Sembra voler dire: La mangi tu? Se non ti va, me la pappo io! Avrebbe potuto sgraffignarla e mangiarsela: è solo un cane. Non l’ha fatto. Intelligenza, senso del branco, fame atavica sopita? …chissà.

Resta il fatto che questo comportamento mi ha stupito e affascinato allo stesso tempo. Vorrei sapere cosa ha attivato quel comportamento nella testolina di Brik, ma mi accontento di guardare i suoi occhi color ambra che raccontano mille storie e il suo muso alla stracciatella con la lingua penzoloni che sembra ridere. E’ bello sapere che lui si senta parte della famiglia, ops del branco.

Alle volte mi capita di pensare che sebbene io non sappia leggere nella mente di Brik, lui e gli altri cani o i gatti in generale, sappiano invece farlo con noi umani. Sarebbe curioso se loro capissero le nostre parole o i nostri sentimenti e noi invece non riuscissimo a decifrare il loro comportamento. Sarebbe buffo arrivare a scoprire che quelli evoluti sono proprio loro!

Sto scherzando, ovvio… oppure no?

Canide felinamente affondato nel divano

English version: He’s just a dog…?

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Donne in corriera e madri da tartufo. E’ vero, ma non ci credo

Agosto 2015
Agosto 2015

Gennaio 2014. Parcheggia la station-wagon tra il lenzuolo del venditore ambulante marocchino e lo sportello bancomat e va  a fare la spesa. Sono lì, in attesa del mio “pusher” (un’amica) per ricevere una bottiglia di echinacea (panacea di tutti i mali di stagione) e getto un occhio al sedile posteriore: chiuso in auto c’è un bimbetto imbacuccato che dorme nel guscio di plastica agganciato alle cinture di sicurezza. Mi volto e la mamma, tranquilla, infila l’entrata del supermercato spingendo un carrello. Non ha l’aria di una che ha dimenticato di prendere il latte. Ritiro la mia tintura madre dopo dieci minuti e la “proprietaria” del bambino ancora non esce. Quello sgambetta, apre gli occhi, si guarda attorno. Sconcerto. Non posso andarmene. Entro nel supermercato e individuo la donna tra le mele e le arance che sceglie la frutta con calma. (La frutta è importante per una corretta alimentazione, già.) Avvicino la responsabile del box accoglienza, che informata, alza gli occhi al cielo e replica: “E’successo anche quest’estate! Adesso faccio un annuncio con l’altoparlante”. Me ne vado tranquilla perché la dipendente del supermercato esce e si mette nervosamente di guardia alla macchina. Immagino che ormai il piccolo urli e scalci, con il faccino rosso impastato di lacrime e moccio. Tranquillo piccolo, una voce dolce eppur decisa starà annunciando: “La signora che ha lasciato parcheggiato fuori il bimbo è pregata di spostarlo sul comodo carrello all’interno del supermercato. Faccia pure con comodo, il camion dei rifornimenti non l’ha schiacciato in retromarcia, l’abitacolo non ha preso fuoco e non c’è nessun criminale o ladro di bambini in giro.”

Pubblicato in: Colpi di coda

Colpi di coda!

Poche parole, pochi colpi di coda: un piccolo tributo a Brik, il border intelligente e terribile che, quando meno me te lo aspetti, riesce sempre a stupirti.

Ieri per la prima volta è venuta a trovarci l’insegnate di pianoforte, noncWP_20150709_20_16_12_Prohé cara amica, di mio figlio. Per anni io e Bryce lo abbiamo accompagnato a lezione e lei è sicuramente una persona che ha incontrato, sebbene per pochi secondi, parecchie volte in quelle occasioni. Appena la nostra amica ha varcato il cancello di casa, Bryce le è andato incontro, non l’ha neanche avvicinata, s’è girato scodinzolando e abbaiando ed è andato su per le scale in cerca del suo fratello umano. Nessuno dei presenti ha avuto alcun dubbio che Bryce avesse riconosciuto l’insegnate di mio figlio e fosse corso ad avvisarlo che lei era venuta a trovarlo.

Liberi di credermi oppure no.

 P.S.

…possiamo anche solo evidenziare come il border abbia associato, senza esitare, due persone e io lo trovo egualmente sorprendente!

Pubblicato in: Ragionando di un cane di nome Brik...

Siamo tutti social? Oh yes!

