Ebbene mi sono concessa una spesa rilassante al supermercato: non al centro benessere, ma proprio al supermercato.
Si tratta di quella terapeutica operazione che ci permette di affrontare positivamente i lavori sporchi.
Dopo aver parcheggiato in quel posto, sì proprio in quel rettangolo bianco dove ero ferma quando ricevetti la telefonata che mi annunciava la vittoria del Premio Arpino, in quella piccola area di sosta che se trovo libera è presagio di buona giornata, mi sono armata di carrello e sono entrata con cuore leggero nel supermercato. Ho chiacchierato davanti ai limoni con un anziano signore molto distinto, un gourmet che produceva liquori fatti in casa e cercava frutta non trattata. Una discussione interessante che ha spaziato dal biologico ai viaggi in Svizzera. Poi qualche scontro con carrelli amici e vecchie conoscenze e un girovagare creativo tra le corsie alla ricerca d’idee per pranzi e cene sani, veloci da preparare e appetitosissimi (corsia 9 e ¾ non trovata). Quindi, mi sono concessa un quarto d’ora di lettura di etichette nel reparto biscotti e gallette alla ricerca della marca cui dare la Palma d’Oro per assenza di olio di palma tra i propri ingredienti (premio non assegnato). Quindi si torna a casa sereni e soddisfatti, dopo una breve e organizzata sosta alla cassa e con il bagagliaio pieno di scorte alimentari che mi auguro bastino almeno per due settimane, forse tre… insomma fino a che frigo e credenza tristemente vuoti mi richiameranno alle armi.
La spesa spensierata non prevede la famosa lista per non scordare l’indispensabile, diligentemente fatta e doverosamente lasciata a casa. Dunque, a un veloce check, ho dimenticato solo il latte (bottiglia vuotissima), l’olio si semi di girasole per Bryce (rende bello il pelo di chi è già bello) e il sale per la lavastoviglie (macchina ferma e pienissima). Per rimediare a questo spiacevole effetto collaterale farò un raid più tardi senza carrello. Entrerò furtiva e lesta, dribblerò la folla, afferrerò i tre prodotti mancanti e farò coda con aria mesta per pagare tre miseri pezzi contando sul buon cuore della massaia che intasa la cassa con un carrellone strapieno di vettovaglie.
Quando i miei figli erano piccoli usavo le storie e le letture ad alta voce per rendere risolvibili i problemi irrisolvibili, gradevoli le incombenze sgradevoli… diciamo, se può essere utile, che non ho perso il vizio.



ranova di dimensioni orsine, sdraiato, pacifico, con il muso a terra. Brik strisciando con indifferenza cerca di avvicinarlo. Quello apre un occhio e lui s’immobilizza (uno, due, tre, stella?) e poi ancora spalmato a terra cerca d’arrivare ad annusargli una zampa. Il Terranova apre entrambi gli occhi e il brik sbatte la coda socievole: – Ehi orso, come va?
ra sui suoni che provengono dall’ambulatorio vero e proprio. Cerco di decifrare un urlo felino: raccapricciante. Lo stomaco mi si stringe. Esce la dottoressa e parla: seguo il movimento delle sue labbra, mi sforzo di capire il linguaggio degli umani. Gli hanno schiacciato le ghiandole perianali? Guardo il gatto nel trasportino: sì, succede anche questo qui dentro, e poi ti rattoppano, di pungono, ti spediscono a fare un trip con l’anestesia, ti misurano la febbre in modo non convenzionale. Io alla fine ci ho rimediato un orecchio ricucito abbastanza dritto, con tre strisce genetico-fashion bianche, una sorpresa della natura! Sì, ci può stare fratelli: il mio nome totemico sarà Orecchia Striata, anche meglio di Due calzini!

ed to collect my thoughts and adventures on this blog.













i la storia della scopa.
ancora qui e i miei fratelli, non più cuccioli ormai, stamattina l’hanno recuperata e io ovviamente mi sono unito al gioco: la stano, la mordo, la distruggo la scopa della Befana!





agazzini, la schiavitù e la violenza sulle donne e sulle bambine? Le mutilazioni e le feroci morti inutili? Come posso ignorare esseri viventi ingabbiati, torturati, divorati senza pensare al loro cuore che batteva, ai loro occhi che nascondevano paura e rassegnazione, al loro essere nati, senza saperlo, solo per essere consumati. Nessun ciclo della vita per alcuni. Niente etica nella morte, niente dignità tra gli uomini. Che faccio: addobbo l’albero? Siamo torrone incenerito, carbone amaro e polveroso.
ella creazione che assomiglia a quella dell’immaginazione. E ci vuole immaginazione per una vita che si rinnova instancabile, nonostante tutto, negli esseri umani, negli animali, negli alberi e nei fiori. Né padri, né madri, indiscriminatamente siamo tutti genitori di semi di stelle luminose oppure oscure. Tanti doni in uno: la vita che è colostro al sapore di vino moscato.
r la collottola per non far loro del male e adesso vanno e sono meravigliose, scaldano il cuore. E non è tutto: alcune mi scodinzolano attorno, altre fanno nido sul mio grembo con fiducia, altre saziano lo sguardo, verdi e legnose o esili e profumate.
ndo.