Rileggendo la vita sociale animale …

Il felino rosso quando è rientrato in circolazione, dopo la malattia che lo ha tenuto lontano dai giardini per quasi un mese, era consapevole d’essersi giocato i territori. I gatti del quartiere vivono da sempre una grande partita a Risiko. C’è la partita a scacchi con personaggi viventi, chi come Alice si ritrova davanti la regina di cuori delle carte da gioco e chi si muove su un immaginario grande tabellone dove al posto della kamchatka c’è il giardino del civico 12, al posto dell’Alberta c’è il cortile del signor Alberto e gli scivoli dei garage delimitano i continenti. Quindi il Rosso ha perso tutti i carrarmatini annaffiati due volte al giorno con puntualità e conquistati a sfide di 6 graffi dati e 3 zampate prese che, come ogni giocatore sa, fa 3 ciuffi di pelo strappati rimasti sul territorio, ormai diventato di Codamozza. Tutto da rifare per il Rosso.

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Bryce, invece, quando esce a camminare, ogni tanto si ferma e annusa a lungo un determinato posto. Perchè? Ha trovato un segnale olfattivo preciso, un messaggio e quindi un accreditato POST canino. Si può andare oltre oppure schizzarci su un bel LIKE: sta a Brik decidere! Anche Bryce, ovviamente, lascia i suoi popò di post, ma purtroppo vige un severo controllo della privacy e vengono rimossi. La cosa non è uguale per tutti gli utenti canini, alcuni mollano post oltraggiosi, ma per gli amministratori pare siano rispettosi delle regole del vivere civile! Ecco, in questo caso non c’è una grande differenza tra il social network canino e quello umano. I post rimossi lasciano comunque strascichi di polemiche interessanti per un tartufo in attività. Esistono post canini finti, perfettini, quelli tutti condividi e sorridi; ci sono quelli maleodoranti, che Bry nemmeno annusa e fa pure un saltello per evitarli; infine si trovano post con sassolini ed erbetta dentro, nature, spontanei. Esistono anche i post “solo amici” (maschile-plurale), sui quali Bryce sbava, sono quelli con gli occhiali da sole sulla testa e la bocca a cuore o meglio: a culo di gallina. Sì, perché la foto di profilo di un cane è senz’altro il suo deretano e tra i quattrozampe un’attenta annusata al profilo social indica con certezza età, sesso, umori più o meno manifesti e… dieta seguita. Insomma, un colpo di naso e si capisce tutto di chi si ha davanti. Che fortuna!

Mi auguro solo che il gatto Indiana Jones non lanci un Tweet, per il resto: be social!

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P.S. Questo articolo è riassunto di una conversazione surreale avvenuta durante una cena con i miei figli. A loro il merito di avermi fatto tanto ridere!

P.S. Disegni della nonna gattofila!

Pubblicato in: Fiutando Libri!

Fiutando Libri!

Vivere fiutando libri in libreria o in biblioteca è bellissimo e ricorda l’ottavo diritto del lettore di Daniel Pennac: il gustosissimo diritto di spizzicare!

Trasmettere le emozioni che mi ha dato un libro e leggere ad alta voce sono per me un piacere, un modo di condividere qualcosa di bello. Non ho mai obbligato i figli a leggere, ho condiviso con loro molti libri e, sì, d’estate vigeva una regola: si poteva giocare alla playstation quanto si voleva, a patto che la stessa quantità di tempo fosse dedicata alla lettura. Vi assicuro che ne veniva fuori un equilibrio perfetto! Il tranello c’era, ed era quello di mettere nelle mani dei ragazzi libri tra le cui pagine il tempo volava. Ecco un  gioco che mi ha sempre appassionato: dare il libro giusto alla persona giusta.

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Nella foto ci sono i miei libri, due copie di ognuno, e in ogni mia storia c’è un po’ di me e della mia vita. Quindi, forse, non sono una scrittrice professionista perché scrivo solo quello di cui sento il bisogno di parlare, le mie urgenze e le mie passioni, per condividerle, ovvio. Due copie per i miei figli: una sottolineata, usata, piena di segnalibri, quella che porto negli incontri nelle scuole e nelle librerie; l’altra intonsa, uscita dalla scatola per prima insieme alla ormai usurata gemella. I miei figli potranno, un giorno, ricordare tra le pagine di una copia o cominciare un nuovo viaggio con l’altra, decideranno loro. Non so quanti lettori ho, ma io comincio sempre a contare da due.

Sto leggendo un libro bellissimo: “Per una letteratura senza aggettivi”… e insomma: perché leggere? Perché leggere ci cambia. Si può “conoscere, apprendere, sapere” anche attraverso un buon documentario, ma solo leggendo le emozioni lasciano dentro di noi una minuscola traccia per sempre e, a volte, senza che ce ne rendiamo conto.

Buona lettura a tutti.

I miei libri non sono molti e non hanno data di scadenza, eccoli in sintesi:

Perduti fra le montagne (Raffaello 2008)

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Willi ed Edoardo, un ragazzo con un nome da cane e un cane con un nome da ragazzo.

La casa sul fiume (Loescher 2010)

cover

Una colonia di gatti, un soldato austriaco moribondo, un mulino sulle le rive dell’Adige dove la Storia è stata scritta.

I malmessi (Loescher 2012)

I malmessi

Sei ragazzi diversi tra loro che si tengono per mano, un’oca e un maiale.

Invisibile (San Paolo Ragazzi 2012)

cover InvisibileUn storia ricca che parla di uomini e ragazzi, di montagna e di un cane.

Chiamarlo amore non si può 

con il racconto “Perché odi Davide” (Mammeonline 2013)

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 Vita vissuta.

Il mio domani arriva di corsa (EL 2012)

Cover Il mio domani arriva di corsa

 Frammenti della vita di una ragazza che ha saputo salvarsi da se stessa.

Come conchiglie sulla spiaggia (Paoline 2015)

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Storia profumata di poesie e disegni, crocevia d’incontro di mondi diversi.

Pubblicato in: Come nascono le mie storie, Fiutando Libri!

Come conchiglie sulla spiaggia. Come nascono le storie

Come nascono le storie?

Quella poesia del Carducci mi ronzava in testa da sempre e quando capitava che con i miei bambini mi ritrovavo nella nebbia fitta del nord, cominciavo a declamarla. Loro frequentavano una scuola materna un po’ fuori del paese e per raggiungerla facevamo in macchina una stradina tra i campi avvolti spesso nella bruma del primo mattino. Niente mare, ma “la nebbia agli irti colli” nasceva in coro dalle nostre voci.

conchiglie bozza 2 - CopiaDa lì, il salto di quei versi in una storia era inevitabile e quando tantissimo tempo fa, in un paesetto toscano, mi ritrovai in un bar del porto a guardare il mare in burrasca e la pioggia e il grigio dell’aria, un’immagine s’aggiunse a quella poesia.

Come nascono le storie:

10574530_938416286169367_2866358887101394810_nAntonella era una ragazzina iperattiva: scarpe da ginnastica e capellino in testa e il mondo era ai suoi piedi! La vedevo scorrazzare in paese e sulla spiaggia, sempre in cerca di qualcosa e quando si arrampicò sul muro di quel vecchio capannone abbandonato, col rischio di cadere e farsi male, cercavo proprio d’immaginare cosa avrebbe potuto vedere. Attendevo quasi con ansia di capire cosa c’era all’interno e quando i suoi occhi si riempirono di dubbi davanti a quel posto stipato di bambini operosi e tristi, la storia era già tutta lì, pronta per essere scritta.

Tra le righe s’infilò a forza un gatto, grosso e battagliero, che voleva a tutti i costi una parte da coprotagonista e, si sa, i gatti ottengono sempre quello che cover (2)vogliono. Però, non accettai discussioni, avrebbe avuto accanto il maestro Oreste: canuto, grassoccio, curioso quanto basta per stare dietro a una come Toni.

Eppure la storia non era ancora completa, come quando sappiamo che stiamo dimenticando qualcosa ma non capiamo cosa. Per fortuna la soluzione era lì davanti a me. Ogni mattina quando aprivo facebook c’era una nuova poesia di Roberta ad attendermi. La mia Toni disse per caso che le poesie arrivano Come conchiglie sulla spiaggia e io capii CHI avrebbe lasciato cadere nel mare i versi delle sue poesie.

Come nascono le storie!

Come abbia fatto Erika a disegnare così bene quei personaggi che io mi vedo davanti in carne e ossa, quasi non me lo spiego, perché noi non ci siamo mai parlate, non ci conosciamo neanche. E forse quel gattaccio marinaio e furbissimo ha convinto Fulvia a far diventare la sua storia un libro vero, fatto di carta e inchiostro, s’è inventato sicuramente un qualche strano sortilegio per stregarla, ma è pur vero che quando nascono, le storie, poi vivono da sole.