da caccia molto abbattuto. Bryce era ancora addormentato, quello pareva non avere la forza di muoversi e io e l’altro umano ci siamo scambiati le rispettive preoccupazioni. Mentre l’uomo parlava capii che era un cacciatore e sulle prime, d’istinto, avrei voluto prendere le distanze o dirgliene quattro, ma poi lasciai stare: era così preoccupato e avvilito che non ne ebbi il coraggio. Mi raccontava di quanto fosse bravo il suo cane e di come l’altro, che aveva prima di lui, fosse morto giovanissimo di una brutta malattia. Portava un gilet da cacciatore, aveva un modo di fare un po’ rozzo e quel pudore da uomo fatto che non vorrebbe lasciarsi andare.
rispondendo bene alle cure!” Mi sono congratulata, felice per loro. Quell’uomo era un nemico per me, un cacciatore, uno che impallina uccelli e lepri e mi fa ribollire il sangue, eppure davanti a tanta felicità, a tanta empatia tra compagni non ho potuto che sorridere. Ci sono battaglie e altre battaglie e la vita ogni tanto scombina idee e circostanze.







il fuoco. La pioggia mi ricorda qualcosa, qualcosa che non so, ma che c’è dentro di me, da qualche parte. Non m’infastidisce avere il pelo bagnato, il sottopelo mi tiene caldo e asciutto. Mi piace correre sotto la pioggia, mi rende elettrico. Se chiudo gli occhi pizzicati dal calore delle fiamme, m’immagino al lavoro, sulle fredde colline dei mie avi canini, sento il fischio del pastore e il fango che m’inzuppa le zampe mentre raduno le pecore grosse e nervose. L’energia del mio corpo giovane esplode nel lavoro di controllo e raduno e s’impone al freddo, al pericolo, al terreno pietroso che mi gratta i polpastrelli delle zampe.


treccia da gioco in bocca, ma il mio sorriso era diventato una parolaccia. Intanto è arrivato pure un messaggio della mamma sul cellulare: “Aspetto-bar-se-non-ti-vedo-chiamo” (lei manda telegrammi non sms). Avanzo qualche passo con la mia zavorra al piede e cerco di mettere il guinzaglio al brik che, offesissimo per l’interruzione forzata, molla la treccia a un millimetro del mia scarpa da ginnastica incatramata. Cane agganciato, piede sollevato, corda umidiccia di bava recuperata e quindi digito al volo un messaggio: “Batteria scarica”. Se non rispondo la mamma va in ansia (rimaniamo sempre figlie anche se siamo madri attempate) e il mio cellulare si sta per spegnere. Guadagno la fontanella, mi sfilo la scarpa e metto la suola sotto il getto, ma devo cercare (saltellando su un piede solo) un rametto da usare come punteruolo perché l’impasto s’è cementato nel carrarmato della scarpa. Cosa darà da mangiare ai cani certa gente? Quale cibo viene trasformato da un intestino, tutt’altro che pigro, in escremento colloso a presa rapida? Vabbè, lasciamo perdere, infilo di nuovo la scarpa ormai bagnata anche dentro. Il calzino s’impregna e le dita del piede s’irrigidiscono. M’incammino verso il bar, piuttosto avvilita, con una scarpa che geme inzuppata d’acqua. A uno dei tavoli all’aperto, sotto un pallido sole mi aspetta il caffè caldo già ordinato dalla mamma (perché la mamma è sempre la mamma). Lei chiacchiera, brik mordicchia la sua treccia per far qualcosa e io mi scaldo le dita sulla tazzina cercando di recuperare un po’ di fiducia nei compagni umani dei quattro-zampe. La mamma con aria perplessa mi fa partecipe dei suoi pensieri: “Sai il mio cellulare è impazzito” La guardo bevendo un sorso di caffè forte e cremoso “L’ho caricato stanotte, ha tutte le tacche della batteria a posto ma mi è appena arrivato un messaggio che dice: “Batteria scarica”. Bevo un altro sorso di caffè, aggiungo un po’ di zucchero e muovo le dita intirizzite nel calzino bagnato. Bene: la mamma ha imparato a gestire l’ansia se non rispondo ai messaggi e il suo cellulare fa un baffo all’iPhone 6, manda sms.




Da domani io e il brik pubblicheremo degli assaggi di lettura: libri che ci sono tanto piaciuti. Non necessariamente ci saranno recensioni, non sono un critico letterario, ma solo una appassionata lettrice e il brik delle storie su carta stampata ha poco rispetto: lui ama solo il racconto orale, dove la voce media la parola e invita a nuove emozioni!

ggio con Bryce non è sempre facile. Se si è in compagnia e qualcuno si allontana dal gruppo, lui si impegna a seguirne le tracce e a recuperalo. Tira e abbaia e devo sgridarlo per la troppa veemenza. E’ un comportamento tipico dei cani da pastore.


da bassa, il corpo proteso in avanti e gli occhi attenti. Nulla mi sfugge e al fischio del pastore parto come una saetta. Questo dicono di me e questo c’è scritto nel mio DNA. Non tutti i border collie lavorano in Scozia con le pecore, alcuni di noi sono atleti eccellenti o volontari nella Protezione Civile, nel Regno Unito ma anche in altre nazioni.
nella tasca dei jeans. Il Labrador ha finito da un pezzo e il suo umano non si è proprio accorto del bisognino. E’ un’abilità che s’acquisisce con anni d’esperienza quella di non guardare al momento giusto. Mica una cosa improvvisata. Se ci fosse stato il vigile non sarebbe accaduto, ma solo per paura della multa. Siamo fatti così… non tutti, eh!


i pompelmo o arancia, pane tostato integrale e biologico con marmellate varie e, se è sopravvissuta dal giorno prima, anche torta di mele!