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Come conchiglie sulla spiaggia di Giuliana Facchini, con le poesie di Roberta Lipparini e le illustrazioni di Erika De Pieri. Edizioni Paoline – collana: Il parco delle storie.

Un romanzo per bambini dai nove anni in poi, ma da leggere ad alta voce a chiunque.

Pubblicato in: Donne in corriera e madri da tartufo

Donne in corriera e madri da tartufo. Rimedi naturali

Sono lusingata per aver ricevuto il Premio “Giovanna Righini Ricci“. Il giudizio di una prestigiosa commissione e quello della giuria ragazzi mi emozionano. E’ il secondo premio a un mio romanzo inedito assegnato dai RAGAZZI.

conselice

Non sono una scrittrice alle prime armi, ma neanche navigata e i miei inediti giacciono anni sulle scrivanie (per carità, intasatissime di manoscritti) delle case editrici prima di riuscire a guadagnare una pubblicazione. Alcuni editor li conosco personalmente e rispetto i loro giudizi severi o empatici. Oltretutto, pochi lo sanno, ma in Italia ci sono dei grandi scrittori per ragazzi, quindi io sono in coda. Non  sono una scrittrice “colta o raffinata” su questo non si discute, ma almeno non lo sono con coerenza. Sono una che dà voce a un cane su un blog, e a dir il vero a casa mia hanno sempre parlato tutti (democratici noi): Indiana, il gatto comunicava con me col pensiero perché io traducessi ai miei figli quando erano piccolissimi e, sì, anche il millepiedi e la lumaca che abitavano in giardino avevano idee molto chiare da esporre. Già, attraverso il racconto, dal vivo o stampato, ogni argomento si può affrontare.

Da sempre credo nelle storie, quelle narrate o scritte con passione, dove le emozioni superano la parola e affascinano il lettore. Saper scrivere o raccontare una storia non è cosa facile, io credo nel processo creativo scevro da qualunque imposizione o condizionamento. Una storia a mio parere deve nascere dal cuore, dalla pancia, dall’anima o anche dalla testa (insomma da dove vi pare) di uno scrittore ma attraverso un percorso vigoroso, coinvolgente e individuale. Quindi, starà all’editore innamorarsi anche lui di quella storia e poi il libro dovrà vivere da solo e con il TEMPO capiremo se sarà stato un buon libro. Scrivere così è una lotta contro i mulini a vento, è una continua ricerca in me stessa (stilistica e personale), mentre personaggi e storie assorbono le mie energie e mentre aspetto quella mail o quella telefonata che significano lavoro. Già perché è difficile ricevere una giusta (anche solo una misera) retribuzione per questo lavoro. E oltretutto c’è la vita privata e quotidiana, gli errori fatti e le mancanze. Nelle scuole gli studenti mi chiedono spesso quando e dove io scriva, ecco, forse li deludo sempre un po’ ma io alle sei del mattino  preparo la colazione per i miei figli e quindi la notte dormo, non scrivo.

La mia vita non ha nulla di romantico e la scrittura è disciplina. Mi chiudo nello studio almeno quattro/cinque ore al giorno e leggo o scrivo. Mi serve disciplina per evadere dalla realtà. Poi c’è la spesa da fare, i pranzi e le cene da mettere in tavola, i figli con cui litigare, la nonna da nutrire di libri e i libri da leggere (tanti), il brik da allenare, i gatti da portare dal veterinario per curare i graffi procurati nelle zuffe… insomma un mondo di distrazioni che nutrono le storie. E’ una vita sofferta, la mia, tra tanti amori forti e la rincorsa quotidiana per trovare il tempo di viverli tutti.

Eppure quando mi comunicano che hanno scelto proprio la mia storia, mi dico che forse un senso (quel senso che sempre cerco) l’ho anch’io. Temo non sia cambiato molto da quando tutto è cominciato nella cameretta dei miei figli piccolissimi, quando leggevo loro ad alta voce o inventavo storie. Dunque, infine, cosa sono? Intrattenitrice? Educatrice? Affabulatrice? Cantastorie? Non so proprio chi sono in questa nostra società. Però rimane un dono per me non riuscire a chiudere prima di due ore un incontro con i ragazzi di una scuola che hanno letto un mio libro: m’inondano di domande e poi dalle mie risposte arrivano altre domande e alla fine parliamo di tutto, ridiamo e ci ascoltiamo, perché dentro le storie non ci sono barriere ma energia pura. Insomma fin quando continueranno a leggermi o ad ascoltarmi, io continuerò a narrare con tutte le mie forze e poi? La vita è una strada piena di bivi, deviazioni e ostacoli, poi deciderò il da farsi e se non ci sarà nulla da fare non farò nulla.

giuie e bry

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Donne in corriera e madri da tartufo. Il referto

Esame senologico. Mentre il medico esegue l’ecografia, guardo lo screening sul monitor. “Vede le fasce grigie? sono la parte adiposa -spiega lui– le altre, quella ghiandolare.”

Il tipo, occhi azzurri e capelli biondo anziano, è uno di quegli uomini degli spot televisivi che, direbbe la Murgia, a differenza delle donne non invecchiano, ma maturano.

“Un seno non più giovane -continua quello- presenta in maggioranza parti adipose (grazie) Non sta più su come quello giovane, pieno di tessuto ghiandolare (ma dai?) Infatti certe donne ricorrono alla chirurgia plastica” (…ma questo ha un altro lavoro in una clinica estetica?)

Io replico che la penso come Anna Magnani quando, a chi le diceva di farsi stirare le rughe, rispondeva che ci aveva messo una vita a farsele venire. E lui: ”Donna interessante la Magnani, ma non bella” (ancora!)

Poi mi domandano perché preferisco le donne medico!

Salverei solo il ginecologo di Lussemburgo che ha aiutato a nascere mio figlio: magrolino, alto, che, nonostante la prole numerosa, pareva un essere asessuato dalla calma infrangibile. Mentre, io, nella saletta dalla luce soffusa e con la filodiffusione, mi spaccavo la cervice uterina per far uscire la creatura, lui e mio marito, accanto a me, discutevano su quali fossero i vini migliori: quelli francesi o quelli italiani? Ecco, lui mi era simpatico.

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Donne in corriera e madri da tartufo. La terapia

Ebbene mi sono concessa una spesa rilassante al supermercato: non al centro benessere, ma proprio al supermercato.

Si tratta di quella terapeutica operazione che ci permette di affrontare positivamente i lavori sporchi.

Dopo aver parcheggiato in quel posto, sì proprio in quel rettangolo bianco dove ero ferma quando ricevetti la telefonata che mi annunciava la vittoria del Premio Arpino, in quella piccola area di sosta che se trovo libera è presagio di buona giornata, mi sono armata di carrello e sono entrata con cuore leggero nel supermercato. Ho chiacchierato davanti ai limoni con un anziano signore molto distinto, un gourmet che produceva liquori fatti in casa e cercava frutta non trattata. Una discussione interessante che ha spaziato dal biologico ai viaggi in Svizzera. Poi qualche scontro con carrelli amici e vecchie conoscenze e un girovagare creativo tra le corsie alla ricerca d’idee per pranzi e cene sani, veloci da preparare e appetitosissimi (corsia 9 e ¾ non trovata). Quindi, mi sono concessa un quarto d’ora di lettura di etichette nel reparto biscotti e gallette alla ricerca della marca cui dare la Palma d’Oro per assenza di olio di palma tra i propri ingredienti (premio non assegnato). Quindi si torna a casa sereni e soddisfatti, dopo una breve e organizzata sosta alla cassa e con il bagagliaio pieno di scorte alimentari che mi auguro bastino almeno per due settimane, forse tre… insomma fino a che frigo e credenza tristemente vuoti mi richiameranno alle armi.

La spesa spensierata non prevede la famosa lista per non scordare l’indispensabile, diligentemente fatta e doverosamente lasciata a casa. Dunque, a un veloce check, ho dimenticato solo il latte (bottiglia vuotissima), l’olio si semi di girasole per Bryce (rende bello il pelo di chi è già bello) e il sale per la lavastoviglie (macchina ferma e pienissima). Per rimediare a questo spiacevole effetto collaterale farò un raid più tardi senza carrello. Entrerò furtiva e lesta, dribblerò la folla, afferrerò i tre prodotti mancanti e farò coda con aria mesta per pagare tre miseri pezzi contando sul buon cuore della massaia che intasa la cassa con un carrellone strapieno di vettovaglie.

Quando i miei figli erano piccoli usavo le storie e le letture ad alta voce per rendere risolvibili i problemi irrisolvibili, gradevoli le incombenze sgradevoli… diciamo, se può essere utile, che non ho perso il vizio.